TAR Lazio (RM) Sez. II n.3409 del 10 marzo 2017
Rifiuti. Sentenze di condanna rese dalla Corte di Giustizia e diritto di rivalsa dello Stato sui soggetti responsabili

L’art. 43, comma 4, legge n, 234 del 2012 dispone che lo Stato ha diritto di rivalersi, sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell’Unione europea, degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La norma di legge, pertanto, richiede espressamente che lo Stato individui i responsabili della violazione al fine di procedere legittimamente all’azione di rivalsa. Lo Stato italiano, nel caso di specie, è stato sanzionato per la situazione di non conformità alla normativa europea delle discariche “abusive” situate nel territorio nazionale. Per l’individuazione delle relative responsabilità assumono rilievo gli artt. 250 e 252 del T.U. in materia ambientale (D.lgs. n. 152 del 2006).


Pubblicato il 10/03/2017

N. 03409/2017 REG.PROV.COLL.

N. 06885/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6885 del 2016, proposto da:
Comune di Racalmuto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Barone e Mauro Di Pace, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Michele Ferrante in Roma, via Mecenate, 77;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell’Interno e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t.;
Regione Sicilia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Lazzara e David Bologna, con domicilio eletto presso l’Ufficio della Presidenza della Regione Siciliana in Roma, via Marghera, 3;
Agenzia per la Coesione Territoriale, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita;

per l'annullamento

- della nota del Ministero dell'Economia e delle Finanze prot. 31526 in data 01.04.2016, recante "procedure di infrazione P.I. 2003/2077. Esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia UE del 2 dicembre 2014, resa nella causa C - 196/13 relativa alla condanna della Repubblica Italiana per inadempimento e mancata esecuzione della direttiva in materia - sanzioni pecuniarie ai sensi dell'art. 260 TFUE - azione di rivalsa nei confronti degli enti responsabili", nella parte in cui considera il Comune “ente responsabile”;

- di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato e della Regione Sicilia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2017 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per i Rapporti Finanziari con l’Unione Europea, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con l’impugnato atto del 1° aprile 2016, ha notificato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emessa in data 2 dicembre 2014, in esito alla causa C – 193/13, con la quale la Repubblica Italiana è stata condannata al pagamento di una somma forfettaria iniziale di 40 milioni di euro ed a penalità finanziarie semestrali fino al completo superamento della situazione di non conformità alla normativa europea delle discariche “abusive” situate nel territorio italiano.

Ha soggiunto che, per dare esecuzione a tale sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha provveduto, nel corso dell’anno 2015, a pagare l’importo della sanzione iniziale di 40 milioni di euro, oltre ad 85.589,04 a titolo di interessi di mora, e della prima penalità semestrale pari a 39,8 milioni di euro, a titolo di anticipazione ai sensi dell’art. 43, comma 9 bis, della legge n. 234 del 2012, salvo rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni censurate dalla Corte di Giustizia Europea.

Ai fini della procedura di rivalsa, l’amministrazione ha effettuato l’imputazione delle penalità già pagate tra le discariche interessate sulla base degli elementi desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia che attribuisce una penalità di 400.000 euro per le discariche contenenti rifiuti pericolosi e 200.000 euro per quelle con rifiuti non pericolosi.

In esito a tali analisi, alle discariche situate nel territorio della Regione Sicilia sanzionate dalla Corte di Giustizia UE risulta imputato l’importo complessivo di euro 5.046.476,60, rispetto alle penalità complessivamente anticipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, importo che dovrà essere reintegrato ai sensi del citato art. 43, comma 9 bis, della legge n. 234 del 2012.

Pertanto, ai fini del raggiungimento dell’intesa sulle procedure di recupero degli importi anticipati dallo Stato, come previsto dall’art. 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012, l’amministrazione statale ha invitato la Regione Sicilia, quale responsabile in solido con i Comuni di San Filippo del Mela, Cammarata, Racalmuto, Siculiana, Leonforte, Augusta, Paternò, Monreale, Mistretta, Cerda e Priolo Gargallo, ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, a voler concordare con gli enti locali le modalità attraverso le quali provvedere al suddetto reintegro che, in base alla normativa vigente, può avvenire anche mediante compensazione, fino a concorrenza dei relativi importi, con altri trasferimenti dovuti dallo Stato.

Il Ministero ha concluso che, decorso il termine di 90 giorni senza alcuna indicazione in merito alle modalità di reintegro, si procederà al recupero delle risorse in questione a carico dei singoli Enti interessati ai sensi della normativa vigente.

L’amministrazione comunale ricorrente ha articolato i seguenti motivi di impugnativa:

Violazione dell’art. 43 della legge n. 234 del 2012. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di presupposti. Violazione dei principi di leale collaborazione, sussidiarietà, buon andamento, proporzionalità, giusto procedimento e diritto di difesa: violazione degli artt. 24, 97, 118 e 119 Cost. Violazione del principio di proporzionalità. Vizio di istruttoria. Violazione del principio di partecipazione procedimentale.

L’art. 43 della legge n. 234 del 2012 disciplina il potere di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti pubblici che si siano resi responsabili dell’inadempimento alle direttive comunitarie, la cui violazione abbia comportato una condanna in esito ad una procedura di infrazione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato il procedimento di rivalsa ed ha imputato in via esclusiva alle amministrazioni locali la responsabilità per le violazioni censurate dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’imputazione delle penalità sarebbe avvenuta in modo non procedimentalizzato in quanto lo Stato avrebbe dovuto accertare la sussistenza della responsabilità dei comuni coinvolti e delle regioni caso per caso e con apposita istruttoria, in contraddittorio con gli stessi, e, accertato l’an debeatur, avrebbe dovuto procedere, sempre in contraddittorio, alla ripartizione delle responsabilità fra i livelli coinvolti.

Diversamente, il Ministero avrebbe redatto una tabella contenente la ripartizione forfettaria delle penalità.

Ne consegue che il provvedimento impugnato, che rinvia all’intesa tra Stato ed enti territoriali solo con riguardo alle modalità di recupero delle somme in rivalsa, avrebbe violato le previsioni di cui all’art. 43 della legge n. 234 del 2012.

In definitiva, sarebbe illegittima la previsione in automatico e deprocedimentalizzata della misura dell’imputazione della responsabilità in via esclusiva in capo agli enti locali, mentre lo Stato non avrebbe effettuato alcun procedimento volto ad accertare e gradare l’effettiva responsabilità degli enti locali in violazione dei principi e delle norme in materia di giusto procedimento.

Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere sotto altro profilo: vizio di istruttoria e sviamento.

Non vi sarebbe traccia né di un accertamento né della comunicazione di avvio del relativo procedimento.

Violazione e falsa applicazione: dell’art. 260 TFUE; dell’art. 6, comma 1, dell’OPCM n. 2983 del 1999; della OPCM n. 3852 del 2010; dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997; degli artt. 14 e 17 d.m. n. 471 del 1999; degli artt. 242 e ss. e dell’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere. Violazione dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 8 della legge n. 131 del 2003.

Se fosse consentito allo Stato scaricare la responsabilità delle violazioni del diritto comunitario verso i livelli di governo “inferiori”, pur in presenza di specifiche competenze amministrative, ivi comprese quelle di tipo sostitutivo, si svuoterebbe di forza deterrente lo stesso strumento della sanzione per l’infrazione comunitaria.

La sentenza della CGUE censurerebbe espressamente l’inadeguatezza del sistema normativo italiano e già questo evidenzierebbe la responsabilità dello Stato centrale.

L’esercizio del potere sostitutivo sarebbe obbligatorio e il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella regione siciliana e, successivamente alla cessazione dello stato di emergenza, la stessa Regione Sicilia non avrebbero esercitato le proprie competenze istituzionali in materia.

Violazione e falsa applicazione degli artt. 118, comma 1, 119, 120, comma 2, 97, comma 1, Cost. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l. n. 131 del 2003.

All’omesso intervento sostitutivo dapprima del Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella regione siciliana e, dopo la cessazione dello stato di emergenza, della stessa Regione siciliana avrebbe dovuto corrispondere il doveroso intervento sostitutivo tanto del Ministero dell’Ambiente quanto soprattutto del Governo italiano.

Violazione del principio di proporzionalità. Violazione dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere sotto altro profilo.

La sanzione, siccome imputata nella sua totalità in capo ai Comuni, trascenderebbe il suo scopo ed assumerebbe carattere di manifesta sproporzione.

Eccesso di potere: contraddittorietà; ingiustizia manifesta; irragionevolezza. Violazione dell’art. 43 della legge n. 234 del 2012 sotto altro profilo.

L’atto del 1° aprile 2016 avrebbe di fatto imputato la responsabilità per le violazioni delle direttive comunitarie in materia di bonifiche ambientali, mentre la responsabilità solidale della Regione sarebbe solo dichiarata, trattandosi, a ben vedere, di una solidarietà per garanzia.

In via subordinata: istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE.

Ove si ritenessero non fondati i motivi di ricorso, in via subordinata, l’art. 43 della legge n. 234 del 2012 sarebbe incompatibile con l’art. 260 TFUE.

In via ulteriormente subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 43 della legge n. 234 del 2012 per violazione degli artt. 24, 111, comma 1, e 118, comma 1, Cost.

In estremo subordine, la disposizione non consentirebbe alcuno spazio di difesa procedimentale per gli enti territoriali coinvolti.

L’Avvocatura Generale dello Stato ha rappresentato che, nella seduta del 26 maggio 2016, la Conferenza Unificata ha adottato una delibera di presa d’atto “della volontà del Governo di accogliere la richiesta delle Autonomie regionali e locali di sospendere la decorrenza del termine di 90 giorni fissato nella nota di avvio della procedura di rivalsa da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze di cui alla nota n. 47484 del 26 maggio 2016”.

Di talché, essendo in corso il termine di 4 mesi di cui all’art. 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012 per ricercare l’intesa, ha ritenuto che in nessun caso l’atto impugnato sarebbe suscettibile di incidere direttamente sulla sfera giuridica degli enti destinatari, con conseguente inammissibilità del ricorso indirizzato nei confronti di un atto endoprocedimentale.

Nel merito, ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Regione Sicilia, alla stessa data dell’udienza (8 febbraio 2017), ha depositato memoria di costituzione ed istanza di rimessione in termini ed i difensori delle controparti hanno dichiarato di non opporsi al deposito tardivo.

La Regione ha in primo luogo evidenziato che l’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui il ricorso era stato notificato in data 30 maggio 2016, ha rappresentato una situazione di conflitto di interessi tra Stato e Regione, come previsto dal d.lgs. n. 142 del 1948, a causa della quale ha denegato il patrocinio per le amministrazioni regionali. In particolare, ha posto in rilievo che l’Avvocatura Generale dello Stato, con nota del 15 dicembre 2016, ha comunicato all’amministrazione regionale “ … per le eventuali iniziative di competenza, che sussistendo nel caso di specie la situazione di conflitto di interessi tra Stato e Regione prevista dall’art. 1, ultimo comma, del D.lgs. n. 142/1948, la Scrivente ha provveduto a costituirsi in giudizio nell’interesse delle Amministrazioni Statali resistenti”.

La Regione Sicilia, pertanto, ha chiesto, ai sensi dell’art. 37 c.p.a., la rimessione in termini al fine di ritenere tempestiva la costituzione in giudizio ed ha avanzato istanza, ai sensi dell’art. 54 c.p.a., di autorizzazione alla presentazione tardiva di memorie e documenti.

Ha inoltre formulato eccezioni di difetto di legittimazione passiva della Regione in persona del Presidente pro tempore e dell’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità ed eccezione di inammissibilità del ricorso per la natura non lesiva dell’atto impugnato.

Nel merito, ha svolto compiute difese evidenziando in particolare che la responsabilità è stata posta anche a carico della Regione quando sarebbe da ascrivere unicamente allo Stato.

All’udienza pubblica dell’8 febbraio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse è infondata.

Il provvedimento impugnato prevede il raggiungimento di un’intesa sulle procedure di recupero degli importi anticipati dallo Stato, ma postula la responsabilità solidale della Regione e dei Comuni interessati.

Il Comune ricorrente, prima ancora della individuazione delle modalità di recupero delle somme, ha contestato le modalità seguite per l’individuazione del responsabile o dei corresponsabili dell’infrazione, per la gradazione della misura delle relative responsabilità nonché per la quantificazione delle somme dovute in rivalsa.

Ne consegue che la sospensione del termine di 90 giorni per procedere al recupero delle somme, in assenza di qualsivoglia atto di autotutela in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili delle violazioni nei confronti dei quali procedere in via di rivalsa, non può determinare il venire meno della lesività diretta dell’atto impugnato che, in modo incontrovertibile, ha imputato al Comune di Racalmuto, discarica in località Contrada Oliva Troiana, l’importo totale di euro 388.223,50.

2. La costituzione in giudizio della Regione Sicilia deve essere dichiarata in parte inammissibile non per tardività - ricorrendo, in ragione di quanto rappresentato dall’Ente, l’errore scusabile per gravi impedimenti di fatto ed avendo le altre parti del giudizio dichiarato di non opporsi al deposito tardivo - ma perché, in quanto soggetto direttamente leso dal provvedimento gravato, detta Regione, al pari del Comune ricorrente, sarebbe stata legittimata a proporre il ricorso giurisdizionale in via autonoma.

Nel merito, infatti, la Regione ha spiegato un intervento sostanzialmente adesivo a quello del Comune, contestando la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di rivalsa da parte dello Stato, sicché, in tale parte, lo stesso si rivela inammissibile in quanto proposto da un soggetto legittimato alla proposizione di un ricorso autonomo, mentre, ai sensi dell’art. 28, comma 2, c.p.a., l’intervento ad adiuvandum può essere proposto solo dal titolare di una posizione collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e, quindi, da un soggetto titolare di un interesse di fatto e non giuridicamente qualificato.

La costituzione in giudizio della Regione può ritenersi invece ammissibile con riferimento al solo profilo per il quale non è adesiva, vale a dire la contestazione dell’atto laddove afferma la responsabilità solidale della Regione insieme ai Comuni; per tale aspetto, infatti, sebbene sarebbe stata comunque legittimata alla proposizione di un’azione giurisdizionale diretta, la posizione della Regione Sicilia è di controinteresse e non di cointeresse rispetto a quella del Comune ricorrente e, quindi, l’Ente costituisce parte necessaria del giudizio.

In relazione a tale unico profilo di ammissibilità della costituzione della Regione, il Collegio ritiene che non sussistano gli estremi per assegnare all’interessata, ai sensi dell’art. 54 c.p.a., un ulteriore termine per la presentazione tardiva di memorie e documenti.

In conclusione, la costituzione in giudizio della Regione Sicilia è da dichiarare inammissibile laddove è da qualificare come intervento ad adiuvandum delle ragioni del ricorrente, mentre è ammissibile con riferimento al solo profilo in precedenza richiamato in cui, rispetto alla posizione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente, assume la veste di controinteressato e non di cointeressato

3. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Regione in persona del Presidente pro tempore e dell’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità non può trovare accoglimento ai sensi dell’art. 156 c.p.c. in quanto la costituzione in giudizio dell’Ente attesta che la notifica del ricorso ha comunque raggiunto lo scopo a cui è destinata.

4. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.

Il primo motivo di impugnativa, con cui il ricorrente ha dedotto che lo Stato avrebbe dovuto accertare la sussistenza della responsabilità dei comuni coinvolti e delle regioni caso per caso e con apposita istruttoria, in contraddittorio con gli stessi, e, accertato l’an debeatur, avrebbe dovuto procedere, sempre in contraddittorio, alla ripartizione delle responsabilità fra i livelli coinvolti, è persuasivo.

L’art. 43, comma 4, legge n, 234 del 2012 dispone che lo Stato ha diritto di rivalersi, sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell’Unione europea, degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

La norma di legge, pertanto, richiede espressamente che lo Stato individui i responsabili della violazione al fine di procedere legittimamente all’azione di rivalsa.

Lo Stato italiano, nel caso di specie, è stato sanzionato per la situazione di non conformità alla normativa europea delle discariche “abusive” situate nel territorio nazionale.

Per l’individuazione delle relative responsabilità assumono rilievo gli artt. 250 e 252 del T.U. in materia ambientale (D.lgs. n. 152 del 2006).

L’art. 250 sancisce che, qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’art. 242 (misure necessarie di prevenzione nelle zone interessate dalla contaminazione, indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento ed attività successive) sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica.

L’art. 252, comma 4, invece, stabilisce che la procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Pertanto, emerge con chiara evidenza che il corpus normativo in materia richiede lo svolgimento di una fase propedeutica a quella dell’esercizio dell’azione di rivalsa, vale a dire l’individuazione delle relative responsabilità, che postulano il mancato esercizio del potere di provvedere, e che possono astrattamente sussistere sia in capo allo Stato sia in capo alle Regioni sia in capo agli enti locali.

Tuttavia, nel caso di specie, l’Autorità procedente ha automaticamente escluso la responsabilità statale ed ha individuato i Comuni e la Regione come responsabili in solido della violazione, in assenza di qualsivoglia istruttoria volta all’accertamento delle responsabilità attribuite.

La fondatezza di tale doglianza determina la fondatezza del ricorso e, in ragione della maggiore pregnanza del vizio di legittimità dedotto e dello sviluppo logico e diacronico del procedimento, l’assorbimento delle ulteriori censure.

Infatti, come posto in rilievo dall’Adunanza Plenaria 27 aprile 2015, n. 5, il giudice deve procedere, nell’ordine logico, preliminarmente all’esame di quelle domande o di quei motivi che evidenziano in astratto una più radicale illegittimità del provvedimento impugnato, per passare poi, soltanto in caso di rigetto di tali censure, all’esame degli altri motivi che, pur idonei a determinare l’annullamento dell’atto gravato, evidenzino profili meno radicali d’illegittimità.

All’accoglimento del ricorso segue, per l’effetto, l’annullamento dell’atto impugnato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, sono poste a favore della ricorrente ed a carico, in parti uguali, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; le spese del giudizio, invece, sono compensate nei confronti del Ministero dell’Interno e della Regione Sicilia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, così provvede sul ricorso in epigrafe:

dichiara inammissibile la costituzione in giudizio della Regione Sicilia, laddove la stessa, come da motivazione, è da qualificare intervento ad adiuvandum;

accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna, in parti uguali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune ricorrente; compensa le spese del giudizio nei confronti del Ministero dell’Interno e della Regione Sicilia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

Roberto Proietti, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Roberto Caponigro        Antonino Savo Amodio