Cass. Sez. III n. 40190 del 8 dicembre 2006 (cc. 11 ott. 2006)
Pres. Papa Est. Sensini Ric. Gulino

Rifiuti. Attività di distilleria
E' esclusa la natura di sottoprodotto e deve qualificarsi come rifiuto il materiale residuato dall'attività di distilleria.
Le esalazioni provenienti da tali attività sono idonee a configurare la violazione dell'articolo 674 c.p.

In fatto

1.- Nel corso di un procedimento penale a carico di Gulino Maria Giovanna, consigliere delegato della Distilleria Bertolino S.p.a., indagata in ordine ai reati di cui agli artt. 51 D.Lgs. 22/1997; 24,25 comma 2 e 26 D.P.R. 203/1988; 674 c.p. [per avere, nell’ambito delta Distilleria Bertolino sita in Partinico e senza le necessarie autorizzazioni, effettuato operazioni di recupero e riutilizzo di rifiuti, attivato un impianto di digestione anaerobica qualificabile come industria insalubre di prima classe per i vapori nocivi e le polveri che emetteva, utilizzato le caldaie ‘Marchesi’ e ‘Girala’ sebbene prive di rilevatore di emissioni di continuo, provocato emissioni di gas, fumi ed odori idonee ad offendere e molestare le persone in luoghi di pubblico transito e costituito una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, effettuando la messa in riserva della vinaccia per quantitativi superiori a quello di mc. 600, consentito ed accumulato fanghi esausti provenienti dal biogas e parte di quelli prodotti dall’impianto di depurazione delle acque reflue in deposito temporaneo, per un quantitativo superiore a mc. 20, come accertato il 15 novembre 2002], il GIP di Palermo dispose, con decreto del 18 marzo 2005, il sequestro preventivo dell’impianto di digestione anaerobica, di quelli ad esso connessi, delle vasche di accumulo e dei piazzali utilizzati per lo stoccaggio delle vinacce esauste e degli altri materiali prodotti dalla lavorazione dello stabilimento.

1.1.- Deve puntualizzarsi che le successive istanze di dissequestro della Gulino e di altra coindagata vennero respinte sia dallo stesso GIP, sia dal Tribunale di Palermo. Il ricorso per cassazione delle interessate fu a sua volta respinto da questa Sezione (sent n. 13243/2006), secondo cui - conclusivamente - “l’esigenza cautelare, mirante a prevenire il pericolo di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per i quali si procede, è stata legittimamente ravvisata avendo, i Giudici di merito, ritenuto logicamente che i beni in sequestro, segnatamente l’impianto di digestione anaerobica del quale si discute, se lasciati nella libera disponibilità delle indagate, avrebbero determinato la ripresa dell’attività produttiva, con conseguente aggravamento delle conseguenze dei reali e commissione di altri, analoghi illeciti”.

1.2.- Sopravvenuto il D.Lgs. 152/2006 (codice dell’ambiente), l’indagata ha formulato nuova istanza di revoca della misura cautelare, in particolare richiamando la disposizione dell’art. 183 lett. n) dello stesso testo unico. Il GIP ha escluso la possibilità di includere le vinacce esauste, impiegate come sopra, nella specifica nozione di sottoprodotto, ritenendo di dover superare anche gli altri argomenti, dalla istante desunti da determinazioni - ritenute invece non pertinenti - contenute nella parte III del medesimo D.Lgs. 152/2006.

L’istanza di riesame è stata respinta dal Tribunale, con l’ordinanza ora impugnata (n. 146 del 21 giugno 2006), sui rilievi - svolti in corrispondenza con i motivi di impugnazione - che: a) le vinacce esauste, come sopra utilizzate nello stabilimento, non rientrano nella nozione di sottoprodotto, in ordine a cui l’art 183 lett. n) del testo unico esclude la “necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo”; b) anche a voler escludere un processo di trasformazione preliminare, la certezza che si tratti di sottoprodotto resta subordinata a un processo di verifica della rispondenza agli standard merceologici e di mancanza di condizioni peggiorative per l’ambiente o la salute, verifica posta a carico del produttore e risultata mancante; c) resta - con riguardo alle precedenti fasi - “immutato il fatto che il processo di digestione anaerobica che si svolge nell’impianto sottoposto a sequestro ed attraverso il quale si produce il biogas poi riutilizzarlo dalle caldaie, viene alimentato da reflui della torchiatura, da borlande liquide ecc., vale a dire da residui della lavorazione del vino, delle fecce e delle vinacce”, aventi, secondo il giudicato cautelare, natura di “rifiuti speciali non pericolosi”, ed oggetto di trasformazione preliminare (processo di digestione anaerobica, da cui deriva il biogas solo in parte destinato alla caldaia ‘Marchesi’, e, per il resto, passato ‘in torcia’; d) i reflui in questione conservano la loro natura di rifiuti, senza possibilità di rientrare nella definizione dell’art. 183 lett. aa) del testo unico; e) ferma la mancata allegazione relativamente alle emissioni in atmosfera, secondo le prescrizioni della le 203/1988 - come sostituite attraverso il capo V del t.u. -, l’osservazione della ricorrente, secondo cui sarebbero frattanto cessate le immissioni, dimostrerebbe, semmai, che esse dipendevano dalle operazioni connesse al funzionamento dell’impianto di digestione anaerobica finalizzato alla produzione del biogas.

1.3.- Per la cassazione ricorre la Gulino, la quale, dopo aver escluso, in relazione alle precedenti vicende processuali, ogni preclusione, a fronte di nuovi presupposti, rapportabili ai concetti di sottoprodotto, di scarico liquido e di rifiuto liquido, articola le censure che seguono.

A) “Con riferimento alla vinaccia esausta ed al sequestro della stessa e degli spiazzali su cui viene accumulata”:

1.- Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 183 lett. n) del D.Lgs. 152/2006. Censura l’ordinanza impugnata per avere - erroneamente argomentando dall’ultima parte della disposizione sopravvenuta - negato la qualifica di sottoprodotti alle ‘buccette’ ed ai ‘raspi’, senza idonea verifica dei criteri normativamente fissati. Essi, infatti: a) ‘derivano in via continuativa dal processo industriale stesso e sono destinati ad un ulteriore impiego ed al consumo’, dal momento che, essendo la vinaccia vergine composta da alcool, semi di vinacciolo e vinaccia esausta, attraverso l’intero e complesso processo produttivo dell’azienda, il primo viene destinato all’industria alimentare, i secondi a quella olearia e la terza è impiegata come combustibile per il suo potere calorifero; b) rientrano, per ciò stesso, fra gli elementi dei quali ‘l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi, non abbia deciso di disfarsi’; c) vengono ‘impiegati direttamente (...) per il consumo o per l’impiego, senza necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo’, essendo escluso ogni ulteriore trattamento, per la destinazione alla funzione di combustibile; d) risultano, a tal fine, utilizzati senza che sia necessaria una qualche verifica delle autorità amministrative, dal momento che la normativa sopravvenuta stabilisce solo che ‘l’utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive’.

2.- Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p., in relazione all’allegato X alla parte V del D.Lgs. 1522/06, per non avere considerato, il Tribunale, che l’uso della biomassa vegetale, derivante dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli - parte 1, I paragrafo, lett. n) e parte II, sezione 4^, lett. e) -, e, perciò, “la vinaccia esausta, anche senza il seme di vinacciolo, e quindi ridotta alle sue componenti di buccetta e raspo”, risulta espressamente disciplinata nella nuova normativa.

3.- Mancanza di motivazione, a mente dell’art. 606 comma I lett. e) c.p.p., per la totale omessa valutazione da parte del giudice del merito della consulenza tecnica e dei documenti commerciali prodotti dalla ricorrente a sostegno della propria tesi.

B) “Con riferimento al sequestro del digestore anaerobico”:

4. Violazione dell’art. 606 comma I lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 183 lett. aa) del tu. 152/2006: l’impianto anaerobico abbatte una prima percentuale del carico organico inquinante presente nelle acque reflue, abbattimento poi completato dall’impianto biologico, onde con riguardo alle definizioni di trattamento primario e secondario, contenute nelle lett ll) ed mm) del precedente art. 74, non si è in presenza di un trattamento di rifiuti (liquidi), sibbene di un impianto regolare di scarico idrico.

5.- Mancanza di motivazione e motivazione apparente, ai sensi dell’art. 606 comma I lett. e) c.p.p., là dove il giudice del merito ha desunto dalla cessazione di odori molesti seguita al sequestro la conferma che le immissioni dipendessero dall’intero impianto di trattamento delle vinacce esauste, senza considerare che il biogas non veniva, invece, immesso nell’atmosfera, avendo, la torcia presente nell’impianto stesso, solo una funzione di emergenza (assicurando che il biogas venisse, in caso di cattivo funzionamento di tale impianto, bruciato in torcia).

1.4.- Le tematiche sopra riportate appaiono approfondite, attraverso l’esame della giurisprudenza (anche comunitaria) e della dottrina, nei ‘motivi nuovi’ depositati il 16 settembre 2006, nei quali si insiste sulla ricordata definizione di ‘scarico liquido’, in particolare ribadendosi la mancanza di soluzione di continuo tra la fonte delle acque reflue ed il corpo ricettore, e formulandosi, per il caso di mancato superamento della tesi contraria cui ha mostrato di aderire il giudice a quo, istanza di rimessione alla Corte di Giustizia CE, per la risoluzione della pregiudiziale comunitaria, ex art. 234 comma 3 Trattato, quanto alla applicazione delle direttive 75/442/Cee e successive modifiche ed integrazioni, per i rifiuti, e 76/464/Cee, per gli scarichi nell’ambiente idrico.

 

Diritto

2.- Il ricorso non può ricevere accoglimento.

2.1.- Deve preliminarmente osservarsi che il cd giudicato cautelare, vale a dire l’effetto preclusivo di precedenti provvedimenti definitivi in materia cautelare (Cass., Sez. un., 23/1994), comporta la limitazione dell’attuale thema decidendum alle questioni che presentino effettivi caratteri di novità, i quali, anche per espressa scelta della ricorrente, vanno tutti rapportati alla entrata in vigore del nuovo codice dell’ambiente, D.Lgs. 152/2006.

2.2.- Sulla prima serie di censure, volte ad escludere la qualifica di rifiuto delle vinacce esauste, la ricorrente si misura con la possibilità - espressamente introdotta dalla norma definitoria dell’art. 183 lett. n) del D.Lgs. 152/2006 - di includere raspi e vinaccioli, destinati alla produzione del biogas nella nozione di sottoprodotto [nella quale vanno ricompresi “i prodotti dell’attività dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo. Non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreti i sottoprodotti di cui l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest’ultimo fine, per trasformazione preliminare s’intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo L’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale. (...) Al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tecniche, di sicurezza e di settore (...). L’utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive”].

La normativa sopravvenuta tiene conto della evoluzione - successiva al D.Lgs. 22/1997 - in materia di residui di produzione o di consumo e sottoprodotti, segnata dalla giurisprudenza comunitaria ed in particolare, per quanto attiene al diritto italiano, dalla sentenza Niselli (Corte di Giustizia CE 11 novembre 2004 in causa C-457/02), significativamente trasfusa nella citata lett. n) dell’art. 183. Di essa, vanno segnalati, da un lato, la non necessità di trasformazioni preliminari e, dall’altro, il non dover comportare per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive.

La prima condizione è stata negata dal giudice del merito, attraverso una valutazione che, se contestabile, resta nondimeno di merito, e non - costituire materia di censura in sede di gravame avverso un provvedimento cautelare, in cui unico controllo ammesso è quello di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata (Cass., Sez.un., 7 novembre 1992, Midolini), con la conseguenza che l’accertamento del fumus commissi delicti va compiuto esclusivamente sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, ma vanno valutati così per come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica (Cass., Sez.un., 23/1997).

La seconda appare, sotto lo specifico profilo della parte finale della disposizione invocata, solo riportata nella parte conclusiva del primo motivo di ricorso, pure a fronte della affermazione conclusiva del giudice del merito, allorquando - al termine della impugnata ordinanza - nega pure tale seconda condizione, traendo addirittura riscontro alla correttezza del provvedimento dalla cessazione delle immissioni, successivamente alla esecuzione della misura cautelare. L’argomento viene peraltro contestato attraverso il quinto motivo, su cui infra, 2.2.

In aggiunta, non può non rilevarsi come già la citata Cass., III, 13243/2006, intervenuta a conclusione delle precedenti fasi, ha insistito sull’accertamento (sempre di merito) che “il ciclo di digestione produceva un quantitativo di combustibile solo in palle destinato alla caldaia Marchesi, mentre il resto veniva passato ‘in torcia’, dal che doveva dedursi che non veniva integralmente reimpiegato e che della parte non destinata alla caldaia la distilleria doveva disfarsi”.

Da ciò deriva il superamento dei primi due motivi, in quanto le relative doglianze, ove resistano al cd. giudicato cautelare, pur nella prospettazione della sopravvenuta violazione di legge, finiscono in realtà per risolversi in diverse valutazioni di merito, quali risultano anche quelle specificate attraverso il secondo motivo.

Inammissibile è il terzo, giacché il giudice del merito, per i - già richiamati - limiti al controllo di legittimità della misura cautelare, non aveva alcun obbligo di argomentare in ordine alla consulenza di parte, né poteva prendere in esame, in sede cautelare, i ‘documenti commerciali’ prodotti - l’una e gli altri genericamente richiamati in ricorso - per dimostrare la correttezza dell’assunto della parte.

2.2.- A conclusioni non dissimili si perviene in ordine alla seconda serie di censure, rivolte contro il sequestro del digestore anaerobico.

Il quarto motivo ripropone, ancora una volta, una diversa prospettiva di merito, sia pure alla luce delle disposizioni sopravvenute, in esso richiamate. Esso presuppone, infatti, una verifica tecnica da condursi alla stregua dell’art.. 74 del D.Lgs. 152/2006, non consentita in sede cautelare; e, per giunta, non pare offrire alcun valido argomento per superare, in diritto, la conclusione opposta, desumibile dal passo della pronuncia di legittimità, più sopra riportato.

L’ultimo mezzo di impugnazione, infine, palesemente inammissibile, dove intenderebbe contestare la già evidenziata conclusione del giudice del merito, circa il senso da attribuire alla ‘cessazione delle immissioni di odori molesti, nonostante la giacenza sul piazzale dello stabilimento della vinaccia esausta posta sotto sequestro’: essa si esaurisce, infatti, nella diversa valutazione di merito di una mera circostanza di fatto, peraltro non contestata.

2.3.- Restano in tali conclusioni assorbite le più approfondite doglianze, esposte coi motivi nuovi, da ultimo depositati.

Va autonomamente presa in considerazione la ‘istanza per questione pregiudiziale comunitaria’, proposta nella parte conclusiva degli stessi motivi nuovi, per ciò che riguarda il preteso contrasto fra l’interpretazione sottesa alla tesi negativa e l’ordinamento comunitario, circa la distinzione tra la nozione di rifiuto idrico e quella di scarico delle acque reflue e l’applicazione delle direttive già richiamate nella parte espositiva. Anche su tale ultimo punto, nondimeno, pur valendosi prescindere dalla efficacia preclusiva della precedente fase incidentale - emergente dalla ripetuta Cass. 13243/2006 -, non sfuggirà che una tale questione si presenta priva di rilevanza nella fase cautelare, finendo per riguardare il giudizio di merito propriamente detto.

2.4.- Il ricorso va, in definitiva, per ogni verso respinto.

Consegue la condanna della ricorrente alle spese della presente fase.