Cass. Sez. III n.43823 del 31 ottobre 2023 (CC 4 ott 2023)
Pres. Ramacci Est. Di Stasi Ric.Portoghese
Urbanistica.Inefficacia provvedimenti di sanatoria atipici

Essendo illegittimi i provvedimenti di sanatoria "atipica" che prescindano dal requisito della doppia conformità, il giudice penale non può attribuire ad essi alcun effetto, non soltanto con riguardo all'estinzione del reato urbanistico, ma pure rispetto alla non irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, T.U.E., ovvero alla revoca dello stesso qualora il provvedimento amministrativo contra legem sia eventualmente stato emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30/03/2023, il Tribunale di Lecce, in funzione di Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza, proposta nell’interesse di Portoghese Gaetano, di revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive impartito con la sentenza n.302/2009 del 14.01.2010, confermata dalla sentenza n. 821/2011 della Corte di appello, irrevocabile in data 28/05/2013.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Portoghese Gaetano, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo di seguito enunciati.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, esponendo che per le opere di cui all’ordine di demolizione era stato rilasciato permesso di costruire in sanatoria n. 700 del 18 giugno 2005 rilasciato dal Comune di Soleto ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001; richiama, poi, un consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato che ha ammesso la possibilità di regolarizzazione postuma di opere che, benchè non conformi alle norme urbanistico-edilizie ed alle previsioni degli strumenti di pianificazione al momento in cui vennero eseguire, lo siano diventate solo successivamente, argomentando che alla stregua di tale orientamento giurisprudenziale, pur non estinguendosi il reato urbanistico difettando i presupposti di applicabilità dell’art. 45 del d.P.R. n. 380/2001, sarebbe incongruo procedere alla demolizione di un manufatto originariamente abusivo poi assentito.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza delle doglianze proposte.
2. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l'irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall'art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez.3, n.39895 del 28/05/2013, Rv.257682 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Rv. 260973; Sez.3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv.262422 – 01; Sez.3, n.45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 – 01; e da ultimo, Sez.3, n. 2357 del 14/12/2022, dep.20/01/2023, Rv.284058 – 03, che ha anche precisato che il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. "doppia conformità"), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica).
E’ stato, in particolare osservato che, benché la legittimità di un provvedimento di sanatoria c.d. "atipico" – che ricorre nella specie -, che sancisca la compatibilità ex post con le previsioni urbanistiche di un manufatto che non era invece conforme alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione, sia stata in passato affermata dalla giurisprudenza amministrativa, sì che questa Corte - sia pur non attribuendo loro effetti estintivi del reato urbanistico per la mancanza del requisito della doppia conformità richiesto dal combinato disposto di cui agli artt. 36 e 45, comma 3, T.U.E. - ne aveva affermato la rilevanza ai fini di escludere l'adozione (o l'esecuzione) dell'ordine di demolizione previsto dall'art. 31, comma 9. T.U.E. (cfr. Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008, Iacono Ciulla, Rv. 239708; Sez. 3, n. 40969 del 27/10/2005, Olimpio, Rv. 232371), l'orientamento in parola può dirsi oggi certamente superato.
Ed invero, proprio con riguardo al problema in esame, postosi in sede di giudizio di esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna, questa Corte ha affermato che la sanatoria, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 T.U.E. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda 5 di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Rv. 260973, cit.). Nella motivazione della richiamata decisione si pone in luce come, a far tempo dalla seconda metà del decennio scorso, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. Sez. 4, n. 4838 del 17 settembre 2007) abbia escluso l'ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale sul presupposto che la sua applicazione contrasta con il principio di legalità, dal momento che non vi è stata alcuna espressa previsione di tale istituto allorquando l'art. 36 T.U.E. ha riproposto la corrispondente disciplina contenuta nella I. 47/1985, avendo il legislatore delegato, nella redazione del d.P.R. 380/2001, disatteso il parere del 29 marzo 2001 con cui l'Adunanza generale del Consiglio di Stato ne aveva sollecitato l'introduzione nell'emanando testo unico in materia edilizia. Lo stesso giudice amministrativo - si rimarca, citando Cons. St. Sez. 4, n. 6784 del 2 novembre 2009 - ha poi ritenuto che l'art. 36 T.U.E., in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di interpretazione riduttiva e (cfr. Cons. St. Sez. 5, n. 3220 del 11 giugno 2013) che la sanatoria giurisprudenziale non può ritenersi applicabile in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa non potendosi ritenere ammessi nell'ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall'Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri non previsti dalla legge e non surrogabili in via giudiziaria. Ancora, la citata decisione di questa Corte osservava come il Consiglio di Stato avesse ulteriormente confermato la propria posizione in tema d'illegittimità della sanatoria giurisprudenziale sul rilievo che il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria anche quando dopo la commissione dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico sia giustificato della necessità di «evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)» oltre che dall'esigenza di «disporre una regola senz'altro dissuasiva dell'intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell'abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico» (Cons. St. Sez. 5, n. 1324 del 17 marzo 2014; conf. Cons. St. Sez. 5, n. 2755 del 27 maggio 2014). Si rilevava - da ultimo - come questo consolidato orientamento del giudice amministrativo avesse trovato conferma nella decisione con cui la Corte Costituzionale (sent. 22-29/05/2013, n. 101), esaminando la compatibilità costituzionale della legislazione adottata dalla Regione Toscana in materia di governo del territorio e rischio sismico, aveva affermato che il principio fondamentale della legislazione statale in materia di provvedimento di sanatoria delle opere abusive ricavabile dall'art. 36 T.U.E., che esige il rispetto del requisito della doppia conformità, «risulta finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità» (Corte cost., sent. n. 101/2013). Richiamando l'orientamento del giudice amministrativo che esclude la legittimità di provvedimenti atipici di sanatoria che prescindano da tale doppia conformità, nella citata decisione la Corte costituzionale ha ulteriormente osservato che, diversamente dal condono, la sanatoria ordinaria «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi "formali", ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, "anche di natura preventiva e deterrente", finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in modo da escludere letture "sostanzialiste" della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell'istanza per l'accertamento di conformità» (Corte cost., sent. n. 101/2013). Queste argomentazioni e conclusioni - con cui il ricorrente in alcun modo si confronta - sono integralmente condivise dal Collegio, dovendosi inoltre osservare come il citato orientamento del giudice amministrativo abbia trovato in questi ultimi anni ulteriori e ripetute tanto da potersi oramai considerare ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., da ultimo: Sezione VI 19 agosto 2022, n. 7291; Sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5948; Sez. VI, 17/2/2021, n. 1457; 4/1/2021; Sez. IV, sent. n. 1874 del 21 marzo 2019; Sez. VI, sent. n. 5319 del 11 settembre 2018; Sez. VI, sent. n. 2496 del 24 aprile 2018; Sez. VI, sent. n. 1087 del 20 febbraio 2018; Sez. VI, sent. n. 3018 del 21 giugno 2017; Sez. VI, sent. n. 3194 del 18 luglio 2016).
3. Deve, pertanto, ribadirsi il principio, secondo cui, essendo illegittimi i provvedimenti di sanatoria "atipica" che prescindano dal requisito della doppia conformità, il giudice penale non può attribuire ad essi alcun effetto, non soltanto con riguardo all'estinzione del reato urbanistico, ma pure rispetto alla non irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, T.U.E., ovvero alla revoca dello stesso qualora il provvedimento amministrativo contra legem sia eventualmente stato emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.
4. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, nel rigettare l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione, ha fatto buon governo del suesposto principio di diritto, rilevando come il permesso di costruire in sanatoria rilasciato non fosse valido per difetto della doppia conformità in quanto al momento della realizzazione dell’immobile abusiva (e della emissione della sentenza di condanna) il ricorrente era privo del necessario requisito della qualifica di imprenditore agricolo e che, quindi, non era possibile effettuare l’accorpamento di due fondi ( successivamente accorpati) per i quali si applicavano, in ragione della natura dell’attiva svolta, cui l’immobile era collegato, indici di fabbricabilità più favorevoli con conseguente rispetto del limite di volumetria.
Tale valutazione, poi, si pone in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'ordine di demolizione impartito dal giudice, pur costituendo una statuizione sanzionatoria giurisdizionale, ha natura amministrativa e non è suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre possibile la sua revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all'immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria. Una simile situazione, tuttavia, non determina alcuna automatica caducazione dell'ordine di demolizione, restando fermo il potere- dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260972; Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, dep.2013, Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n. 25212 del 18/1/2012, Maffia, Rv. 253050; Sez.3, n.17066 del 04/04/2006, Rv.234321; Sez.3, n.17478 del 16/04/2002, Rv.221974; Sez. 3, n. 73 del 30/4/1992, Rizzo, Rv. 190604; Sez. 3, n. 3895 del 12/2/1990, Migno, Rv. 183768).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/10/2023