Consiglio di Stato Sez. VI m. 5104 del 7 giugno 2024
Elettrosmog.Criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile

Il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio. Le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni. Alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi). Ne deriva che la scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.

Pubblicato il 07/06/2024

N. 05104/2024REG.PROV.COLL.

N. 02097/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2097 del 2022, proposto da
Iliad Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Ielo e Giovanni Mangialardi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Mangialardi in Milano, via Matteo Bandello, 5;

contro

Comune di Sava, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Bruno Decorato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Arpa Puglia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (Sezione Prima), n. 01308/2021, resa tra le parti nel ricorso proposto dalla società odierna appellante “per l'annullamento del provvedimento prot. n. 0020406 del 26 agosto 2020 con il quale il Comune di Sava, ha comunicato a Iliad Italia il diniego dell'istanza presentata dalla società il 17 aprile 2020, ai sensi dell'art. 87, d.lgs. 259/2003, per la realizzazione di una Stazione Radio Base in Via Matteotti s.n.c., C.da Lamia, foglio 30, particella 461 (“TA74028_002 Sava Centro”); del provvedimento del Comune di Sava prot. n. 0017332 del 16 luglio 2020 recante preavviso di diniego; di ogni altro atto presupposto, collegato e/o consequenziale, ancorché non noto”.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sava;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Mangialardi e Arcangelo Bruno in sostituzione dell'avv. Bruno Decorato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1308 del 2021, del Tar di Lecce, recante rigetto dell’originario gravame, proposto dalla medesima società parte istante al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento prot. n. 0020406 del 26 agosto 2020, con cui il Comune di Sava ha comunicato a Iliad Italia il diniego dell'istanza presentata dalla Società il 17 aprile 2020, ai sensi dell'art. 87 del decreto legislativo n. 259/2003, per la realizzazione di una Stazione Radio Base in Via Matteotti s.n.c., C.da Lamia.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:

- erroneità della sentenza nella parte in cui ha posto a fondamento della decisione un motivo (consistente nell’omessa prova da parte di Iliad Italia della inesistenza di siti alternativi) non riportato nella motivazione dell’atto impugnato;

- violazione dell’art. 8 della legge 22 febbraio 2001 n. 36, laddove si è ritenuto che Iliad Italia non avrebbe dovuto collocare la postazione là dove indicato nella domanda di autorizzazione, ma avrebbe dovuto vagliare siti alternativi quali quelli individuati nel Piano delle localizzazioni presentato dalla stessa società;

- erroneità della sentenza nella parte in cui ha postulato un obbligo di Iliad Italia di realizzare la postazione nel sito indicato nel Piano delle localizzazioni e ha imposto la necessità di individuare un sito alternativo senza considerare le ragioni contrarie addotte da Iliad Italia. Sulla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 1, 3, 6 e 10bis della legge n. 241/1990, degli artt. 3, 86, 87, 90, allegato 13, modello A del d.lgs. 259/2003; artt. 7 e 9 della legge regionale Puglia 5/2002; sull’eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza ed erroneità dei presupposti.

La parte comunale appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 30 maggio 2024 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Oggetto controverso è il diniego – confermato in prime cure – adottato dal Comune odierno appellato avverso l’istanza di autorizzazione ex art. 87 d.lgs. 259/03 per la installazione della SRB in oggetto, la quale dista 300 metri dal sito individuato nel piano per il 2020 e 600 metri rispetto al Piano per il 2019.

1.1 Con il provvedimento impugnato il Comune ha rigettato l’istanza per due ordini di motivi: in primo luogo, perché l’installazione della stazione nel sito prescelto da Iliad contrasta con i criteri localizzativi, preliminarmente individuati dalla stessa società richiedente; in secondo luogo, perché, nelle immediate vicinanze del sito prescelto, si segnala la presenza di una serie di strutture pubbliche e private da considerare alla stregua di “siti sensibili” per la presenza di minori. Nello specifico, risultano presenti nella zona immediatamente vicina all’area individuata dalla società istante, le seguenti strutture: - Asili Nido Comunale; - Scuola Materna “Iris Malagnino”; - Area pubblica attrezzata ludico-ricettiva - percorso Fitness in corso di realizzazione; - Centro sportivo privato in corso di ultimazione dove sono previsti due campi di cui uno di calcetto e uno di paddle; - Una pista ciclo pedonale. Per il Comune le difficoltà di reperimento di un’area all’interno dell’area evidenziata nel piano stralcio non possono giustificare un’area candidata all’esterno della stessa; inoltre, rimane in capo all’Ente, in via precauzionale e cautelativa, la salvaguardia in materia di salute pubblica generalizzata per determinate zone urbane ritenute “sensibili” come nel caso di specie.

2. L’appello è fondato.

2.1 In linea di diritto, come ancora di recente ribadito dalla sezione, la legge n. 36 del 22 febbraio 2001 («Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici») distingue le competenze dello Stato, delle Regioni e dei Comuni precisando in particolare, all’articolo 4, che «Lo Stato esercita le funzioni relative : a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall’art. 3, comma 1, lettera d) numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizioni di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1».

Il successivo articolo 8 (rubricato «Competenze delle regioni , delle province e dei comuni») prevede, in particolare, al comma 1, che «Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché delle modalità e dei criteri fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile».

Il successivo comma 2 dispone che «Nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio».

Il comma 4 prevede che «Le regioni, nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249».

Il comma 6, infine, dispone che «I comuni possono adottare un regolamento… per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici».

2.2 Va anzitutto osservato che l'assimilazione, per effetto della previgente disciplina prevista dall’art. 86 d.lgs. n. 259/2003, delle infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria implica che le stesse siano in generale compatibili con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale (in ossequio al principio della necessaria capillarità della distribuzione di detti impianti); inoltre, i criteri per la localizzazione non possono essere adoperati quale misura, più o meno surrettizia, di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche, che l'art. 4 L. n. 36 del 2001 riserva allo Stato (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8141 e sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794).

2.3 La giurisprudenza formatasi nella materia degli ambiti di legittima operatività dei regolamenti comunali ha chiarito che il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 687).

Le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Cons. St., sez. VI, n. 3891 del 2017).

2.4 In linea con questo orientamento è stato ribadito che alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell’ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

2.5 Ne deriva che la scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1592 del 2018).

2.6 Sulla illegittimità di una scelta amministrativa preclusiva condizionata dalla mera distanza da un sito si è pronunciata la stessa Corte costituzionale (Corte cost., 7 novembre 2003, n. 331), la quale, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 3, comma 12, lett. a), l. reg. Lombardia 6 marzo 2002 n. 4, ha ritenuto che: tale disposizione, stabilendo un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, costituisce non già un criterio di localizzazione, la cui individuazione è rimessa dall'art. 3, lett. d), n. 1, l. 22 febbraio 2001 n. 36 alla legislazione regionale, ma un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, e quindi in una limitazione alla localizzazione, non consentita dalla legge quadro, in considerazione dell'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi. Né la disposizione regionale può trovare giustificazione nel generale principio di derogabilità in melius (rispetto alla tutela dei valori ambientali), da parte delle regioni, degli standard posti dallo Stato, in quanto in presenza di una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni, interventi regionali di tipo aggiuntivo devono ritenersi, a differenza che in passato, incostituzionali, perché l'aggiunta si traduce in una alterazione e quindi in una violazione, dell'equilibrio tracciato dalla legge statale di principio (cfr. C. cost. n. 382 del 1999, 307 del 2003).

2.7 La modifica dell’articolo 8 della legge n. 36 del 2001 (adottata con l’articolo 38, comma 6, del decreto legge n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120 del 2020) ha confermato tale interpretazione, precisando che i comuni possono adottare un regolamento per i fini indicati “con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazione elettroniche di qualsiasi tipologia e in ogni caso di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.

2.8 Va quindi ribadito, anche dopo la predetta modifica normativa, che in tema di autorizzazione alla realizzazione di stazioni radio base per la telefonia mobile, deve ritenersi illegittimo il regolamento comunale che vieti l'istallazione di tali impianti in aree diverse da quelle individuate dal Comune, comportando una limitazione alla localizzazione in aree generalizzate del territorio. La specificazione dei siti è ammessa dalla norma ma in negativo, a fini di tutela, e non può quindi estendersi alla ulteriore limitazione della specificazione dei siti quali unici punti ammessi, pena una illogica inversione del criterio normativamente stabilito.

2.9 Il regolamento previsto dall'art. 8, comma 6, l. n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti stazioni radio base, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, ecc.), ma non può imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale. Deve allora ritenersi consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 8, prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti, purché sia comunque garantita una localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale. Possono, quindi, ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono, in generale, la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree. In definitiva, ciò che risulta necessario è che la possibile interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico e che, comunque, i criteri localizzativi adottati non si trasformino in limitazioni alla copertura di rete. È necessario cioè che il limite o il divieto posto dall'ente locale non impedisca la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio. Deve, quindi, esservi un equo contemperamento tra l'interesse urbanistico perseguito dal Comune e l'interesse alla piena ed efficiente copertura di rete.

3. Quanto sin qui evidenziato assume rilievo dirimente in relazione a tutti i motivi dedotti, in ordine alla illegittimità del diniego impugnato in prime cure, in quanto contrario agli orientamenti ribaditi ancora di recente dalla sezione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 31/03/2023 , n. 3348).

3.1 Nel caso di specie, in relazione al primo motivo di diniego comunale (ed al primo motivo di appello), nessun vincolo può derivare da una preventiva individuazione di limitate aree di collocazione, come invece deriva da quanto opposto dal Comune con riferimento alla distanza dalle zone in precedenza individuate dalla società.

3.2 In relazione al secondo motivo di diniego comunale (ed al secondo motivo di appello), il riferimento a presunti siti sensibili appare formulato in termini del tutto generici, al di fuori di una specifica attività di regolamentazione e pianificazione accompagnata da una adeguata istruttoria in merito alle peculiarità del singolo sito. Inoltre, come sopra rilevato in via generale, non è ammesso in radice il mero riferimento a criteri distanziali.

In ogni caso, pur dinanzi al carattere dirimente di tale ultimo elemento, nel caso di specie dalla documentazione in atti emerge una rilevante distanza per tutti i siti indicati: alcuni dei siti distano più di 150 metri dalla progettata stazione; la Scuola materna è a oltre 300 metri dalla stazione e il Plesso scolastico “Tommaso Fiore” a poco meno di 300 metri dalla stessa.

3.3 Inoltre (in relazione al terzo motivo di appello), il Comune sostiene che ex art. 9, comma 1, n. 3), l.r. n. 5/2002 occorre l’inquadramento dell’intervento rispetto al piano annuale di installazione approvato dalla Regione.

Tuttavia, va condivisa la difesa appellante nel senso che l’inclusione nel piano comporta solo l’esonero dalla particolare pubblicità della domanda. Infatti, ex art. 9, comma 2, detta lr, si dice:

2. Contestualmente alla richiesta di parere preventivo all'A.R.P.A. o, in assenza, del P.M.P. territorialmente competente, il gestore provvede a pubblicare sull'Albo pretorio dei Comuni interessati, sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia e su almeno due quotidiani a carattere regionale l'avviso della richiesta. Tali forme di pubblicità non hanno luogo ove l'impianto richiesto è presente nel piano e/o regolamento comunale di cui all'articolo 6 o nel piano annuale di installazione di cui all'articolo 7”.

Il che trova conferma nell’art. 8, comma 1, di detta l.r., secondo cui:

1. Il gestore che intende installare o modificare, in àmbito regionale, impianti di cui all'articolo 2 con potenza massima irradiata in antenna superiore a 5 watt deve chiedere apposita autorizzazione al Comune competente per territorio. Qualora il sito e la configurazione strutturale e architettonica dell'impianto risultano già previsti nel piano c/o regolamento comunale di cui all'articolo 6 ovvero nel piano d'installazione di cui all'articolo 7, approvati, il gestore può procedere, in luogo dell'autorizzazione, con la presentazione al Comune della Dichiarazione di inizio attività (D.I.A.).

Quindi se non è condizione necessaria l’inclusione nel detto piano, va condivisa la deduzione di parte appellante, anche perché la distanza dai siti sensibili non è legittimo motivo di diniego, nei termini sopra richiamati come da orientamenti consolidati.

4. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all’ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto accolto sotto gli assorbenti profili indicati e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con il conseguente annullamento degli atti impugnati.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati.

Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 7.000,00 (settemila/00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi', Consigliere

Marco Poppi, Consigliere