Cass. Sez.
III sent.. 45974 del 19-12-2005 (Ud. 16 novembre 2005)
Pres. Papadia Est. Petti
Ric. Bizel
Rifiuti – Letame di origine agricola
Anche il letame di origine agricola può essere
disciplinato da altre disposzioni di legge che trovano applicazione in luogo del
“decreto Ronchi”. In mancanza di specifiche disposizioni il letame agricolo
(quello non agricolo è, indubbiamente, rifiuto) resta escluso dalla disciplina
sui rifiuti solo se viene riutilizzato nella filiera dell’attività agricola.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 24 gennaio 2003, il tribunale monocratico di Aosta condannava
Bizel Giuliano alla pena di € 5.000,00 di ammenda, quale responsabile del reato
di cui all’articolo 51 comma 2 del decreto legislativo n. 22 del 1997, perché
nella qualità di titolare dell’azienda d’allevamento abbandonava o comunque
depositava in modo incontrollato rifiuti consistiti in refluo zootecnico. Reato
accertato il 24 marzo del 2002.
Il fatto in base alla sentenza impugnata può riassumersi nella maniera seguente.
Il Bizel si occupava dell’allevamento di bovini in una frazione di montagna del
Comune di Morgex, presso la quale esisteva una stalla, utilizzata pressocchè
tutto l'anno (salvo un breve periodo estivo, nel quale gli animali erano portati
a quote più alte) intestata alla moglie ma di fatto gestita da lui. A seguito
della localizzazione nel torrente Colomba di liquami di sterco, si accertava che
il rifiuto proveniva dalla concimaia della stalla gestita dall'imputato: in
particolare esso, incanalato attraverso i prati adibiti a pascoli finiva in una
fossa di raccolta da dove poi defluiva a valle attraverso il bosco e raggiungeva
il torrente Colomba.
Tanto premesso in fatto, il tribunale a fondamento della decisione osservava:
a)che l'assunto della difesa secondo il quale quel liquame non poteva
considerarsi rifiuto a norma dell'articolo 8 lett. c) del Decreto Ronchi, non
meritava di essere accolto perchè non costituiscono rifiuto solo le materie
fecali utilizzate nell’agricoltura;
b) che per la gravità del fatto l’imputato non meritava le attenuanti generiche
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:
la violazione degli artt 8 e 51 del decreto legislativo n 22 del 1997 giacché la
materia fecale in questione non è rifiuto per l'espressa previsione
dell'articolo 8 lett. c) decreto Ronchi anche perchè poteva ancora essere
utilizzata nell'attività agricola: nella fattispecie, secondo il difensore,
mancherebbe qualsiasi motivazione in ordine alla non utilizzazione del letame;
inoltre la canalizzazione del refluo zootecnico o comunque la sua
convogliabilità diretta in un corpo recettore, per la sua natura di rifiuto
liquido o semiliquido, determinava l'applicabilità della disciplina di cui al
Decreto legislative n. 152 del 1999;
manifesta illogicità della motivazione in ordine all'esercizio dell'attività
imprenditoriale posto che l'imputato non era titolare dell'azienda agricola;
inosservanza ed erronea applicazione degli artt 62 bis e 133 c.p. con
riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed
alla determinazione della pena.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
In fatto il tribunale ha accertato che quel refluo fuoriusciva dalla fossa di
raccolta per finire nel torrente Colomba. Si tratta quindi di letame del quale
il gestore della stalla aveva deciso di disfarsi. Ciò premesso si rileva che in
base all'articolo 8 del decreto Ronchi "sono esclusi dal campo di applicazione
del presente decreto in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge
i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non
pericolose utilizzate nell'attività agricola." Dal chiaro tenore letterale della
norma emerge che anche il letame di origine agricola può essere disciplinato da
altre disposizioni di legge che trovano applicazione in luogo del decreto
Ronchi. In mancanza di specifiche disposizioni il letame agricolo (quello non
agricolo è indubbiamente rifiuto) resta escluso dalla disciplina sui rifiuti
solo se viene riutilizzato nella filiera dell'attività agricola. L'effettiva
riutilizzazione nell’attività agricola deve essere dimostrata dall'interessato.
Nella fattispecie il tribunale ha già escluso come sopra accennato qualsiasi
riutilizzazione trattandosi di refluo che veniva smaltito nel torrente Colomba.
Il difensore, premesso che trattasi di refluo sostanzialmente liquido, sostiene
che nella fattispecie sarebbe stata applicabile la disciplina sugli scarichi di
cui al decreto legislativo n. 152 del 1999 e non quella del Decreto Ronchi.
L'assunto non ha fondamento. Dei rapporti tra il decreto legislativo n. 22 del
1997 e la successiva disciplina degli scarichi questa corte ha già avuto
occasione di occuparsi a partire da quando erano in vigore il D.P.R. n 915 del
1982 e la Legge Merli n. 319 del 19876. Quando era in vigore la disciplina
previgente una prima fondamentale distinzione, tra lo scarico di sostanze
liquide disciplinato dalla legge Merli e lo smaltimento dei rifiuti liquidi
sottoposto alla disciplina del D.P.R., n. 915 del 1982, è stata posta dalla
decisione delle sezioni unite con la sentenza Forina n 12315del 1995.
Successivamente è entrato in vigore il decreto Ronchi il quale all'articolo 8
comma 1 lett e) dispone che "sono esclusi dal campo d'applicazione del presente
decreto in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge le acque di
scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido". Si è posto quindi il problema di
focalizzare la differenza tra le acque di scarico disciplinate dalla normativa
sulle acque, ed i rifiuti allo stato liquido disciplinati dal decreto Ronchi.
Sulla questione è intervenuta questa sezione con la sentenza del 23 maggio 1997,
Bacchi, la quale ha concluso per una sostanziale continuità della disciplina
sottolineando che la linea di discrimine tra le due normative risiedeva ancora
nella nozione di scarico posto che per "scarichi" dovevano intendersi le
sostanze liquide convogliabili nei corpi recettori tramite condotta.
Successivamente la legge Merli è stata abrogata e sostituita dal decreto
legislative n. 152 del 1999 il quale all'articolo 2 lettera c.c. nel testo
attuale definisce di scarico tutte le acque reflue provenienti da uno "scarico"
e alla lettera bb) qualifica scarico "qualsiasi immissione diretta tramite
condotta di acque reflue liquide, semiliquide convogliabili nelle acque
superficiali, nel suolo, nel sottosuolo in rete fognaria" In base a questa
definizione sono stati esclusi dalla definizione di scarichi i cosiddetti
scarichi indiretti o comunque non effettuati tramite condotta. Pertanto oggi
l'acqua reflua proveniente da un 'immissione non diretta e non tramite condotta
non può qualificarsi "acqua di scarico" soggetta alla disciplina del D.L.vo n.
152 del 1999, ma, se risponde alla nozione di rifiuto, è sottoposta alla
disciplina dettata con il decreto Ronchi il quale rappresenta in materia di
protezione dell’ambiente la normativa quadro che è derogata da quella sulle
acque solo per quanto concerne gli scarichi diretti (cfr Cass. 24 giugno 1999,
Belcari; 29 marzo 2000, Sainato; 1205 del 2003; 16717 del 2004)
Per quanto concerne il secondo motive si rileva che la norma richiamata nel capo
d'imputazione individua il soggetto attivo del reato nel titolare d'impresa o
nel responsabile dell'ente. Si pone quindi il problema di stabilire se del reato
debba rispondere solo il soggetto che rivesta effettivamente la qualifica
richiesta dalla norma (imprenditore o soggetto responsabile dell'ente) o
chiunque si trovi ad esercitare la relativa funzione. Il problema non è nuovo e
si è posto anche durante la vigenza del D.P.R. n. 915 del 1982 che conteneva
analoga definizione. La dottrina, che si è occupata della questione, e la stessa
giurisprudenza hanno letto estensivamente la citata espressione affermando che
per la configurabilità del reato è sufficiente l'esercizio di fatto
dell'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni e
servizi. Si è osservato che l'interpretazione estensiva era imposta dalla ratio
stessa di tutto il D.P.R. n. 915 che tendeva ad impedire comunque ogni rischio
d'inquinamento dell'ambiente. Di conseguenza non sarebbe stata coerente con tale
ratio un'interpretazione che avesse operate sottili distinguo, non in base al
rischio d'inquinamento, ma in base a criteri formali relativi a soggetti senza
alcun collegamento con i pericoli che dalla loro attività potevano derivare
all'ambiente. In tale logica l’unica esclusione possibile riguardava il privato
che si fosse limitato ad abbandonare occasionalmente i rifiuti al di fuori di
qualsiasi intento commerciale mentre ad opposta conclusione si doveva pervenire
per tutte le attività suscettibili di produrre rifiuti con continuità. Siffatti
principi elaborati dalla dottrina sono stati recepiti dalla giurisprudenza di
questa sezione (cfr Cass. sez III 16 aprile del 1991 in Cass Pen 1992 in Cass
pen 1992 pag 2810 n 1513) e sono ancora validi avuto riguardo al fatto che anche
il decreto Ronchi mira ad assicurare la massima protezione all'ambiente.
Palesemente inammissibile è la terza censura perchè le attenuanti generiche sono
state respinte per la ritenuta gravità del fatto e la sanzione, proprio perchè
contenuta in misura di poco superiore al minimo edittale, non richiedeva una
motivazione analitica