BREVI CONSIDERAZIONI SULL’ESERCIZIO VENATORIO CON FUCILE SCARICO
Nota all’ordinanza G.I.P. Tribunale penale Reggio Emilia, 29 ottobre 2003, n. 1630
(si ringrazia l’avv. Rossella Ognibene per la segnalazione)
Sembra opportuno far soffermare l’attenzione sull’ordinanza del G.I.P. del Tribunale penale di Reggio Emilia n. 1630 del 29 ottobre 2003, in quanto fornisce alcuni spunti interessanti in relazione all’ipotesi penalmente rilevante dell’esercizio venatorio con fucile scarico, fattispecie piuttosto frequente nella realtà dei controlli in materia di caccia.
Appare necessaria una rapida descrizione della vicenda oggetto di esame da parte del giudice penale. I quattro indagati vengono sorpresi, la mattina del 9 giugno 2002, da una pattuglia della polizia provinciale di Reggio Emilia presso un fienile di un’azienda agricola. Vengono rinvenuti un fucile dal quale, con ogni evidenza, erano stati recentemente sparati dei colpi, una torcia elettrica e tracce di sangue fresco. Il proprietario del fucile ammetteva, in un primo momento, di aver sparato ad una volpe. Un altro indagato dichiarava di avere un autorizzazione provinciale per l’abbattimento di gazze, cornacchie e nutrie e di essersi recato con il proprietario del fucile ed il proprio cane per verificare se presso la medesima azienda agricola vi fossero delle volpi, avendo estratto il fucile (scarico) dalla propria automobile soltanto per non lasciarlo incustodito. Gli altri due indagati dichiaravano di essersi fermati sul posto per mera curiosità. In un successivo verbale dell’8 ottobre 2002 la polizia provinciale affermava di aver rinvenuto il predetto fucile ben nascosto insieme alla torcia, mentre i titolari dell’azienda agricola non risultavano aver richiesto alcun intervento a tutela della fauna da cortile.
Il Giudice delle indagini preliminari ha, conseguentemente, esaminato le dichiarazioni degli indagati ed il complesso degli elementi raccolti ed evidenziati dalla polizia giudiziaria (“fucile pronto all’uso e non meramente spostato in altro luogo a fini di custodia, torcia occultata, tracce di sangue, conformità di mezzi materiali e personali alla caccia alla volpe nel caso concreto”), concludendo per l’ipotesi della presenza sul posto di almeno due indagati proprio per la cattura e l’uccisione di esemplari di volpe (Vulpes vulpes), rientrando, quindi, nelle fattispecie previste dagli artt. 18, comma 1°, lettera b, e 30, comma 1°, lettera a, della legge n. 157/1992 e successive modifiche ed integrazioni. Il G.I.P. emiliano ha considerato ampiamente supportata l’ipotesi accusatoria, ritenendo “del tutto superflua” l’eventuale indagine supplettiva richiesta dalla difesa. Per gli altri due indagati si è giunti a differenti conclusioni, non sussistendo alcun elemento determinante in favore di una loro condotta attiva nell’attività venatoria esaminata. Veniva conseguentemente confermato il sequestro del fucile e delle relative cartucce (non della torcia elettrica, riguardo cui veniva accolta l’istanza di dissequestro), ritenuti elementi utili per verificare nel prosieguo del procedimento penale l’effettiva loro predisposizione all’attività di caccia.
Il provvedimento in esame si inserisce in un quadro giurisprudenziale ormai sempre meglio definito. La condotta identificata nell’attività venatoria, sebbene con fucile scarico, include, secondo la giurisprudenza consolidata, anche il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati allo scopo venatorio o in ricerca oppure in attesa della fauna selvatica (Cass. pen., sez. III, 19 giugno 2000, n. 32016; Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2000, n. 14824) , in particolar modo utilizzando mezzi vietati che facilitino tali iniziative, come gli apparecchi radio-trasmittenti (Cass. pen., sez. III, 23 luglio 1994, n. 8322) e autoveicoli con fari accesi durante le ore notturne (Cass. civ., sez. I, 4 aprile 1990, n. 2793). A maggior ragione si riscontra tale condotta illecita qualora il fucile, seppure scarico ed a bordo di un’autovettura, sia introdotto da una guardia venatoria (la quale non ha compiti specifici di vigilanza in materia) in un parco nazionale (Cass. pen. sez. I, 22 maggio 2000, n. 5977).
Risultano, pertanto, ormai poche possibilità di equivoco nel valutare simili comportamenti venatori che possono rivestire elementi di illiceità.
Dott. Stefano Deliperi
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA, Ufficio G.I.P. – 29 ottobre 2003, n. 1630 (ord.).
Caccia – esercizio venatorio con fucile scarico – comportamenti inequivocabili finalizzati ad attesa, cattura, uccisione esemplari specie faunistiche in periodi e con mezzi vietati – illiceità. Artt. 18 e 30 della legge n. 157 del 1992.
Anche il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati allo scopo venatorio o in ricerca oppure in attesa della fauna selvatica rientra nell’ambito dell’esercizio venatorio, da considerarsi illecito qualora sia in periodi di divieto o con l’utilizzo di mezzi non consentiti.
Tribunale Civile e Penale di Reggio Emilia
- Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari -
Proc. Pen. N. 1630/03 Re. GIP
N. 2442/03 Re. /Notizie di reato
O R D I N A N Z A
- artt. 409, 410 c. p. p. -
Il Giudice per le Indagini Preliminari Dr. Andrea Santucci;
Letti gli atti del procedimento sopra indicato nei confronti di Barbolini Carlo, Cottafava Romano, Beltrami Silvano e Bonazzi Fausto;
Esaminata la richiesta di archiviazione, presentata dal Pubblico Ministero in data 13.5.03;
Visto l’atto di opposizione proposto dalla persona offesa (Sezione regionale Emilia-Romagna W.W.F.) in data 26.4.03;
Viste le conclusioni delle parti all’udienza camerale , fissata ex artt. 409, comma 2°, e
410, comma 2°, c.p.p. e a scioglimento della riserva ivi assunta;
o s s e r v a
1- Come risulta da comunicazione della Polizia Provinciale, la mattina del 9 giugno 2002, i quattro indagati vengono sorpresi nei pressi di un capannone adibito a ricovero di fieno, in proprietà di certa azienda agricola «Ferretti». Beltrami Silvano e Bonazzi Fausto vengono visti allontanarsi ancor prima che i vigili giungano sul posto. In mezzo alle rotoballe vengono rinvenuti un fucile, una torcia e tracce di sangue fresco. Precisano i vigili: l'arma ha appena sparato; appartiene a Barbolini Carlo; questi avrebbe ammesso nell'immediatezza di essere stato intento, insieme agli altri, alla caccia di una volpe. Vengono delegati dal pubblico ministero gli interrogatori. Il quarto soggetto, Cottafava Romano, dichiara di essere in possesso di autorizzazione provinciale ad abbattere gazze, cornacchie e nutrie; quel giorno si era recato dall'amico Barbolini, abituale compagno di imprese venatorie, e gli aveva chiesto in prestito il fucile, dirigendosi con lui in zona dove gli era consentito abbattere quelle specie animali e dove pertanto aveva sparato a qualche cornacchia. Poi, improvvisamente fulminato da ricordo - un cacciatore gli aveva detto che presso l'azienda «Ferretti» c'era una volpe che divorava le galline - e approfittando del fatto di avere con sé il cane, aveva deciso di individuarne la tana. Aveva tirato fuori l'arma dall'autovettura solo per non lasciarla incustodita, tant'è che era scarica; non aveva visto sul posto né il Beltrami né il Bonazzi (sic!). Barbolini conferma la versione del Cottafava. Gli altri due invece riconoscono di essersi trovati lì, ma di essersi fermati solo per curiosità (Bonazzi anche di aver salutato il Cottafava). In successiva comunicazione (dell'8.10.2002) la Polizia Provinciale - dopo aver confermato che il Cottafava (come il Beltrami e il Bonazzi) era munito di autorizzazione all'abbattimento di gazze, cornacchie, storni e nutrie - sottolinea che il fucile era stato sfilato dalla custodia, formalità indispensabile per il trasporto dell'arma sull'autovettura; che non era stato semplicemente appoggiato, ma occultato tra le balle di fieno dopo manovra non agevole («.. .dalla parte opposta all'ingresso, ad almeno 15 metri dal corridoio, e in fondo al cumulo di alcune rotoballe, appoggiato sul pavimento. Occultarlo non deve essere stato agevole; è stato necessario salire sulle rotoballe, ad oltre tre metri di altezza, calarsi negli spazi tra le stesse.. »); che era stata altresì nascosta la torcia elettrica; che gli strumenti utilizzati e il numero delle persone erano del tutto peculiari al tipo di intervento venatorio in questione; che non vi era stata nessuna richiesta, proveniente dai proprietari, di attività di tutela degli animali da cortile.
2 - Congiuntamente valutando quanto dichiarato da Cottafava e da Barbolini (che comunque ammettono di aver cercato di «stanare» una volpe con l'uso di un cane) e il complesso di elementi indizianti percepiti e raccolti dalla polizia giudiziaria (fucile pronto all'uso e non meramente spostato in altro luogo a fini di custodia, torcia occultata, tracce di sangue, conformità di mezzi materiali e personali alla caccia della volpe nel caso concreto) non sembra che vi possano essere dubbi che i due, quel giorno, si trovassero lì non per attività meramente ricognitoria, ma anche per catturare e uccidere una «Vulpes vulpes». Dunque con piena realizzazione, da parte degli stessi, della fattispecie di cui agli artt.18 comma l° lett. b) e 30 lett. a) L.157/92. Per tale conclusione essendo sufficiente richiamare la ricca e conforme giurisprudenza allegata dalla persona offesa (W.W.F.), ormai attestata su interpretazione che ritiene integrato l'esercizio venatorio, penalmente rilevante, in qualsiasi attività preliminare e organizzata, in concreto finalizzata a quello scopo" anche a prescindere dall'effettiva uccisione di un animale non cacciabile in quel periodo e persino dall'esistenza in loco dello stesso (è la condotta di caccia che è incriminata, non il suo buon esito; cfr., ad esempio, Cass., sez.III, 5.6.1996, Mazzoni, in Cass.pen., 1997, 1435).
3 - Inoltre, tenuto conto dell'assoluta prevalenza in termini probabilistici dell'ipotesi di accusa (e dunque della sua idoneità a conseguire condanna dibattimentale), pare del tutto superflua l'indagine suppletiva pur ritualmente indicata dall'opponente (non mutando il risultato se il fucile odorasse o meno di sparo o se il Cottafava fosse abilitato o meno ad attività di censimento delle volpi).
4 - A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alle posizioni di Beltrami Silvano e Bonazzi Fausto. A loro carico, infatti, vi è solo l'elemento della contestuale pre_enza in loco e del rapido dileguarsi alla vista dei vigili, ma nessun concreto collegamento con l'attività venatoria in atto, Ne segue che l'ipotesi della loro partecipazione vale tanto quanto quella di una connivente posizione di spettatore, alternativa che non potrebbe ragionevolmente essere sciolta nel primo senso neppure in un futuro dibattimento.
5 - Sulla istanza di dissequestro allegata in atti - e in ordine alla quale risulta competente questo giudice ai sensi dell'art.263 comma lo c.p.p. (cfr., Cass., sez. I, 30.3.2001, Fermanelli, in CED Cass" 218428) - basti affermare che, con riguardo al fucile (e relative cartucce), la funzione probatoria del vincolo è evidente, trattandosi di cose suscettibili di accertamento proprio al fine di verificare l'effettiva loro predisposizione alla caccia, mentre a diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla torcia elettrica nei cui confronti è sufficiente la testimonianza dei vigili sulla sua allocazione al momento dell'intervento.
P. Q. M.
visto l'art 409 c.p.p.,
- dispone l'archiviazione del procedimento nei confronti di Beltrami Silvano e Bonazzi Fausto;
- dispone che entro 10 giorni il Pubblico Ministero formuli l'imputazione come sopra individuata nei confronti di Barbolini Carlo e Cottafava Romano;
- rigetta l'istanza di dissequestro del fucile, cal.12, matricola n. A103067, e delle due cartucce, e dispone la restituzione a Barbolini Carlo della torcia elettrica.
Atti da restituirsi al Pubblico Ministero.
Si comunichi
Reggio Emilia, lì 29 ottobre 2003
Il Giudice per le indagini Preliminari
(Dr. Andrea Santucci)
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