Cass. Sez. III n. 45469 del 4 novembre 2014 (Cc 16 lug 2014)
Pres. Mannino Est. Andronio Ric. Capoccia
Beni Culturali. Aree culturali ai fini archeologici e zone di interesse archeologico ai fini paesaggistici

Vi è una sostanziale equiparazione tra aree culturali ai fini archeologici e zone di interesse archeologico ai fini paesaggistici. Si è, in particolare, ricordato che l'attuale formulazione dell'art. 142, comma 1, lettera m), che considera di interesse paesaggistico e, di conseguenza, sottopone alle disposizioni del titolo I della parte III del codice, le "zone di interesse archeologico" deriva dall'art. 2, comma 1, lettera o), n. 1), del d.lgs. n. 63 del 2008, che ha modificato la dizione "zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice" contenuta nell'originaria versione dell'art. 142, riprendendo la formulazione dell'art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999, che a sua volta riproduceva la formulazione previgente. La conseguenza di tale impostazione è che la qualificazione di un'area in termini di interesse archeologico comporta automaticamente la qualificazione della stessa come "zona di interesse archeologico" ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettera m), e conseguentemente l'apposizione del vincolo archeologico rende direttamente operativo il vincolo paesaggistico ai sensi di tale ultima disposizione, dovendosi ritenere che l'area sottoposta a tutela paesaggistica coincida per estensione con quella sottoposta a vincolo archeologico.

RITENUTO IN FATTO

1. - Con ordinanza del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l'appello dell'indagato avverso l'ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 31 luglio 2013, con la quale era stata rigettata l'istanza di restituzione di opere edilizie consistenti in un pianto tecnologico a servizio della rete di telefonia mobile UMTS in corso di realizzazione e sottoposte a sequestro preventivo con decreto del 4 febbraio 2013, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, art. 22, comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c).

Il Tribunale ritiene che: trattandosi di zona di interesse archeologico, sussiste il vincolo paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. m); detto vincolo, proprio per la sua diversa natura, non è venuto meno a seguito del parere favorevole espresso dalla soprintendenza archeologica in data 17 ottobre 2012; il parere della soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici del 23 novembre 2012 è illegittimo nella misura in cui, pur dando atto del vincolo archeologico e richiamando le disposizioni del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, non evidenzia l'esistenza del vincolo paesaggistico di cui al cit. art. 142, comma 1, lett. m); conseguentemente, per la realizzazione dell'impianto sequestrato, sarebbe stato necessario il preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

2. - Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, non contestando l'equiparazione operata dal Tribunale tra area culturale a fini archeologici e zona di interesse archeologico a fini paesaggistici, ampiamente chiarita dalla giurisprudenza e dalle circolari ministeriali in materia.

Il ricorrente sostiene, invece, che nel caso in esame vi sarebbe stata un'erronea equiparazione tra la "zona soggetta al controllo della soprintendenza alle antichità" cui fa riferimento il certificato di destinazione urbanistica del 20 gennaio 2012 rilasciato dal Comune e la "zona di interesse archeologico", cui conseguirebbe automaticamente il vincolo paesaggistico più volte richiamato. Si lamenta, in altri termini, che il Tribunale avrebbe qualificato il terreno come ricadente in "zona di interesse archeologico" sulla semplice constatazione che lo stesso era sottoposto al controllo della soprintendenza alle antichità, in mancanza dello svolgimento dello specifico procedimento amministrativo di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 14. Nel caso di specie, con il parere del 23 novembre 2012 - ritenuto illegittimo dal Tribunale - la soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici aveva escluso che nei confronti degli immobili in oggetto risultassero emanati provvedimenti di tutela ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, parte 2^ e parte 3^, con la conseguenza che l'area, pur sottoposta al controllo della soprintendenza per i beni archeologici, non avrebbe potuto qualificarsi come zona di interesse archeologico ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 14. Nel provvedimento della soprintendenza per i beni archeologici in data 17 ottobre 2012, si sarebbe poi affermato che in sede di indagini archeologiche preliminari era stata esclusa la presenza di materiali o stratificazioni archeologiche che richiedessero ulteriori accertamenti, con conseguente parere favorevole alle opere progettate.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso non è fondato.

Deve preliminarmente essere richiamato e confermato l'orientamento sviluppato da questa Corte (sez. 3, 27 gennaio 2010, n. 7114, rv. 246220) e dal Consiglio di Stato (sez. 5, 28 febbraio 2006, n. 879), nonchè fatto proprio dall'ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali, nella risposta a quesito n. 8562, del 6 maggio 2011, e dalla direzione generale dello stesso Ministero con la circolare n. 28 del 15 dicembre 2011, secondo cui vi è una sostanziale equiparazione tra aree culturali ai fini archeologici e zone di interesse archeologico ai fini paesaggistici. Si è, in particolare, ricordato che l'attuale formulazione dell'art. 142, comma 1, lett. m), che considera di interesse paesaggistico e, di conseguenza, sottopone alle disposizioni del titolo 1^ della parte 3^ del codice, le "zone di interesse archeologico" deriva dal D.Lgs. n. 63 del 2008, art. 2, comma 1, lett. o), n. 1), che ha modificato la dizione "zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice" contenuta nell'originaria versione dell'art. 142, riprendendo la formulazione del D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 146, che a sua volta riproduceva la formulazione previgente. La conseguenza di tale impostazione è che la qualificazione di un'area in termini di interesse archeologico comporta automaticamente la qualificazione della stessa come "zona di interesse archeologico" ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. m), e conseguentemente l'apposizione del vincolo archeologico rende direttamente operativo il vincolo paesaggistico ai sensi di tale ultima disposizione, dovendosi ritenere che l'area sottoposta a tutela paesaggistica coincida per estensione con quella sottoposta a vincolo archeologico.

La rilevata equiparazione tra area culturale ai fini archeologici e zona di interesse archeologico a fini paesaggistici non è stata, peraltro, contestata dal ricorrente, il quale basa le sue critiche all'ordinanza impugnata sulla considerazione che il provvedimento della soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici del 23 novembre 2012 avrebbe affermato che nei confronti del terreno sul quale insistono le opere oggetto di sequestro non risulterebbero emanati provvedimenti di tutela ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, parti seconda e terza. A tali considerazioni il ricorrente aggiunge che, con atto del 17 ottobre 2012, la soprintendenza per i beni archeologici aveva espresso parere favorevole alle opere progettate e che il certificato di destinazione urbanistica del 20 gennaio 2012 rilasciato dal Comune faceva riferimento a una zona soggetta al controllo della soprintendenza alle antichità e non ad una zona di interesse archeologico.

Si tratta di rilievi che non possono essere condivisi.

In particolare, la difesa non richiama, neanche a fini di critica, la relazione dell'ufficio tecnico comunale del 29 luglio 2013 dalla quale il Tribunale ha tratto sostanziale conferma del fatto che il certificato di destinazione urbanistica del 20 giugno 2012, il quale attesta che il terreno rientra in una zona soggetta al controllo della "soprintendenza alle antichità", deve essere interpretato nel senso che tale zona è sottoposta a vincolo archeologico. Nè può giungersi a conclusioni di segno contrario sulla base degli atti delle sovraintendenze di settore del 23 novembre 2012 e del 17 ottobre 2012 richiamati dalla difesa. Con il primo di tali atti la sovrintendenza competente per i beni paesaggistici (e competente anche per i beni architettonici, storici, artistici ed etnoantropologici), da un lato, ha affermato che nei confronti degli immobili in oggetto non risultano emanati provvedimenti di tutela ai sensi delle parti seconda e terza del D.Lgs. 42 del 2004, ma, dall'altro, ha espressamente escluso di avere svolto accertamenti circa l'esistenza di vincoli di natura archeologica, rimandando per tali accertamenti alla sovrintendenza competente per tale settore. Ed è evidente che, laddove esclude che vi siano provvedimenti di tutela ai sensi delle parti seconda e terza del richiamato D.Lgs., la sovrintendenza in questione fa esclusivamente riferimento a provvedimenti da lei stessa emanati nelle materie di cui di sua competenza, tra le quali vi è quella paesaggistica. E la presenza del vincolo archeologico sulla in questione trova piena conferma - allo stato degli atti - nel tenore del parere rilasciato dalla sovrintendenza ai beni archeologici in data 17 ottobre 2012, laddove, lungi dall'escludere che sulla zona gravino vincoli archeologici, ci si è limitati a specificare che, in sede di indagini preliminari, è stata esclusa la presenza di materiali o stratificazioni archeologiche che richiedessero ulteriori accertamenti.

Conseguentemente non si è disposto non luogo a provvedere per mancanza del vincolo archeologico, ma si è dato parere favorevole all'esecuzione delle opere progettate, dando evidentemente per presupposta l'esistenza del vincolo stesso.

E il quadro appena delineato assume rilevanza anche in relazione al cosiddetto giudicato cautelare, la cui esistenza nel caso di specie è stata rilevata dal Gip con l'ordinanza del 31 luglio 2013 laddove questo ha precisato che l'originario provvedimento di sequestro era stato confermato con motivazione integrativa in sede di riesame. Vero è che questa Corte ha affermato sul punto che la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame può essere superata qualora si prospettino, a fondamento della richiesta di revoca del provvedimento cautelare, nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini pur se riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva (sez. 5, 14 dicembre 2011, n. 5959/2012, rv. 252151).

Nondimeno, una tale prospettazione non vi è stata nel caso di specie, in cui - come visto - il ricorrente si è limitato a proporre una diversa interpretazione dei provvedimenti amministrativi già inizialmente acquisiti agli atti e nulla ha dedotto, neanche con il ricorso per cassazione, quanto alla relazione dell'ufficio tecnico comunale del 29 luglio 2013 acquisita dal Gip in sede di decisione sull'istanza di revoca del sequestro.

4. - Il ricorso deve perciò essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 luglio 2014.