Cass. Sez. III n. 10259 del 9 marzo 2007 (Ud. 26 gen. 2007)
Pres. Papa Est. Lombardi Ric. Zito
Rifiuti. Ecopiazzole o Isole ecologiche

La c.d. «ecopiazzola»è un luogo dove viene effettuata attività di gestione dei rifiuti, e precisamente un centro di stoccaggio ai sensi del citato art. 183, lett. l), nel quale i rifiuti vengono accumulati lontano da luogo di produzione in attesa dello smaltimento o del recupero definitivi. In tale luogo, pertanto, si effettua attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o di attività di recupero, di modo che la gestione della piazzola doveva essere preventivamente autorizzata. La sua gestione senza la necessaria autorizzazione, quindi, lede l'interesse tutelato dalla norma di un controllo preventivo della pubblica amministrazione sulla gestione dei rifiuti.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Tivoli ha affermato la colpevolezza di Zito Vincenzo in ordine al reato di cui all’art. 51, comma 1, del D.L.vo n. 22/97, così diversamente qualificato il fatto ascrittogli, perché quale dirigente dell’ufficio comunale preposto alla gestione dei rifiuti solidi urbani effettuava un’attività di stoccaggio degli stessi in assenza della prescritta autorizzazione.

L’imputato, opponente a decreto penale, era stato tratto a giudizio in ordine al reato di cui all’art. 51, comma 3. del D.L.vo n. 22/97, ascrittogli per avere realizzato e gestito una discarica non autorizzata di rifiuti speciali su un terreno di proprietà del Comune di Montelibretti.

Il giudice di merito ha accertato in punto di fatto che l’ente locale aveva predisposto un’area dove era possibile per i cittadini trasportare e depositare rifiuti speciali, che successivamente, con cadenza mensile, venivano raccolti e trasportati da una ditta specializzata ai centri di smaltimento. La sentenza, esclusa l’esistenza di una discarica abusiva, ha qualificato il fatto ascritto all’imputato quale attività di stoccaggio dei predetti rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione, essendosi ritenuto che il fatto non era inquadrabile nella ipotesi del deposito temporaneo dei rifiuti stessi. Avverso la sentenza hanno proposto autonomi ricorsi i difensori dell’imputato.

 

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento comune ad entrambi i ricorsi si denuncia la inosservanza ed errata applicazione degli art. 178 e 521, comma secondo, c.p.p..

Si deduce, in sintesi, che l’imputato è stato condannato per un fatto diverso da quello di cui alla contestazione, con la conseguente violazione delle disposizioni citate, anche per non essere stati garantiti i diritti della difesa in relazione al fatto diverso ritenuto in sentenza, e, per l’effetto, si chiede dichiararsi la nullità della pronuncia.

Con il secondo mezzo di annullamento di cui al ricorso dell’Avv. Dinacci si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 178 c.p.p. e 141, comma 4 bis, disposizioni di attuazione al c.p.p.. Si deduce che l’imputato è stato condannato per un reato suscettibile di obiezione, sicché il giudice di merito avrebbe dovuto porre l’imputato in condizioni di esercitare la corrispondente facoltà ai sensi delle disposizioni citate.

Con l’ulteriore motivo di gravame comune ad entrambi i ricorsi si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 51, comma 1, del D.L.vo n. 22/97.

Si deduce, in sintesi, che il fatto ascritto all’imputato è stato erroneamente inquadrato dal giudice di merito nella ipotesi della stoccaggio di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione. Si osserva sul punto che il D.L.vo n. 22197 attribuisce alla competenza dei Comuni la gestione, in regime di privativa, dei rifiuti urbani ed assimilati, che viene disciplinata attraverso appositi regolamenti con i quali vengono stabilite le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti; che, pertanto, nel caso in esame l’ente locale aveva disposto l’accumulo dei rifiuti in un luogo determinato nell’esercizio dei poteri conferitigli dalla legge.

Si aggiunge che la raccolta dei rifiuti di cui alla contestazione avveniva all’interno di un’area che ospitava il magazzino comunale e che, in ogni caso, l’intero territorio comunale doveva essere considerato luogo di produzione dei rifiuti.

Con l’ultimo motivo di gravame di cui al ricorso dell’Avv. Ricci si denuncia la sentenza per manifesta illogicità della motivazione, deducendosi che l’imputato è stato condannato per il reato di cui all’art. 51, comma 1, del D.L.vo n. 22/97 sulla base del diverso accertamento afferente alla carenza dei titoli autorizzatori necessari per la gestione di una discarica.

Il ricorso non è fondato.

Osserva la corte in ordine al primo motivo di gravame che la contestazione afferente alla gestione di una discarica abusiva costituisce una fattispecie più ampia rispetto a quella avente ad oggetto il solo stoccaggio dei rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione, peraltro nello stesso luogo individuato dalla pubblica accusa quale sede della discarica, stante la sostanziale identità della condotta materiale con la quale vengono poste in essere entrambe le fattispecie contravvenzionali, fatte salve le differenze quantitative e temporali che caratterizzano la discarica rispetto al deposito temporaneo dei rifiuti.

Ed, infatti, secondo la definizione di cui all’art. 2, comma 1 lett. g), del D.L.vo 13 gennaio 2003 n. 36 costituisce “discarica”: “l’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna di luogo di produzione dei rifiuti adibito allo smaltimento dei medesimi da parte dei produttore degli stessi nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno....”

Non appare dubbio, pertanto, che, considerato il rapporto di continenza intercorrente tra la fattispecie di cui alla contestazione e quella meno grave ritenuta dal giudice di merito, nella specie non vi è stata violazione del principio di correlazione tra imputazione e affermazione della colpevolezza dell’imputato, né la violazione del diritto di difesa di quest’ultimo.

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Le sezioni unite di questa Suprema Corte hanno definitivamente risolto i contrasti interpretativi sorti in sede di legittimità con riferimento all’ipotesi in cui sia il giudice a qualificare diversamente il fatto con la sentenza, stabilendo che “in tema di estinzione del reato per oblazione, la disposizione di cui all’art. 141, comma quarto bis, disp. att cod. proc. pen., che prevede la rimessione in termini dell’imputato in caso di mcd jflca dell’originaria contestazione in altra per la quale sia ammissibile l’oblazione, non si applica al caso in cui la modifica dell’imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condannaa” (sez. un. 200607645, Autolitano ed altro, RV 233028).

Sicché nel caso in cui l’imputato non abbia formulato alcuna istanza di oblazione in relazione ad una diversa fattispecie di reato, eventualmente prospettandola quale subordinata tesi difensiva, per la quale l’applicazione del beneficio sia consentita, non può successivamente dolersi mediante i mezzi di impugnazione della mancata concessione di un termine per accedere alla definizione del reato con le predette modalità.

E’ ancora infondato il terzo motivo di gravame.

L’art. 21 del D.L.vo n. 22/97, come il corrispondente disposto di cui all’art. 198 del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, attribuisce ai comuni solo compiti di gestione, in regime di privativa, della raccolta e del trasporto dei rifiuti da avviarsi allo smaltimento, sicché esorbitano dalla competenza dei comuni le operazioni di smaltimento, nel cui novero rientrano le attività di stoccaggio dei rifiuti.

Le competenze in materia di programmazione ed organizzazione dello smaltimento dei rifiuti sono, invece, attribuite alle province dall’art. 20 del medesimo decreto legislativo (art. 197 del codice in materia ambientale).

Va, poi, rilevato che l’art. 6, comma I lett. m) (art 183 del codice in materia ambientale), nel disciplinare il deposito temporaneo dei rifiuti non effettua alcuna distinzione in relazione alla provenienza degli stessi.

Inoltre lo stesso art. 6, comma I lett. i), del D.L.vo n. 22/97 definisce “luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati fra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti.”

Tale definizione esclude che possa essere considerato luogo di produzione dei rifiuti di cui si tratta l’intero territorio comunale o l’area in cui è ubicato un magazzino comunale.

Sotto tale profilo, pertanto, il giudice di merito ha esattamente qualificato l’attività posta in essere quale stoccaggio di rifiuti e, cioè, di deposito preliminare in attesa del loro avvio allo smaltimento e, perciò, quale attività soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’allegato b) al d.lgs. 22/97, rientrando lo stoccaggio nella nozione di attività di smaltimento dei rifiuti stessi: “D15 Deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).”

Né, l’attività dì cui si tratta può essere confusa con quella del deposito dei rifiuti nei cassonetti da parte dei privati, in quanto quest’ultima costituisce solo una modalità dell’attività di raccolta dei rifiuti stessi.

Peraltro, la questione è stata già reiteratamente esaminata da questa Corte, secondo la quale: “l’attività di gestione dei rifiuti operata dal Comune nelle cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, ove i rifiuti vengono conferiti dai cittadini in modo differenziato, configura un deposito preliminare in vista dello smaltimento o una messa in riserva in vista del recupera, con la conseguente necessità della preventiva autorizzazione, la cui mancanza configura il reato di cui all’art. 51, comma primo, D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22.” (sez. III, 200534665, Rigetti, RV 232178; conf. sez. III, 200545084, Marino, RV 232353).

E’, pertanto, altresì manifestamente infondata la doglianza per illogicità della motivazione di cui all’ultimo motivo di ricorso sopra riportato, avendo il giudice di merito affermato la colpevolezza dell’imputato per avere effettuato attività di stoccaggio dei rifiuti senza la prescritta autorizzazione o non sulla base dell’accertamento della carenza di autorizzazione per l’esercizio di una discarica. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.