Cass. Sez. III n. 4916 del 3 febbraio 2015 (Ud 13 nov 2014)
Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Agostini
Urbanistica.Opere di scavo
Le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio
RITENUTO IN FATTO
1. A.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Ancona di conferma della sentenza del Tribunale di Ancona di condanna per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a) e 146 e 181, comma 1 bis, (capo b) in relazione alla realizzazione di un piazzale mediante sbancamento a monte e riporto a valle del terreno in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
2. Con un primo motivo lamenta l'inosservanza dell'art. 525 c.p.p. e la violazione del principio di immutabilità del giudice, non avendo il nuovo giudice di primo grado, subentrato all'originario dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, rinnovato, come richiesto anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la dichiarazione di apertura del dibattimento.
3. Con un secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione al reato di cui al capo a) avendo la Corte semplicemente affermato che le opere della dimensione e consistenza in esame finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio; tanto più, avendo poi affermato che l'opera era espressione di attività di coltivazione. Sotto tale profilo lamenta l'omessa considerazione da parte della Corte dell'ordinanza del Comune di Urbania secondo cui, per lo sbancamento, era necessaria una mera richiesta di inizio di attività.
4. Con un terzo motivo, deducendo mancanza, contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione, contesta la ritenuta propedeuticità dello sbancamento rispetto all'annesso agricolo per il quale era stato richiesto permesso a costruire, ma mai realizzato, non comprendendosi perchè l'imputato avrebbe dovuto realizzare un piazzale senza autorizzazione se propedeutico alla costruzione di annesso agricolo per il quale invece veniva richiesto il titolo abilitativo. In realtà lo sbancamento era preesistente rispetto alle opere oggetto della richiesta.
5. Con un quarto motivo, lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato paesaggistico di cui al capo b); deduce che la Corte, pur avendo riconosciuto che il provvedimento amministrativo qualifica l'opera in oggetto come espressione di attività di coltivazione senza alterazione dello stato dei luoghi e compatibile con l'ambiente ed il paesaggio (come confermato anche dal teste S.), con la conseguente non necessità della previa autorizzazione, e, quindi, con la conseguente non rilevanza penale del fatto ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, comma 1, lett. b), è poi giunta ad opposte conclusioni valutando non correttamente come irrilevanti, ai fini penali, le determinazioni della p.a.
Infine chiede l'annullamento della sentenza laddove viene ordinata la riduzione in pristino di opere mai realizzate, non avendo la stessa ragion d'essere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Risulta dalla sentenza impugnata che l'intera istruzione dibattimentale si è svolta innanzi al giudice che ha emesso la sentenza, intervenuto in sostituzione dell'originario dopo un primo rinvio dall'udienza in cui si era disposta l'ammissione delle prove, alle quali si è poi dato corso in assenza di richieste diverse da parte della difesa. In altri termini, deve ritenersi incontroverso che il secondo giudice è "entrato in scena" dopo il provvedimento di ammissione adottato dal primo, provvedendo ad assumere le prove e, successivamente, a deliberare.
Ora, come già chiarito da questa Corte, il principio di immutabilità del giudice deve necessariamente essere letto alla luce del profilo funzionale del dibattimento rispetto alla decisione posto che la ratio dello stesso è quella di assicurare l'unitarietà e l'omogeneità del processo di formazione della volontà decisoria del giudice, sulla base del materiale probatorio raccolto dal medesimo e caduto sotto la sua diretta percezione (Sez. 6, n. 2928 del 21/10/2009, P.G. in proc. Picozzi e altro, Rv. 245768); di qui, dunque, la conclusione, già affermata in precedenza sempre da questa Corte (Sez.6, n. 43005 del 03/04/2012, P., Rv. 253789), secondo cui, nella specie, il principio di immutabilità è stato rispettato posto che il giudice, assumendo la prova ammessa in precedenza da altro giudice, ha contestualmente proceduto, implicitamente (in difetto di vincolanti forme e modi previsti dall'ordinamento processuale) a nuova valutazione sulla ammissione della stessa in assenza di alcuna opposizione da parte della Difesa, che mai ha sollevato alcuna opposizione in proposito; ne consegue come nessuna nullità si sia, nella specie, prodotta laddove il secondo giudice, che ha escusso i testi nel contraddittorio delle parti, ha sicuramente partecipato al dibattimento.
Nè tale conclusione si pone in contrasto con quanto affermato da Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Iannasso, Rv.212395: seppure è vero che tale decisione ha affermato che, in caso di mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, il principio di immutabilità impone la rinnovazione integrale del dibattimento, con la ripetizione della relativa sequenza procedimentale, è anche vero che nella fattispecie giudicata dalle Sezioni Unite il mutamento del giudice era intervenuto quando già vi era stata l'assunzione di alcune delle prove, sicchè la rinnovazione formale del dibattimento in tutte le sue scansioni finiva con l'assumere una più pregnante valenza, proprio per garantire la necessaria unitarietà del percorso formativo della valutazione decisoria.
7. Il secondo ed il quarto motivo, tra loro sostanzialmente collegati perchè basati sul medesimo presupposto, sono infondati.
Va ribadito che, come già più volte affermato da questa Corte, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (cfr., Sez.3, n. 8064 del 2/12/2008, P.G. in proc. Dominelli ed altro, Rv.242741). Nella specie, la sentenza ha correttamente argomentato, traendone logica conferma dall'avvenuta presentazione, con esito negativo, di richiesta di permesso a costruire un manufatto, come si versi in presenza di lavori di scavo e di sbancamento finalizzati ad edificazione di annesso agricolo e dunque, appunto, di manufatto, e non, invece, ad attività di coltivazione (la cui natura non è stata neppure specificata dal ricorrente), stante anche la conformazione del terreno.
Correttamente, inoltre, la sentenza impugnata ha richiamato, con riguardo alla pretesa mancata considerazione dell'ordinanza comunale secondo cui, come affermato in ricorso, sarebbe stata necessaria una mera richiesta di inizio attività, il principio di autonomia delle valutazioni adottate in sede giurisdizionale rispetto a quelle dell'autorità amministrativa con le sole previsioni derogatorie tassativamente previste dalla legge (cfr., Sez.3, n. 22823 del 26/02/2003, Barbieri, Rv. 225293). Va aggiunto che, proprio in ragione della finalizzazione dello scavo ad usi diversi da quelli agricoli, deve ritenersi che la Corte abbia poi correttamente escluso, con riguardo a quanto lamentato con il quarto motivo di ricorso, l'applicabilità del disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, comma 1, lett. b), che proprio l'essenziale presupposto di attività agro-silvo-pastorale implica. Va considerato, per di più, che anche gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro- silvo-pastorale, laddove comportano un'alterazione permanente dell'assetto territoriale, richiedono la preventiva autorizzazione di legge, atteso che gli stessi assumono, in forza di ciò, la natura di opera civile (cfr., Sez. 3, n. 2950 del 12/11/2003, Pizzolato ed altro, Rv. 227395).
8. Il terzo motivo è inammissibile, risolvendosi, in realtà, con il sostenere che lo sbancamento non sarebbe stato propedeutico rispetto alla edificazione del manufatto, e al di là, quindi, della formale dedotta mancanza e contraddittorietà della motivazione, nella pretesa di una diversa lettura dei dati fattuali non illogicamente interpretati, in senso opposto, dalla Corte territoriale. Va infatti ribadito che resta esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 7380 dell'11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
9. Quanto all'ultima richiesta, la stessa formulazione di essa, laddove si pretende, nella sostanza, l'inutilità dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di primo grado a fronte di opere abusive in realtà mai realizzate, ne denuncia la mancanza di interesse; ove infatti non si voglia ritenere, che, con l'espressione "demolizione delle opere abusive", il giudice abbia in realtà inteso fare correttamente e legittimamente riferimento all'ordine di restituzione in pristino dello stato dei luoghi, evidentemente più appropriato in relazione al risultato di opere di sbancamento e riporto, la statuizione resa dal Tribunale sarebbe, al più, inutiliter data e, dunque, proprio per l'assenza di opere edilizie da demolire, non eseguibile in concreto, con conseguente mancanza di interesse al ricorso sul punto. Ciò, va aggiunto, in conformità al costante indirizzo di questa Corte secondo cui l'interesse a fondamento del ricorso deve atteggiarsi concretamente nel senso di evitare che dal provvedimento del giudice derivi, o possa derivare, la lesione di un diritto o di altro interesse giuridico dell'impugnante, in rapporto ad un pregiudizio sia pur potenzialmente derivante dalla pronuncia; sicchè non è tale l'interesse diretto solamente alla pretesa teorica dell'esattezza giuridica della decisione (cfr. Sez. 1, n. 1711 del 15/03/1996, Cascio, Rv. 204605).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2015