Precetti per classificare i rifiuti con codici a specchio

di Mauro SANNA

Se si considerano i diversi punti della recente sentenza della Corte di Cassazione( Cass. Sez. III n. 42788 del 21 novembre 2019 – Ud. 9 ott 2019) essa per un tecnico risulta rilevante più che per il suo contenuto giuridico per il messaggio precettivo e nel contempo didascalico che essa contiene. La sentenza infatti non fa che riproporre, a volte tal quali altre parafrasandoli, i principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia Europea (Decima Sezione) del 28 marzo 2019 ai quali il tribunale del riesame si dovrà attenere nel valutare, nel procedimento in discussione, le caratterizzazioni dei rifiuti svolte dai produttori e dai detentori per assegnare il codice CER che gli competeva. Questa sentenza però per il suo contenuto oltre che nel caso in esame costituirà anche un riferimento per i futuri casi analoghi che saranno discussi nei tribunali. In essa infatti sono elencati i comportamenti univoci da osservare per procedere alla individuazione del codice CER che compete ad un rifiuto nel caso che esso non sia classificato nel catalogo Europeo dei Rifiuti con codici assoluti ma con codici speculari.
Ai principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia Europea, però, prima dei giudici dei tribunali, si dovranno attenere in futuro i tecnici che procederanno alla caratterizzazione dei rifiuti individuati con codici a specchio ai fini di pervenire alla loro classificazione con il codice CER che gli compete. E’ importante quindi esaminare approfonditamente il contenuto della sentenza della suprema Corte nella sua integrità, rifacendosi quando necessario anche alla sentenza della Corte di giustizia Europea, la quale come ricorda anche la suprema Corte: “è vincolante per il giudice nazionale remittente (e per gli altri giudici chiamati a decidere nei diversi gradi di giudizio) ai fini della soluzione della controversia principale quanto all’interpretazione delle disposizioni comunitarie nei termini definiti dalla stessa”. Perciò si tenterà qui di seguito di isolare i “precetti” in essa contenuti valutando anche le reali possibilità di attuazione perché essi non rimangono solo ipotesi astratte e costituendo così delle giustificazioni per comportamenti ambigui ed inconcludenti.

Punto 3 parte I

(……..) “Rileva poi la Corte di giustizia (punti 38, 39 e 40), richiamato l’art. 7, par. 1, della direttiva 2008/98, che, nel caso in cui non sia immediatamente nota la composizione di un rifiuto che potrebbe rientrare tra quelli classificabili con codici speculari, è obbligo del detentore, in quanto responsabile della gestione, raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di attribuire a tale rifiuto il codice appropriato.

Evidenzia poi (punto 41) le responsabilità in cui incorrerebbe il detentore “qualora successivamente risulti che tale rifiuto è stato trattato come rifiuto non pericoloso, malgrado presentasse una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98”. Fatta tale premessa, i giudici europei illustrano (punti 42 e 43) i diversi metodi per raccogliere dette informazioni, richiamando, oltre a quelli indicati alla rubrica intitolata «Metodi di prova» di cui all’Allegato III della direttiva 2008/98, la possibilità di fare riferimento: 1) alle informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che «generano rifiuti» nonché sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti; 2) alle informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto prima che questi diventassero rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette del prodotto o schede di prodotto; 3) alle banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri; al campionamento e all’analisi chimica dei rifiuti, evidenziando, con riferimento a tale ultimo punto, che analisi chimica e campionamento devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività (punto 44). “

A) E’ obbligo del produttore individuare il codice CER che compete al rifiuto, codice che accompagnerà il rifiuto per tutta la sua vita in tutte le operazioni che lo interesseranno fino allo smaltimento finale. Esso dovrà essere però noto e condiviso da tutti gli operatori che procederanno alla sua gestione e che assumeranno la qualifica di detentori nel corso delle operazioni di gestione di cui il rifiuto sarà oggetto e che per conoscerlo, confermarlo ed accettarlo dovranno rifarsi in prima istanza alle conoscenze fornite dal produttore, procedendo essi stessi se necessario ad accertare e confermare la sua composizione. E’ infatti obbligo anche del detentore del rifiuto classificato con codici speculari, nel caso in cui non sia immediatamente nota la sua composizione, di acquisire una conoscenza sufficiente così da utilizzare per tale rifiuto il codice appropriato.
B) Le informazioni utili a determinare la composizione del rifiuto da classificare devono essere raccolte oltre che con i metodi indicati alla rubrica intitolata «Metodi di prova» di cui all’ Allegato III della direttiva 2008/98 anche facendo riferimento ad altre informazioni considerate utili per acquisire una conoscenza sufficiente della composizione del rifiuto. Fonti e informazione utili a questo fine, sono considerate: 1) informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che «generano rifiuti» nonché sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti; 2) informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto prima che questi diventassero rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette del prodotto o schede di prodotto; 3) banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri;

4) campionamento e analisi chimica dei rifiuti. E’ perciò previsto giustamente che per individuare il codice corretto del rifiuto, prima di procedere alla sua caratterizzazione chimica, spesso costosa e complicata, sia definita la sua esatta origine, individuando il processo e le sostanze chimiche che intervengono in esso ed il prodotto che si doveva ottenere, facendo riferimento a tal fine alle schede di sicurezza ed alle banche dati. Purtroppo questa strada per molti rifiuti non è percorribile, in quanto non esistono schede di sicurezza e notizie raccolte in banche dati, perché fondamentalmente per essi non esiste un processo noto ed univoco da cui si origina il rifiuto. Basti ad esempio pensare ad un percolato di una discarica destinata a ricevere svariati tipi di rifiuti oppure ad un fango di depurazione di un impianto di smaltimento o di un impianto consortile a cui pervengono svariati tipi di reflui, o infine alle ceneri di combustione di rifiuti provenienti da un inceneritore. Vi sono però anche altri casi, come quando il rifiuto origina da un processo industriale definito, di cui si conoscono le materie prime impiegate ed il prodotto che da esso si ottiene, nei quali sarà comunque estremamente difficile poter conoscere su questa base il rifiuto che si produce, perché esso, proprio per la sua natura di scarto di produzione, avrà una composizione ben diversa da quella delle materie prime impiegate e del prodotto finito. Infatti, certamente anche in questo caso non vi saranno schede di sicurezza a cui riferirsi, né dati analitici disponibili, pertanto come nei casi precedenti per conoscere la composizione si dovrà procedere al campionamento ed alla analisi del rifiuto da classificare. Di fatto le schede di sicurezza e le banche dati, potranno essere un utile riferimento e uno strumento idoneo quando il rifiuto da classificare sia un prodotto obsoleto non più utilizzabile cioè un materiale fuori specifica purché comunque la sua composizione sia rimasta immutata, altrimenti anche in questo caso la strada delle banche dati non sarà né funzionale né utile alla classificazione.
C) Comunque quando si faccia ricorso al campionamento ed alle analisi chimiche essi devono offrire garanzie di efficacia in relazione all’obiettivo da raggiungere ed essere rappresentative garantendo quindi risultati utili alla classificazione e condivisibili. In merito ai metodi da utilizzare la Corte di Giustizia, come specificato al successivo punto G) ha ricordato quelli che è possibile impiegare per la caratterizzazione.

Punto 3 parte II

“Viene poi ulteriormente specificato (punti 45 e 46), premettendo che l’analisi, pur dovendo consentire al detentore del rifiuto di conoscerne in maniera sufficiente la composizione per verificarne l’eventuale pericolosità, come nessuna disposizione comunitaria legittimi un’interpretazione secondo cui l’oggetto dell’analisi si risolva nella necessità di verificare l’assenza nel rifiuto di qualsiasi sostanza pericolosa, obbligando il detentore a rovesciare una presunzione di pericolosità del rifiuto medesimo. Si aggiunge, poi, che sempre alla luce delle disposizioni comunitarie, se da un lato al detentore del rifiuto non possono essere imposti obblighi irragionevoli, sia dal punto di vista tecnico che economico, dall’altro questi, pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto, ha comunque l’obbligo di ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi, non avendo alcun margine di discrezionalità a tale riguardo.”

D) Le analisi da svolgere non devono essere tali da dimostrare l’assenza nel rifiuto di qualsiasi sostanza pericolosa ma devono consentire al detentore di conoscerne in maniera sufficiente la composizione perché sia in grado di verificarne l’eventuale pericolosità, ricercando le sostanza pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi, il detentore infatti non ha alcun margine di discrezionalità a tale riguardo. La caratterizzazione quindi non deve essere finalizzata a ricercare tutte le possibili sostanze pericolose ma deve avere come obiettivo la determinazione della composizione del rifiuto in modo sufficiente a stabilire se in esso siano presenti o meno sostanze pericolose. E’ evidente quindi che la caratterizzazione di un rifiuto non deve costituire una caccia alle sole sostanze pericolose, ma deve essere finalizzata ad ottenere la conoscenza della sua composizione individuando così le sostanze in esso presenti. Tale caratterizzazione sarà tanto più completa ma allo stesso tempo semplice e semplificata quante più saranno le informazioni disponibili sul rifiuto da classificare che ne garantiscano a priori una conoscenza sufficiente per determinarne la sua composizione. Diversamente la caratterizzazione sarà tanto più complessa ed approfondita quanto minori sono le conoscenze riguardanti il rifiuto che si sono acquisite con le indagini preliminari sopra illustrate.

Punto 3 parte III

“La sentenza in esame, inoltre, evidenzia (punto 47) come l’interpretazione offerta trovi conferma nella comunicazione della Commissione del 9 aprile 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti, pur non tenendone formalmente conto nel formulare la risposta alle questioni pregiudiziali prospettate in quanto successiva ai fatti di causa ed in considerazione della natura penale dei procedimenti e sia conforme anche al principio di precauzione (punto 48), osservando come dalla giurisprudenza comunitaria risulti che una misura di tutela quale la classificazione di un rifiuto come pericoloso s’impone soltanto nel caso in cui, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, sussistano elementi obiettivi che dimostrano che una siffatta classificazione è necessaria“

E) In considerazione del fatto che l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia Europea trova conferma nella comunicazione della Commissione del 9 aprile 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti, per procedere alla classificazione dei rifiuti individuati con codici speculari per il futuro sarà perciò utile fare riferimento a tale documento. E’ evidente che questo monito è utile sia per i tecnici che devono procedere alla classificazione di un rifiuto con codice a specchio per i quali costituisce una utile guida sulle procedure da adottare per pervenire alla sua corretta classificazione, ma è anche utile come documento di riferimento per chi deve giudicare se la procedura adottata per classificare un rifiuto sia stata corretta ed adeguata allo scopo che si doveva perseguire.
F) La classificazione di un rifiuto come pericoloso dovrà tenere conto delle sue caratteristiche di pericolo e quindi dei rischi obbiettivi che la gestione di un tale rifiuto comporta. Si dovrà perciò considerare, ad esempio, se l’adozione di un codice CER non pericoloso per un rifiuto a cui invece compete il codice CER pericoloso comporti che esso pervenga in un impianto di smaltimento progettato per rifiuti non pericolosi che quindi non è dotato dei requisiti ambientali e delle misure di sicurezza adeguati per riceverli con la conseguenza non solo di rischi per l’ambiente che non è sufficientemente tutelato da quel tipo di impianto quando in esso sono conferiti rifiuti non ammissibili ma anche per la sicurezza degli operatori non dotatati di mezzi di protezione idonei per la gestione di rifiuti pericolosi. La classificazione di un rifiuto come pericoloso s’impone quando sussistano elementi obiettivi che dimostrano che una siffatta classificazione è necessaria anche in considerazione della valutazione dei rischi sottesi ad una classificazione errata.

Punto 3 parte IV

“La Corte di giustizia prosegue poi (punti 49, 50, 51) indicando le modalità di valutazione delle caratteristiche di pericolo del rifiuto cui il detentore deve provvedere, richiamando l’Allegato III della direttiva 2008/98 e la decisione 2000/532, precisando (punto 52) che anche se il legislatore comunitario non ha ancora armonizzato i metodi di analisi e di prova, ciò nonostante entrambi rinviano al regolamento n. 440/2008 e alle note pertinenti del CEN, nonché, dall’altro, ai metodi di prova e alle linee guida riconosciuti a livello internazionale e che (punto 53) tale rinvio, secondo quanto risulta dalla rubrica intitolata «Metodi di prova» dell’allegato III della direttiva 2008/98, non esclude che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale.”
G) Per la caratterizzazione dei rifiuti e quindi per la verifica se essi presentino le caratteristiche di pericolo, oltre che i metodi di analisi e di prova, a cui rinvia il regolamento n. 440/2008 e alle note pertinenti del CEN si potrà fare riferimento ai metodi di prova e alle linee guida riconosciuti a livello internazionale e tale rinvio, secondo quanto risulta dalla rubrica intitolata «Metodi di prova» dell’allegato III della direttiva 2008/98, non esclude che possano essere presi in considerazione anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale. Di fatto quindi non vi è alcun vincolo relativamente ai metodi di campionamento o di analisi da impiegare nella caratterizzazione di un rifiuto, infatti oltre ai diversi metodi riconosciuti a livello di UE si potrà fare riferimento in generale ai metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale.

Punto 3 parte V

“La sentenza in esame prende poi in considerazione la questione concernente la applicabilità del principio di precauzione, richiamando (punto 57) la propria giurisprudenza, secondo cui l’applicazione corretta di tale principio presuppone tanto l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per l’ambiente che i rifiuti possono determinare, quanto una valutazione complessiva del rischio per l’ambiente fondata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale, ricordando (punto 58) che nel caso in cui sia impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio in conseguenza della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per l’ambiente nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive, purché esse siano non discriminatorie e oggettive“
H) Nella classificazione di un rifiuto, nel caso in cui sia impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio in conseguenza della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, si può tenere conto del principio di precauzione che giustifichi l’adozione di misure restrittive, quando ricorrano le seguenti condizioni: – persista la probabilità di un danno reale per l’ambiente nell’ipotesi in cui il rischio si realizzi valutandolo sulla base di dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale; – si individuino le conseguenze potenzialmente negative per l’ambiente che i rifiuti possono determinare; – le misure restrittive adottate non siano discriminatorie ma oggettive, Pertanto per tenere conto del principio di precauzione, in relazione al caso specifico che coinvolge la classificazione di un rifiuto, si dovrà considerare sia il rischio rappresentato dalle conseguenze potenzialmente negative per l’ambiente che i rifiuti possono determinare sia i dati scientifici disponibili a cui in proposito ci si può riferire, come ad esempio nel caso sopra riportato al punto F), relativo all’uso improprio di un impianto di smaltimento per rifiuti non pericolosi utilizzato per smaltire rifiuti pericolosi conferiti fraudolentemente con un codice errato.

Punto 3 parte VI

“Al richiamo della giurisprudenza segue poi (punto 59) un richiamo all’art. 4, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2008/98, il quale stabilisce che gli Stati membri devono tener conto non soltanto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente di precauzione e sostenibilità, ma anche della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali, con la conseguenza che il legislatore dell’Unione, nel settore specifico della gestione dei rifiuti, ha effettuato un bilanciamento tra principio di precauzione, fattibilità tecnica e la praticabilità economica, affinché i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze. Conseguentemente, osservano i giudici europei (punto 60), una misura di tutela come la classificazione di un rifiuto mediante attribuzione, se pericoloso, di codici a specchio, è necessaria qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di tale rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che detto rifiuto presenta, sebbene (punto 61) tale impossibilità pratica non possa derivare dal comportamento del detentore stesso del rifiuto.”
I) I detentori dei rifiuti non sono obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possono limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze, questo al fine di garantire da una parte la protezione dell’ambiente e dall’altra la fattibilità tecnica e la praticabilità economica. Si ribadisce che la caratterizzazione di un rifiuto non ha come obiettivo la determinazione di tutte le sostanze pericolose ma è finalizzata a verificare quali siano le caratteristiche di pericolo che competono al rifiuto da classificare ed a questo fine sarà sufficiente determinare le sostanze pericolose in esso contenute, obbligo che può considerarsi soddisfatto con la conoscenza della composizione del rifiuto. Infatti i termini ragionevole e sufficiente utilizzati nella Sentenza si conciliano tra di loro considerandoli complementari, in quanto il “ragionevole” deve riferirsi all’aspetto qualitativo della caratterizzazione, nel senso che le sostanze ricercate devono essere coerenti con l’origine del rifiuto e con le informazioni acquisite, per le quali appunto non vi è alcun margine di discrezionalità, mentre, il termine “sufficiente” è da riferirsi all’aspetto quantitativo della caratterizzazione, cioè la quantità di sostanze identificate dovrà essere tale da garantire la conoscenza della composizione del rifiuto e quindi permettere la verifica se in esso siano contenute o meno sostanze pericolose.
L) Nel procedere alla classificazione di un rifiuto come pericoloso nel caso non fosse possibile stabilire la sua composizione, si dovrà tenere conto oltre che di questa impossibilità anche dei rischi che comporterebbe l’utilizzo di in codice non pericoloso. A riguardo valgono le considerazioni svolte già al punto F).

Infatti, come chiaramente enunciato nella sentenza della Corte di Giustizia, (punto 62) ma non chiaramente espresso nella sentenza della Cassazione: “qualora (…) il detentore di un rifiuto che può essere classificato con codici speculari si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.“ (punto 62).

Quando il detentore di rifiuto si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare la caratteristica di pericolo che esso presenta, fermo restando che tale impossibilità pratica non derivi dal comportamento del detentore stesso, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, una misura di tutela sarà perciò quella di attribuire al rifiuto il codice a specchio pericoloso.

Punto 5

In realtà la sentenza della Corte di giustizia ha offerto, ad avviso del Collegio, una illustrazione estremamente chiara degli obblighi del detentore del rifiuto che non si limita a mere affermazioni, offrendo, invece, anche specifiche indicazioni sulle modalità con le quali deve assolversi a tali obblighi e sulle conseguenze all’inosservanza degli stessi, certamente valutabili anche in sede penale. Inoltre, il riferimento alle garanzie di efficacia e rappresentatività che devono essere offerte dal campionamento e dall’analisi chimica, nonché la radicale esclusione di alcun margine di discrezionalità in capo al detentore del rifiuto, al quale, tuttavia, non possono essere imposti obblighi insensati sotto il profilo tecnico ed economico, non previsti da alcuna disposizione comunitaria, sancisce, inequivocabilmente, la fallacia delle due tesi interpretative che si sono contrapposte nel corso degli anni e comunemente individuate come “tesi della probabilità” e “tesi della certezza” già ritenute non condivisibili da questa Corte nell’ordinanza di rimessione.
M) Il campionamento e l’analisi chimica, devono dare garanzie di efficacia e rappresentatività ed il detentore nella scelta delle sostanze da ricercare ed identificare non ha alcun margine di discrezionalità ed esse devono essere coerenti con l’origine del rifiuto e con le informazioni acquisite, tuttavia, poiché egli non può sottostare ad obblighi insensati sotto il profilo tecnico ed economico, potrà limitarsi nella caratterizzazione a ricercare ed identificare, una quantità di sostanze tale da garantire la conoscenza della composizione del rifiuto e quindi permettere la verifica se in esso siano contenute o meno sostanze pericolose. E’ evidente quindi che se da una parte una caratterizzazione non può concretizzarsi nella ricerca di tutte le sostanze pericolose essa però dovrà essere comunque adeguata ad individuare le sostanze pericolose che sono presenti nel rifiuto da caratterizzare così da garantire che esse siano effettivamente assenti e che esso possa essere classificato come non pericoloso.

Punto 9 I parte

 (……..). ” Va certamente esclusa la “presunzione di pericolosità” nei termini in cui vi si riferisce il Pubblico Ministero ricorrente ed il conseguente obbligo per il detentore del rifiuto di dimostrarne, attraverso analisi, la non pericolosità, dovendo in alternativa classificare comunque il rifiuto come pericoloso ostandovi, in maniera evidente, quanto indicato dai giudici di Lussemburgo nel punto 45 della sentenza. Non può inoltre condividersi, sempre alla luce di quanto evidenziato dalla Corte di giustizia, il rilievo esplicitamente attribuito dal Tribunale al mancato espletamento, da parte degli inquirenti, di attività di analisi volta a dimostrare la pericolosità del rifiuto, accollando ad essi un dovere che la pronuncia pregiudiziale esclude, attribuendo al detentore del rifiuto (e non dunque, soltanto al produttore, che pure tale qualifica riveste), quando la composizione del rifiuto potenzialmente pericoloso non sia immediatamente nota, l’onere di raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di attribuire a tale rifiuto il codice appropriato (punto 40).”

N) L’analisi chimica di un rifiuto deve, consentire al suo detentore di acquisire una conoscenza sufficiente della composizione di tale rifiuto al fine di verificare se esso presenti una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98 ma non per questo il detentore deve verificare l’assenza, nel rifiuto, di qualsiasi sostanza pericolosa. L’obiettivo della caratterizzazione infatti non è quello di dimostrare che il rifiuto non è pericoloso ma è quello di rendere nota la sua composizione così da evidenziare le sostanze effettivamente presenti in esso.
O) Quando la composizione del rifiuto non è immediatamente nota, non è compito degli inquirenti, svolgere attività di analisi, destinate a dimostrare la pericolosità del rifiuto, ma questo è invece compito oltre che del produttore del rifiuto anche del suo detentore, a questi soggetti compete l’onere di raccogliere le informazioni idonee, procedendo se necessario alla sua caratterizzazione, così da acquisire una conoscenza sufficiente della sua composizione per attribuire al rifiuto il codice appropriato.

Punto 9 II parte

“Contrastano con le affermazioni del Tribunale anche le ulteriori precisazioni della Corte europea, laddove si esclude ogni margine di discrezionalità in capo al detentore del rifiuto circa la natura dell’accertamento, in quanto, sebbene non obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa egli deve comunque ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi. Va peraltro osservato che la sentenza della Corte di giustizia, tanto nella risposta ai primi tre quesiti, quanto nella motivazione, porta ad escludere radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità. In altre parole, ritiene il Collegio che il necessario riferimento della Corte europea, in precedenza richiamato, all’impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente, non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato. La raccolta delle informazioni, inoltre, va necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica, le quali, come espressamente indicato (punto 44), devono peraltro offrire garanzie di efficacia e rappresentatività. Ciò porta anche a ritenere non condivisibile, ad avviso del Collegio, l’affermazione del Tribunale secondo cui “l’analisi dei rifiuti ‘a specchio’, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo” in quanto riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia. Quanto al principio di precauzione, la Corte di giustizia ne ha delimitato l’ambito di applicazione nei termini in precedenza ricordati.”
P) Quindi gli unici riferimenti per procedere ad una caratterizzazione adeguata sono gli elementi acquisiti sull’origine e la composizione del rifiuto. La ricerca delle sostanze presenti potrà trarre giustificazione solo da queste notizie acquisite e quindi la loro scelta non potrà essere né arbitraria né discrezionale ma non per questo il detentore sarà obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa, ma egli deve comunque ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi.
Q) Se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota, condizione che non rende necessari il campionamento e l’analisi, il detentore deve raccogliere informazioni secondo la metodologia sopra specificata, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza della sua composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato.
R) Proprio perché l’obiettivo come detto non è quello di dimostrare che il rifiuto non è pericoloso ma è quello di conoscere la sua composizione, l’analisi del rifiuto con codice a specchio, non può riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto le caratteristiche di pericolo” in quanto riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia”. L’obiettivo che deve guidare le analisi è quello di conoscere la sua composizione e così da individuare le sostanze in esso contenute .Nel caso in cui, quindi, in esso vi siano sostanze tali da far classificare il rifiuto come pericoloso esso sarà così classificato, nel caso invece non siano presenti tali sostanze, il rifiuto potrà essere classificato come non pericoloso.

Punto 10

“Quanto sopra impone, conseguentemente, una nuova valutazione della vicenda alla luce delle indicazioni fornite nella pronuncia pregiudiziale, dovendosi verificare, seppure entro l’ambito di operatività della competenza del giudice del riesame, se la classificazione dei rifiuti sia stata correttamente effettuata ovvero se la stessa sia conseguenza di un deliberato ricorso a procedure non adeguate finalizzate al loro illecito smaltimento.
S) Le analisi utilizzate per la gestione del rifiuto da parte del produttore o detentore, pur se non sono tali da dimostrare l’assenza nel rifiuto di qualsiasi sostanza pericolosa, requisito non previsto dalla normativa, avendo permesso di determinare la composizione del rifiuto, devono essere comunque tali da dimostrare l’assenza in esso di sostanze pericolose e quindi che la classificazione dei rifiuti è stata correttamente effettuata e che non vi è stato un ricorso a procedure non adeguate finalizzate al loro illecito smaltimento. L’analisi di caratterizzazione deve perciò definire effettivamente la composizione del rifiuto, individuando le sostanze pericolose o non pericolose che sono presenti e non può limitarsi a dire quelle che sono assenti che certamente non sono utili a determinare la sua reale composizione e quindi a verificare se effettivamente non contiene sostanze pericolose.

Punto 11

Va altresì ricordato, per ciò che concerne la valutazione del fumus del reato sotto il profilo soggettivo, pure effettuata nel provvedimento impugnato, che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato come, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sia demandata, nell’ambito della valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, anche la verifica dell’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché di immediata evidenza.
T) La verifica della presenza o meno dell’elemento soggettivo del reato nell’utilizzo di un codice CER errato per classificare un rifiuto con codice speculare può essere facilmente soddisfatta, basterà infatti valutare quanto sarebbe costato smaltire i rifiuti oggetto di causa assegnando ad essi il codice che gli competeva invece del codice CER errato applicato e quanto invece è costato lo smaltimento utilizzando il codice non corretto. Se la differenza sarà positiva risulterà evidente che utilizzando il codice errato il detentore né ha tratto un beneficio e quindi gli è convenuto economicamente agire in questo modo, diversamente se la differenza è negativa l’errata applicazione del codice ha prodotto una maggiore spesa e questo non è giustificabile e quindi viene a mancare qualsiasi interesse soggettivo ad utilizzare un codice errato. Le medesime considerazioni possono essere anche svolte nel caso che il codice errato utilizzato permetta di accedere ad un impianto di smaltimento al quale invece il medesimo rifiuto con il codice corretto non sarebbe ammissibile, anche in questo caso verrebbe perciò ad esserci un interesse soggettivo ad utilizzare il codice CER errato, elemento che invece verrebbe a mancare nel caso in cui, a parità di condizioni, se il rifiuto, sia utilizzando il codice errato che quello corretto, fosse ammissibile, per le quantità in gioco, all’impianto di smaltimento.
In estrema sintesi quindi il produttore o in generale il detentore procederà alla caratterizzazione del rifiuto dopo aver espletato tutti gli altri tentativi finalizzati a determinarne la composizione, acquisendo tutti gli atti, le notizie e la documentazione disponibile. Qualora queste non siano sufficienti a determinare la composizione del rifiuto, le informazioni reperite saranno utilizzate per indirizzare la caratterizzazione al fine di individuare le sostanze pericolose e non pericolose in esso presenti, utilizzando a questo scopo metodi adeguati, tenendo conto di quali rischi può determinare una errata classificazione. La caratterizzazione svolta dovrà essere ragionevole e pertanto nell’individuare le sostanze da ricercare dovrà basarsi esclusivamente sulle informazioni acquisite, mentre per quanto riguarda la quantità di sostanze da ricercare essa dovrà essere sufficiente a definire la composizione del rifiuto e quindi ad individuare le sostanze in esso presenti.

Nel caso che tale caratterizzazione non permetta comunque di determinare la composizione del rifiuto cioè di stabilire le sostanze che lo costituiscono e quindi le sue caratteristiche di pericolo esso dopo una valutazione dei rischi completa che nella circostanza specifica comporta una errata classificazione, sulla base del principio di precauzione dovrà essere classificato come pericoloso.

pubblicato su Industrieambiente si ringrazia il dott. R. Mastracci