Cass. Sez. III n. 26951 del 2 luglio 2009 (Ud. 7 apr. 2009)
Pres. Onorato Est Mulliri Ric. Marozzi
Rifiuti. Raspi e vinacce
A mente dell’art. 185 D.L.vo 152/06 non rientrano nella disciplina della gestione dei rifiuti le "altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola" (fattispecie relativa a raspi e vinacce)
La ricorrente è stata condannata dal Giudice Monocratico per avere, come legale rappresentante della Frontenac, abbandonato e depositato in modo incontrollato e senza protezione per l’ambiente, ingenti quantitativi di rifiuti anche potenzialmente pericolosi (rifiuti organici derivanti dalla lavorazione dell’uva, materiali di risulta da operazioni di sbancamento e rifacimento di un marciapiede).
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il difensore dell’imputata deducendo:
1) vizio motivazionale (art 606 lett. e) c.p.p.) derivante dal fatto che, scorrendo la deposizione del teste ing. Piccioni, molto valorizzata dal giudicante, si è finito per introdurre nella vicenda informazioni rilevanti che non esistevano nel processo ed omesso la valutazione di prove decisive ai fini della pronuncia. In realtà, infatti, come risulta dal verbale di sequestro, il materiale inerte sarebbe costituito solo da “betonelle e stabilizzato” non anche da ghiaia e, comunque, come confermato dai testi, tale materiale giaceva in modo separato dal resto ed era destinato al reimpiego per il rifacimento degli impianti sotterranei.
Ciò emergerebbe confrontando le dichiarazioni dell’ing. Piccioni e tutte le altre testimonianze e risultanze che il giudice ha, invece, trascurato.
Il travisamento della prova risulterebbe anche nel fatto che il giudice ha ignorato che i residui diversi dai raspi erano in misura sostanzialmente inconsistente a fini di rilevanza giuridica;
2) violazione di legge (art. 606 lett. b) c.p.p. in rel. agli art. 6, co. 1 lett. A e 14 D.L. 8 luglio 2002 n. 138 7 u. co. ed 8 co. 1 lett. c) D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22) per avere: a) qualificato come rifiuti le betonelle e la sabbia delle quali la Frontenac non si era per nulla disfatta ed, anzi, si accingeva a fare nuovo uso, senza trattamenti di sorta, nel piazzale da dove li aveva temporaneamente rimossi; b) attratto nella disciplina sanzionatoria del decreto Ronchi quelli che, per espressa definizione datane anche in sentenza, erano rifiuti agricoli; così come definiti anche dall’art. 8 lett. c) di tale decreto e dimostrato dall’imputata mediante la produzione di copiosa letteratura scientifica sul reimpiego dei raspi in agricoltura attraverso spargimento sul terreno e come riferito in udienza da un teste (che ha anche illustrato l’esistenza di un apposito attrezzo, la “spandi raspi”). D’altro canto, ricorda il ricorrente, la non pericolosità ditale materiale vegetale è desumibile anche solo dal fatto di non essere inserito nell’elenco di cui all’art. 7 del D.L.vo 22/97;
3) illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione nonché violazione di legge (art. 606 lett. e) c.p.p.) da ravvisarsi nel fatto che il Tribunale ha ritenuto la nocività dei raspi perché presentavano un tenore di rame ed un tasso di umidità superiori ai limiti normativi ma ciò è in aperto contrasto con gli artt. 7 ed 8 del decreto Ronchi, con il fatto che, in ogni caso, l’ipotetico superamento dei parametri non determina la pericolosità dei rapi (da intendersi come ammendanti) ed, in ogni caso, con il rilievo che, a tutto concedere, la loro ipotetica pericolosità ne avrebbe vietato solo la vendita non anche l’utilizzo diretto da parte del produttore.
Senza tralasciare di sottolineare, infine, che le analisi furono eseguite dall’Arta senza l’osservanza delle prescrizioni formali e tecniche vigenti in materia - come chiaramente ed espressamente evidenziato in una memoria depositata in giudizio -. A fronte dei rilievi difensivi, però il giudice di merito, pur non mettendo in discussione l’esistenza delle prescrizioni, ne aveva escluso l’applicabilità al caso di specie osservando che si trattava di “materiale che, di per sé, non aveva caratteristiche di pericolosità da far suscitare preoccupazione”; affermazione, quest’ultima, che si pone in contrasto con l’altra secondo cui: “all’esito delle analisi risultava che il percolato aveva un elevato carico organico per cui non ne era consentita la dispersione incontrollata nell’ambiente”.
La ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
2. Motivi della decisione - Il ricorso merita accoglimento.
Il primo motivo pone in luce un aspetto che giustifica senz’altro approfondimento. Ed infatti, dal momento che il materiale inerte rappresentato da “betonelle e stabilizzato” è, incontestabilmente, il residuo della demolizione di un marciapiede, si tratta di chiarire se esso fosse o meno destinato al reimpiego per il rifacimento degli impianti sotterranei (attività per cui il ricorrente avrebbe conseguito anche la relativa autorizzazione).
Sul punto, la decisione impugnata non si sofferma limitandosi a dare atto della presenza di tale materiale di risulta. Non è, però, ciò solo sufficiente a giustificare l’accusa di “abbandono incontrollato di rifiuti” tra cui “materiali di risulta da operazioni di sbancamento e di rifacimento di un marciapiede” ben potendo valere la tesi difensiva secondo cui le betonelle in questione fossero destinate al reimpiego.
Trattandosi di accertamento in fatto, non si può che annullare la sentenza impugnata sotto tale profilo affinché compia le opportune verifiche.
Meritano accoglimento anche il secondo ed il terzo motivo che si soffermano sulle problematiche derivanti dalla qualificazione dei rifiuti organici derivanti dalla lavorazione dell’uva (raspi, vinacce ecc.).
Con riferimento a tali materiali, la decisione impugnata sembra ravvisare l’ipotesi contravvenzionale (per cui è stata pronunciata condanna) semplicemente sul rilievo che - come ha chiarito la teste ing. Piccioni dell’Arta - “si è definito rifiuto il materiale rinvenuto poiché questo non era depositato in modo ordinato e cioè c’erano vinacce miste a raspi, miste a farina fossile”. A tali rilievi il Giudice soggiunge, motu proprio, la considerazione che tali sostanze erano risultate miste a materiale inerte di modo che “tale deposito incontrollato aveva provocato il percolato che finiva sul suolo e, di per sé, ciò è sintomatico di una non corretta gestione dei rifiuti che è, poi, la contestazione che viene mossa alla prevenuta”.
In altri termini, sembra doversi intendere che il giudicante desuma la natura di rifiuti dei raspi e degli altri residui della lavorazione del vino dalla loro collocazione e dal fatto che, a causa del loro dilavamento conseguente alle piogge, essi avessero determinato un percolato che filtrava nel suolo. E ciò, soggiunge la sentenza, sarebbe sufficiente a giustificare la contestazione e la condanna anche “a prescindere dalle risultanze delle analisi” (1.5) svolte da tecnici dell’Arta (con metodologia contestata dalla ricorrente) che aveva fatto emergere un tenore di rame superiore ai valori assimilati fissati nell’all. 1 al D.M. del 27 marzo 1990 (recante le nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti).
Il ragionamento del Tribunale non è chiaro e, soprattutto, è in contrasto con le disposizioni richiamate anche dalla ricorrente.
E’ infatti, a mente dell’art. 8 del c.d. decreto Ronchi (ora art. 185 D.L.vo 152/06), non rientrano nelle disciplina della gestione dei rifiuti le “altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola” (art. 185 lett. b) n. 5). Che, del resto, i materiali naturali di cui si va trattando non fossero pericolosi è pacifico anche per il giudicante che riporta, in proposito, le chiare asserzioni dell’ing. Piccioni (f. 3).
Tuttavia, il giudice, nel provvedimento impugnato, esclude che i raspi e le vinacce in questione potessero essere usati come ammendante vegetale semplice non compostato - come asserito dalla ricorrente - poiché sia l’umidità che il tenore di rame superavano i valori previsti dall’art. 1 del D.M. che disciplina di fertilizzanti.
Anche tale rilievo, però, è inesatto perché, ove si trattasse di ammendanti troverebbe applicazione la legge 748/84 per la quale (art. 12) il divieto è solo relativo all’ipotesi che l’ammendante sia destinato alla cessione a terzi; eventualità da scartare nella specie essendo pacifico che il materiale è stato rinvenuto perché “a causa delle piogge non ne era stato possibile lo spargimento su! terreno” ma non risulta in alcun modo una sua potenziale destinazione alla cessione.
Ed allora, se è vero che i rifiuti in esame non erano pericolosi (visto che, in ogni caso, viene considerato ininfluente il risultato delle analisi che attesta un tasso di rame più elevato del dovuto) se è anche vero che “non si trattava di terreni contaminati” (f. 5), come asserito sempre dall’ing. Piccioni, se è altresì vero che l’attuale art. 185 co. 1 lett. b) n. 5 D.L.vo 152/06, esclude dalla nozione di rifiuti le sostanze naturali, non pericolose utilizzate nell’agricoltura, si impone una rivalutazione della decisione. Ed infatti, la decisione impugnata, nel sottolineare le modalità di conservazione dei materiali in esame, sembra darne per acquisita la natura di rifiuti quasi che la cosa derivasse proprio dalle cattive modalità di raccolta e tenuta degli stessi; la qual cosa è ben lungi dall’essere esatta; anche perché se, come sembra intendersi tra le righe della pronunzia impugnata, il carattere di rifiuti dei raspi “deriva”, in qualche modo dal fatto di essere stato rinvenuto insieme alla ghiaia ed alle betonelle, il ragionamento è ancor più infondato visto che - come detto nel commentare il primo motivo - anche la natura di rifiuti delle betonelle è tutta da dimostrare.
Fermo restando, infine, che se la vera contestazione è di aver conservato i raspi ed il restante materiale rinvenuto in modo “disordinato”, si sarebbe in presenza di una condotta non disciplinata e tantomeno sanzionata penalmente.
La decisione impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Teramo per nuovo esame alla luce delle considerazioni fin qui svolte.