Cass. Sez. III n. 10927 del 13 Marzo 2019 (Up 6 dic 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Bonica ed altri
Urbanistica. Realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti

 La realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita esclusivamente se effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, conseguentemente non rientrano in tale disciplina di favore i manufatti realizzati con interramenti ottenuti per effetto del riporto di terra.


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Messina, con sentenza del 19 aprile 2017 ha riformato la decisione emessa il 25 luglio 2016 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto - Sezione distaccata di Lipari, affermando la responsabilità penale di Ernesto BONICA, Stefano BONICA. Maria Pia Lucia REGINA ed Angelo SCAFIDI, in accoglimento dell'appello del Procuratore della Repubblica, per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44. lett. c) d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, perché, i primi due in qualità di proprietari committenti, il terzo quale direttore dei lavori ed il quarto quale esecutore materiale delle opere, realizzavano, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, un parcheggio, un locale tecnico ed opere secondarie in assenza di valido titolo abilitativo ed in difformità dall'autorizzazione n. 2094 del 15 dicembre 2010 (fatti accertati in Lipari - Filicudi il 26 aprile 2013).
E’ stata ordinata la demolizione delle opere abusive
Nel giudizio di primo grado era stata invece pronunciata sentenza assolutoria per insussistenza del fatto, stante l’accertato rilascio di autorizzazione edilizia in sanatoria, quanto al reato urbanistico, mentre per quello paesaggistico era stata ritenuta la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.  

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, assumendo che la sentenza d'appello avrebbe illegittimamente dichiarato l'inefficacia dell'autorizzazione edilizia in loro possesso, con la quale i lavori erano stati assentiti, adottando una valutazione non consentita al giudice penale, sostituendosi, quindi, all'autorità amministrativa che avrebbe correttamente adottato provvedimenti di propria competenza.

3. Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, osservando che le opere sarebbero state regolarmente autorizzate dalla soprintendenza e dall'amministrazione comunale ed  eseguite nel rispetto del progetto e dei titoli abilitativi, tanto che, a seguito di un sopralluogo, i tecnici del comune avevano archiviato la pratica in quanto le modestissime variazioni apportate rispetto a quelle autorizzate risultavano di scarsa valenza urbanistica.
Aggiungono che, per dette opere, il comune di Lipari richiede l'autorizzazione e non il permesso di costruire e che tale autorizzazione era stata regolarmente rilasciata, senza che i tecnici del comune rilevassero difformità sostanziali rispetto a quanto autorizzato.

4. Con un terzo motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione in ordine all’insussistenza di circostanze oggettive tali da far desumere la particolare tenuità dell'offesa per i fatti di cui al capo b) dell'imputazione, che è stata riconosciuta, invece, dal primo giudice.

5. Con un quarto motivo di ricorso osservano che il giudice di primo grado aveva basato il suo convincimento circa la conformità delle opere al progetto su dichiarazioni testimoniali, che indicano nel dettaglio, osservando come non si comprenda per quale ragione la Corte territoriale non ne abbia tenuto conto, incorrendo in una lettura parziale di quanto riferito dal teste CILONA, consulente del Pubblico Ministero ed omettendo ogni motivazione sulla natura non pertinenziale dell'area ove insistono le opere, senza considerare che tanto una determinazione dirigenziale del comune di Lipari, quanto la circolare numero 2474 del 31 gennaio 1973 del Ministero dei Lavori Pubblici consentivano la realizzazione di un manufatto pertinenziale all'esterno del corpo principale.
La Corte d'Appello avrebbe, inoltre, ritenuto insufficiente l'autorizzazione edilizia non tenendo conto di quanto disposto dall'articolo 5 della legge regionale n. 37 del 1985, la quale elenca espressamente i casi in cui può essere ottenuta l'autorizzazione edilizia sostitutiva della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
I giudici del gravame avrebbero poi erroneamente equiparato la denuncia di inizio attività all'autorizzazione edilizia assentita.

6. Con un quinto motivo di ricorso deducono che la realizzazione del garage non avrebbe comportato la violazione dell'articolo 87 del regolamento edilizio, il quale, al comma 6, prevede che ogni posteggio sia immediatamente accessibile da uno spazio sgombro di adeguata dimensione e che lo stesso garage è stato realizzato nel rispetto della legge 122/1989, che all'articolo 9, comma 1 consente tale tipologia di opere.

7. Con un sesto motivo di ricorso deducono che l'interpretazione della determina dirigenziale n. 22 del 30 gennaio 2001, secondo cui l'articolo 9 consentirebbe la realizzazione del garage, mentre escluderebbe la realizzazione di opere di pertinenza, quali “bisuoli” e “pulere” sarebbe palesemente errata, in quanto la soprintendenza aveva approvato il progetto originario, il quale prevedeva e raffigurava graficamente l'esistenza di pulere e bisoli, mentre la determina escludeva la realizzazione di tali opere di pertinenza del garage ma non escludeva opere pertinenziali all'abitazione principale.
Insistono pertanto per l'accoglimento del ricorso


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Va preliminarmente precisato che in premessa, nell’elencazione dei motivi di ricorso, è stata seguita la numerazione effettivamente corrispondente all’ordine di esposizione ed al numero complessivo dei motivi (sei), mentre in ricorso la numerazione seguita passa, evidentemente per mero errore, dal quarto al sesto motivo, proseguendo poi con un settimo motivo.    

3. Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la questione concernente i poteri del giudice penale rispetto all’atto abilitativo, anche in sanatoria, è stata oggetto di plurime pronunce da parte di questa Corte, più volte precisandosi, sostanzialmente, che, nell’individuare quelle situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non può che farsi riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente, con la conseguenza che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato (così, in motivazione, Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170. Conf. Sez. 3, n. 46477 del 13/7/2017, Menga e altri, Rv. 273218).
La questione è stata ulteriormente analizzata, in maniera ancor più approfondita, in una successiva decisione (Sez. 3, n. 49687 del 7/6/2018, Bruno, non ancora massimata) con la quale, attraverso una analisi accurata della giurisprudenza di legittimità degli ultimi decenni, tenendo anche conto di alcune isolate decisioni difformi, anche recenti, si è ribadito il principio secondo il quale l'obbligo di applicare "soltanto" la legge implica l'obbligo di negare applicazione ad ogni atto che, sebbene formalmente fondato sulla legge, sia tuttavia materialmente incompatibile con la legge o sia difforme da essa.
Alla luce di tali considerazioni, pienamente condivise dal Collegio, deve dunque ritenersi che, nella fattispecie, la Corte territoriale, nel valutare la validità ed efficacia dei titoli abilitativi di cui gli imputati disponevano, ha agito esercitando correttamente i propri poteri e senza sostituirsi, come erroneamente sostenuto dai ricorrenti, alle competenti autorità amministrative.

4. Quanto alla natura e consistenza delle opere eseguite e della loro regolarità, questioni trattate nel secondo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, i quali possono, pertanto, essere unitariamente considerati, la Corte territoriale ha pure svolto apprezzamenti giuridicamente corretti e sostenuti da adeguata motivazione.
Le opere, si apprende dalla sentenza impugnata e dal ricorso, unici atti accessibili al Collegio, consistono nella realizzazione di un garage e di un locale tecnico e, per la loro esecuzione, gli interessati avevano richiesto un’autorizzazione edilizia.
Il manufatto, secondo progetto, avrebbe dovuto essere completamente interrato, con esclusione di una parte del fronte antistante la via pubblica per consentire l’accesso ai locali, prevedendo, altresì, l’interramento del fabbricato mediante disposizione di uno strato di terreno vegetale sulla copertura.    
Secondo quanto accertato sulla base della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, il progetto non rappresentava fedelmente lo stato dei luoghi, perché non indicava i gradini disposti lungo la via comunale, limitandosi a descrivere una strada in pendenza, con la conseguenza che, considerata anche la larghezza media, la strada non risultava praticabile e percorribile con veicoli. L'intervento non era, poi, assentibile, in quanto la nuova costruzione alterava lo stato dei luoghi preesistenti, realizzandosi un fabbricato interrato attraverso l'innalzamento del livello naturale del terreno mediante opere di contenimento appositamente predisposte (innalzamento variabile da m. 1,25 m. 1,80).
Il volume tecnico, per assolvere la sua funzione riguardo al fabbricato principale, separato da una via pubblica, avrebbe dovuto attraversare quest’ultima con tubazioni ed altre opere, costituendo quindi una servitù di passaggio di cavidotti e tubazioni che avrebbe richiesto la previa autorizzazione.
Il garage, inoltre, non risultava accessibile con veicoli per la presenza di numerosi gradini antistanti il fabbricato preesistente e nel tratto iniziale della via comunale, che si dirama dalla via principale, in contrasto, quindi, con quanto indicato dall'art. 87 comma 6 del Regolamento Edilizio adottato, il quale prevede che ogni posteggio e, quindi, anche il garage in progetto, sia immediatamente accessibile da uno spazio sgombro (strada, passaggio, area di manovra) di adeguata dimensione, invece non presente. Infine, il manufatto era in contrasto con le previsioni di PRG adottate all'epoca della richiesta di autorizzazione.
Veniva fatto poi rilevare come, in ogni caso, il fabbricato non fosse stato eseguito conformemente al progetto, in quanto la copertura non era stata ricolmata di terreno vegetale come previsto e, quindi, non risultava completamente interrato e la quota del tratto di terreno, in prossimità del confine con altra particella, sul lato sud, non era stata realizzata allo stesso livello della quota di riferimento, risultando più bassa.
L' accesso al garage e al volume tecnico, inoltre, sarebbe dovuta avvenire direttamente dalla via comunale senza la presenza del muro delimitante la stessa via e per circa l'intera lunghezza del prospetto, mentre la scala di accesso alla parte soprastante di immobile in progetto era stata realizzata diversamente, così come l'intera zona attrezzata all'aperto.
Veniva altresì fatto osservare che la determina dirigenziale 22/2001, consentendo la realizzazione del garage dei sensi della legge 122/89 (art. 9), escludeva la realizzazione di pertinenze quali “bisuoli, pulere, tettoie e/o incannucciato” contrariamente, quindi, a quanto indicato in progetto e poi realizzato. Inoltre, il garage era stato progettato in un'area che, al momento della richiesta di autorizzazione, non era area di pertinenza del fabbricato principale, trattandosi di suolo appartenente ad un proprietario diverso che ne deteneva l'usufrutto, senza che, però, nella pratica oggetto presso gli uffici comunali fosse stato riscontrato alcun atto che autorizzasse la trasformazione permanente del sito e la destinazione pertinenziale dello stesso.
Sulla base di tali fattuali, dunque, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione.

5. Pare opportuno specificare, sebbene sul punto i ricorrenti non abbiano sollevato alcuna eccezione, che la diversa decisione della Corte rispetto a quella del primo giudice non risulta essere basata su  un diverso apprezzamento circa l'attendibilità di una prova dichiarativa, che avrebbe reso necessaria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, bensì sul presupposto che alcuni dati fattuali, segnatamente la natura e consistenza delle opere realizzate, erano stati erroneamente interpretati dal Tribunale, il quale aveva ritenuto sufficiente l’autorizzazione per la realizzazione dell’intervento, riconoscendo la validità di un tale provvedimento anche in sanatoria, mentre ha considerato di particolare tenuità la violazione dell’art. 181 d.lgs. 42/2004, pure contestata.
Le indicazioni contenute nella consulenza del Pubblico Ministero, confermate in dibattimento dal suo autore, sono state quindi considerate ai fini della qualificazione giuridica della condotta quali meri dati fattuali, rispetto ai quali i ricorrenti propongono una inammissibile valutazione alternativa.
Non è oggetto di censura, infatti, la ritenuta difformità delle opere dall’elaborato progettuale, limitandosi invece i ricorrenti a sostenere che le stesse non erano rilevanti (secondo motivo di ricorso) perché il comune aveva archiviato la pratica. A tale proposito si riporta, in ricorso, uno stralcio del provvedimento di archiviazione, il quale non consente però di apprezzarne in alcun modo l’effettivo contenuto e contiene riferimenti ad opere, quali un forno, che risulterebbe “traslato di sito”, di cui non vi è traccia nel provvedimento impugnato e che non ha alcuna attinenza con le opere realizzate, più volte indicate come un locale adibito a garage ed un locale tecnico.
Sempre riguardo alla non conformità delle opere al progetto ritenuta dalla Corte territoriale, i ricorrenti oppongono censure fondate su personali valutazioni, ancora una volta estrapolando brani di dichiarazioni testimoniali che, così esposte, nulla di concreto evidenziano, mentre i dati fattuali puntualmente specificati in sentenza forniscono una descrizione di un intervento del tutto avulso dall’originario progetto, basti pensare al dato evidente costituito dal fatto che il manufatto, il quale avrebbe dovuto essere destinato a garage, non era raggiungibile da veicoli per la presenza di gradini lungo il percorso di accesso, dato che i ricorrenti ritengono di poter neutralizzare, ancora una volta, attraverso l’estrapolazione di una frase del consulente tecnico del Pubblico Ministero il cui significato, sempre secondo loro, starebbe ad indicare che il teste avrebbe escluso la percorribilità della strada solo se effettuata con mezzi tradizionali (automobili, motocicli, ciclomotori), considerandola possibile con una “carriola con cingolati”.    

6. Quanto alla natura pertinenziale dell’intervento, di cui tratta il quarto motivo di ricorso, va rilevato che la Corte del merito ha precisato che le opere erano state realizzate su area che, al momento della loro esecuzione, non era di pertinenza del fabbricato principale ed apparteneva a soggetto diverso.
Viene, a tale proposito, dato atto in sentenza del fatto che il proprietario dell’area principale deteneva l’usufrutto di quella di sedime delle opere, ma viene altresì precisato che non era stato rinvenuto alcun atto che dimostrasse il vincolo di pertinenzialità e autorizzasse la trasformazione permanente dell’area.
Tale affermazione non viene sostanzialmente contestata in ricorso, ove ci si limita ad evidenziare, invece, la possibilità che il rapporto di servizio sia ammissibile anche quando le aree appartengano a proprietari diversi, richiamando la giurisprudenza in tema nonché quanto disposto dall’art. 87 del Regolamento Edilizio il quale, tuttavia, al comma 7, consente tale possibilità ma alla condizione, alla sussistenza della quale non viene però fatto cenno in sentenza e in ricorso, che “il richiedente dimostri l'impossibilità di realizzare sul lotto, in tutto od in parte, la dotazione prescritta, oppure l'Amministrazione comunale giudichi che il disimpegno del parcheggio possa costituire una fonte di disturbo o di pericolo per il traffico”, prevedendo, altresì, la stipula di una convenzione, di cui pure non vi è traccia.

7. Risulta inoltre corretta la lettura data dalla Corte territoriale alla legge 122/89, ritenuta applicabile nella fattispecie.
Invero, la legge 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. Legge Tognoli) riguarda i parcheggi a servizio di edifici già esistenti e stabilisce, nell'art. 9, comma 1, che detti parcheggi, costruiti dai proprietari degli immobili, possono essere realizzati nel sottosuolo, ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti; possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici; devono essere destinati a pertinenza dei fabbricati; non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli. Vengono fatte salve le disposizioni paesaggistiche ed ambientali.
E’ di tutta evidenza che lo speciale regime di favore introdotto dalla legge 122\89 è applicabile solo nel caso in cui ricorrano tutti i requisiti richiesti, in difetto dei quali le opere realizzate resteranno soggette al regime generale che richiede il permesso di costruire, come ha più volte evidenziato la giurisprudenza di questa Corte, escludendo, ad esempio, l’applicazione delle disposizioni in esame per la realizzazione, unitamente ad un garage interrato, di un insieme ulteriore di opere ad esso accessorie finalizzate ad una nuova sistemazione degli accessi all’edificio residenziale: terrazza con pensilina e scala di collegamento (Sez. 3, n. 28840 del 9/7/2008, Dantoni e altro, Rv. 240836) e per parcheggi realizzati in superficie (Sez. 3, n. 29080 del 26/2/2013, P.M. in proc. Gullo, Rv. 256669; Sez. 3, n. 38841 del 24/10/2006, Di Iorio, Rv. 235457; Sez. 3, n. 37013 del 24/09/2001, Tripodoro P, Rv. 220349).
A conclusioni analoghe  è  ripetutamente pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (v. ad es., Cons. Stato, Sez. IV n. 4645, 26 settembre 2008 ; Cons. Stato, Sez. V n.1608, 29 marzo 2006; Cons. Stato, Sez. V  n. 1662, 29 marzo 2004).
Va poi ricordato come, in particolare, l’applicabilità della speciale disciplina sia stata esclusa in caso di parcheggi costruiti con interramenti ottenuti per effetto del riporto di terra (Sez. 3, n. 26825 del 9/5/2003, Grandazzo, Rv. 225391).
Tale ultima decisione evidenzia la palese insussistenza dei requisiti di applicabilità della legge 122/89 nel caso in cui l’interramento viene effettuato con le modalità descritte, poiché ciò si porrebbe in evidente contrasto con la condizione, espressamente prevista dal testo normativo, che i parcheggi non comportino alcuna alterazione visibile del territorio, cosa che chiaramente non è possibile qualora un manufatto venisse dapprima costruito al di sopra del piano di campagna e solo dopo venisse artificialmente interrato.
Tali considerazioni, pienamente condivise dal Collegio, vanno qui ribadite, osservando che del tutto correttamente la Corte di appello ha escluso l'applicabilità, nella fattispecie, della «Legge Tognoli», ed il conseguente ricorso al regime ordinario, previsto per tutti gli interventi che comportino comunque una  trasformazione permanente del suolo inedificato, avrebbe previsto il rilascio di un valido permesso di costruire, circostanza che, nella fattispecie, non si è verificata.

8. Alle considerazioni della Corte territoriale i ricorrenti oppongono plurimi richiami all’art. 5 della legge regionale n. 37/1985 (peraltro ora abrogato dall’articolo 30 della legge regionale n. 16 del 10 agosto 2016) ed altre considerazioni sull’iter procedimentale adottato che, tuttavia, prescindono, ancora una volta, dalla effettiva natura delle opere realizzate e dalla loro effettiva consistenza come in precedenza individuata.

9. Tutte le argomentazioni sviluppate in ricorso si risolvono, in definitiva, in una personale valutazione della vicenda che, però, nella sostanza, non intacca minimamente la solidità del percorso motivazionale seguito dalla Corte del merito, il quale si fonda su dati fattuali decisivi, come la non corretta rappresentazione dello stato dei luoghi in progetto, la difformità delle opere dal progetto presentato e la reale consistenza di quanto realizzato.

10. La sentenza impugnata risulta inoltre immune da censure anche laddove esclude l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. con riferimento al reato paesaggistico.
In tema questa Corte ha già affermato (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265450. Conf. Sez. 3, n. 19111 del 10/3/2016, Mancuso, Rv. 266586) che, ai fini dell’applicabilità della citata norma codicistica per ciò che riguarda gli aspetti urbanistici, assumono rilievo vari elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente (ad es. l'ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell'intervento.  
Indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è stata inoltre ritenuta la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano contestualmente violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali).  
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha posto in evidenza la gravità dell’offesa in considerazione dell’entità del manufatto, realizzato in assenza di valido titolo abilitativo. Tale affermazione deve ovviamente essere letta in relazione al complessivo contenuto della motivazione, ove i giudici del gravame hanno ripetutamente posto in evidenza dati fattuali certamente indicativi di una consistente e non particolarmente tenue lesione dell’originario assetto territoriale, così adeguatamente confrontandosi e confutando le diverse conclusioni del primo giudice.
Sul punto, anche in questo caso, i ricorrenti oppongono, nel terzo motivo di ricorso, censure formulate sulla mera estrapolazione di brani della sentenza e di dichiarazioni testimoniali, per poi sostenere la sussistenza di un vizio di motivazione che, per le ragioni appena dette, deve essere invece escluso.

11. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro duemila per ciascun ricorrente.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).        

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende, nonché, in solido, alla rifusione delle spese della parte civile che liquida in euro tremilacinquecento oltre spese generali al 15% e oltre accessori di legge.
Così deciso in data 6/12/2018