Cass. Sez. III Sent. 32201 del 7 agosto 2007 (CC 28 giu. 2007)
Pres. Petti Est. Petti Ric.Boccia.
Urbanistica. Accertamento di conformità - Indagini preliminari - Sospensione del procedimento penale - Esclusione - Ragioni.

In tema di reati edilizi ed urbanistici, la domanda di accertamento di conformità dell'opera presentata a norma dell'art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 determina esclusivamente la sospensione dell'azione penale e non del procedimento penale; ne consegue che l'effetto sospensivo non opera nella fase delle indagini preliminari, in cui l'azione penale non è stata ancora esercitata. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha ulteriormente affermato che in ogni caso la sospensione opera per il termine massimo di sessanta giorni, decorso il quale la domanda deve intendersi respinta).


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 28/06/2007
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 771
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 15358/2007
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Boccia Raffaele Rosario, nato a Poggiomarino (NA) il 7 maggio del 1949 e Boccia Antonio, nato a Napoli il 18 dicembre del 1976;
avverso l'ordinanza del tribunale del riesame di Salerno del 18 dicembre del 2006;
udita la relazione svolta del consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale nella persona del Dott. Vito Monetti, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. prof Carlo Rienzi, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
letti il ricorso e l'ordinanza denunciata.
Osserva quanto segue:
IN FATTO
Con ordinanza del 18 dicembre del 2006, il tribunale di Salerno rigettava l'appello proposto nell'interesse delle persone indicate in epigrafe avverso l'ordinanza pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso i tribunale di Nocera Inferiore, con cui si era respinta l'istanza di restituzione dei beni immobili sequestrati avanzata dagli attuali ricorrenti.
Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nel provvedimento impugnato il pubblico ministero presso il tribunale di Nocera Inferiore aveva chiesto ed ottenuto dal giudice per le indagini preliminari, in data 19 gennaio del 2006, il sequestro di un complesso immobiliare denominato "Villa Lina" in danno degli attuali ricorrenti perché era stato realizzato senza alcun permesso, in quanto gli unici titoli abilitativi che erano stati rilasciati riguardavano la realizzazione di muri di cinta. All'epoca del sequestro i lavori(sbancamento di notevoli estensione, demolizione e ricostruzione di fabbricati, realizzazione di nuovi corpi di fabbrica, ecc.) erano ancora in corso e quindi il sequestro serviva ad evitare che il reato fosse portato ad ulteriori conseguenze mediante il completamento delle strutture in atto. Avverso tale provvedimento, sulla premessa della carenza motivazionale sia in ordine alla configurabilità del reato (art. 44 lettera b del testo unico), che in ordine all'individuazione dei beni oggetto del sequestro, era presentata dagli interessati istanza di riesame respinta dal tribunale di Salerno.
Successivamente il pubblico ministero, in data 31 ottobre del 2006, disponeva il dissequestro della palazzina adibita ad albergo ristorante e di quella destinata ad uffici già parzialmente demolita, ad eccezione della piscina, ma compresi i viali di accesso a dette strutture, in quanto oggetto di una domanda di condono presentata il 30 settembre del 1986. In relazione alle altre opere, non essendo esse oggetto di condono ed in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, esprimeva parere contrario alla restituzione e trasmetteva l'istanza al giudice per le indagini preliminari il quale la respingeva permanendo le esigenze cautelari.
Il tribunale, tanto premesso in fatto, dopo avere puntualizzato che, trattandosi d' appello, l'indagine doveva essere circoscritta ai motivi dell'impugnazione ed all'esame delle situazioni nuove che eventualmente avrebbero potuto giustificare la revoca del sequestro, osservava che le uniche due circostanze sopravvenute indicate nell'impugnazione consistevano: a) nel fatto che i beni dei quali si era chiesta la restituzione non risultavano inclusi tra quelli indicati nell'avviso di chiusura delle indagini; b) nella sospensione dell'ordine di demolizione del Comune di Sarno del 27 aprile del 2006 pronunciata dal TAR di Napoli;che le anzidette circostanze non giustificavano la revoca del sequestro, sia perché l'avviso di conclusione delle indagini preliminari non rappresentava atto formale di esercizio dell'azione penale; sia perché il TAR di Napoli aveva sospeso il provvedimento del sindaco limitatamente alla demolizione, avendo rilevato la propria incompetenza territoriale a favore del TAR di Salerno, ma rimaneva ancora valida l'ordinanza di sospensione dei lavori pronunciata dall'autorità amministrativa. Ricorrono per cassazione i due indagati deducendo:
violazione di legge, sia per l'omessa indicazione nel provvedimento di sequestro e nell'ordinanza del tribunale dei beni sequestrati, sia perché il tribunale aveva ritenuto irrilevante l'omessa indicazione dei beni, dei quali era stata chiesta la restituzione, nell'avviso di chiusura delle indagini; sostengono inoltre che i giudici del riesame avevano ignorato che dopo la prima domanda di sanatoria erano state avanzate numerose dichiarazioni d'inizio attività; che il Boccia nel mese di giugno del 2006 aveva presentato domanda di sanatoria D.P.R. n 380 del 2001, ex articolo 36, la quale domanda sospende automaticamente il procedimento penale fino alla definizione di quello amministrativo;che il TAR di Napoli contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale aveva reso inefficace la perizia tecnica posta dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari a base del sequestro;
la violazione dell'articolo 321 c.p.p. per la mancanza di danno all'impatto urbanistico una volta restituito l'albergo perché le altre opere, costituendo pertinenze dell'albergo, non possono in alcun modo " aumentare l'impatto urbanistico";
l'illegittimità del sequestro perché si fonda su una relazione tecnica non redatta dal comune ma dalla polizia giudiziaria, contenente attestazioni non corrispondenti al vero. IN DIRITTO
Il ricorso va respinto perché infondato.
Per delimitare il campo d'indagine devoluto a questa corte, è opportuno premettere che in questa materia, a norma dell'articolo 325 c.p.p., il ricorso per Cassazione può essere proposto solo per violazione di legge. Secondo l'orientamento prevalente di questa corte, ribadito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 2 del 2004, Ferrazzi, citata dagli stessi ricorrenti alla pagina 6 del ricorso, nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'articolo 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo d'annullamento nell'articolo 606, lett. e) ne' tanto meno il travisamento della prova non risultante dal testo del provvedimento o da altri atti specificamente indicati dal ricorrente. Quindi il riferimento a presunti travisamenti della prova, che peraltro non sussistono per quello che si dirà in seguito, non possono essere presi in considerazione in questa fase del procedimento.
È opportuno altresì chiarire e ribadire che la presentazione di una domanda di condono o di un'istanza di accertamento di conformità dell'opera di cui all'articolo 36 del testo unico (già L. n. 47 del 1985, articolo 13), impongono sì la sospensione del procedimento penale o dell'azione penale (cfr L. n 47 del 1985, art. 44, richiamato dalla L. n. 326 del 2003, articolo 32 e art. 45 del testo unico), ma non impediscono il compimento di atti urgenti, quale può essere un sequestro preventivo. Invero, secondo l'orientamento di questa corte, la domanda di condono edilizio, presentata in base al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326,o in base a leggi precedenti (n. 47 del 1985; 724 del 1994), non impedisce l'adozione o la permanenza di un provvedimento di sequestro,sia perché la misura cautelare reale ha il solo scopo di lasciare inalterata la situazione o di impedire la prosecuzione dell'opera giacché, nell'attesa della pronuncia dell'autorità amministrativa sulla domanda di condono, non si può consentire all'interessato di portare a termine la costruzione che, ancorché sanabile, è comunque illecita, sia perché, per l'estinzione del reato, è comunque necessaria la formale dichiarazione (cfr. Cass. n 1996 del 1995; n 556 del 1996;
47117 del 2003; n. 291 del 2004; n. 18496 del 2005).
Per quanto concerne la domanda di accertamento della conformità dell'opera presentata a norma dell'articolo 36 del testo unico, alla quale hanno fatto riferimento i ricorrenti, si deve rilevare che l'articolo 45, comma 1, del testo unico impone la sospensione dell'azione penale e non del procedimento. Quindi siffatta sospensione non dovrebbe operare nella fase delle indagini preliminari perché in tale fase l'azione penale non è stata ancora esercitata. In ogni caso la sospensione opera fino al termine del procedimento amministrativo ossia per il termine massimo di sessanta giorni, posto che, per espressa previsione normativa, decorso tale termine, la domanda si deve intendere respinta. Quindi il riferimento contenuto nel ricorso alla domanda presentata nel mese di giugno del 2006 ex art. 36 del testo unico è del tutto ininfluente, giacché quella domanda si deve attualmente considerare respinta e, quindi, anche per tale ragione, del tutto inidonea a determinare la sospensione del procedimento. A tal fine non avrebbe rilevanza neppure un'eventuale impugnazione, che peraltro) non risulta presentata, del silenzio rigetto in sede amministrativa (cfr. Cass. 25 febbraio del 2003, Barbieri).
Pertanto solo il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria avrebbe potuto giustificare la revoca del sequestro anche per gli altri beni non restituiti. La prova del conseguimento del titolo in sanatoria doveva essere fornita dagli indagati. Costoro, invece, pur parlando genericamente di sanatoria, non hanno allegato al ricorso copia dei relativi titoli, posto che questa corte, se non viene dedotta una nullità processuale, non ha accesso agli atti processuali e comunque, senza riferimenti specifici, non può essa stessa ricercare nell'incarto processuale il documento al quale eventualmente i ricorrenti hanno inteso fare riferimento. Allo stato questo collegio può solo rimarcare che la richiesta presentata ex articolo 36 del testo unico si deve ritenere attualmente respinta ed eventuali domande di condono non impediscono l'adozione di misure cautelari. Se gli indagati nel frattempo avranno conseguito il titolo in sanatoria per i beni ancora in sequestro potranno fare valere tale circostanza nuova davanti al giudice del merito.
Fatta questa premessa, si deve ribadire il principio in forza del quale, esaurita la fase del riesame, non è ammissibile un'ulteriore richiesta di revoca della misura se non sussistono fatti sopravvenuti che incidono sulla sua legittimità e non è possibile riproporre eccezioni di nullità del sequestro già respinte in sede di riesame. Il riscontro del fumus delicti è riservato al riesame, mentre in sede di appello possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità del vincolo ed attinenti alle ragioni giustificatrici della misura (cfr Cass. 11 giugno del 2003, Carella; Cass 28930 del 2004, Troncone). Invero,le ordinanze inoppugnabili e quelle soggette ad impugnazione, che non siano state impugnate o in ordine alle quali siano esauriti i diversi gradi di impugnazione, acquistano la caratteristica dell'irrevocabilità che, pur non essendo parificabile all'autorità di cosa giudicata, concretizza comunque il limite negativo della preclusione, nel senso di non consentire il "bis in idem", salvo che siano cambiate le condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione (cfr. per tutte Cass .42529 del 2002).
Nella fattispecie le uniche due circostanze sopravvenute dedotte dalla difesa sono costituite dalla mancata inclusione nell'avviso di conclusione delle indagini di alcuni beni ancora in sequestro e dall'ordinanza del TAR che ha sospeso l'ordine di demolizione dei manufatti realizzati abusivamente. Entrambe le anzidette circostanze sono inidonee a giustificare la revoca del sequestro. Quanto alla prima si rileva che l'avviso di conclusione delle indagini non è assimilabile ad un decreto di archiviazione o ad una sentenza di proscioglimento per cui la mancata indicazione di un bene ancora in sequestro non equivale ad un'affermazione d'illegittimità del sequestro relativo al bene non indicato.
Per quanto concerne l'ordinanza del TAR si osserva che i ricorrenti partono da una premessa erronea e cioè che il tribunale amministrativo abbia sospeso, non solo l'ordine di demolizione ma tutti gli atti presupposti, compresi l'ordine di sospensione dei lavori e la relazione posta dall'accusa a base del provvedimento di sequestro. Invece non è così. Il tribunale amministrativo, poiché la demolizione dei manufatti determina conseguenze irreversibili, nell'attesa della pronuncia sul merito della vertenza da parte del tribunale amministrativo competente, ha ritenuto opportuno non creare modificazioni insanabili nell'attesa della pronuncia sul merito della domanda. Il provvedimento adottato dal giudice amministrativo non si pone quindi in contrasto con quello dell'autorità giudiziaria perché, al pari del sequestro conservativo, mira alla conservazione dello stato attuale. L'ordinanza del tribunale amministrativo si sarebbe posta in contrasto con quella dell'autorità giudiziaria ordinaria, se questa avesse disposto la demolizione dei manufatti sequestrati.
Con il secondo motivo, per quanto concerne le esigenze cautelari, i ricorrenti sostengono che, una volta restituito l'albergo, non avrebbe senso parlare di aggravamento del carico urbanistico per le opere accessorie o pertinenziali. In proposito si rileva ancora una volta che i ricorrenti partono da una premessa erronea e giungono perciò a risultati non condivisibili, partono cioè dalla premessa che il sequestro sia stato disposto per evitare l'aggravamento del carico urbanistico. Invece esso è stato attuato per evitare il completamento delle opere e non il carico urbanistico. Si tratta quindi di opere non ultimate per cui il riferimento a pronunce di questa corte relative al sequestro delle opere già ultimate non è conferente.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'articolo 616 c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2007