Cass. Sez. III n. 32953 del 8 settembre 2010 (Cc. 28 apr. 2010)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. PM in proc. Poeta
Urbanistica. Omissione ordine di demolizione delle opere abusive

In caso di condanna per reato urbanistico che ometta di ordinare la demolizione delle opere abusive, o dì condanna per reato paesaggistico che ometta di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato: a) è possibile rimediare alla omissione attraverso la procedura di correzione dell’errore materiale ex art. 130 c.p.p.; b) competente al riguardo è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, nonché il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, ma non il giudice della esecuzione, che non ha una competenza specifica in materia.

 

UDIENZA del 28.4.2010

SENTENZA N. 669

REG. GENERALE N.38092/09


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. ERNESTO LUPO                                  - Presidente
ALFREDO MARIA LOMBARDI               - Consigliere

ALDO FIALE                                         - Rel, Consigliere
LUIGI MARINI                                        - Consigliere
GIULIO SARNO                                     - Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da:
PMT PRESSO TRIBUNALE DI TERAMO nei confronti di:
1) POETA ITALO N. IL xx.ad.xxxx * C/
- avverso l'ordinanza n. 38/2009 TRIBUNALE di TERAMO, del 15/05/2009
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE; lette le conclusioni del PG il quale ha concluso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata.


FATTO E DIRITTO


Il Tribunale monocratico di Teramo, con sentenza del 17.6.2008, pronunziata ex art. 444 c.p.p. e divenuta irrevocabile il 3.7.2008, applicava a Poeta Italo la pena (condizionalmente sospesa) di giorni 8 di arresto ed euro 24.000,00 di ammenda in ordine ai reati di cui agli artt.: 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001; 181 D.Lgs. n. 42/2004; 13 e 30 legge n. 394/1991; 734 cod. pen. (acc. in Crognaleto, il 14.7.2007), omettendo di disporre l'ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi.


Il Procuratore della Repubblica, dovendo procedere alla esecuzione della sentenza definitiva, richiedeva allo stesso Tribunale, quale giudice dell'esecuzione, l'integrazione della sentenza medesima con l'ordine di riduzione in pristino dei luoghi.


Il Tribunale monocratico di Teramo - con ordinanza del 15.5.2009 - rigettava l'istanza sui rilevi che l'art. 181, ultimo comma, del D.Lgs. n. 42/2004 dispone che l'ordine di rimessione in pristino a spese del condannato è ordinato "con la sentenza di condanna": nella specie, invece, era stata pronunziata sentenza di patteggiamento, in relazione alla quale non è possibile, a norma dell'art. 445, 1° comma, c.p.p., applicare "pene accessorie".


Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, deducendo inosservanza o erronea applicazione dell'art. 445 c.p.p., in quanto il comma 1bis di tale articolo equipara la sentenza di applicazione della pena (c.d. patteggiamento) "ad una pronuncia di condanna" ed il ripristino ambientale, in caso di violazioni paesaggistiche, non costituisce una pena accessoria, integrando invece una sanzione amministrativa disposta dal giudice in sede penale.


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Il ricorso del P.M. - pur contenendo l'enunciazione di corretti principi di diritto a fronte delle erronee argomentazioni svolte nell'ordinanza impugnata - deve essere rigettato, in quanto non poteva, nella specie, farsi ricorso all'incidente di esecuzione per integrare la sentenza definitiva.


Esaminando la travagliata questione dell'ambito di correggibilità dei provvedimenti giurisdizionali, la sentenza delle Sezioni Unite n. 7945 del 31.1.2008, ric. Boccia (relativa a un caso di sentenza di applicazione della pena concordata ex art. 444 c.p.p. che aveva omesso di condannare l'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile che ne aveva fatto richiesta) ha affermato il condivisibile principio secondo il quale "la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell'atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all'art. 130 c.p.p."


In altri termini, secondo il supremo organo nomofilattico, non possono determinare nullità e attenere a componenti essenziali del provvedimento le omissioni di statuizioni imposte dallo stesso ordinamento, in particolare quelle omissioni per cui lo stesso ordinamento prevede specificamente la correggibilità mediante la procedura di cui all'art. 130 c.p.p.


Nulla dice la sentenza Boccia in ordine a una competenza spettante anche al giudice della esecuzione nella soggetta materia, salvo una breve affermazione incidentale con la quale precisa che analoghe ragioni sistematiche impongono di ritenere correggibili anche "quelle omissioni in ordine alle quali sia previsto un automatico intervento integrativo da parte del giudice della esecuzione, come ad esempio nei casi in cui sia mancata (non per scelta consapevole del giudice) la statuizione di pena accessoria obbligatoria o di confisca obbligatoria".


È agevole osservare che gli esempi anzidetti riguardano istituti che sono specificamente attribuiti alla competenza del giudice della esecuzione dall'art. 676 c.p.p.


Va rilevato, però, che l'art. 676 c.p.p., in quanto derogatorio al principio generale della irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali definitivi di cui all'art. 648 c.p.p. (c.d. giudicato formale), è di stretta interpretazione e non può essere applicato al di fuori delle materie in esso specificamente previste.


Si deve affermare, pertanto, seguendo l'approccio sistematico della sentenza in esame, che:
a) è possibile la integrazione successiva di statuizioni omesse, quando esse hanno natura obbligatoria e contenuto predeterminato;
b) competente a disporre la integrazione è sia il giudice che ha emesso il provvedimento carente, sia il giudice della impugnazione, sia anche il giudice della esecuzione, sempre che questi abbia una specifica competenza in ordine alla statuizione omessa.


Orbene, dopo il passaggio in giudicato del provvedimento giurisdizionale, spetta al giudice della esecuzione la competenza a conoscere di tutte le questioni attinenti alla esecuzione del provvedimento stesso (art. 666 c.p.p.), nonché delle questioni specificamente attribuitegli dall'art. 676 c.p.p., fra le quali soprattutto rilevano per il tema di cui trattasi quelle relative alle pene accessorie, alla confisca e alla restituzione delle cose sequestrate.
In nessun modo, però, possono rientrare tra queste competenze specifiche, proprio per il divieto di interpretazione analogica, quelle relative ad alcune sanzioni amministrative accessorie, come l'ordine di demolizione delle opere abusive o l'ordine di rimessione in pristino dopo una condanna, rispettivamente, per reato urbanistico o per reato paesaggistico: sanzioni che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, da una parte sono tipicamente diverse dalle pene accessorie e dall'altra divergono strutturalmente e funzionalmente dalla confisca.


In conclusione, va ribadito il principio di diritto (già affermato da Cass., sez. III: 6.3.2009, n. 10067, P.G. in proc. Guadagno e 30.1.2008, n. 4751, Gabrielli e altro) secondo il quale, in caso di condanna per reato urbanistico che ometta di ordinare la demolizione delle opere abusive, o di condanna per reato paesaggistico che ometta di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato:
a) é possibile rimediare alla omissione attraverso la procedura di correzione dell'errore materiale ex art. 130 c.p.p.;
b) competente al riguardo é il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, nonché il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, ma non il giudice della esecuzione, che non ha una competenza specifica in materia.


P.Q.M.


la Corte suprema di Cassazione,
visti gli artt. 608, 611 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso del P.M.


Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.4.2010.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA l'8 sett. 2010