Cass. Sez. III n. 40318 del 28 settembre 2016 (Ud 16 giu. 2016)
Pres. Andreazza Est. Renoldi Ric. PM in proc. Strazzer
Rifiuti.Inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione e curatela fallimentare
La curatela non può considerarsi nominalmente titolare della autorizzazione allo svolgimento dell'attività di gestione della discarica (fattispecie relativa a contestazione del reato di cui all'art. 256, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per non avere ottemperato alle prescrizioni dell'autorizzazione ambientale rilasciata dalla provincia al curatore fallimentare di una S.r.l., che aveva omesso di trasmettere all'Arpav le informazioni necessarie ad organizzare l'attività di controllo sull'impianto di rifiuti inerti della predetta società)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 28/04/2015 il Tribunale di Belluno pronunciò, all'esito di giudizio abbreviato, sentenza di assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste" nei confronti di S.P., imputata del reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 4, per non avere ottemperato alle prescrizioni di cui agli artt. 9, 10 e 11, dell'autorizzazione ambientale ECO n. (OMISSIS) rilasciata dalla provincia di (OMISSIS) in data 4 aprile 2008, poichè, nella sua qualità di curatore fallimentare della ditta R.A. S.r.l., aveva omesso di trasmettere all'Arpav le informazioni necessarie ad organizzare l'attività di controllo sull'impianto di rifiuti inerti della predetta società, sito in loc. (OMISSIS). Fatti accertati in (OMISSIS) dal (OMISSIS).
1.1. Secondo la sentenza impugnata, infatti, non avendo il Tribunale provveduto, dopo la dichiarazione di fallimento della R.A. S.r.l. in data (OMISSIS), a disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 104, (L. Fall.), il curatore non poteva essere chiamato a rispondere della condotta omissiva contestata, essendo il fallimento privo dei poteri gestori eccedenti la liquidazione della società e il soddisfacimento della massa dei creditori ed essendo la gestione e il controllo dell'impianto di rifiuti strettamente connessi all'esercizio dell'impresa, che, appunto, non era stato autorizzato dal giudice. Nè, sottolineò la sentenza, la disponibilità giuridica dei rifiuti poteva imporre l'adempimento di obblighi gravanti sull'impresa fallita, in assenza di un'attività di impresa che comportasse la gestione degli stessi.
2. Avverso la sentenza di non luogo a procedere propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Belluno deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la manifesta illogicità della motivazione per vizio interpretativo (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)).
Secondo il ricorrente, infatti, il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte ascriverebbe al curatore fallimentare gli oneri connessi all'attività di gestione di attività inquinanti anche in caso di temporanea sospensione o definitiva cessazione delle stesse. La stessa autorizzazione ambientale ECO n. (OMISSIS), rilasciata dalla provincia di (OMISSIS) in data 4 aprile 2008, del resto, avrebbe precisato che gli obblighi di informazione e comunicazione dovessero riguardare anche la fase post-operativa e, dunque, dovessero sussistere anche dopo la cessazione delle attività di gestione dell'impianto, all'evidente scopo di consentire la realizzazione del controllo pubblico sugli effetti ambientali dell'attività industriale anche dopo la sua conclusione. La permanenza di un siffatto obbligo sarebbe stata conosciuta dallo stesso curatore, il quale, secondo il ricorrente non a caso, aveva provveduto alla nomina di un responsabile tecnico; ciò allo scopo di designare un soggetto che potesse interloquire con l'Arpav, cui la nomina era stata segnalata, per gli aspetti connessi agli obblighi legali sopravviventi alla cessata attività di gestione.
Nè potrebbe affermarsi, rileva ancora il ricorrente, che il trasferimento in capo al curatore degli obblighi connessi alla gestione, originariamente incombenti sull'impresa, sia impedito dall'assenza di una norma ad hoc e dal conseguente divieto di estensioni analogiche delle norme penali, avendo la giurisprudenza della Suprema Corte chiarito che l'effetto successorio deve essere affermato alla stregua di una interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice contestata (cfr. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068).
2.1. Con memoria del 27/05/2016, la difesa dell'imputata ha in primo luogo dedotto l'inammissibilità del ricorso proposto dal pubblico ministero, evidenziando come le censure poste a fondamento dell'impugnazione non attengano ad un preteso vizio interpretativo della legge penale o di altre norme giuridiche nè, comunque, ad una ritenuta illogicità del tessuto motivazionale della sentenza, quanto piuttosto alla prospettazione di una alternativa ricostruzione del fatto.
Sul merito del ricorso, la difesa ne ha rilevato l'infondatezza innanzitutto sul presupposto che non essendo stata la curatrice fallimentare autorizzata alla prosecuzione dell'attività di impresa, non potrebbe esserle rimproverato il mancato rispetto delle cautele imposte a chi eserciti l'attività di smaltimento dei rifiuti propria dell'esercizio della discarica; ciò che varrebbe anche per la fase post-operativa, la quale consisterebbe, comunque, in un'attività imprenditoriale di gestione dell'impianto.
Nè, rileva ancora la difesa dell'imputata, gli obblighi in questione avrebbero potuto essere traslati automaticamente su un altro soggetto, considerato il carattere strettamente personale dell'autorizzazione in quanto fondata sulla idoneità del soggetto autorizzato.
Nessun vuoto di tutela conseguirebbe, inoltre, al mancato trasferimento degli obblighi gestori in capo al curatore fallimentare, considerato che in caso di mancata osservanza delle prescrizioni imposte con l'autorizzazione da parte dell'originario gestore, l'ente conferente è tenuto ad adempiere, in via sostitutiva, agli obblighi gestori, all'uopo avvalendosi delle apposite garanzie finanziarie costituite, ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 14, proprio per coprire i relativi costi.
Del tutto infondata sarebbe poi, secondo la difesa, la prospettazione del pubblico ministero laddove qualificherebbe il curatore come un successore dell'imprenditore fallito, del quale, pertanto, erediterebbe ogni obbligo. Una prospettiva, questa, che la giurisprudenza delle Sezioni civili della Corte di cassazione avrebbe, ormai da lungo tempo, decisamente escluso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
3.1. Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 4, (Testo unico ambientale) individua il trattamento sanzionatorio da applicare a colui il quale ponga in essere, con "inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni", taluna delle condotte contemplate dai 3 precedenti commi dello stesso articolo ovvero: le "attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti" (comma 1), quelle di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti realizzati dai titolari di imprese o dai responsabili di enti (comma 2) o, infine, quelle di realizzazione o di gestione di una discarica (comma 3).
Per quanto di rilevanza in questa sede, dunque, viene in rilievo, nel caso di specie, la condotta descritta proprio dal combinato disposto dell'art. 256, commi 3 e 4, T.U. ambientale.
Si è, infatti, contestato a S.P., pur nella particolare sintesi che caratterizza l'imputazione, la mancata osservanza delle prescrizioni di cui agli artt. 9, 10 e 11 che erano state impartite, con l'autorizzazione ambientale ECO n. (OMISSIS), rilasciata dalla provincia di (OMISSIS) in data 4 aprile 2008, in relazione all'esercizio dell'impianto di rifiuti inerti attraverso il quale la ditta R.A. S.r.l., di cui l'imputata era stata nominata curatore fallimentare, aveva in precedenza svolto l'attività di gestione della discarica sita in loc. (OMISSIS).
Tali prescrizioni imponevano al soggetto autorizzato, ovvero alla ditta R.A. S.r.l., di "eseguire il controllo del livello di falda e della composizione delle acque sotterranee al fine di rilevare tempestivamente eventuali situazioni di inquinamento" (art. 9); di effettuare tale monitoraggio "con frequenza semestrale in fase post-operativa", eseguendo altresì "un controllo annuale del parametro degli idrocarburi" (art. 10); di "provvedere alla misurazione dei parametri meteo-climatici", con obbligo di conservare e tenere a disposizione degli organi di controllo "copia dei dati rilevanti" (art. 11). Inoltre, al fine di organizzare, da parte della Provincia, l'attività di controllo sull'impianto di rifiuti inerti di proprietà della società, sito in loc. (OMISSIS), l'art. 9, prescriveva l'obbligo, in capo alla ditta, di trasmettere copia delle analisi alla Provincia; mentre l'art. 11, stabiliva che copia dei dati rilevati in occasione della misurazione dei parametri meteo-climatici dovesse essere conservata e tenuta a disposizione degli organi di controllo.
Alla stregua della espressa descrizione delle condotte rilevanti contenuta nell'imputazione deve, dunque, ritenersi che l'ipotesi delittuosa configurata, consistente nella violazione degli obblighi di comunicazione all'Arpav, riguardasse, unicamente, la mancata trasmissione di copia delle analisi sul livello di falda e sulla composizione delle acque sotterranee, ai sensi dell'art. 9 dell'autorizzazione.
Le prescrizioni relative allo svolgimento delle analisi in questione e ai relativi obblighi comunicativi riguardavano, secondo l'espressa previsione dell'art. 10, anche la fase post-operativa; ciò all'evidente fine di assicurare il controllo pubblico anche dopo la cessazione dell'attività di gestione, strettamente intesa, della discarica.
Secondo l'ipotesi formulata dal Pubblico ministero, per effetto della dichiarazione di fallimento della ditta R.A. S.r.l. il curatore fallimentare sarebbe subentrato all'amministratore unico della predetta società negli obblighi sullo stesso gravanti in relazione all'attività di gestione dell'impianto di rifiuti inerti. Ciò sul presupposto che, in caso di fallimento, la responsabilità del titolare si trasferisca alla curatela fallimentare, essendo il curatore fallimentare pubblico ufficiale e avendo il compito di amministrare il patrimonio dell'impresa in sostituzione del suo titolare ai sensi della L. Fall., artt. 30, 31 e 42.
A sostegno di tale impostazione, lo stesso Pubblico Ministero, nell'atto di impugnazione, ha citato l'orientamento giurisprudenziale, dettato in materia di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 4, secondo cui, nella materia in esame, il ruolo del curatore non potrebbe ridursi a quello di soggetto "comune" (v. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068), subentrando "nella situazione del patrimonio del debitore fallito, la cui disponibilità giuridica e materiale (non la proprietà) viene a questi sottratta e trasferita agli organi del fallimento" (così Sez. Un., n. 29951 del 24/05/2004, C. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228164, in motivazione).
Secondo questo Collegio, tuttavia, tale percorso ricostruttivo non può essere condiviso.
Preliminarmente, giova ribadire che la fattispecie contestata è quella risultante dalla integrazione dell'art. 256, commi 3 e 4, del testo unico ambientale: una fattispecie che sanziona le condotta di inosservanza di determinate regole contenute in un provvedimento amministrativo di natura autorizzatoria da parte di un soggetto che rivesta la specifica qualifica di gestore di una discarica autorizzata, la quale versi in fase operativa o, eventualmente, anche post-operativa, secondo la definizione offerta dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2.
Dunque, affinchè possa configurarsi una responsabilità dell'odierna ricorrente per la mancata inosservanza delle menzionate prescrizioni è necessario che alla stessa possa essere attribuita la suddetta qualifica soggettiva.
Nel caso di specie, dal momento che la curatrice non era stata autorizzata, dal giudice delegato, all'esercizio provvisorio dell'attività di impresa ai sensi della L. Fall., art. 104 - ed essendo quindi la curatela priva di poteri gestori eccedenti la liquidazione della società ed il soddisfacimento della massa dei creditori-, è pacifico che in capo a S.P. non potesse attribuirsi la qualifica di gestore di una discarica autorizzata in fase operativa, essendo tale fase cessata con il fallimento della ditta R.A. S.r.l..
NP l'acquisizione di una siffatta qualifica potrebbe essere riconducibile al dispiegarsi di un fenomeno successorio tra il fallito ed il curatore, in forza del quale il secondo subentri nella titolarità di tutti i rapporti giuridici connessi all'attività di impresa riferibili al primo.
Tale successione, infatti, è pacificamente negata dalla giurisprudenza, sia civile che amministrativa, la quale rileva come la società dichiarata fallita conservi la propria soggettività giuridica e rimanga titolare del proprio patrimonio, perdendone unicamente la facoltà di disposizione secondo quanto stabilito dal R.D. n. 267 del 1942, art. 42, a mente del quale "la sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento", secondo un meccanismo riconducibile allo schema dello spossessamento dei beni.
Correlativamente, come osservato da Cons. St., Sez. 5^, 13/05-30/06/2014, n. 3274, Fall. Società Marconi di Garzitto Giancarlo & C. S.a.s., c/o Comune di Pavia di Udine, "il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest'ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura" giusta il R.D. n. 267 del 1942, art. 31, secondo cui "il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite" (cfr., in termini, anche Cons. St., Sez. V, 29/072003, n. 4328; Cons. St., Sez. V, 16/06/2009, n. 3885).
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. il R.D. n. 267 del 1942, art. 72), in via generale "non è rappresentante, nè successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge" (così Cass. civ., Sez. 1^, 23/06/1980, n. 3926; in termini analoghi v. anche Cass. civ., Sez. 1^, 14/09/1991, n. 9605).
Ne consegue che la curatela non può considerarsi nominalmente titolare della autorizzazione allo svolgimento dell'attività di gestione della discarica.
Esclusa, alla stregua dell'interpretazione qui accolta, la possibilità di configurare, in capo alla curatela, l'attribuzione di obblighi di gestione della fase post-operativa in conseguenza di un fenomeno successorio concernente i rapporti giuridici nella titolarità del fallito, occorre dunque verificare se, come sostenuto dal Procuratore generale, il subentro negli obblighi gestori, di natura prettamente conservativa, successivi alla cessazione dell'attività operativa dell'impianto di smaltimento, possa essere fondato su norme speciali.
A questo riguardo deve riconoscersi che alcune disposizioni, come quelle in materia di amianto, pongono sì degli obblighi specifici, anche in conseguenza della mera disponibilità di determinati beni, di svolgere attività volte ad eliminare talune fonti di pericolo per la salute pubblica, ma gli stessi non potrebbero evidentemente estendersi al di là di quanto espressamente previsto. In questo ambito sembra collocarsi il precedente giurisprudenziale di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068), citato, in maniera quindi non pertinente, dal Pubblico ministero di primo grado; precedente che, in realtà, riguardava una ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti altamente inquinanti prodotti da alcuni beni aziendali sui quali il curatore aveva poteri di amministrazione, rispetto al quale lo stesso giudice di legittimità ipotizzava un più corretto inquadramento nella fattispecie contemplata dal successivo art. 257, probabilmente anche in considerazione dei particolari obblighi previsti, in materia di amianto, dalla L. n. 257 del 1992, e dal relativo regolamento attuativo, i quali pongono specifici obblighi di sorveglianza in capo all'attuale detentore dei beni (v., in argomento, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 441/2015, che ha affermato la responsabilità del curatore fallimentare per la mancata bonifica di un sito inquinato da amianto).
Viceversa, negli altri casi, e dunque al di fuori di espresse previsioni normative, la possibilità che determinati obblighi originariamente incombenti sul responsabile o sul proprietario dell'area cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa (si pensi, ad es., agli obblighi di ripristino dello stato dei luoghi finalizzati alla rimozione di una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente), possano trasferirsi in capo alla curatela, presuppone, comunque, l'esistenza di un fenomeno successorio. E', questo, il caso degli adempimenti ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 192, comma 4, a mente del quale "qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni".
Su tali premesse, anche l'orientamento assolutamente prevalente in seno alla giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il potere, attribuito alla curatela, di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporti, necessariamente, il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.
Di qui, dunque, l'assenza di una cornice normativa di carattere generale diretta a disciplinare lo svolgimento di attività conservative nella fase post-operativa nel caso in cui il soggetto giuridico originariamente autorizzato allo svolgimento dell'attività gestoria sia venuto meno.
Nè, infine, un obbligo in capo alla curatela potrebbe fondarsi sul D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 13, le cui disposizioni si limitano ad affermare la responsabilità del gestore per tutte le fasi di gestione della discarica, ivi compresa quella post-operativa.
Tale principio, del tutto pacifico, presuppone, infatti, la preventiva attribuzione della qualifica soggettiva di gestore; ciò che, nel caso di specie, è appunto controverso e costituisce oggetto della complessa questione di diritto qui affrontata. In altri termini, il richiamo alle disposizioni del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 13, si risolve, nella sostanza, in una costruzione giuridica circolare, non riuscendo a dimostrare in alcun modo che il gestore, in capo al quale incombono gli obblighi di natura conservativa, debba essere identificato, in caso di fallimento del soggetto autorizzato, nel curatore.
Peraltro, ove anche si affermasse, secondo la tesi qui non condivisa, che la fonte degli obblighi comunicativi e delle attività conservative che ne costituiscano oggetto sia rinvenibile non nel provvedimento autorizzativo di gestione della discarica, quanto piuttosto in norme speciali, quale ad esempio il ricordato D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 13, si realizzerebbe una non consentita dilatazione della dimensione tipica della fattispecie incriminatrice, la quale verrebbe a ricomprendere, accanto alle condotte di inosservanza del provvedimento amministrativo, anche i comportamenti omissivi rispetto a determinate norme speciali. In questo modo, però, si realizzerebbe, a fronte della contestazione di specie, un procedimento interpretativo di natura sostanzialmente analogica il quale, ancorchè ispirato a comprensibili esigenze di tutela della salute pubblica, deve certamente ritenersi non consentito dai principi generali del sistema penale sostanziale, in quanto realizzato in mala partem.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2016