T.A.R. Campania (NA) Sezione VI n. 1167 del 3 marzo 2016
Urbanistica.Criteri di valutazione dell'intervento edilizio
Nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve effettuarsene una valutazione globale atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione ovvero di scomporla in distinte fasi, cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio
N. 01167/2016 REG.PROV.COLL.
N. 03465/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3465 del 2011, proposto da:
Luisa Di Meglio, rappresentata e difesa, dall’avvocato Egidio Fortezza, con il quale domicilia in Napoli, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la segreteria del T.A.R. Campania;
contro
Comune di Ischia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesca Cannavacciuolo, con il quale domicilia in Napoli, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la segreteria del T.A.R.;
nei confronti di
Epsilon 2000 a r.l., in persona del rappresentante legale p.t., non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 55 del 3 marzo 2011 con la quale il Comune di Ischia ha ingiunto la demolizione di una serie di opere;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ischia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2016 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 20 maggio 2011 e depositato il successivo 17 giugno, la ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Ischia ha ingiunto alla società Epsilon di demolire a suo danno, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, le opere abusivamente realizzate alla via Morgioni in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in difformità dalla DIA prot. 26388 del 14 ottobre 2008. L’intervento edilizio è così descritto:
“a) …tettoia di circa mq. 14 compresa tra portici ed altri locali in adiacenza al manufatto di maggiore consistenza si è rinvenuta chiusa con trasformazione in antibagno e w.c., con altezza variabile da mt. 3,05 a mt. 2,70 circa;
b) ampliamento verso Sud-Est della preesistente “cucina” a forma trapezoidale di circa mq. 19 circa alto internamente mt. 2,90.
Detto ampliamento è ubicato e realizzato nella zona indicata sul grafico di rilievo come “porzione di fabbricato non oggetto di lavori” ed è costituito da un ambiente con angolo cottura, disimpegno e w.c.
Detto fabbricato “non oggetto di lavori” di fatto è stato demolito internamente, ma non ricostruito;
c) all’interno del manufatto avente forma rettangolare sul lato esposto a Nord è stata realizzata una scala in muratura rivestita con scalini di mattonelle e di accesso al piano interrato sfalsato e sottoposto da mt. 1 a mt. 2.
In detta zona, ad un’altezza di circa mt. 2,70 dalla quota pavimento, sono state sistemate (incastrate alla muratura) n. 7 travi in ferro…distaccate l’una dall’altra all’incirca di mt. 1 e lunghe circa mt. 4,80 cadauno, presumibilmente per la futura realizzazione di soppalco servito da una scala in ferro già montata.
Inoltre per accedere al piano seminterrato sul lato esposto a Sud è stata realizzata una rampa di scale a raso in muratura rivestita con pietra lavica costituita da circa 15 alzate.
Risulta realizzata esternamente e circostante al fabbricato un massetto in cemento che si raccorda con un viale sterrato che conduce alla via Morgioni.
L’area di circa mq. 2500 esterna e circostante al manufatto, è stata risistemata con muri aventi altezze variabili da mt. 1 a mt. 4,00 e scale sempre in muratura con pietre locali a vista con sistemazione a giardino. Dal controllo effettuato si è accertato che sono presenti vecchie piante con vegetazione di macchia mediterranea che lasciano presupporre la preesistenza di muri interessati da interventi di manutenzione, così come si è rinvenuto un vecchio pozzo delle acque rivestito con pietre locali a vista.
Infine si riferisce che, sul lato Nord-Est, retrostante un muro di contenimento alto circa mt. 4,00 e quindi incassato nel terrapieno si è rinvenuto un locale al grezzo di circa mq. 32 (mt. 5,80 x 5,60 alto circa mt. 3,15) con copertura in lamiere speciali sorrette da n. 7 travi in ferro, utilizzato come stalla..”.
A sostegno del gravame la ricorrente deduce varie censure di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.
Si è costituito per resistere il Comune di Ischia.
Con memoria depositata in data 5 gennaio 2016 la ricorrente ha insistito per l’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Come esposto in fatto, l’oggetto del presente giudizio verte sulla legittimità, contestata sotto più profili dalla ricorrente, del provvedimento repressivo assunto dal Comune di Ischia, ai fini edilizi e paesaggistico – ambientali ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, a fronte della realizzazione, in assenza di alcun titolo di una serie di opere meglio descritte in fatto.
In primo luogo, deve osservarsi che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accade, deve effettuarsene una valutazione globale atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione” (cfr. in tali sensi, Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenze n. 5835 del 18 dicembre 2013, n. 1114 del 5 marzo 2012; n. 26787 del 3 dicembre 2010; 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584), ovvero di “scomporla in distinte fasi, cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio” (così la giurisprudenza sopra riportata e così già Tar Puglia, Bari, sezione seconda, 16 luglio 2001, n. 2955).
In secondo luogo, mediante le opere in questione (anche comportanti modifiche dei volumi e delle superfici esistenti) si è realizzata una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio in area assoggettata a vincolo paesaggistico e ciò avrebbe richiesto la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica. In proposito, la giurisprudenza ha statuito che ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand'anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l'applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (questo Trib., sez. IV, 23 ottobre 2013, n. 4676). In argomento, il Consiglio di Stato ha poi affermato (cfr. sentenza sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 62 in riforma della sentenza n. 5324/2011 resa da questo Tribunale), che a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere sanzionato. “Detto articolo riconosce, infatti, all’amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l'adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con DIA, prive di autorizzazione paesaggistica”.
In tal senso, come ripetutamente affermato dalla Sezione (cfr., tra le tante, sentenza 1.8.2013, n. 4037), in presenza di opere edificate senza titolo in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, dell’art. 27 D.P.R. 280/2001 è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato.
Da quanto precede deriva che l’applicazione della sanzione ripristinatoria era doverosa.
Entrando più nel dettaglio delle censure articolate in ricorso deve rilevarsi quanto segue.
Non coglie nel segno il primo motivo con il quale la ricorrente lamenta che il provvedimento sebbene a lei notificato sarebbe rivolto unicamente alla società appaltatrice dei lavori (Epsilon 2000).
Nell’atto impugnato, la ricorrente viene, infatti, chiaramente individuata come responsabile degli abusi e la demolizione viene ingiunta alla Epsilon “in danno dei responsabili” con facoltà per il proprietario di sostituirsi alla predetta impresa demolendo in proprio le opere. Non vi sono dunque dubbi circa il fatto che l’ordinanza si rivolga anche al responsabile degli abusi e al proprietario dei manufatti così come prescrive in generale l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (a mente del quale l’ingiunzione è rivolta “al proprietario e al responsabile dell’abuso”).
Sempre con il primo motivo la ricorrente si duole della gravità della sanzione ripristinatoria adottata dal Comune a fronte di un intervento che sarebbe qualificabile in termini di “mera manutenzione ordinaria e/o straordinaria” per il quale sarebbe stato sufficiente munirsi della sola DIA.
Il motivo è infondato.
Si è già detto della necessità di effettuare una valutazione globale e non atomistica dei lavori realizzati e la circostanza che gli stessi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesistico (il che implica la doverosità ai sensi dell’art. 27 del cit. D.P.R. del provvedimento demolitorio anche rispetto a opere realizzabili con DIA).
Dalla stessa descrizione dell’intervento edilizio si ricava l’avvenuta trasformazione di preesistenti manufatti con impatto sulle sagoma, sui prospetti, sui volumi e sulle superfici (cfr. sul punto anche la difesa comunale) Si veda, in particolare, quanto affermato in ricorso circa la chiusura di una tettoia per realizzarvi servizi igienici, la demolizione e ricostruzione in una diversa forma di un più vasto corpo di fabbrica, la risistemazione di tutta l’area esterna e la realizzazione di una parte nuova interrata (al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che la nozione di volume rilevante ai fini paesaggistici non può distinguere tra volumi esterni e volumi interrati, essendo questi ultimi idonei a determinare una modificazione del territorio e dell’assetto edilizio esistente; cfr. T.A.R. Campania, Sez. IV, 29 maggio 2012, n. 2529). Parte ricorrente non ha poi dimostrato la legittima preesistenza della stalla ricavata nel terrapieno come pure la legittima configurazione dell’area esterna. In argomento la giurisprudenza ha affermato che l' onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato, e non sull'amministrazione, che, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 02 luglio 2010, n. 16569).
Parimenti infondate si rivelano, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato anche con riguardo alla preventiva valutazione della sussistenza di un danno ambientale e alla mancata indicazione degli interessi urbanistici lesi.
Vale, infatti, ribadire che a fronte delle descritte emergenze istruttorie (non contestate nel merito dalla ricorrente che si è limitata con la memoria da ultimo depositata a rilevare che nell’accertamento tecnico prodotto in atti dal Comune non sarebbero elencate tutte le opere oggetto di demolizione), la realizzazione dei lavori in questione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.
In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto: l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
Priva di pregio risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell’art. 7 della n. 241 del 1990) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780; 13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime. In ogni caso, l’eventuale apporto partecipativo dell’interessato, non avrebbe mutato l’esito dello stesso (cfr. art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato).
Del pari destituito di fondamento si rivela l’assunto vizio del provvedimento per non essere stata sentita la Commissione Edilizia Integrata per i Beni ambientali e il Sindaco in qualità di autorità subdelegata dalla Regione in materia ambientale.
In primo luogo, infatti, l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive, costituendo un atto dovuto in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, non necessita della preventiva acquisizione del parere di altri organi (ex multis, T.A.R., Campania Napoli, sez. II, 30 ottobre 2006, n. 9243; sez. IV, 16 luglio 2003, n. 8434).
In secondo luogo, l'ordinanza di demolizione non risulta essere stata adottata dal responsabile dell'ufficio comunale in forza "della subdelega in materia paesaggistica" rilasciata ai Comuni dalla Regione Campania ma in virtù della piana applicazione dell’art. 27 cit. che radica la competenza in capo al dirigente comunale o al responsabile del competente ufficio comunale (cfr. T.a.r. Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 1639 del 20 marzo 2014 e nn. 1124 ed 1126 del 20 febbraio 2014 e, per l'applicabilità comunque della cennata normativa statale, sempre questa sezione, sentenze n. 1302 del 16 marzo 2012, n. 2811 del 6 maggio 2010 e n. 2074 del 21 aprile 2010; sezione seconda, sentenza 2 marzo 2010, n. 1263).
In terzo luogo, va rilevato che l'art. 49 della legge regionale della Campania 22 dicembre 2004, n. 16 modificando la previsione che - in seno all'allegato alla legge regionale 23 febbraio 1982, n. 10 affidava al Sindaco le competenze in materia, ha ulteriormente radicato la competenza del "dirigente comunale competente" (così questa sezione, sentenza n. 1639 del 20 marzo 2014 cit. e n. 4204 del 23 ottobre 2012).
Infine, sul piano generale si ribadisce che ogni competenza del Sindaco, in merito ai provvedimenti ascrivibili alla mera attività di gestione amministrativa in materia edilizia, deve essere ritenuta abrogata in virtù delle disposizioni legislative che hanno inteso separare, anche negli enti locali, la funzione di indirizzo politico da quella, appunto, di gestione amministrativa. Nel settore dell’edilizia, infatti, prima, l'art. 6, l. n. 127 del 1997, modificando l'art. 51, l. n. 142 del 1990, ha previsto alla lett. f) che spettino alla competenza dei dirigenti «i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie». Successivamente, la l. n. 191 del 1998 ha, a sua volta, modificato l'art. 6, l. n. 127 del 1997, introducendo la lett. f bis) secondo la quale spettano ai dirigenti «tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale», così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni edilizie; a norma dell'art. 51 comma 3, l. 8 giugno 1990 n. 142 (oggi, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267), infine, sono di competenza dei dirigenti «tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente» (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 13 febbraio 2009, n. 802, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, n. 03586/2009).
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e trovano liquidazione in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune resistente che si liquidano in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA e CPA se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Bruno Lelli, Presidente
Renata Emma Ianigro, Consigliere
Paola Palmarini, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)