Cass. Sez. III n. 44104 del 4 ottobre 2018 (Ud 19 apr 2018)
Pres. Cavallo Est. Andronio Ric. Lenzi
Urbanistica.Esclusione della natura di atto fidefacente del permesso di costruire

La natura di atto fidefacente fino a querela di falso deve essere esclusa per il permesso di costruire di cui agli artt. 10 e ss. del d.P.R. n. 380 del 2001, perché la sua funzione non è quella di accertare uno stato di fatto, ma di garantire, attraverso un controllo preventivo sulla sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto di edificazione, il corretto assetto del territorio. Esso si colloca, cioè, al di fuori della categoria degli atti fidefacenti ai sensi degli artt. 476 e ss. cod. pen., perché non è espressione della “funzione registratrice” dello Stato o di altri enti pubblici e non rientra, perciò, tra gli atti c.d. “probanti”, che fanno fede fino ad impugnazione di falso, come, ad esempio, gli atti notori, dello stato civile, i verbali e le altre attestazioni, devoluti ai pubblici ufficiali aventi ad oggetto annotazioni, relazioni, constatazione di fatti o di accadimenti giuridicamente significativi. E le medesime considerazioni valgono anche per la voltura del permesso di costruire e per l’attestazione di conformità in sanatoria, perché anche tali atti hanno la stessa funzione.


RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 11 novembre 2016, il Tribunale di Siena ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli imputati in relazione ad una serie di reati di falso e abuso d’ufficio, connessi con violazioni urbanistiche.
2. – Avverso la sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siena ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Un primo motivo di doglianza attiene alla sostanziale carenza della motivazione in relazione reati di cui ai capi 1), 2), 3) della richiesta di rinvio a giudizio, contestati a Chiantini, quale assessore comunale con delega all’urbanistica, e a Parri, quale legale rappresentante della società beneficiata, oltre che ad altri soggetti giudicati separatamente, e riferiti all’iter amministrativo relativo al permesso di costruire riguardante l’area TU 14 del Comune di Monteriggioni. Erano contestati, in particolare: la formazione di un falso atto di rettifica e voltura di un permesso di costruire originariamente emanato in favore di una diversa società, con falsa attestazione del momento della sua redazione; la formazione di due false attestazioni di conformità in sanatoria, con false attestazioni dei momenti della loro redazione; atti che il pubblico ministero riteneva fidefacenti fino a querela di falso. Sostiene il ricorrente che il Gup ha dichiarato il non luogo a procedere attraverso una carente ricostruzione degli elementi d’accusa, dando conto delle fonti di prova in modo parcellizzato, decontestualizzando le intercettazioni telefoniche e ambientali e dimenticando di valutare una parte cospicua degli atti (che lo stesso pubblico ministero richiama e riporta analiticamente alle pagg. da 10 a 18 del ricorso). Si lamenta, inoltre, che il giudice avrebbe svalutato la portata della voltura, a favore della società di Parri, del permesso di costruire originariamente rilasciato alla San Martino s.r.l.: secondo la prospettazione accusatoria, tale atto era essenziale perché aveva consentito alla nuova società di presentare richieste di variante in corso d’opera, richiesta di compatibilità paesaggistica, richieste di accertamento di conformità in sanatoria. Anche la retrodatazione di tale atto doveva essere ritenuta necessaria a tal fine, per evitare la verificazione del silenzio-rigetto di cui all’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001.
2.2. – In secondo luogo, con riferimento ai capi 4) e 10), entrambi relativi ad abuso d’ufficio, rispetto ai quali il gruppo aveva rilevato l’intervenuta prescrizione, si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’ingiusto vantaggio patrimoniale si era realizzato al momento del rilascio dei permessi di costruire anziché, per il capo 4), al momento in cui lavori edilizi erano stati conclusi, e per il capo 10, al momento della sospensione dei lavori edilizi. In particolare, il Gup aveva affermato che il riconoscimento dell’edificabilità di un terreno consiste nell’attribuzione di una possibilità di sua messa a reddito, che ne determina un fisiologico ed immediato incremento di valore in considerazione delle ampliate opportunità di suo utilizzo. Secondo la prospettazione accusatoria, invece, il reato di abuso d’ufficio avrebbe natura eventualmente permanente, cosicché lo stesso dovrebbe intendersi consumato al momento della effettiva realizzazione del vantaggio patrimoniale.
2.3. – Con una terza censura, si deducono vizi della motivazione in relazione ai reati di cui ai capi 5), 7), 9), relativi a false attestazioni sulla natura non “boscata” dei terreni oggetto di interventi edilizi per impianti di distribuzione di carburanti. Si lamenta che il Gup, dopo aver affermato che la falsità degli atti oggetto dell’imputazione non è riconducibile alla condotta punita dall’art. 479 ma in quella punita dall’art. 480 cod. pen. e che tali atti non sono fidefacenti, era pervenuto al proscioglimento degli imputati Pieri e Manganelli, responsabili in epoche diverse dell’ufficio tecnico comunale, pur affermando che le autorizzazioni paesaggistiche oggetto di contestazione non fanno menzione della presenza del bosco, pacificamente esistente sul luogo. Si contesta l’argomentazione del giudice per tale omessa menzione non sarebbe sufficiente per concludere degli atti siano ideologicamente falsi, in quanto gli stessi effettuano una valutazione globale delle opere e del loro impatto. Si lamenta, in particolare, che, dall’analisi della legislazione vigente e degli strumenti urbanistici e di governo del territorio la natura di bosco di tale area sarebbe stata facilmente desumibile. Né si sarebbero considerate le intercettazioni telefoniche e ambientali che illustravano la consapevolezza degli indagati di operare in violazione di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1. – Deve preliminarmente osservarsi che la natura di atto fidefacente fino a querela di falso deve essere esclusa per il permesso di costruire di cui agli artt. 10 e ss. del d.P.R. n. 380 del 2001, perché la sua funzione non è quella di accertare uno stato di fatto, ma di garantire, attraverso un controllo preventivo sulla sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto di edificazione, il corretto assetto del territorio. Esso si colloca, cioè, al di fuori della categoria degli atti fidefacenti ai sensi degli artt. 476 e ss. cod. pen., perché non è espressione della “funzione registratrice” dello Stato o di altri enti pubblici e non rientra, perciò, tra gli atti c.d. “probanti”, che fanno fede fino ad impugnazione di falso, come, ad esempio, gli atti notori, dello stato civile, i verbali e le altre attestazioni, devoluti ai pubblici ufficiali aventi ad oggetto annotazioni, relazioni, constatazione di fatti o di accadimenti giuridicamente significativi.
E le medesime considerazioni valgono anche per la voltura del permesso di costruire e per l’attestazione di conformità in sanatoria, perché anche tali atti hanno la stessa funzione. La voltura serve, infatti, a consentire che l’attività edilizia originariamente assentita a favore di un soggetto sia svolta da un diverso soggetto; mentre l’attestazione di conformità ha l’effetto di sanare opere eventualmente realizzate in difformità, svolgendo, ex post, la funzione normalmente svolta ex ante dal permesso di costruire.
Fatta questa premessa, dalla quale emerge – quanto al caso di specie – la non configurabilità della circostanza aggravante a effetto speciale di cui all’art. 476, secondo comma, cod. pen., deve rilevarsi che la doglianza del ricorrente risulta fondata quanto alla lamentata mancanza di motivazione. Effettivamente, il proscioglimento per non avere commesso il fatto in relazione ai reati di cui ai capi 1), 2) ,3) si basa – come evidenziato dal pubblico ministero – su una disamina solo parziale del materiale istruttorio, che non tiene conto di tutte le intercettazioni, né di tutte le dichiarazioni degli imputati, analiticamente riportate alle pagg. 10-18 del ricorso. Il Gup si è limitato all’esame di conversazioni e messaggi di testo (pagg. 12-13 della sentenza impugnata), che risultano da soli insufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, perché dagli stessi non emerge con sufficiente chiarezza la circostanza che Chiantini e Parri fossero consapevoli delle falsificazioni delle date dei tre atti di cui al capo di imputazione. In particolare, il Gup non ha svolto in modo sufficientemente analitico una valutazione globale di tali conversazioni e degli altri elementi di prova richiamati dal pubblico ministero; valutzione che sarebbe stata oltremodo necessaria, essendo Parri il soggetto effettivamente avvantaggiato dalla retrodatazione degli atti in questione. Per queste ragioni, pur essendo ormai prossima la prescrizione dei reati, contestati come commessi il 7 dicembre 2010 – operando l’ordinario termine di prescrizione e non quello più lungo che sarebbe conseguito al riconoscimento della circostanza aggravante a effetto speciale dell’art. 476, secondo comma, cod. pen. – la sentenza impugnata deve essere annullata quanto ai capi 1), 2), 3) dell’imputazione.
3.2. – La seconda censura del pubblico ministero è infondata. Essa pone il problema della consumazione del reato di abuso d’ufficio, individuata dal pubblico ministero, in un caso (capo 4), nel momento di fine dei lavori autorizzati con il permesso di costruire oggetto del reato e, in un altro caso (capo 10), nel momento di sospensione dei lavori già iniziati in forza del permesso di costruire oggetto del reato. Diversa è la tesi del Gup, che ritiene, invece, che il reato debba intendersi consumato al momento del rilascio del permesso di costruire.
Tale seconda interpretazione va ritenuta preferibile. Devi infatti rilevarsi che il permesso di costruire, sebbene effettivamente suscettibile, una volta rilasciato, di generare un eventuale ulteriore incremento del patrimonio del destinatario tramite l’esecuzione dei lavori autorizzati o il trasferimento del bene immobile divenuto edificabile a terzi, costituisce già di per sé una voce attiva nell’ambito della situazione giuridica soggettiva dell’interessato, perché il riconoscimento dell’edificabilità di un terreno attribuisce a tale terreno una nuova possibilità di messa a reddito, che ne determina un fisiologico incremento di valore in relazione alle ampliate opportunità di suo utilizzo (ex plurimis, Sez. 3, n. 4140 del 13/12/2017, dep. 29/01/2018, Rv. 272113; Sez. 6, n. 37531 del 14/06/2007, Rv. 238028; Sez. 6, n. 49554 del 22/10/2003, Rv. 227204). Può dunque affermarsi che, rispetto all’incremento patrimoniale che normalmente discende già dalla semplice emanazione di un permesso di costruire illegittimo, l’eventuale successiva attività edificatoria – così come l’eventuale successiva alienazione del terreno divenuto edificabile – costituisce un post factum, che dipende da una condotta ulteriore del titolare del bene, rimanendo estraneo alla sfera di azione del pubblico ufficiale che ha emanato l’atto illegittimo. Ne consegue che il momento consumativo del reato di abuso d’ufficio consistente nell’emanazione di un permesso di costruire illegittimo coincide con l’emanazione dell’atto stesso, perché in tale momento si compie la condotta del pubblico ufficiale e si verifica l’ingiusto vantaggio patrimoniale per il soggetto beneficiato.
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in relazione al reato di cui al capo 4) dell’imputazione; mentre per quello di cui al capo 10) nessun vantaggio patrimoniale successivo rispetto all’emanazione dell’atto può essere comunque configurato, essendo intervenuto un provvedimento di sospensione dei lavori che di per sé ha posto l’immobile in una condizione di sostanziale incommerciabilità. Ne deriva che i reati devono essere retrodatati al momento dell’emanazione dei permessi di costruire nn. 85 e 86 (entrambi del 29 ottobre 2008), con la conseguenza che gli stessi erano prescritti – come correttamente rilevato dal Gup – già al momento dell’emanazione della sentenza impugnata.
3.3. – Quanto al terzo motivo di doglianza, relativo ai reati di falso di cui ai capi 5), 7), 9), che il Gup ha ritenuto insussistenti, devono essere richiamate le considerazioni già svolte sub 3.1. L’autorizzazione paesaggistica oggetto dei contestati falsi è, infatti, assimilabile al permesso di costruire ai fini dell’esclusione di una sua riconducibilità alla categoria degli atti fidefacenti fino a querela di falso. Ne deriva che, non potendo trovare applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 476, secondo comma, richiamato dal successivo art. 479 cod. pen., e trovando, perciò, applicazione l’ordinario termine prescrizionale complessivo di sette anni e sei mesi, i reati – il più recente dei quali è contestato come commesso il 7 ottobre 2009 – risultano prescritti alla data odierna. Deve rilevarsi, in ogni caso, che la motivazione nella sentenza risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente laddove evidenzia che non emergono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio in relazione a tali reati, perché le autorizzazioni paesaggistiche in questione, lungi da arrecare la falsa attestazione della natura non “boscata” dei terreni, semplicemente operavano una valutazione tecnica complessiva – cui non si attagliano le categoria della verità o della falsità – secondo cui gli interventi di realizzazione dei distributori non modificavano sostanzialmente l’aspetto paesaggistico e ambientale. Né ostano a tale conclusione le conversazioni richiamate dal pubblico ministero alle pagg. 28-29 del ricorso, perché le stesse si riferiscono alla natura dei terreni e non alla portata e al contenuto degli atti autorizzatori. Ne deriva l’infondatezza anche di tale censura.
4. – In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente ai reati di cui ai capi 1, 2, 3, con trasmissione degli atti al Tribunale di Siena. Il ricorso del pubblico ministero deve essere nel resto rigettato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui ai capi 1, 2, 3, con trasmissione degli atti al Tribunale di Siena. Rigetta nel resto il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2018.