TAR Lazio (Roma) Sez. II quater sent. 4347 del 14 maggio 2007
Beni culturali. Regime autorizzatorio abbattimento barriere architettoniche

Fermo il regime autorizzatorio per l’abbattimento delle barriere architettoniche presenti in un immobile vincolato, va rilevato che comunque il diniego all'esecuzione dei lavori predetti può essere opposto "solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio del bene tutelato" (artt. 4, III comma, e 5 della legge n. 13 del 1989), con specifico obbligo per l'Amministrazione di dare indicazione in caso di pronunzia negativa "della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato".

REPUBBLICA ITALIANA

N.                  Reg. dec.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.                  Reg. ric.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL  LAZIO (Sezione  II quater) 

ha pronunciato la seguente

ANNO 2007

SENTENZA

sul ricorso n. 5151/2004 proposto da CONSAP- Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici – S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli  avv.ti Stefano Crisci ed Alessandra Quattrini ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, in Via Parigi, n. 11;

contro

-il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

-il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI- Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio, in persona del Soprintendente pro tempore, non costituitosi in giudizio;

-il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI- Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio – Centro Operativo di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitosi in giudizio;

e nei confronti del

- COMUNE DI LATINA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

- COMUNE DI LATINA- SETTORE URBANISTICA- Servizio Edilizia Privata, in persona del Dirigente pro tempore, non costituito in giudizio;

e con l’intervento ad adiuvandum

di DE DONATO Vladimiro e DI FAZIO Giuliana, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Andrea Nascani e Marcello Cardi, elettivamente  domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via B. Buozzi n. 45;

per l’annullamento, previa sospensiva,

- della nota della predetta Soprintendenza prot. 16267/B del 18.2.2004 con cui è stata ordinata l’immediata sospensione dei lavori in corso per l’installazione di ascensori nel vano scala dei complessi edilizi siti in Latina, Piazza Bruno Buozzi nn. 1 e 9;

- di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, ivi compresa la nota prot. 6567/B del 6.8.2003 citata nell’atto impugnato e  non conosciuta dalla ricorrente.

nonché per l’accertamento

dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso, ai sensi degli  artt. 4 e 5 della legge n.13/1989 e della relativa circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 1669/U.L.del 22.6.1989, sull’istanza di rilascio del nulla osta per l’esecuzione dei lavori in parola presentata alla Soprintendenza in data 19.12.2002.

e per il risarcimento
dei danni subiti in conseguenza degli atti impugnati .
Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione  in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’atto di intervento di DE DONATO Vladimiro e DI FAZIO Giuliana;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 31 gennaio 2007 il Primo Referendario Floriana Rizzetto;

Uditi gli avv.ti S. Crisci e A. Quattrini per la ricorrente, l’avv. A. Nascani per gli intervenienti e l’avv. dello Stato Adele Quattrone per l’amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

La società ricorrente, proprietaria di un complesso immobiliare sito in Latina, Piazza Bruno Buozzi nn. 1 e 9, impugna, chiedendone l’annullamento, l’atto indicato in epigrafe con cui la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori per l’installazione di ascensori nel vano scala dei predetti immobili in quanto iniziati in assenza dell’ autorizzazione prescritta dell’art. 23 del d.lvo n. 490/1999.

Impugna altresì, quale atto presupposto (non conosciuto) la nota prot. 6567/B del 6.8.2003, con la quale la stessa Soprintendenza aveva comunicato all’Amministrazione  Comunale di Latina – che prima aveva diffidato la ricorrente a sospendere i lavori in contestazione e, a seguito dei chiarimenti forniti dalla medesima in merito all’intervenuta formazione del silenzio assenso sulla relativa richiesta di autorizzazione, aveva revocato la diffida – che per le opere in oggetto era stato disposto lo stato di sospensione della pratica di autorizzazione “in attesa della documentazione integrativa richiesta”.

Contestualmente chiede l’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di rilascio del nulla osta per l’esecuzione dei lavori in parola presentata alla Soprintendenza in data 19.12.2002. Chiede, altresì, il risarcimento dei danni subiti in conseguenza degli atti impugnati.

Il gravame è affidato ai seguenti motivi:

1)        Violazione e falsa applicazione della legge n.13/1989, in particolare degli  artt. 4 e 5, nonché della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 1669/U.L. del 22.6.1989. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, illogicità manifesta, difetto di ragionevolezza.

Illegittimamente l’Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori in contestazione quando ormai sull’istanza di autorizzazione all’esecuzione delle opere per la rimozione delle barriere architettoniche, presentata alla Soprintendenza in data 21.12.2002, si era formato il silenzio-assenso per effetto del decorso del termine di 120 gg. previsto dagli  artt. 4 e 5 della legge n.13/1989.

2)        Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n.241/1990 e, in generale, dei principi sulla partecipazione al procedimento amministrativo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche: carenza di istruttoria, contraddittorietà ed illogicità manifesta; errore sui presupposti.

L’ordine si sospensione dei lavori è intervenuto dopo che l’amministrazione a lungo rimasta inerte sull’istanza di autorizzazione sopraindicata e non è stato preceduto da alcuna previa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento.

L’atto è viziato anche da carenza di istruttoria, in quanto il sopralluogo asseritamente svolto in data 3.2.2004 avrebbe dovuto essere effettuato in contraddittorio tra le parti; comunque delle relative  operazioni non risulta essere stato redatto alcun verbale.

3)        Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere. Carenza di motivazione.

L’atto impugnato non rappresenta adeguatamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui si fonda, in quanto, relativamente ai primi, si basa su un presunto atto istruttorio del cui svolgimento non vi è alcuna certezza e, relativamente alle seconde, si basa sull’inconferente richiamo a norme che si presumono violate (art. 23 d.l.vo n. 490/1999), ignorando che la disciplina applicabile, nella fattispecie, è quella dettata dagli artt. 4 e 5 della legge n. 13/1989, prevalenti sul precitato art. 23 in virtù del loro riconosciuto carattere di specialità.

Si è costituito in giudizio il Ministero intimato, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato nel merito.

Sono intervenuti in giudizio, “ad adiuvandum”, i coniugi DE DONATO, residenti in uno degli appartamenti pertinenti al complesso immobiliare predetto, aderendo alle censure prospettate dalla ricorrente.

All’udienza pubblica del 31 gennaio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Rileva in via preliminare il Collegio che l’intervento “ad adiuvandum” dei sigg.ri De Donato e Di Fazio va dichiarato inammissibile. Il primo dei due, invero, dichiara di essere usufruttuario di un appartamento dell’immobile per cui è causa, sicchè ha un interesse diretto a proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento in contestazione; la seconda, in quanto coniuge convivente del De Donato, può vantare, in quanto tale, un interesse di mero fatto che non le consente di intervenire nella presente controversia.

In conseguenza va disposta l’estromissione dal giudizio di entrambi gli interventori.

Nel merito la questione da decidere concerne l’applicabilità delle procedure di semplificazione per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche prevista dagli artt. 4 e 5 della legge n.13/1989 anche ove questi debbano effettuarsi su immobili vincolati ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1089 dell’1.6.1939, riportato all’art. 2 del d.lvo n. 490/1999.

La legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante “Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, ha introdotto un particolare regime autorizzatorio per le opere necessarie ad abbattere tali ostacoli in edifici privati soggetti a vincolo paesaggistico o storico-artistico, ispirato ad un particolare favor dei soggetti in situazione di handicap.

Per quanto concerne gli immobili vincolati sotto il profilo paesaggistico, l’art. 4 della legge citata attua una tutela “forte” dei soggetti in condizioni di svantaggio, introducendo un regime di favore, costituito dalla previsione del silenzio-assenso nel caso di mancata pronuncia dell’amministrazione sull’istanza di approvazione  dei lavori per la rimozione degli  ostacoli alla mobilità.

Detta norma, infatti, dispone che “1. Per gli interventi di cui all'articolo 2, ove l'immobile sia soggetto al vincolo di cui all'articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, le regioni, o le autorità da esse subdelegate, competenti al rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 7 della citata legge, provvedono entro il termine perentorio di novanta giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni.  2. La mancata pronuncia nel termine di cui al comma 1 equivale ad assenso. 3. In caso di diniego, gli interessati possono, entro i trenta giorni successivi, richiedere l'autorizzazione al Ministro per i beni e le attività culturali, che deve pronunciarsi entro centoventi giorni dalla data di ricevimento della richiesta. 4. L'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato.5. Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato”.

Per quanto concerne gli immobili oggetto di vincolo storico-ambientale la legge in esame introduce una previsione simile, disponendo al successivo art. 5 che “Nel caso in cui per l'immobile sia stata effettuata la notifica ai sensi dell'articolo 2 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla domanda di autorizzazione prevista dall'articolo 13 della predetta legge la competente Soprintendenza è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 2, 4 e 5”.

Attesa la sopra riportata formulazione letterale della disposizione predetta, il problema dell’individuazione dell’ambito di operatività dell’istituto del silenzio assenso anche nel caso di richiesta di autorizzazione dei lavori su immobili vincolati appare risolvibile in senso positivo, in virtù dell’espresso richiamo alla previsione del comma 2 dell’art. 4, effettuato dall’art. 5. Detta disposizione che nel suo incipit parrebbe introdurre un termine meramente sollecitatorio, prescritto al solo fine di accelerare l’iter procedimentale, ferma comunque restando la necessità di una pronuncia espressa dell’amministrazione, nella sua conclusione, per effetto del rinvio alla norma sopra indicata, che prevede l’introduzione dello strumento di “semplificazione” in questione, si rivela intesa a consentire, in caso di protratta inerzia dell’amministrazione, la conclusione del procedimento autorizzatorio mediante “silenzio-assenso”, ricorrendo anche in tale procedimento, alla fictio iuris del provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza rilasciato alla scadenza del termine per la pronuncia espressa.

Il problema del coordinamento tra le norme generali che impongono la previa autorizzazione per le modifiche sugli immobili oggetto di vincolo storico-artistico e la normativa speciale volta ad agevolare l’autonomia di movimento dei soggetti disabili è stato perciò risolto, a monte, dal legislatore, estendendo l’istituto di “semplificazione” in esame ai procedimenti autorizzatori delle opere di rimozione delle “barriere architettoniche”, sicchè le relative previsioni, in quanto lex specialis, prevalgono rispetto all’ordinaria disciplina dettata in via generale a tutela degli immobili di elevato pregio culturale.

Ne consegue che nella specie, il silenzio-assenso sull’istanza di autorizzazione ai lavori in contestazione presentata il 27.12.2002 si deve ritenere formato alla fine del mese di aprile 2003, con la conseguenza che tanto l’impugnato provvedimento di “sospensione dei lavori”, sostanzialmente configurante un (tardivo) diniego del nulla osta, adottato in data 12.2.2004, quanto il precedente atto negativo del 6.8.2003, sono da ritenersi emessi oltre il termine di scadenza per la loro pronuncia. Detti atti sono perciò illegittimi, non potendo l’amministrazione esercitare, oltre tale limite, l’ordinario potere, ormai “consumato” per effetto dell’inutile decorso del tempo,  ma dovendo, piuttosto ricorrere, per rimuovere gli effetti derivati ex lege dalla qualificazione della sua inerzia, agli strumenti del “riesame” nelle forme (e limiti) dell’autotutela.

Il secondo motivo risulta  anch’esso fondato.

Pur ritenendo fermo il regime autorizzatorio per l’abbattimento delle barriere architettoniche presenti in un immobile vincolato, va rilevato che comunque il diniego all'esecuzione dei lavori predetti può essere opposto "solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio del bene tutelato" (artt. 4, III comma, e 5 della legge n. 13 del 1989), con specifico obbligo per l'Amministrazione di dare indicazione in caso di pronunzia negativa "della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato".

Nella fattispecie in esame, attesa l’entità e l’incidenza delle opere previste nel progetto di lavori di cui si chiedeva l’approvazione, non appare agevole individuare – anche alla luce della documentazione fotografica versata in atti- quale pregiudizio per l’estetica dell’edificio possa comportare l’effettuazione dei lavori in contestazione, considerata la modesta rilevanza dell’intervento in rapporto al complesso in cui si colloca. Trattasi, invero, della installazione di ascensori all’interno dei vani scala di due immobili siti nel centro storico di Latina, costruiti nello stile tipico dell’epoca di tale insediamento urbano.

In ogni caso la CONSAP ha evidenziato nella memoria difensiva che la Direzione Regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha comunicato che il procedimento di vincolo è decaduto per scadenza del termine di 120 giorni in cui doveva concludersi, sicchè le esigenze di tutela poste a base dell’azione amministrativa si palesano insussistenti.

In relazione a quanto precede ricorso deve essere accolto in “parte qua” con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Il gravame va invece dichiarato inammissibile per genericità nella parte concernente la richiesta di risarcimento dei danni.

La società ricorrente, invero, pur riservandosi di quantificare in corso di causa l’entità del pregiudizio asseritamente subito dall’arresto dei lavori non ha a tanto provveduto onde la relativa pretesa si è tradotta in una mera enunciazione, sfornita del pur minimo principio di prova.

Le spese vanno in parte compensate ed in parte poste a carico del resistente Ministero nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II quater, pronunciando sul ricorso in epigrafe, stabilisce quanto appresso:

- lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato;

- lo dichiara inammissibile nella sua restante parte.

Le spese in parte vanno compensate e, quanto ad Euro 5.000,00 (cinquemila/00), vanno poste a carico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e liquidate  in favore della società ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 31 gennaio 2007, con l’intervento dei Magistrati:

Italo RIGGIO                                    Presidente

Renzo CONTI                                   Consigliere

Floriana RIZZETTO             Primo Referendario, estensore.