Cass. Sez. III n. 24079 del 18 giugno 2024 (CC 29 mag 2024)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. Serio
Rifiuti.Sequestro preventivo e divieto di facoltà d'uso

In presenza di un sequestro preventivo non può essere riconosciuta all’indagato alcuna facoltà d’uso del bene vincolato, poiché incompatibile con lo scopo della misura cautelare, volta a sottrarre fisicamente la cosa alla disponibilità del titolare

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16/1/2024, il Tribunale del riesame di Lecce rigettava l’istanza avanzata ex art. 322-bis cod. proc. pen. da Ennio Serio avverso l’ordinanza emessa il 13/12/2023 dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale con riguardo al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, lett. a), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 681, d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128.
2. Propone ricorso per cassazione il Serio, deducendo – con unico motivo - l'inosservanza o l'erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. ed il travisamento del fatto. In tema di periculum in mora, il Tribunale avrebbe rigettato la richiesta di autorizzazione all'utilizzo dell'impianto di frantumazione senza valutare che il decreto di sequestro preventivo riguarderebbe soltanto la cava di estrazione, non l'impianto stesso. Questo, in ogni caso, non richiederebbe alcun provvedimento autorizzatorio ai sensi dell’art. 208, comma 15, d. lgs. n. 152 del 2006, in quanto effettuerebbe esclusivamente riduzione volumetrica e separazione dalle frazioni estranee. Ancora sul tema del periculum, infine, si sottolinea, per un verso, che questo dovrebbe esser accertato in concreto e con carattere di imminenza, e, per altro verso, che l'autorizzazione all'utilizzo dell'impianto non inciderebbe affatto sulle esigenze di cautela relative alla cava, in quanto l'attività di frantumazione riguarderebbe soltanto materiali provenienti da altri siti e non dall'attività estrattiva sottoposta a sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. L’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce che per proporre impugnazione è necessario avervi interesse; la costante giurisprudenza di questa Corte interpreta la disposizione nel senso che tale interesse deve essere apprezzabile non soltanto nei termini dell’attualità, ma anche in quelli della concretezza, sì da non potersi risolvere nella mera aspirazione alla correzione di un errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata (Sez. U, n. 40049 del 29/5/2008, Guerra, Rv. 240815; successivamente, tra le altre, Sez. 5, n. 35722 del 29/4/2013, Vacca, Rv. 256950). La concretezza dell’interesse, peraltro, può esser ravvisata anche quando il gravame sia volto esclusivamente a lamentare la violazione astratta di una norma formale, purché da essa derivi un reale pregiudizio per i diritti dell’imputato, che si intendono tutelare attraverso il raggiungimento di un interesse non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 6203 del 11/5/1993, Amato, Rv. 193743).
4.1. Ancora in termini generali, poi, questa Corte ha costantemente affermato che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro – quale è il Serio, legale rappresentante della “Gruppo Trio s.p.a.” - è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (si veda, ex plurimis, Sez. 3, n. 47313 del 17/5/2017, Ruan, Rv. 271231, a mente della quale “l'articolo 322 del codice di procedura penale implica che i soggetti legittimati - "l'imputato ed il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione" - possano conseguire, a seguito del riesame, la restituzione del bene e che quest'ultimo, ontologicamente o in quanto appartenente ad un determinato soggetto, sia effettivamente stato sottoposto a vincolo con il provvedimento cautelare reale che si impugna”; in termini, tra le molte, Sez. 5, n. 22231 del 17/3/2017, Paltrinieri, Rv. 270132; Sez. 3, n. 9947 del 20/1/2016, Piances, Rv. 266713; Sez. 2, n. 50315 del 16/9/2015, Mokchane, Rv. 265463; Sez. 5, n. 20118 del 20/4/2015, Marenco, Rv. 263799).
4.2. Tanto premesso in termini generali, la Corte osserva che un tale interesse alla restituzione di quanto in sequestro non viene né allegato né, tantomeno, provato nel caso di specie, limitandosi di fatto il ricorrente – che agisce in proprio, non nella veste di legale rappresentante della società – a rivendicare ex se il legame tra la qualità di soggetto indagato e la legittimazione ad impugnare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen.; quel che, tuttavia, non risulta sufficiente ad assegnargli tale legittimazione, in forza di quanto appena richiamato, non potendo ciò solo consentire il risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale, ossia la restituzione di un bene nella titolarità di un diverso soggetto, nella specie una società di capitali.
4.3. Soltanto quest’ultima, dunque, avrebbe potuto proporre istanza di riesame, a tal fine munendo il difensore di procura speciale; il decreto di sequestro preventivo, infatti, è stato emesso nei confronti del Serio non quale persona fisica, ma quale legale rappresentante della società, ed il vincolo ha avuto ad oggetto esclusivamente beni di quest’ultima, come l’impianto in oggetto.
4.4. Il Serio quale persona fisica, pertanto, non aveva interesse ad impugnare il provvedimento, né, in questa sede, risulta legittimato a proporre ricorso per cassazione.
5. Tale impugnazione – che concerne soltanto il periculum in mora - risulta comunque inammissibile anche nel merito, perché non si confronta affatto con la solida motivazione stesa dal Tribunale sulle medesime questioni, della quale non sono neppure menzionati gli argomenti a fondamento; una motivazione che, pertanto, non consente di riconoscere la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. né il travisamento della prova denunciati.
6. In primo luogo, ed in termini generali, va ribadito che in presenza di un sequestro preventivo non può essere riconosciuta all’indagato alcuna facoltà d’uso del bene vincolato, poiché incompatibile con lo scopo della misura cautelare, volta a sottrarre fisicamente la cosa alla disponibilità del titolare (tra le molte, Sez. 3, n. 2296 del 6/12/2019, Borrata, Rv. 278020).
6. Nello specifico, poi, il Collegio osserva che l'ordinanza ha rigettato l'istanza (ancora proposta dal Serio solo in proprio) di autorizzazione all'utilizzo dell'impianto di frantumazione impiegando materiali acquisiti da siti esterni alla cava in sequestro, evidenziando che lo stesso impianto - parte integrante dell'attività estrattiva - può essere utilizzato soltanto se quest'ultima sia sostenuta da un titolo legittimante: ebbene, il ricorrente risultava pacificamente decaduto da tale titolo sin dal 9/4/2018, come da determinazione dirigenziale della Regione Puglia n. 101/2018, e l'attività estrattiva era stata oggetto di un ordine di sospensione (contenente anche l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi) con provvedimento del 10/6/2021. Già il 20/5/2021, peraltro, il Servizio Attività Estrattive della Regione Puglia aveva trasmesso al Comune di Lecce una nota con la quale comunicava la decadenza dai titoli legittimanti l'esercizio dell'attività estrattiva nel sito in esame.
6.1. Di seguito - e con solido argomento ancora del tutto assente nel ricorso – il Tribunale ha evidenziato che l'utilizzo dell'impianto di frantumazione con materiali provenienti da altri siti (quel che richiede il Serio) necessita, oltre al titolo abilitativo all'attività di estrazione della cava, di numerosi altri atti e comportamenti del tutto omessi dall’indagato (atti di assenso e pareri previsti dalla normativa in materia, tra cui il nullaosta del Comune territorialmente competente; varianti al progetto di coltivazione della cava e di recupero dei materiali con indicazione dell'uso alternativo dell'impianto; adozione delle misure di sicurezza necessarie ad evitare interferenze tra l'attività interna e quella esterna alla cava; aggiornamento del documento di sicurezza e salute, eventualmente coordinato, dal quale si evinca il cambio di destinazione dell'impianto, da uso interno ad uso esterno della cava). Ebbene, come affermato nell'ordinanza e non contestato nel ricorso, il Serio risultava privo non solo dei titoli legittimanti l'attività estrattiva della cava, compresa quella di frantumazione che ad essa è strumentale, ma anche di ogni altra autorizzazione necessaria all'utilizzo dell'impianto di frantumazione con materiali inerti da demolizione provenienti da siti esterni; con la significativa precisazione, peraltro, che allo stesso ricorrente è contestato l'utilizzo abusivo dell'impianto anche con riferimento a materiali inerti non provenienti dalla cava, come ben emerge dal capo di imputazione provvisorio.
5. In forza di queste considerazioni, tutt'altro che generiche o astratte come invece denunciato, il Tribunale ha quindi concluso sia per l'esistenza del periculum di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sia, a monte, della radicale assenza dei presupposti per l'esercizio legittimo dell'attività di frantumazione di materiali esterni; con riguardo ai quali, peraltro, l'ordinanza ha evidenziato anche l'assenza della prova di acquisto. 
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024