CGA Sicilia n.510 1 giugno 2012
Danno ambientale. Legittimazione articolazioni locali di associazioni ambientaliste

L’esplicita legittimazione ex lege delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all’azione giudiziale non sembra escludere, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto da parte di associazioni o comitati, che risultino costituiti al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. In sostanza, le previsioni normative di cui alla legge n. 349/1986 hanno creato un criterio di legittimazione "legale" destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. interessi diffusi e che non li sostituisce. Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull’ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.

 

N. 510/12 Reg.Sent.

 

N. 826 Reg.Ric.

 

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso in appello n. 826/2011 proposto da

PRESIDENZA REGIONE SICILIANA e ASSESSORATO REGIONALE DELLE RISORSE AGRICOLE E FORESTALI, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvo-catura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via A. De Gasperi n. 81 sono per legge domiciliati;

c o n t r o

LEGAMBIENTE - COMITATO REGIONALE ONLUS e LAV - LEGA ANTI VIVISEZIONE ONLUS, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Nicola Giudice e Antonella Bonanno ed elettivamente domiciliati in Palermo, via M. d’Azeglio n. 27/c presso lo studio del primo difensore;

nonchè contro

ENPA - ENTE NAZIONALE PROTEZIONE ANIMALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

e nei confronti

di U.M. ENAL CACCIA P.T., CONSIGLIO SICILIANO CACCIA E AMBIENTE, ASSOCIAZIONE CPA CACCIA, PESCA E AMBIENTE, ARCI CACCIA, ANUU COM. REG. SICILIA, ANCA ASSOCIAZIONE NAZIONALE CACCIATORI, ANLC ASSOCIAZIONE NAZIONALE, FEDERAZIONE ITALIANA CACCIA, ASNC, UN ENALCACCIA P.T. DELEGAZIONE REGIONALE SICILIA, CONSIGLIO SICILIANO DELLA CACCIA, PESCA, AMBIENTE, CINOFILIA E SPORT, ASSOCIAZIONE CPA CACCIA, PESCA E AMBIENTE, ARCI CACCIA COMITATO FEDERATIVO SICILIANO, ANUU COMITATO REGIONALE SICILIA, PARTITO POLITICO CACCIA E AMBIENTE, ANIC, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sede di Palermo (sez. I) - 23 marzo 2011 n. 546;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli avv.ti N. Giudice e A. Bonanno per lo Onlus Legambiente e LAV;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il Consigliere Antonino Anastasi; uditi alla pubblica udienza dell’8 marzo 2012 l’avv. dello Stato Pollara per le amministrazioni appellanti e l’avv. N. Giudice per le Onlus appellate;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Le Associazioni oggi appellate hanno impugnato avanti al T.A.R. Palermo i Decreti Assessorili di approvazione e integrazione del calendario venatorio regionale per l’anno 2009-2010 nonchè il presupposto Piano regionale faunistico venatorio approvato con delibera della G. Regionale n. 253 del 2006.

Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale ha accolto in parte il ricorso, annullando in particolare le previsioni del calendario relative alla preapertura della stagione venatoria e alle deroghe ai divieti di caccia in ambiti protetti.

Il Tribunale ha altresì annullato il Piano faunistico regionale in quanto non previamente sottoposto a valutazione di incidenza ambientale.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla soccombente Amministrazione regionale la quale ne ha chiesto la riforma previa sospensione dell’esecutività del capo portante la sua condanna alle spese.

A sostegno dell’impugnazione l’appellante ha in particolare dedotto l’inammissibilità del ricorso introduttivo per quanto proposto dalla articolazione regionale della Legambiente e la tardività delle censure rivolte avverso il Piano faunistico.

Si sono costituiti il Comitato regionale di Legambiente Onlus e la LAV- Lega anti vivisezione.

Con ordinanza n. 662 del 2011 questo Consiglio ha accolto l’istanza cautelare.

Le parti hanno depositato memorie e documenti, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

All’udienza dell’8 marzo 2012 l’appello è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

In via preliminare va scrutinato il motivo di impugnazione mediante il quale l’appellante Amministrazione eccepisce l’inammis-sibilità parziale del ricorso introduttivo per come proposto dal comitato regionale di Legambiente, mera articolazione interna dell’asso-ciazione nazionale, unico soggetto iscritto negli elenchi ministeriali ed in questa forma eccezionalmente ex lege abilitato a tutelare gli interessi ambientali.

Sulla questione, che non ha carattere decisivo vista la natura collettiva del ricorso, il Collegio osserva quanto segue.

Come è noto, il problema della legittimazione di organismi esponenziali delle varie componenti sociali ai fini dell’impugnativa di provvedimenti lesivi dell’interesse alla conservazione dei valori ambientali - da tempo oggetto di un intenso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza - è stato affrontato dal Legislatore all’atto della istituzione del Ministero dell’ambiente.

Al riguardo l’art. 18 della legge 8.7.1986 n. 349 prevede infatti che le associazioni individuate ai sensi dell’art. 13 possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.

Per quanto qui interessa, l’art. 13 comma 1 dispone che: “ Le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l'ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta ...”.

La normativa ora richiamata ha trovato poi conferma nel disposto dell’art. 17 comma 46 L. 15.5.1997 n. 127: e qui non interessa stabilire se tale ultima disposizione, correlandosi alla soppressione dei tradizionali controlli sugli atti degli enti locali operata dalla legge Bassanini, abbia (o meno) ampliato il catalogo dei provvedimenti impugnabili dalle predette associazioni nazionali.

A fronte di una scelta del Legislatore che – seguendo in certo modo l’itinerario valorizzato dalla storica sentenza V Sez. 9.3.1973 n. 253 – individua la situazione legittimante nel preventivo riconoscimento dell’associazione, la maggioritaria giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la mancata inclusione di una associazione ambientalista negli elenchi ministeriali previsti dalle norme sopra citate comportasse la carenza in radice di legittimazione all’impugnativa di provvedimenti incidenti in materia ambientale. (fra le tante VI Sez. n. 756 del 1992 e 1403 del 2010).

Su un opposto versante ermeneutico si è però osservato che la normativa in commento definisce un titolo ulteriore di legittimazione, senza tuttavia far venire meno i criteri selettivi in precedenza a tal fine elaborati dalla giurisprudenza.

Alla stregua di tale indirizzo, l’esistenza di associazioni comunque legittimate (perchè riconosciute) non preclude al giudice di accertare caso per caso la legittimazione di singoli organismi non accreditati, purchè gli stessi esibiscano elementi di differenziazione (ad es. finalità statutarie, iscrizione in elenchi regionali etc.) ed un concreto e stabile collegamento con un dato territorio, tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale. (ad es. IV Sez. nn. 7246 del 2004 e 6467 del 2005).

Questo Consiglio in sede giurisdizionale ha di recente ritenuto di dare continuità all’indirizzo restrittivo (cfr. C.G.A. sentenza n. 279 del 2011) mentre in sede consultiva, come segnalato dalle appellate, ha invece aderito espressamente all’orientamento estensivo. (cfr. C.G.A. parere n. 558/2007 del 15.12.2009).

Ciò premesso, ritiene innanzi tutto questo Collegio di dover disattendere l’impostazione – evocata dalle appellate e che trova sporadico riscontro in giurisprudenza: cfr. ad es. VI Sez. n. 1414 del 2000 e IV Sez. n. 2329 del 2011– secondo la quale la legge n. 349/1986 non distinguerebbe tra le varie articolazioni dell’associazione riconosciuta a livello nazionale, demandando quindi la regolamentazione della capacità di stare in giudizio alle associazioni stesse.

In tal senso è infatti decisivo rilevare che il carattere nazionale dell’associazione (concretizzandosi negli elementi di filtro richiamati dall’art. 13 L. n. 349: finalità programmatiche, continuità e rilevanza esterna) costituisce al tempo stesso presupposto del riconoscimento e limite della legittimazione speciale, che ha dunque carattere ontologicamente unitario.

Solo l’associazione nazionale in quanto tale è dunque titolare ex lege, proprio in virtù delle caratteristiche che ne consentono il riconoscimento, della legittimazione alla causa e solo questa è giusta parte, anche nel caso di giudizio introdotto dall’impugnazione di provvedimenti ad effetti ambientali circoscritti.

Rispetto a tale legittimazione sostanziale, che opera ineludibilmente nei limiti in cui l’azione sia proposta in nome e per conto dell’associazione nazionale, le previsioni dello statuto di Legambiente (cfr. art. 75 comma terzo cod. proc. civ.) possono solo valere per identificare i soggetti ai quali mediante lo strumento rappresentativo è attribuita la legittimazione processuale, cioè la capacità di produrre effetti processuali ma sempre in capo all’Ente.

In termini piani, lo statuto (e più limitatamente gli accordi degli associati, nel caso di associazioni non riconosciute) può disciplinare il potere di stare in giudizio in rappresentanza della persona giuridica o associazione, ma non può distribuire verso le articolazioni interne la titolarità della situazione legittimante, e quindi il potere sostanziale di promuovere o resistere alle liti, che resta in capo all’Ente che ne è titolare, tra l’altro nel caso in esame per investitura legale ed eccezionale. (cfr. IV Sez. n. 2151 del 2006).

In sostanza, deve escludersi la legittimazione delle articolazioni territoriali di associazioni nazionali riconosciute allorchè esse non agiscono allegando una propria ed autonoma legittimazione fattuale ma si limitano a ripetere, in virtù di previsioni statutarie interne, il proprio titolo legittimante da quello ex lege conferito all’associazione nazionale di cui fanno parte.

Invece diversamente deve ritenersi – e in tale ottica il Collegio ritiene di dover aderire all’indirizzo estensivo – allorchè l’articolazione territoriale dell’associazione ambientale allega propri specifici titoli di legittimazione, come avvenuto nel caso all’esame.

In tal senso va ribadito che l’esplicita legittimazione ex lege delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all’azione giudiziale non sembra escludere, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto da parte di associazioni o comitati, che risultino costituiti al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. (cfr. VI Sez. n. 6554 del 2010).

In sostanza, le previsioni normative di cui alla legge n. 349/1986 hanno creato un criterio di legittimazione "legale" destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. interessi diffusi e che non li sostituisce.

Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull’ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso. (cfr. VI Sez. n. 3107 del 2011).

Il che, ad avviso del Collegio e sulla base della documentazione versata in giudizio, è quanto si riscontra con riguardo al comitato regionale siciliano di Legambiente, facendo appunto riferimento ai parametri tradizionalmente utilizzati dalla giurisprudenza, rispettivamente relativi alle finalità statutarie dell’ente, alla stabilità del suo assetto organizzativo e alla continuità dell’azione spiegata a tutela dei valori ambientali, nonché alla c.d. vicinitas dello stesso rispetto all’interesse sostanziale che si assume leso per effetto dell’azione amministrativa e a tutela del quale, pertanto, l’ente agisce in giudizio.

Ai precedenti rilievi deve poi aggiungersi che, come rilevato dalle appellate, nella specifica realtà siciliana il comitato regionale di Legambiente non solo costituisce associazione riconosciuta in conformità dell’art. 34 comma 3 della legge reg. n. 33 del 1997 in materia di caccia, ma altresì esprime propri rappresentanti in organismi consultivi regionali nel settore dei parchi e riserve naturali.

In particolare, il comitato regionale di Legambiente, oltre ad essere affidatario – in base a convenzioni con il competente Assessorato – della gestione di riserve naturali ed altre aree protette, nomina un proprio rappresentante nel Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale, istituito dall’art. 3 della legge reg. n. 98 del 1981 e s.m.i..

Deve quindi confermarsi quanto statuito dal T.A.R. – del resto sulla base di motivazioni già del tutto perspicue ed esaustive – in ordine alla legittimazione al ricorso del comitato regionale di Legambiente.

Con il secondo motivo l’appellante deduce la irricevibilità delle censure dedotte dalle ricorrenti avverso il Piano faunistico regionale, trattandosi di atto lesivo, adottato e ritualmente reso conoscibile mediante avviso in G.U.R.S. diversi anni prima della notifica del ricorso.

Inoltre, secondo l’Amministrazione, nello specifico caso in esame deve tenersi conto del fatto che - come sostanzialmente riconosciuto dalle appellate - le medesime associazioni avevano già ripetutamente impugnato i precedenti atti applicativi (i singoli calendari venatori) senza nulla dedurre in ordine allo specifico vizio dell’atto presupposto (la sua mancata sottoposizione a valutazione di incidenza ambientale) oggi invece riscontrato dalla sentenza impugnata.

In tale contesto - proprio in ragione della latitudine delle posizioni soggettive tutelate e in ragione della natura del vizio siccome atto ad infirmare in radice la legittimità dell’atto generale - le esigenze di certezza cui si ispirano i meccanismi decadenziali propri del processo amministrativo imponevano secondo l’appellante di considerare il piano consolidato e cioè inoppugnabile (per lo specifico aspetto in controversia) nei confronti dei soggetti che avevano già impugnato i primi atti applicativi.

Questo mezzo risulta fondato.

In proposito la sentenza impugnata ha disatteso l’analoga eccezione di irricevibilità versata nel giudizio di primo grado dalla resi-stente amministrazione applicando il costrutto giurisprudenziale consolidato secondo cui l’interesse ad impugnare un atto generale o avente valenza programmatoria sorge soltanto allorchè le sue previsioni generali trovano applicazione mediante specifici atti esecutivi.

Al riguardo il Collegio conviene sul rilievo che i regolamenti e gli atti generali (cioè gli atti a contenuto generale di cui agli artt. 3 c. 1 e 13 c. 1 L. n. 241/1990) sono impugnabili in via diretta solo in presenza di disposizioni che ledano in via immediata le posizioni soggettive dei destinatari, mentre negli altri casi l'interesse a ricorrere si radica in presenza di atti applicativi.

Nel caso all’esame, peraltro, il Collegio non condivide il giudizio circa la natura meramente programmatica del Piano il quale invece (come dimostra la stessa sentenza impugnata esaminando la questione dei valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna) contiene, accanto alle previsioni di stampo meramente programmatico, numerose statuizioni aventi carattere espressamente e sostanzialmente costitutivo.

In altri termini, per quanto qui interessa, il Piano costituisce anche fonte di molteplici prescrizioni suscettibili di incidere autonomamente ed immediatamente, e cioè a prescindere dalla conseguente adozione dei calendari venatori annuali, sul livello complessivo della tutela del patrimonio faunistico/ambientale regionale, vincolando in modo irretrattabile la individuazione delle linee portanti e strutturali del sistema.

Il Piano andava perciò impugnato nei termini di decadenza dalla sua pubblicazione e sempre nel termine di decadenza andava denunciato l’asserito vizio (ab origine rilevabile) della sua mancata previa sottoposizione a V.I.A. o a V.A.S..

La motivazione della sentenza impugnata va perciò riformata nella parte relativa all’annullamento del Piano faunistico venatorio 2006/2011, dovendosi dichiararare irricevibili le censure dedotte sul punto dalle ricorrenti.

Con il terzo motivo l’appellante critica il capo di sentenza relativo alla illegittimità del calendario impugnato nella parte in cui prevede l’apertura anticipata della caccia a determinate specie animali.

Secondo l’Amministrazione le relative previsioni risultano – a differenza di quanto opinato dal Tribunale – esaurientemente motivate con riferimento all’incremento del numero degli esemplari presenti o comunque alla stabilità numerica di quelli censiti.

Il mezzo non ha fondamento.

In primo luogo, come esaurientemente posto in luce dalla sentenza impugnata con argomentazioni del tutto condivisibili, le norme sulla preapertura violano patentemente il disposto dell’art. 19 comma 1 bis della legge regionale n. 33 del 1997 il quale consente la modifica dei termini generali di apertura “per determinate specie in relazione a situazioni ambientali, biologiche, climatiche e metereologiche delle diverse realtà territoriali”.

Infatti la decisione di consentire la preapertura per determinate specie cacciabili, contenuta nel calendario venatorio impugnato, si basa su rilievi statistici relativi all’intero ambito regionale e dunque su una motivazione assai poco attenta a quella diversificazione delle realtà ambientali presenti nel vasto territorio siciliano che il Legislatore regionale, in coerenza con la normativa di fonte comunitaria, ha valorizzato.

In secondo luogo il difetto di motivazione che vizia gravemente l’atto impugnato si evidenzia ancor più ove si consideri la assoluta genericità delle argomentazioni in base alle quali l’Amministrazione ha in sostanza completamente disatteso gli analitici rilievi - qualitativi e quantitativi - formulati dall’ISPRA, in sede di parere obbligatorio ai sensi del comma 1 bis sopra citato, in merito alle ipotesi di preapertura.

Come chiarito da una giurisprudenza ormai pressochè secolare l’autorità decidente ben può statuire in difformità rispetto a quanto suggerito da un organo consultivo che renda un parere obbligatorio ma non vincolante, ma solo se motiva adeguatamente circa le ragioni che la inducono a discostarsi dal parere: il che, come si è detto, nel caso all’esame non risulta avvenuto, avuto riguardo appunto alla genericità delle argomentazioni allegate nelle premesse del decreto per giustificare la sostanziale pretermissione dei penetranti e scientificamente documentati rilievi dell’organo scientifico.

Con il quarto motivo l’appellante contesta, sulla scorta di considerazioni analoghe a quelle formulate a sostegno del mezzo che precede, quanto statuito dal T.A.R. in ordine alla illegittimità della preapertura venatoria riferita alle specie della beccaccia e della lepre.

Il mezzo, oltre che infondato alla luce delle superiori considerazioni, è però inammissibile per difetto di interesse in quanto una volta acclarata l’illegittimità del sistema di preapertura nel suo complesso non c’è motivo, come del resto già chiarito dal T.A.R., per approfondire le questioni riguardanti alcune delle varie specie faunistiche coinvolte.

Con il quinto motivo l’appellante contesta l’accoglimento da parte del T.A.R. delle censure (dedotte dalle ricorrenti mediante motivi aggiunti) riferite al D.A. 7.7.2009 nella parte in cui questo ha autorizzato l’attività venatoria nei Pantani della Sicilia Sudorientale ricadenti nel territorio dei comuni di Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero (SR2) e nel Lago Trinità ricadente nel territorio del Comune di Castelvetrano.

Secondo l’Amministrazione il riferimento alla conforme proposta della R.F.V.A. - Ripartizione faunistico venatoria di Siracusa varrebbe a supportare adeguatamente tale decisione.

Il mezzo è privo di fondamento.

Si ricorda che, come evidenziato dalla sentenza impugnata, il calendario venatorio, nella sua versione originaria del 15.4.2009, aveva interdetto - adeguandosi al parere dell’ISPRA - l’attività venatoria nei Pantani della Sicilia Sudorientale ricadenti nel territorio dei comuni di Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero (SR2) e nel Lago Trinità (comune di Castelvetrano - TP), siti facenti parte della Rete Natura 2000.

Con il citato D.A. 7.7.2009, a due mesi di distanza, l’Ammi-nistrazione regionale ha poi modificato il calendario riaprendo la caccia nei predetti siti.

A sostegno di tale modifica è stato addotto il rilievo che la proposta della R.F.V.A. di Siracusa, acquisita nel procedimento di formulazione del complessivo calendario venatorio, non prevedeva in realtà la chiusura della caccia nei Pantani ricadenti nei territori di competenza.

Ciò premesso, balza innanzi tutto evidente che la modifica relativa al Lago Trinità (comune di Castelvetrano – TP) è testualmente priva di motivazione, come icasticamente posto in luce dalla sentenza impugnata: il che obiettivamente rende assai periclitanti le argomentazioni qui profuse dall’Avvocatura per sostenere il carattere ben argomentato della modifica.

In ogni caso resta che sul punto all’esame, ad avviso del Collegio, sono obiettivamente mancati sia un adeguato approfondimento istruttorio sia quella motivazione esaustiva e rafforzata che invece si imponevano per motivi di ordine specifico e sistematico, trattandosi di intervenire in difformità dal parere dell’ISPRA e oltre tutto in sede di autotutela.

Con l’ultimo motivo l’appellante contesta il capo della sentenza impugnata portante la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

Il rilievo deve essere disatteso in quanto come è noto la statuizione del giudice di primo grado sulle spese e sugli onorari del giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale in cui entrano in gioco regole di equità e convenienza, insindacabile dal giudice di appello a meno che il suo esercizio non costituisca violazione del principio generale che vieta di porre le spese anzidette totalmente a carico della parte vittoriosa.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va nel suo complesso respinto e la sentenza impugnata va confermata con diversa motivazione.

Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate avuto riguardo ai contrasti giurisprudenziali, anche interni a questo Consiglio, di cui si è dato conto.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe e conferma la sentenza impugnata con diversa motivazione.

Compensa tra le parti spese e onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo l’8 marzo 2012 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Paolo Turco, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Silvestro Maria Russo, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.

F.to Paolo Turco, Presidente

F.to Antonino Anastasi, Estensore

Depositata in Segreteria

1 giugno 2012