Cass.Pen. Sez. III n. 35853 del 28 agosto 2023 (UP 17 mag 2023)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. Borea
Rifiuti.Attività di gestione discarica abusiva

L’attività di gestione abusiva o irregolare di una discarica comprende anche la fase post-operativa, con la conseguenza che la permanenza del reato cessa: 1) con il venir meno della situazione di antigiuridicità, per rilascio dell’autorizzazione amministrativa; 2) con la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area; 3) con il sequestro, che sottrae al gestore la disponibilità dell’area; 4) con la pronuncia della sentenza di primo grado.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 novembre 2022, la Corte di appello di Cagliari confermava la decisione del 28 aprile 2021, con cui il Tribunale di Cagliari aveva condannato Edoardo Borea alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 8 di arresto ed euro 6.000 di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 256 del d. lgs. n. 152 del 2006, a lui contestato per avere realizzato su una superficie di 1.060 mq. una discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi e pericolosi, costituiti da olio esausto in fusti, cisterne in plastica, pneumatici, teloni nylon, cassonetto stradale, pannelli per coibentazione, parafanghi camion, tubi in gomma, ovatta e rete materasso, barca in resina, sedili auto, bitume solidificato, frigoriferi fuori uso e materiale plastico; fatto accertato in agro di Elmas, località Is Arenas, il 4 aprile 2018.
        2. Avverso la sentenza della Corte di appello sarda, Borea, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevato un unico motivo, con cui la difesa ha censurato la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, osservando che la Corte territoriale, pur a fronte dello specifico rilievo difensivo, ha omesso di verificare se effettivamente Borea detenesse la necessaria qualifica di titolare di impresa o di responsabile di ente, non considerando che quello in questione era un terreno accessibile da chiunque ed ereditato dal ricorrente insieme alle sorelle e alla madre, assolte dal medesimo reato, a nulla rilevando che Borea lavorasse in altra officina, non comportando ciò la prova di quel livello di organizzazione necessario per l’attribuibilità del reato all’imputato.
Da ultimo, è stato contestato il rigetto del motivo di appello sull’estinzione del reato per prescrizione, rilevandosi che il reato contestato a Borea doveva essere ritenuto istantaneo e non permanente, essendo provato che, come dichiarato dai testi di accusa e difesa, il terreno si trovava in quelle condizioni già da diversi anni, per cui, dopo l’abbandono, non c’è stato altro intervento, quantomeno da parte di Borea, non essendovi stato dunque alcun dinamismo criminoso.
La permanenza del reato, infatti, non va confusa con gli effetti permanenti del reato, non potendosi aggiungere alla condotta costitutiva dell’abbandono, non ascrivibile a Borea (essendo il terreno di proprietà di tutti gli eredi), una condotta estranea e ulteriore, come quella della omessa rimozione dei rifiuti, integrante semmai la diversa fattispecie ex art. 255 comma 3 del d. lgs. n. 152 del 2006.
         2.1. Con memoria trasmessa il 14 marzo 2023, il difensore di fiducia di Borea ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

     Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
     1. Ed invero, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine alla fattispecie a lui ascritta non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Occorre evidenziare in proposito che le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato argomentativo unitario, hanno operato un’adeguata disamina dei fatti di causa, richiamando gli accertamenti svolti dal personale del Corpo Forestale e di vigilanza ambientale di Cagliari che, il 4 aprile 2018, effettuava un sopralluogo presso la zona industriale di Elmas, dove, all’interno di un’area recintata, alcuni giorni prima, durante un servizio di perlustrazione del territorio, era stata notata dagli operanti la presenza di fusti e di altri rifiuti eterogenei depositati alla rinfusa sul fondo.
Nel corso dell’accesso, in effetti, su un’area di circa mille metri quadri, venivano riscontrati rifiuti di vario genere, tra cui fusti e bidoni contenenti rifiuti oleosi, bitume e altre sostanze derivanti da processi di miscelazione di sostanze chimiche, risultando l’intera superficie connotata da un grave ed evidente degrado, e ciò anche per la presenza, desumibile dai rilievi fotografici, di pneumatici in disuso, di cumuli di inerti e di vari apparecchi elettrici in disuso.
Alla stregua di tali risultanze, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione circa la configurabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art. 256 comma 3 del d. lgs. n. 74 del 2000, osservando in tal senso che l’elevato quantitativo di rifiuti, tra loro eterogenei e alcuni anche pericolosi, in un’area non piccola ma neanche particolarmente estesa, valeva a smentire la natura occasionale del conferimento di quanto rinvenuto, tanto più in ragione del fatto che sono state rilevate nell’area tracce di movimento di mezzi di grosse dimensioni, ciò a riprova di un passaggio non risalente, essendo in ogni caso la stratificazione, la diffusione e le condizioni dei rifiuti (alcuni dei quali di recente immissione, come taluni cumuli dai colori ancora molto vivaci) sintomatiche di una pluralità di conferimenti effettuati in un arco temporale prolungato.
Le valutazioni del Tribunale e della Corte di appello risultano dunque coerenti con la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Rv. 273918), secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, come avvenuto nella vicenda in esame, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata.
Parimenti immune da censure risulta il giudizio sull’ascrivibilità della condotta al ricorrente, avendo sia il Tribunale (pag. 8 ss. della decisione di primo grado) che la Corte di appello (pag. 9 ss. della sentenza impugnata) sottolineato, in maniera non illogica, che l’esclusivo detentore dell’area, benchè di proprietà esclusiva degli eredi di Giovanni Borea, era il ricorrente Edoardo Borea, il quale ha consentito l’accesso al fondo agli operanti, essendovi inoltre una sostanziale coerenza tra alcuni rifiuti presenti nell’area, peraltro non accessibile da parte di terze persone, e l’officina di cui egli era titolare, essendo subentrato al padre.
È stato dunque evidenziato che Borea, il quale non aveva buoni rapporti con la madre e le sorelle, come riferito dai testi escussi e dal documentato contenzioso civile insorto tra le parti (cfr. sentenza del Tribunale di Cagliari n. 1136 del 2016), ha implementato ulteriormente, con condotte recenti (ossia attraverso i conferimenti di rifiuti privi di vegetazione e dai colori ancora vivi), il mantenimento della discarica abusiva già avviata ai tempi in cui il padre gestiva l’officina, fornendo così il suo autonomo contributo alla perpetrazione del reato.
In definitiva, in quanto sorretta da argomentazioni razionali e coerenti con le acquisizioni probatorie, la ricostruzione della condotta e del ruolo dell’imputato operata nelle due sentenze di merito resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita sostanzialmente, peraltro con palesi limiti di autosufficienza del ricorso nel richiamo a elementi probatori il cui contenuto non è stato né riportato né allegato, una differente lettura delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che tuttavia non è consentita in sede di legittimità, dovendosi richiamare in proposito la consolidata affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui la manifesta infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
          2. Resta solo da aggiungere, infine, che anche le deduzioni difensive in tema di prescrizione del reato non risultano affatto meritevoli di accoglimento.
In ordine all’individuazione del momento consumativo del reato contestato, il Collegio ritiene infatti di dover dare continuità all’affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9954 del 19/01/2021, Rv. 281587 – 03, Sez. 3, n. 39781 del 13/04/2016, Rv. 268236 e Sez. 3, n. 45931 del 09/10/2014, Rv. 260873), secondo cui l’attività di gestione abusiva o irregolare di una discarica comprende anche la fase post-operativa, con la conseguenza che la permanenza del reato cessa: 1) con il venir meno della situazione di antigiuridicità, per rilascio dell’autorizzazione amministrativa; 2) con la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area; 3) con il sequestro, che sottrae al gestore la disponibilità dell’area; 4) con la pronuncia della sentenza di primo grado.
Orbene, nel caso di specie, non risulta che vi siano stati né il rilascio di un valido titolo autorizzatorio, né la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area, per cui il dies a quo della prescrizione va individuato nella data del sequestro, avvenuto il 4 aprile 2018, con la conseguenza che, alla data di emissione della pronuncia impugnata (23 novembre 2022), la prescrizione quinquennale non era maturata.
Peraltro, la causa estintiva invocata dalla difesa non è maturata nemmeno al momento di questa decisione, alla luce della sospensione della prescrizione per 2 mesi e 2 giorni, fermo restando che, pur senza voler considerare la sospensione, la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate non avrebbe consentito di rilevare comunque la prescrizione in questa sede, avendo questa Corte precisato più volte (cfr. Sez. 7, n. 6935 del 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172) che l’inammissibilità originaria dell’impugnazione, per la genericità e la manifesta infondatezza dei motivi, impedendo la valida instaurazione dell’ulteriore fase di impugnazione, non consente di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato.
2. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di Borea deve essere dichiarato inammissibile, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2023