Cass. Sez. III sent. 539 del 11 gennaio 2006 (Ud. 20 settembre 2005)
Pres. Papadia Est. Fiale Imp. Aquilanti ed altro
Urbanistica – Decadenza del titolo abilitativo
Dopo l'inutile scadenza dei termini di inizio e fine lavori edilizi contenuti nella concessione ad edificare (e che decorrono dal rilascio della concessione e non dal ritiro della stessa da parte dell'interessato), la concessione e' "tamquam non esset", con la conseguenza che i lavori edilizi iniziati o ultimati dopo la scadenza sono realizzati in assenza di titolo abilitativo, e vanno soggetti alla sanzione penale di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001).
Composta
dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. PAPADIA UMBERTO
1.Dott.ZUMBO ANTONIO
2.Dott.TARDINO VINCENZO
3.Dott.SQUASSONI CLAUDIA
4.Dott.FIALE ALDO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) AQUILANTI UMBERTO Nato a Roma il14/05/1932
2) TALONE LOLA N. Roma il 27/08/1929
avverso la SENTENZA del 26/11/1993 CORTE DI APELLO DI ROMA
Udita pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere ALDO FIALE
Udito Pubblico Ministero in persona del dott. LUIGI CIAMPOLI
che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per la sentenza impugnata,
perché i reati sono estinti per prescrizione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26.11.1993 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza
8.1.1993 del Pretore di Roma - Sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, che
aveva affermato la penale responsabilità di Aquilanti Umberto e Talone Lola in
ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, senza la
necessaria concessione edilizia, la sopraelevazione di un fabbricato in tufo e
cemento armato su una superficie di circa mq. 100, proseguendo i lavori anche
dopo l'ordinanza sindacale di sospensione emessa in data 14.8.1990 - in
Sacrofano, fino al 2.2.1991);
- agli art. 1, 2, 4, 13 e 14 legge n. 1086/1971; all'art. 221 T.U. leggi
sanitarie (per avere destinato ad uso abitativo l'immobile senza la prescritta
licenza di abitabilità) e, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex
art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato ciascuno alla pena complessiva di mesi
6 di arresto e lire 30 milioni di ammenda, concedendo ad entrambi i doppi
benefici di legge ed ordinando la demolizione delle opere abusive.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, i quali hanno
eccepito la insussistenza dei reati, essendo essi in possesso di una licenza
edilizia, per la costruzione di un fabbricato a due piani, rilasciata dal
Sindaco di Sacrofano in data 31.7.1968, mai revocata o annullata.
Tenuto conto della domanda di "condono edilizio" presentata dai ricorrenti, ex
art. 39 della legge n. 724/1994, questa Corte - all'udienza del 30.9.1994 - ha
disposto la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 38 della legge n.
47/1985.
Il Comune di Sacrofano (con nota del 15.4.2005) ha comunicato che" non è stato
rilasciato provvedimento di sanatoria e che i ricorrenti non hanno fornito a
quell'Amministrazione la prescritta documentazione catastale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, limitatamente
all'imputazione di cui all'art. 221 del R.D. 27.7.1934, n. 1256 (capo E della
rubrica), poiché il fatto non è previsto dalla legge come reato in seguito alla
depenalizzazione disposta dall'art. 70 del D.Lgs. 30.12.1999, n. 507.
Deve essere conseguentemente eliminata, per ciascun ricorrente, la relativa pena
di giorni 10 di arresto e lire 1.000.000 di ammenda (inflitta, ex art. 81 cpv.
cod. pen., per la continuazione).
Copia degli atti deve essere trasmessa al Sindaco del Comune di Sacrofano,
competente ex art. 93, lett. 1), del D. Lgs. n. 507/1999 - ad applicare la
sanzione amministrativa per la violazione depenalizzata.
2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto, perché
manifestamente infondato.
Va evidenziato, al riguardo, che - allo scopo di evitare che una costruzione
autorizzata in un determinato momento venga realizzata quando la situazione
ambientale ed urbanistica è mutata - il provvedimento che consente l'esercizio
della facoltà di costruire è stato sempre ricollegato all'osservanza di alcuni
termini, al mancato rispetto dei quali (non per causa di forza maggiore) è stata
connessa, come conseguenza, la decadenza del provvedimento medesimo.
Allorché era in vigore l'istituto della licenza edilizia, come
disciplinato dalla legge n. 1150/1942, i termini per l'inizio e per il
completamento dell'opera autorizzata erano stabiliti dai regolamenti edilizi.
Successivamente il primo dei suddetti termini venne fissato direttamente dalla
legge 6-8-1967, n. 765 e, ai sensi dell'art. 10, 10° comma, di detta legge, la
licenza edilizia non poteva avere validità superiore ad un anno e, qualora entro
tale termine i lavori non fossero stati iniziati, l'interessato doveva
presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza.
L' 11° comma dello stesso articolo (che modificò l'art. 31 della legge n.
1150/1942) prevedeva, poi, che l'entrata in vigore di nuove e contrastanti
previsioni urbanistiche comportasse la decadenza delle licenze stesse, salvo che
i relativi lavori non fossero stati iniziati e non venissero completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio (la disposizione è attualmente
riprodotta dall'art. 15, 4° comma, del T.U. n. 380/2001).
I termini di decadenza, quindi, di natura perentoria, erano due:
1) un anno dal rilascio della licenza, ove i lavori, entro tale termine, non
fossero stati iniziati (con possibilità di rinnovo della licenza, sempre che, in
tale periodo, non fossero entrate in vigore nuove e contrastanti previsioni
urbanistiche che interessassero l'area su cui doveva sorgere la costruzione);
2) tre anni dalla data di inizio dei lavori (senza possibilità di rinnovo) per
le costruzioni ricadenti su aree che, dopo l'inizio dei lavori, fossero state
investite da nuove previsioni urbanistiche.
La legge 28-1-1997, n. 10 sancì, invece, all'art. 4, comma 3°, che nell'atto di
concessione edilizia dovevano essere indicati i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori: fissati rispettivamente, dal successivo comma 4°, in non
più di un anno e tre anni, con l'esplicita previsione che entro tale ultimo
termine l'opera doveva. essere "abitabile ed agibile".
I termini anzidetti si ponevano pur sempre come fatti decadenziali della
concessione (come si pongono tuttora ex art. 15 del T.U. n. 380/2001) e -
secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato - la decadenza si verifica "ope
legis", per il solo fatto dell'inutile decorso del tempo assegnato per
l'inizio o l'ultimazione dei lavori, sicché il provvedimento amministrativo
formale che dichiara la stessa è atto vincolato a carattere meramente
dichiarativo, rivolto a dare certezza ad una situazione già prodottasi al
verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge (vedi, tra le decisioni più
recenti, C. Stato, Sez. V: 20.4.2001, n. 2408; 27.3.2000, n. 1755; 3.2.2000, n.
597; 16.11.1998, n. 1615; 23.11.1996, n. 1414).
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è orientata nel senso che la decadenza
della concessione edilizia, quale effetto e conseguenza del mero decorso del
tempo, non deve essere, ai fini penali, dichiarata dall'autorità amministrativa,
in quanto la necessità di un atto formale di decadenza riguarda le condizioni
per l'esercizio dei poteri sanzionatori amministrativi ma non per l'insorgenza
dell'eventuale responsabilità penale del titolare del provvedimento abilitativo
decaduto ope legis (vedi Cass., Sez. III: 7.10.1998, Frisina e 19.3.2003,
Ruggia).
L'art. 18 della legge n. 10/1977 (come modificato con le proroghe introdotte:
dall'art. 8 della legge 29.7.1980, n. 385; dall'art. 1 del D.L. 8.1.1981, n. 4,
convertito dalla legge 12.3.1981, n. 58; dal D.L.. 29.12.1983, n. 747,
convertito dalla legge 27.2.1984, n. 18 e dall'art. i del D.L. 22.12.1984, n.
901, convertito dalla legge 1.3.1985, n. 42) introdusse un regime transitorio
per il quale le licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore
della stessa legge potevano conservare validità ed efficacia - a condizione del
completamento dei lavori, sì da rendere gli edifici abitabili o agibili -
fino al 31 dicembre 1985. Per la parte eventualmente non completata entro il
termine anzidetto veniva prescritta la necessità di richiedere la concessione
edilizia (di nuova introduzione).
Nella fattispecie in esame:
- è stato accertato con perizia tecnica del P.M., acquisita al fascicolo del
dibattimento, che, nella zona ove gli imputati hanno realizzato l'opera,
classificata nel piano regolatore generale come "zona residenziale di
completamento" e non dotata di tutte le opere di urbanizzazione primaria, era
permessa l'edificazione in lotti minimi di 1.500 mq., previa lottizzazione;
mancava, invece, un qualsiasi strumento urbanistico attuativo ed il lotto di
proprietà degli imputati aveva una superficie di soli 1.040 mq.;
- non è data conoscere l'epoca di costruzione del primo piano dell'edificio in
questione, mentre è rimasto accertato che il secondo piano dello stesso (al
quale si riferiscono le imputazioni) era in corso di edificazione alla data del
14.8.1990;
- in tale data la licenza edilizia del 31.7.1968 era sicuramente decaduta ex
lege, essendo scaduto il regime transitorio (prorogato) di cui all'art. 18 della
legge n. 10/1977. L'edificazione inoltre, risulta essersi addirittura protratta
fino al 22.1.1991.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli art. 607, 615 e 620 c.p.p.,
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all'imputazione di cui
all'art. 221 T.U. leggi sanitarie (capo E), poiché il fatto non è previsto dalla
legge come reato ed elimina la relativa pena di giorni dieci di arresto e lire
un milione di ammenda.
Dispone trasmettersi copia della sentenza al Sindaco del Comune di Sacrofano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 20.9.2005