1.
Piano, regolamento, nullaosta -
Il regime giuridico-amministrativo della protezione della natura
all'interno di una area protetta costituisce, nella trama formale della legge
quadro n. 394 del 1991, un disegno organizzativo e funzionale resistente
rispetto alle attività d'impatto e a qualsiasi ingerenza di privati e di altre
amministrazioni. In altre sedi, alle quali faccio qui necessario rinvio, ho
descritto la configurazione e il funzionamento co-attivo di questi meccanismi
(piano, regolamento, nullaosta, controlli, sanzioni); l’impostazione è stata
variamente ripresa nella dottrina successiva, in genere adesivamente, anche
quando ha fatto ricorso, per dare ragione della forza del sistema, al modello
estremo dell’ordinamento sezionale.
Ma
anche senza giungere a queste difficili e discutibili qualificazioni, non sembra
dubbio che il sistema di protezione naturalistica sia dotato di una forza speciale,
e di una peculiare intensità: non vi è dubbio che regolamento e piano abbiano portata
generale ed efficacia erga omnes;
per entrambi è previsto l'obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale; il
piano è vincolante nei confronti
delle amministrazioni e dei privati e si sostituisce ad ogni altro strumento di
pianificazione; il regolamento deroga alle disposizioni regolamentari anche
successive, dei comuni, che sono tenuti
alla sua applicazione, e può derogare pure a disposizioni di rango legislativo
(il generale divieto di “opere che possono compromettere la salvaguardia del
paesaggio e degli ambienti naturali tutelati”, di cui all'articolo 11, comma 3
della legge n. 394 del 1991). Il piano e il regolamento sono pertanto fonti
normative sui generis (Di Plinio),
legittimate tramite la legge quadro, dalla imperatività costituzionale e
comunitaria della protezione dell'interesse naturalistico, e caratterizzate da
procedimenti di formazione collaborativi, da perseguire fino al limite di
rottura, oltre il quale il rinvio alla decisione politica del governo, per
effetto del principio di unitarietà, diviene ineluttabile.
La
chiave di lettura del meccanismo di funzionamento di queste fonti e del loro
rapporto è data dall’interpretazione dell’articolo 11 della legge quadro,
il quale esordisce affermando che “il regolamento del parco disciplina
l'esercizio delle attività consentite
entro il territorio
del parco”; evidentemente il concetto di attività
in generale è comunque espressione di diritti costituzionalmente garantiti,
o di interessi pubblici incardinati in funzioni amministrative, e poiché in
entrambi i casi siamo in presenza del vincolo costituzionale della riserva di
legge in materia di esclusione e conformazione, la norma va sistematicamente
interpretata, nel contesto della legge quadro, rilevando in primo luogo che
essa, all'interno delle aree protette assume un significato negativo,
cioè esclusivo dell'esercizio di qualsiasi
attività non espressamente consentita,
in quanto suscettibile di ledere l'interesse pubblico naturalistico (articolo
11, primo comma, in combinato disposto con il terzo comma ed il quinto comma
dello stesso articolo); infatti, è seccamente stabilito il generale divieto di
“attività e opere” che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio
e degli ambienti naturali tutelati (comma terzo), con una sola eccezione
espressamente prevista per i diritti reali e gli usi civici delle collettività
locali (comma quinto); l’elenco contenuto nell’articolo, anche in base ad
una sommaria interpretazione letterale, è meramente esemplificativo, e non
tassativo.
La
particolare formulazione della norma, in realtà, induce più propriamente ad
affermare che il divieto assoluto non attiene a qualsiasi attività, ma solo a
quelle in sé lesive dell'interesse protezionistico; si tratta di una
valutazione che non può essere operata in via generale, ma caso per caso, parco
per parco, perché ogni area protetta costituisce un sistema unico e
irripetibile, e contiene una frazione di patrimonio naturale diversa da ogni
altra. Di conseguenza il rapporto tra piano e regolamento assume
una importante e delicata funzione proprio in ordine alla metodologia indicata
dalla legge per eliminare ogni possibile “impatto” delle attività umane
sullo specifico territorio considerato; attraverso il rapporto tra legge, piano
e regolamento il meccanismo di imposizione di vincoli e limiti viene rovesciato:
il sistema dei divieti essendo posto in via generale dalla legge, gli atti
fondamentali del parco hanno la funzione di selezionare non le attività
vietate, ma le attività permesse,
dilatando diritti soggettivi e libertà compressi dalla legge quadro; dette
attività dovranno poi essere regolamentate, al fine di armonizzarne
l'esercizio con le finalità naturalistiche. Il piano per il parco individua le attività
consentite e funzionali
all'interesse pubblico naturalistico, anche mediante la suddivisione del
territorio del parco in zone,
corrispondenti a diverse gradazioni della protezione, sulla base dei principi
dell'articolo 12 della legge quadro. Il regolamento del parco può stabilire
eventuali deroghe ai divieti
espressamente disposti dalla legge quadro (articolo 11, comma quarto). Si deve
però ritenere che la discrezionalità derogatoria regolamentare sia
strettamente limitata, risultando l'esemplificazione di cui all'articolo 11,
comma quarto, espressione di un generale principio di elasticità
relativa del divieto, in funzione di una migliore
tutela degli ecosistemi del parco (in particolare la deroga al divieto di caccia
è strettamente limitata alla contingenza di ricomporre squilibri ecologici
accertati dall'Ente Parco, e i prelievi e gli abbattimenti selettivi debbono
avvenire comunque per iniziativa e sotto la responsabilità dell'ente).
In
un p assaggio
logicamente successivo, al regolamento
è affidata la funzione di disciplinare l'esercizio
delle attività consentite entro il territorio del parco (articolo 11,
comma primo); la legge prevede una elencazione (articolo 11, comma secondo) di
carattere non esclusivo, nel senso che il regolamento può prevedere
fattispecie ulteriori, purchè previste anche nel piano; l'elenco ha comunque
anche la funzione di indicare una tipologia di interventi, in un certo senso
prioritaria ed essenziale, tra le quali, a titolo d’esempio, la tipologia e
le modalità di costruzione di opere e di manufatti; lo svolgimento delle
attività artigiane, commerciali, di servizio ed agro-silvo-pastorali; il
soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto; lo
svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative, e di ricerca
scientifica; l'accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e
strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani, e così via.
Il
corpus normativo risultante da piano e regolamento risulta intangibile
da parte delle normazioni generali e di settore, rispetto alle quali opera in
funzione ostativa la specialità della disciplina negativa
di rango legislativo, cioè il generale divieto di qualsiasi compromissione
dell'ambiente naturale, posto della legge quadro, che potrà essere rimosso, in
tutto o in parte, soltanto in forza di un intervento legislativo ad hoc,
espressamente derogatorio. Dal sistema descritto dovrebbe derivare anche
l’ulteriore importante conseguenza che la disciplina risultante dal piano e
dal regolamento può prevedere anche obblighi positivi, così che le attività
disciplinate risultano sostanzialmente funzionalizzate all'interesse pubblico
naturalistico, che diviene l'unità di misura e la legittimazione del sistema
divieto-deroga-disciplina contenuto nel rapporto tra legge, piano e regolamento.
Non
dovrebbero esservi dubbi sulla costituzionalità del descritto sistema, perché
il limite, in forma di divieto generale di attività, è posto direttamente
dalla legge, e il rinvio al piano e al regolamento, in quanto integrativo a fini
derogatori del divieto, ha comunque una funzione espansiva, e non limitativa,
delle situazioni soggettive costituzionalmente tutelate; non è il piano, né
il regolamento, a porre l'esclusione o la limitazione dei diritti di libertà
(iniziativa economica, circolazione ecc.), ma la legge; pertanto la critica di
costituzionalità può investire quest'ultima per il fatto del divieto in sé,
ma non per il rinvio della funzione derogatoria e della funzione conformativa,
specie se si considera che nella stessa legge quadro sono contenute ulteriori
specificazioni di principio delle fattispecie “compatibili” (articolo 12,
comma secondo) e di quelle “derogatorie” (articolo 11, comma quarto).
Il
nullaosta ,
nella misura in cui “verifica la conformità tra le disposizioni del piano e
del regolamento” e gli interventi, impianti ed opere all'interno del parco
(articolo 13), si limita a riconoscere dette
attività come consentite,
estrapolando i criteri relativi dal nucleo normativo costituito dal sistema
piano-regolamento, che ne costituisce dunque il presupposto.
Il
nullaosta, in questo disegno normativo, ripeto, formale,
è dunque il punto terminale di contatto tra esigenze superiori della protezione
naturalistica e attività economiche e sociali, e l’unica sua configurazione
in grado di garantire lealmente entrambe è quella di valutazione
altamente tecnica, non discrezionale, la cui funzione è limitata al
controllo della conformità di iniziative e progetti alle previsioni del piano
del parco e del regolamento.
A
una siffatta configurazione del nullaosta naturalistico nuoce la discrezionalità
amministrativa: la protezione della natura è un processo squisitamente tecnico,
e dunque la sua gestione non può essere manipolata in funzione della
ponderazione comparativa di interessi diversi. La configurazione materiale del
territorio (in senso statico e dinamico) in funzione di tutela del superiore
interesse pubblico alla conservazione del patrimonio naturale deve essere
pertanto assorbita in atti orientati a questo oggetto, sganciati dalla
quotidianità degli interessi umani. In un parco ogni azione umana, compresa
l'attività e gli interventi degli organi istituzionali del parco, è per
definizione vietata, a meno che non sia espressamente consentita (dal piano) e
dettagliatamente disciplinata (dal regolamento); il nullaosta è disegnato dalla
legge quadro come un atto neutrale, automatico, di riconoscimento delle attività
umane consentite nel caso concreto: si tratta di una garanzia (di certezza del
diritto e di eguaglianza formale) non solo per la natura, ma anche per quella
frazione di interessi economici assorbita e legittimata dalla pianificazione
naturalistica.
L'analisi
che sarà condotta da qui in avanti avrà per oggetto esclusivamente il modello
configurato dalla legge quadro, considerato "a regime"; occorre
peraltro avvertire che nel law in action
questo modello non è ancora realizzato, perché non sono ancora vigenti i piani
e i regolamenti dei parchi nazionali, senza i quali il sistema della protezione
integrale non può funzionare, in quanto mancano i parametri
tecnico-normativi di garanzia e valutazione dell’interesse naturalistico.
Questa situazione è stata perfettamente percepita dalla giurisprudenza della
Suprema Corte, secondo la quale il piano e il regolamento rappresentano
contemporaneamente l’espressione della “partecipazione” e il limite
generale dell’azione di tutti gli altri soggetti di governo e amministrazione
del territorio, e pertanto in assenza di essi “la richiesta di nullaosta si
risolverebbe in un mero formalismo, in un adempimento assolutamente superfluo
per l'inesistenza di una disciplina "propria" alla quale possa
riferirsi la valutazione dell'intervento progettato” (Cass., Sez. III pen., 19
ottobre 1995, n. 10407, Di Felice e al.; ma v. Cass., Sez. III pen., 19 marzo
1998). E pure in tale contesto assumono razionalità alcune posizioni del
giudice amministrativo, relative al diniego di autorizzazione (e non di
nullaosta) dell'Ente Parco, reso ai sensi delle disposizioni contenute nelle
misure di salvaguardia previste nel Decreto istitutivo dell'Ente; in questi
casi, il T.A.R. (Abruzzo, sent. n. 221/1998), e il Consiglio di Stato (sent. n.
637/1999), sul presupposto dell'ampia "discrezionalità" del
provvedimento autorizzatorio, hanno affermato la necessità non solo di una
dettagliata motivazione del diniego, ma anche di indicazioni "in
positivo" di soluzioni alternative (Ceruti, Nicolucci). In assenza di piano
e regolamento, la citata giurisprudenza amministrativa non risulta in
irrazionale contrasto con l'ordinamento vigente, anche se si tratta di una
soluzione abnorme, se si considera che l'attività da valutare consisteva
sostanzialmente nell'utilizzo di esplosivi (e nel rischio che nel cuore del
Parco, qualcuno decidesse che valeva la pena di estrarre idrocarburi).
2.
Gli enigmi del nullaosta e la dottrina.
- Probabilmente ha ragione Orsi Battaglini a sostenere che il termine
"nullaosta" debba ritenersi privo di significati giuridicamente
caratterizzanti. Più precisamente è stata spesso rilevata in dottrina la
difficoltà di costruire con sufficiente precisione una figura giuridica
unitaria partendo dalla massiccia e confusa casistica normativa che fa
riferimento al nullaosta o a figure (considerate) più o meno affini. Se ne
dovrebbe dedurre che la fisionomia di ogni oggetto cui la legge attribuisce il nomen
iuris di "nullaosta" dovrebbe essere costruita caso per caso,
tenendo principalmente conto degli ordinamenti specifici di ciascuno di essi. Se
questa impostazione è ragionevole, non appare legittima l'operazione di
inquadrare decisamente e a priori il nullaosta nel novero dei procedimenti
autorizzatori, senza tentare prima di individuare gli eventuali elementi di
specialità e le asimmetrie che potrebbero caratterizzare la specifica figura,
oggetto di questa conversazione.
Sotto
questi profili, forti dubbi sulla identificazione del nullaosta dell'Ente Parco
come autorizzazione derivano da una
analisi comparativa di diversi aspetti e situazioni (la natura, tecnica o
amministrativa, dei soggetti competenti, la differente funzione, di controllo
tecnico-scientifico o amministrativo, e così via). Tuttavia, divergenze vistose
possono segnalarsi non solo rispetto alle generali figure autorizzatorie, ma
anche in relazione alle più correnti ricostruzioni del nullaosta in dottrina.
Tali divergenze attengono a due elementi: a) la estensione, e la natura, della discrezionalità;
b) la collocazione nell'ambito dei procedimenti, particolarmente in riferimento
alla impugnabilità autonoma del
nullaosta.
La
legge quadro sulle aree naturali protette configura un modello di nullaosta del
tutto originale, e precisamente individuabile: a) si tratta di un atto a discrezionalità
zero (Di Plinio, Fonderico); b) si tratta di atto impugnabile
- sia quando è positivo che quando è negativo - autonomamente dagli altri
procedimenti ai quali si collega (Di Plinio, Abrami). In sostanza il nullaosta
del Parco presenta entrambi i caratteri, ciascuno dei quali conferma alcune
delle teorie generali sul nullaosta, ma ne contraddice le altre, e viceversa.
In
primo luogo, l'essere il nullaosta del Parco a zero
power
of discretion,
esclude la sua comprensibilità all'interno delle teorie che configurano il
nullaosta in genere come autorizzazione (Orsi Battaglini), perché il requisito
essenziale di questa è appunto la discrezionalità. Esclude anche
l'applicazione di quelle (Migliarese) che, muovendo dall'impostazione
gianniniana del nullaosta come assenso procedimentale necessario, ne
costruiscono una struttura volitivo-discrezionale, motivando dalla possibilità
di clausole accessorie (come nel caso dell'apertura di distributori di
carburante), e dalla necessità comunque di motivazione del diniego (nullaosta
regionale per insediamento di ipermercati). Esclude infine l'applicabilità di
quelle impostazioni che attribuiscono al nullaosta la natura di atto
non negoziale indirettamente permissivo (C. Ferrari), in quanto il nullaosta
del Parco, pur avendo sicuramente natura non negoziale, "verifica la
conformità" del progetto di attività al piano e al regolamento, e non
"permette", neanche in via indiretta, alcunché, in quanto non
sospende o rimuove divieti, né attribuisce vantaggi, essendo la dilatazione
della sfera soggettiva dei terzi "consentita" direttamente (e nelle
sole ipotesi espressamente previste) dal piano e dal regolamento; per di più il
nullaosta del parco si limita a certificare la compatibilità o meno delle
attività umane con le regole dell'ordinamento del parco, ma non ne legittima
integralmente l'attuazione, dovendosi verificare a questo fine altri eventi
(autorizzazioni comunali, altri atti di assenso di altre amministrazioni etc.).
In
secondo luogo, l'essere il nullaosta del Parco, comunque espresso, direttamente
e autonomamente impugnabile, contraddice le teorie che inquadrano la figura
generale del nullaosta nella categoria degli atti
di certazione (Del Pozzo), ed anche quelle che lo riconducono agli
"atti di giudizio", che agiscono nella sfera del conoscere e non in
quella dell'agire (C. Ferrari). Inoltre, se si considera che il nullaosta del
Parco è soggetto, anche quando è positivamente rilasciato, ad un regime autonomo
di impugnabilità (anche in forma "diffusa" da parte delle
associazioni ambientaliste), si nota facilmente che esso non
introduce interessi procedimentali da ponderare nel procedimento principale,
ma certifica semplicemente la tutela di un interesse primario, configurato
autonomamente e integralmente in una sede diversa (piano e regolamento).
Queste
difficoltà spiegano le ragioni per cui gli studi specifici sul nullaosta
dell’Ente Parco escludono la sua configurabilità come autorizzazione, a parte
una eccezione (Schiesaro), e si collegano alla specificità della figura e alla
necessità di una sua valutazione sistemica nel quadro dell’ordinamento
speciale delle aree naturali protette; in genere i risultati di tali studi
convergono verso una configurazione in chiave altamente “tecnica”
dell’istituto, che possiede pertanto sia il carattere di assenso
procedimentale necessario (Giannini) obbligatorio e vincolante (Di Plinio,
Fonderico), sia il carattere di parere
tecnico obbligatorio (Fuzio, e vincolante, Di Plinio), sia il carattere di
procedura non negoziale di controllo di
conformità, anch’esso obbligatorio e vincolante (Di Plinio, Parisio).
3.
I caratteri del nullaosta dell’Ente
Parco - Se la precedente impostazione può ritenersi valida, si dovrebbero
determinare alcune interessanti conseguenze.
In
primo luogo, la valutazione contenuta nel nullaosta trae legittimazione
esclusivamente dal piano del Parco e dal regolamento, che ne costituiscono i
presupposti indefettibili e necessari; ciò implica che gli organi del Parco non
possono "manovrare" il potere di nullaosta: in sede di rilascio di
questo non possono essere introdotte novità
rispetto alle formulazioni del piano e del regolamento, né sotto la veste di
prescrizioni e vincoli ulteriori e aggiuntivi, né come agevolazioni o
alleggerimento dei vincoli espressamente previsti nel regolamento del Parco, e
neppure con il nullaosta possono essere individuate soluzioni alternative non
consentite dal piano o comunque diversamente disciplinate dal regolamento.
Inoltre, non dovrebbero essere neppure possibili valutazioni tecniche circa le
modalità di esecuzione dell’intervento (così, invece, Abrami), salvo un
esplicito e dettagliato rinvio del regolamento stesso.
In
secondo luogo, il nullaosta è sempre necessario e
preventivo rispetto a qualsiasi atto permissivo di altre amministrazioni
relativo a interventi ed opere all'interno del parco, per i quali si verificherà
una stasi procedimentale finché non venga richiesto ed acquisito il nullaosta,
o finché non decorrano i termini (sessanta giorni dalla richiesta, rinviabili
ad iniziativa del Presidente del parco di ulteriori trenta giorni) per la
formazione del silenzio assenso.
In
terzo luogo, il nullaosta dell'Ente Parco condiziona la decisione del
procedimento in cui interviene, senza sostituirsi ad essa, nel senso che in caso
di esplicito diniego di nullaosta, l'autorità decidente potrà discostarsi e
comunque decidere di autorizzare gli interventi, i quali, peraltro,
materialmente non potranno essere attuati, pena l'applicazione delle misure
cautelari e delle sanzioni penali di cui agli articoli 29 e 30 della legge n.
394 del 1991 (Di Plinio, Abrami); d'altra parte, un nullaosta positivo non
implicherà necessariamente una decisione positiva dell'autorità decidente, che
tra l'altro non incontrerà ostacoli nella sua attuazione, risultando comunque
l'interesse naturalistico tutelato, in quanto esso si svolge nel senso che altre
amministrazioni “possano” e non che “debbano” autorizzare le attività o
concedere l'esercizio di poteri semplicemente “consentiti”, e non
“voluti” dal piano per il parco e dal regolamento. Inteso in questo senso,
il nullaosta ha un preciso significato ed una razionale e autonoma collocazione
nel sistema delle competenze amministrative di gestione territoriale, e non si
assembla ad esse in modo meccanico e meramente addizionale, come qualcuno pure
ha erroneamente sostenuto. Ciò
vale in modo particolare per la separazione tra nullaosta naturalistico e
autorizzazione paesistica da un lato, e valutazione di impatto ambientale
dall'altro, perché si tratta di procedure di tutela aventi diverso oggetto; ad
esempio, la VIA si somma semplicemente al nullaosta: quando la VIA è negativa,
l'opera in oggetto non potrà essere attuata, ancorchè vi sia un positivo
nullaosta del Parco; quando il nullaosta è negativo, una valutazione di impatto
positiva non sarà comunque sufficiente a consentire la realizzazione dell'opera
(in questo senso, se non vado errato, Abrami).
In
quarto luogo, la motivazione del nullaosta non deve essere necessariamente
dettagliata, dovendo fare rinvio, per
relationem, agli espliciti vincoli e alle prescrizioni tecniche del piano e
del regolamento; inoltre, il nullaosta è giustiziabile in sè esclusivamente in
relazione alle violazioni del piano e del regolamento del parco, e, in caso di
conflitto con norme ritenute di rango superiore a quelle contenute in questi
ultimi, insieme al nullaosta conforme
agli stessi andranno necessariamente impugnate, pena l'inammissibilità del
ricorso, anche le correlate disposizioni di piano e regolamento, in quanto presupposti
in senso tecnico del nullaosta. In sostanza, una volta ammessa la
costituzionalità del rinvio da parte della legge quadro al piano ed al
regolamento per
la determinazione di ciò che è
consentito, detti strumenti vengono automaticamente sottratti all'intervento
del giudice nella parte in cui non
consentono attività, mentre l'impugnazione, in sede di giudizio
amministrativo, dovrebbe ritenersi ammessa soltanto se gli interessati (ad
esempio le associazioni ambientaliste ex
articolo 13, comma 2), sostengono che il piano o il regolamento consentono
attività o ne disciplinano l'esercizio in violazione delle disposizioni
inderogabilmente poste dalla legge n. 394 del 1991 a tutela dell'interesse
naturalistico. Ciò significa che il diniego di nullaosta può essere impugnato
per violazione del piano o del programma, ma non, unitamente a questi, per
violazione di fonti legislative diverse dalla legge quadro sulle aree protette;
invece il nullaosta positivo può essere impugnato in via giurisdizionale sia
autonomamente per violazione degli atti fondamentali del parco, sia, insieme a
questi, per aver consentito attività tassativamente ed esplicitamente vietate
dalla legge quadro.
Per
concludere, i principi sistematici precedentemente individuati configurano un
sistema protezionistico estremamente efficace sul piano formale, e in grado di
personalizzare la protezione della natura nelle sedi ove essa si presenta di
volta in volta come un unicum,
fragile e irripetibile. Ma, come si è ripetutamente avvertito, nel diritto
vivente, in assenza di piani e regolamenti, la sorte delle aree protette è
pericolosamente in bilico. Pertanto, ogni ritardo nella formazione e
approvazione degli atti fondamentali dei parchi è una occasione perduta di
tutela, un vero attentato, frutto di inefficienza e ignoranza (o di precisi
calcoli?), alla integrità del patrimonio naturale. Ma non solo. Il piano, e
ancor più il regolamento, funzioneranno come garanzia solo se raggiungeranno,
nella configurazione delle modalità di esercizio delle attività
consentite, un altissimo livello di tecnicità e di dettaglio, perché a
questo la dose di discrezionalità del nullaosta è inversamente proporzionale
(Di Plinio, Abrami); e se alcuni sgradevoli fatti hanno dato ragione a chi
avvertiva dei pericoli di lasciare i parchi nelle mani di un "assolutismo
illuminato" (Caravita), essi sono potuti accadere solo perché la
discrezionalità della protezione naturalistica, in assenza di piano e
regolamento, si è trasferita in toto alle burocrazie dei parchi, che hanno
dovuto svolgere una difficile azione di supplenza, in parchi spesso troppo
grandi e antropizzati, contro le violente pressioni di poteri e interessi
economici "forti", e la confusa ostilità delle popolazioni locali.
Riferimenti
bibliografici - Indico qui di seguito solo la dottrina esplicitamente
richiamata nel testo: A. Abrami, Il
regime giuridico delle aree protette, Torino, 2000; B. Caravita,
Potenzialità e limiti della
recente legge sulle aree protette, in Riv.
giur. ambiente 1994, p. 1 ss.; M. Ceruti,
Ricerca di idrocarburi in aree
naturali protette: il problema della motivazione del nullaosta degli Enti Parco
tra interesse minerario e interessi ambientali, in Riv.
giur. amb. 1998, p. 937 ss.; V. Del
Pozzo, Il nullaosta amministrativo,
Bari, 1959; C. Desideri, F. Fonderico,
I parchi per la protezione della natura, Milano, 1998; C. Ferrari,
Nullaosta amministrativo, in Noviss.
dig., vol, XI, p. 450 ss.; R. Fuzio,
La
tutela del paesaggio e dei parchi tra novità legislative e diritto vivente,
in Dir. giur. agr. ambiente 1993,
I, p. 134 e ss.; M S. Giannini, Diritto
amministrativo, II, Milano, 1988, p. 1081 ss.; F. Migliarese,
Nullaosta amministrativo, in Enc.
giur., vol. XXI; G. Nicolucci, Le
“prospezioni geofisiche con linee sismiche ed esplosivo” nel Parco Nazionale
della Maiella, in PQM, 1998, II,
p. 98 ss.; A. Orsi Battaglini, Nullaosta,
in Dig. dic. pubbl., vol. X, p.183
ss.; M. Sanino,
Nullaosta, in Enc.
dir., vol. XXVIII, p. 852 ss.; G. Schiesaro,
Commento all'art. 13, in Aree
naturali protette, a c. di G. Ceruti, Milano 1993, p. 114 ss..
Per quanto riguarda i lavori precedenti del sottoscritto richiamati
all'inizio si può fare riferimento ai volumi Diritto
pubblico dell'ambiente e aree naturali protette, Torino, 1994, L'ordinamento
delle aree naturali protette, Pescara, 1997, e all'intervento in I
parchi nazionali, a c. di Desideri e Graziani, Milano, 1998.