Cass. Sez. III n. 11065 del 30 marzo 2022 (UP 21 dic 2021)
Pres. Di Nicola Est. Zunica Ric. Levani
Rifiuti. Sottoprodotto e onere probatorio

In materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, a un ulteriore utilizzo; in definitiva, venendo in rilievo una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, la dimostrazione della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività è carico dell’imputato.


RITENUTO IN FATTO

          1. Con sentenza del 24 settembre 2020, resa a seguito di annullamento da parte di questa Corte (sentenza n. 12056 del 19 febbraio 2020) della precedente declaratoria di tardività dell’impugnazione, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del 27 marzo 2019, con cui il Tribunale di Macerata, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato Nelson Levani alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 2 e giorni 20 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 256, comma 2, in relazione al comma 1 lett. a, del d. lgs. n. 152 del 2006; tale reato era stato ascritto all’imputato perché, in qualità di titolare della “Vlorafer di Levani Nelson” e in violazione dell’art. 192, comma 1, del medesimo decreto legislativo, abbandonava rifiuti speciali non pericolosi, tra cui rottami ferrosi, ceneri derivanti da combustione, una batteria esausta per muletto e imballaggi metallici, per un totale di 820 chilogrammi, nell’area adiacente al capannone all’interno del quale veniva svolta l’attività di impresa; fatto accertato in Montelupone il 2 ottobre 2015.
           2. Avverso la sentenza della Corte di appello marchigiana, Levani, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
         Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza del ricorrente da parte della Corte di appello, che si sarebbe sottratta al suo compito di giudice di merito, mancando di confrontarsi con i rilievi difensivi, con i quali era stato sottolineato che i materiali ferrosi rinvenuti nella Guardia di Finanza erano riconducibili alla categoria non dei rifiuti, ma dei “sottoprodotti”, essendo destinati al mercato del recupero dei rottami ferrosi, mentre la quantità di ceneri e residui di combustione, essendo minima, non aveva alcuna rilevanza penale.
Del resto, osserva la difesa, il d. lgs. n. 152 del 2006 non prevede fattispecie che contemplano la punizione del mero “disordine” nella conduzione dell’attività di impresa, ma muove da definizioni e classificazioni ben precise, tali da escludere che il materiale rinvenuto all’esterno dell’opificio dove Levani esercitava l’attività di fabbro fossero rifiuti: si trattava infatti di materie prime e di scarti di lavorazione che avevano possibilità di riutilizzo, per cui non si era in presenza di rifiuti, se non per quantitativi esigui (10 kg. di cenere), che in ogni caso erano custoditi in un’area attigua all’opificio, recintata e chiusa con cancello.
         Con il secondo motivo, la difesa, nel ribadire i profili di censura già evidenziati circa il travisamento della prova e l’erronea applicazione della legge penale (non si trattava di rifiuti ma di materiali semilavorati o in riparazioni o riutilizzabile che non erano in stato di abbandono), rileva che, nella subordinata ipotesi che una parte residuale di quei materiali consistesse effettivamente in rifiuti, l’imputato appariva certamente meritevole dell’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen.
        3. Con memoria del 15 dicembre 2021, il difensore di Levani, nel replicare alle conclusioni del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendone ulteriormente le argomentazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve ritenersi che, a differenza di quanto dedotto dalla difesa, l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto non presta il fianco alle censure difensive.
E invero le due conformi decisioni di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un corpus motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata ricostruzione della vicenda storica, richiamando in primo luogo gli esiti dell’attività investigativa compiuta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Macerata il cui personale, il 2 ottobre 2015, si recava presso la sede della ditta “Vlorafer” di Nelson Levani, esercente attività di lavorazioni in ferro, con sede in Montelupone contrada Molino n. 1, per un controllo in materia ambientale.
Nel corso del sopralluogo, svoltosi alla presenza di Levani, venivano rinvenuti dalla P.G. notevoli quantitativi di rifiuti abbandonati a terra, consistenti in rottami ferrosi e non, pneumatici usati, ceneri derivanti da combustione, imballaggi metallici, un cassone in metallo contenente rifiuti in parte combusti, una batteria esausta di muletto e un apparecchio elettrico fuori uso, per un totale di circa 800 kg. di rifiuti posti su una superficie di circa 300 mq.
Alla luce di tali risultanze, il giudice monocratico perveniva alla condanna dell’imputato, ritenendo configurabile a suo carico il reato di abbandono di rifiuti, tranne che con riferimento agli pneumatici usati (per tale segmento di condotta interveniva assoluzione perché il fatto non sussiste), avendo il Tribunale ritenuto plausibile per essi la spiegazione dell’imputato secondo cui gli pneumatici erano relativi a un suo automezzo, essendo infatti accatastati in ordine.
Quanto agli altri oggetti, il giudice di primo grado ha escluso che si fosse in presenza di un deposito temporaneo, essendosi in presenza di rifiuti non divisi per categorie omogenee, ma confusi tra loro in modo casuale e disordinato.
Tale impostazione è stata legittimamente condivisa dalla Corte di appello che, nel richiamare gli esiti del controllo di P.G., ha sottolineato, al fine di ribadire la qualità di rifiuto dei rottami e degli altri oggetti rinvenuti nell’area esterna all’opificio, il fatto che tali beni erano stati collocati sulla nuda terra in maniera promiscua e senza protezione ed erano quindi esposti alle intemperie, mancando in ogni caso eventuale documentazione relativa a un eventuale conferimento.
Il giudizio sulla configurabilità del reato di abbandono di rifiuti appare dunque immune da censure, essendo rimaste assertive le affermazioni difensive circa un eventuale riutilizzo dei rottami, per cui la disciplina dei sottoprodotti non risulta invocabile; al riguardo deve richiamarsi la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262129 e Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Rv. 263336), secondo cui, in materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, a un ulteriore utilizzo; in definitiva, venendo in rilievo una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, la dimostrazione della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività è carico dell’imputato.
Tale onere probatorio non è stato adempiuto nel caso di specie (non solo per le ceneri, ma anche per gli altri rifiuti diversi dai pneumatici) per cui, alla luce degli accertamenti fattuali cristallizzati nelle sentenze di merito, rispetto ai quali non si ravvisano profili di travisamento del fatto, non vi è spazio per l’accoglimento delle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici.
A ciò deve solo aggiungersi che la Corte di appello, pur se in sintesi, non ha mancato di confrontarsi con le obiezioni difensive, integrando i temi già trattati dal primo giudice con considerazioni sufficientemente autonome e critiche.
       2. Passando al secondo motivo, deve infine rilevarsi che anche le censure riferite al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. appaiono meritevoli di accoglimento.
Ed invero, in senso ostativo al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, la Corte territoriale ha rimarcato l’ingente quantitativo di rifiuti speciali (circa 800 kg.) sparsi in evidente stato di abbandono su un’area molto estesa (300 mq.), ciò a riprova del pericolo concreto cui era stato esposto il patrimonio ambientale.
Orbene, in quanto sorretto da argomentazioni non manifestamente illogiche, il percorso motivazionale seguito dai giudici di secondo grado non presenta vizi di legittimità, avendo del resto questa Corte chiarito (Sez. 3, n. 50782 del 26/09/2019, Rv. 277674), proprio con riferimento a una fattispecie in tema di abbandono di rifiuti, che, ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l’offesa, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità, profilo questo che nel caso di specie è stato escluso con un giudizio ancorato a criteri oggettivi di non trascurabile pregnanza.
Di qui la manifesta infondatezza delle obiezioni difensive, con le quali peraltro sono state riproposte, in ordine a tale aspetto, questioni prevalentemente fattuali, che invero non sono deducibili in sede di legittimità.
3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di Levani va dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/12/2021