TAR Marche, Sez. I, n. 372, del 23 maggio 2013
Urbanistica.Ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione del fabbricato preesistente

Non vi è dubbio che, laddove sia stata assentita una ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione del fabbricato preesistente, l’intervento, unitariamente considerato, di edificazione del nuovo edificio senza la demolizione del preesistente è da ritenersi in difformità totale rispetto al titolo abilitativo. La mancata demolizione dell’edificio preesistente, in sede di ristrutturazione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile, comporta la realizzazione di una volumetria aggiuntiva, dotata di specifica rilevanza e autonoma utilizzabilità, in difformità totale rispetto al progetto assentito, di talchè il risultato della complessiva attività edificatoria viene a configurare un organismo edilizio integralmente diverso da quello oggetto del permesso di cotruire. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00372/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00554/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 554 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Emore Sturba, rappresentata e difesa dagli avv. Fabrizio Naspi, Simona Rampioni, Maurizio Discepolo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Ancona, via Matteotti, 99;

contro

Comune di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gianni Fraticelli, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale del Comune in Ancona, piazza XXIV Maggio, 1;

nei confronti di

Vania Zitti, Serenella Zitti, Morena Zitti, Fulvia Fiorani, in qualità di eredi di Dino Zitti, nonché Silvana Zitti, Lina Zitti, rappresentati e difesi dall'avv. Franco Boldrini, con domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, corso Mazzini, 170;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Ivo Bacchelli, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Miranda, con domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, via Palestro, 46;

per l'annullamento

- dei provvedimenti prot. n° 36346 in data 10.4.2008 e prot. n° 20910/46099 in data 13.5.2008, concernenti diniego della domanda di risanamento conservativo;

- della diffida a demolire, emessa con provvedimento prot. n° 13925 del 31 luglio 1980, nonché della nota prot. n° 29815 del 25 marzo 2008;

nonché,

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, previa sospensione dell’efficacia,

- dei provvedimenti prot. n° 92875 in data 13.10.2008 e prot. n° 92829 in data 13.10.2008, con i quali è stata ordinata la demolizione di opere edilizie abusive;

nonché,

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti,

- del provvedimento prot. n° 45502 del 20 maggio 2009, con il quale il servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha denegato l’istanza di permesso in sanatoria del 10 dicembre 2008;

- del provvedimento prot. n° 49875 del 1 giugno 2009, con il quale il servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha comunicato l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n° 241/1990;

- del provvedimento prot. n° 29089 del 30 marzo 2009 di diniego del permesso in sanatoria;

- del provvedimento prot. n° 29081/2009 con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica in sanatoria;

nonché,

quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti,

- del provvedimento prot. n° 70351 del 5 agosto 2009, con il quale il dirigente del servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha ordinato la demolizione del nuovo edificio e il ripristino dello stato dei luoghi;

nonché,

quanto alla trasposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica,

- del provvedimento n° 29081/2009 con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ancona e dei controinteressati;

Visto l’atto di intervento ad adiuvandum;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Primo Referendario Francesca Aprile nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2013 e uditi per le parti i difensori, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente, dopo aver premesso di essere proprietaria di un immobile in Ancona, frazione Massignano, ha adito questo Tribunale Amministrativo per domandare l’annullamento del provvedimento prot. n° 36346 del 10 aprile 2008 e del provvedimento prot. n° 20910/46099 del 13 maggio 2008 con i quali il servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha denegato il rilascio del titolo abilitativo per risanamento conservativo dalla medesima richiesto con istanza del 27 febbraio 2008, prot. n° 20910.

Con l’atto introduttivo del giudizio è stata, altresì, impugnata la diffida a demolire la vecchia casa colonica, emessa con provvedimento prot. n° 13925 del 31 luglio 1980, nonché la nota prot. n° 29815 del 25 marzo 2008 con la quale è stato comunicato il mancato accoglimento dell’istanza di risanamento conservativo presentata in data 27 febbraio 2007.

Sono proposte le seguenti doglianze:

- nullità della diffida a demolire del 16 agosto 1980 per nullità della notifica; carenza dei presupposti, violazione dell’art. 4 della legge n° 10 del 28 gennaio 1977;

- eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di motivazione, errore di fatto, irrazionalità e contraddittorietà manifesta;

- carenza di motivazione, sviamento dall’interesse pubblico;

- eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, ingiustizia, irrazionalità e disparità di trattamento.

Per resistere al ricorso, si è costituito in giudizio il Comune di Ancona, che, con memorie difensive e documenti, ne ha domandato il rigetto, vinte le spese.

Con ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato l’ordinanza di demolizione prot. n° 92875 del 13 ottobre 2008, con la quale il dirigente del servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha ordinato la demolizione della ex casa colonica e la demolizione del manufatto prefabbricato installato nel 1972 a seguito di eventi sismici, nonché l’ordinanza di demolizione prot. n° 92829 del 13 ottobre 2008, con la quale il dirigente del servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha ordinato la demolizione delle opere realizzate in difformità dalla licenza di costruzione n° 40 del 1975 e il ripristino dello stato dei luoghi.

Con l’impugnativa per motivi aggiunti, sono proposte le seguenti doglianze:

quanto all’ordine di demolizione della ex casa colonica e del manufatto prefabbricato installato nel 1972:

- eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di motivazione, errore di fatto, irrazionalità e contraddittorietà manifesta; violazione dell’art. 31 del d.P.R. n° 380/2001;

- eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità;

- carenza di motivazione, sviamento dall’interesse pubblico;

quanto all’ordine di demolizione delle opere realizzate in difformità dalla licenza di costruzione n° 40 del 1975:

- illegittimità per genericità dell’oggetto.

Con secondo ricorso per motivi aggiunti, sono stati impugnati i seguenti provvedimenti:

- il provvedimento prot. n° 45502 del 20 maggio 2009, con il quale il servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha denegato l’istanza di permesso in sanatoria del 10 dicembre 2008;

- il provvedimento prot. n° 49875 del 1 giugno 2009, con il quale il servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha comunicato l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n° 241/1990;

- il provvedimento prot. n° 29089 del 30 marzo 2009 di diniego del permesso in sanatoria e il provvedimento n° 29081/2009 con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

Avverso gli atti impugnati con secondo ricorso per motivi aggiunti, sono articolate doglianze di eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di motivazione, errore di fatto, irrazionalità e contraddittorietà, nonché difetto di istruttoria, sviamento dall’interesse pubblico, violazione del principio dell’affidamento.

Con un terzo ricorso per motivi aggiunti, è stato impugnato il provvedimento prot. n° 70351, in data 5 agosto 2009, con il quale il dirigente del servizio gestione edilizia del Comune di Ancona ha ordinato la demolizione del nuovo edificio e il ripristino dello stato dei luoghi.

Si lamenta eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di motivazione, errore di fatto, irrazionalità e contraddittorietà manifesta, nonché difetto di istruttoria, sviamento dall’interesse pubblico, violazione del principio dell’affidamento.

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la ricorrente ha impugnato il provvedimento prot. n° 29081/2009, con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

In seguito all’istanza di trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale interposta dal Comune di Ancona, la ricorrente ha notificato e depositato atto di costituzione in giudizio, proponendo doglianze di illegittimità per violazione dell’art. 167 del d.lgs. n° 42/2004, errato apprezzamento dei presupposti, violazione della L.R. 8 marzo 1990, n° 13, eccesso di potere per sviamento e ingiustizia manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione.

Con atto di costituzione in data 26 gennaio 2009, si sono costituiti in giudizio i controinteressati, proprietari di fondo confinante, i quali, previa eccezione di inammissibilità, hanno domandato il rigetto del ricorso e il risarcimento dei danni asseritamente patiti, vinte le spese.

Con atto di intervento ad adiuvandum, il sig. Bacchelli Ivo, ha domandato l’annullamento degli atti impugnati dalla ricorrente.

Alla pubblica udienza del 7 marzo 2013, sentiti i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come risulta dalla documentazione agli atti del giudizio, con licenza di costruzione n° 40 del 1975, è stata assentita la ricostruzione della casa colonica in Ancona, località Massignano, la cui proprietà è pervenuta per successione all’odierna ricorrente.

Negli elaborati di progetto approvati, la ridetta casa colonica è indicata come “fabbricato esistente da demolire”, di mc. 638,37, per la ricostruzione di un fabbricato di mc. 637,10.

Tale circostanza si evince, altresì, dalla domanda, in data 28 ottobre 1977, presentata al Comune di Ancona dalla ricorrente, per la “trasformazione” del fabbricato colonico da abitazione a fienile.

In tale istanza, testualmente avanzata in riferimento alla licenza edilizia n° 40 del 10.4.1975, la ricorrente afferma che “nella richiesta di licenza edilizia di nuova casa colonica era stata indicata la demolizione della casa esistente”.

Ciò premesso, rileva il Collegio che, con il titolo abilitativo n° 40 del 1975, è stato assentito un intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione dell’edificio esistente e ricostruzione.

L’elaborazione normativa e giurisprudenziale ha tracciato i profili di distinzione dell’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, rispetto al risanamento conservativo e rispetto alla nuova costruzione.

Sul primo fronte, si è evidenziata la funzione cui assolve il risanamento conservativo, quale intervento preordinato alla conservazione dell’organismo edilizio, immutati restando gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, che viene ad essere sottoposto ad un recupero architettonico, suscettibile di comprendere il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio esistente, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, nonché l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.

La ristrutturazione edilizia può portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente, rispondendo ad una funzione di integrale rinnovo dell’edificio piuttosto che di mera conservazione.

La preesistenza dell’organismo edilizio e la già avvenuta trasformazione del territorio caratterizzano la ristrutturazione edilizia rispetto ad un intervento di nuova costruzione.

Nell’odierna controversia, essendo stato assentito un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, il fabbricato colonico avrebbe dovuto essere demolito e riedificato, come da progetto.

Tuttavia, per quanto risulta dagli atti del giudizio, il nuovo fabbricato è stato edificato senza che la preesistente casa colonica sia stata demolita.

Dall’accertamento compiuto dalla polizia municipale del Comune di Ancona in data 31 gennaio 2008, si evince che la demolizione del fabbricato colonico prevista dai progetti allegati alla licenza edilizia non è stata eseguita.

La deduzione, svolta con il primo motivo del ricorso principale, sotto il profilo della nullità della diffida a demolire per nullità della notifica, articolata sull’assunto che la ricorrente avrebbe conseguito la piena conoscenza della predetta diffida a demolire solo in seguito all’accesso agli atti, se può rilevare ai fini della tempestività dell’impugnazione della diffida del 31 luglio 1980, peraltro non è conducente per addivenire all’accoglimento dell’impugnativa, considerato che la diffida a demolire non costituisce il presupposto unico ed imprescindibile dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale e con i motivi aggiunti, provvedimenti che non possono ritenersi conseguenza inevitabile della ridetta diffida a demolire, di talchè, in mancanza di alcun nesso di presupposizione necessaria, non sussistono i lamentati profili di illegittimità derivata.

Le osservazioni superiormente svolte con riguardo agli elaborati progettuali allegati alla licenza edilizia n° 40/1975 impongono il rigetto della doglianza, svolta con il secondo motivo del ricorso principale per asserito eccesso di potere per carenza di presupposti, errore di fatto o contraddittorietà.

La demolizione della ex casa colonica era il presupposto del rilascio del titolo abilitativo n° 40 del 1975 per la ristrutturazione di tipo ricostruttivo, di talchè la stessa ex casa colonica non poteva formare oggetto del chiesto risanamento conservativo.

In seguito agli eventi sismici del 1972, infatti, la proprietà del fabbricato colonico danneggiato dal sisma aveva richiesto la realizzazione di un intervento rivolto non alla conservazione dell’organismo edilizio esistente, con mantenimento degli elementi tipologici, formali e strutturali del fabbricato, non quindi un intervento qualificabile come restauro o risanamento conservativo, ma piuttosto la demolizione e ricostruzione del fabbricato.

Il provvedimento prot. n° 20910/46099 del 13 maggio 2008, emesso in seguito alla valutazione delle deduzioni svolte con memoria ai sensi dell’art. 10 –bis della legge n° 241/1990, è adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali l’amministrazione è addivenuta all’impugnato diniego.

Nessuna contraddittorietà è ravvisabile nell’azione amministrativa, essendo state denegate le istanze presentate dalla ricorrente sul rilievo della mancata esecuzione della demolizione della ex casa colonica.

Per le medesime ragioni, sono infondate le doglianze svolte per violazione del principio dell’affidamento, considerato che sin dal provvedimento con il quale era stata respinta l’istanza avanzata dalla ricorrente in data 28 ottobre 1977, per la “trasformazione” del fabbricato colonico da abitazione a fienile, l’amministrazione comunale aveva sottolineato l’obbligo di provvedere “alla demolizione della vecchia casa colonica, così come riportato nel progetto allegato alla licenza edilizia n° 40 del 10/4/1975”, di talchè non può ritenersi che la condotta amministrativa possa in alcun modo aver ingenerato un ragionevole affidamento sulla legittimità della mancata demolizione della ex casa colonica.

Non può, quindi, accogliersi il terzo motivo del ricorso principale con il quale si invoca l’istituto dell’errore scusabile per domandare la “rimessione in termini”, considerato che la ricorrente non è incorsa, nell’odierno giudizio, in preclusioni o decadenze rispetto alle quali la stessa possa essere restituita in termini.

Deve anche osservarsi che la ricorrente non ha dedotto di aver proposto istanza di condono edilizio e che le istanze di sanatoria presentate ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n° 380/2001 sono state respinte per la non conformità dell’intervento edilizio alla disciplina urbanistica vigente, il che evidenzia l’infondatezza della doglianza, anche sotto tale profilo.

Priva di alcun fondamento è la tesi, svolta nel quarto motivo del ricorso principale, che la ex casa colonica possa considerarsi “pertinenza”, non sussistendo alcun nesso di destinazione funzionale del fabbricato in questione al servizio della nuova casa colonica.

Infondata si appalesa, altresì, la doglianza con la quale si lamenta violazione del giusto procedimento e disparità di trattamento rispetto agli odierni controinteressati costituiti, considerato che questi ultimi non hanno richiesto la demolizione e ricostruzione del fabbricato di loro proprietà, e che, pertanto, differenti essendo le situazioni della ricorrente e dei controinteressati, l’amministrazione legittimamente ha differenziato il relativo trattamento giuridico.

Per tali ragioni, il ricorso principale dev’essere respinto per infondatezza.

Il primo ricorso per motivi aggiunti è infondato.

Preliminarmente, deve osservarsi che l’istanza, avanzata dalla ricorrente in corso di giudizio, con la quale la stessa ha chiesto di essere autorizzata a demolire le opere abusive, non determina il venir meno dell’interesse all’impugnativa, considerata la natura sanzionatoria delle ordinanze di demolizione e gli effetti giuridici che l’ordinamento annette all’accertamento dell’abusività delle opere.

Devono essere respinti i motivi aggiunti con i quali sono riproposte, per illegittimità derivata, avverso le impugnate ordinanze n° 92875 del 13 ottobre 2008 e n° 92829 del 13 ottobre 2008, deduzioni svolte in via principale nell’atto introduttivo del giudizio.

Non merita accoglimento la doglianza con la quale si lamenta carenza di presupposti ed errore di fatto.

Non vi è dubbio che, laddove sia stata assentita una ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione del fabbricato preesistente, l’intervento, unitariamente considerato, di edificazione del nuovo edificio senza la demolizione del preesistente è da ritenersi in difformità totale rispetto al titolo abilitativo.

La mancata demolizione dell’edificio preesistente, in sede di ristrutturazione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile, comporta la realizzazione di una volumetria aggiuntiva, dotata di specifica rilevanza e autonoma utilizzabilità, in difformità totale rispetto al progetto assentito, di talchè il risultato della complessiva attività edificatoria viene a configurare un organismo edilizio integralmente diverso da quello oggetto del permesso di cotruire.

Sull’organismo edilizio così realizzato in totale difformità, per la mancata demolizione della preesistente casa colonica, abuso sanzionato con l’ordinanza n° 92875 del 13 ottobre 2008, si sono innestati ulteriori interventi in parziale difformità rispetto al progetto assentito con la licenza di costruzione n° 40/1975, sanzionati con l’ordinanza n° 92829 del 13 ottobre 2008.

Considerato che l’abusività delle opere e degli interventi edilizi di cui si controverte è stata accertata con gli atti richiamati nelle impugnate ordinanze, le dedotte doglianze non possono essere accolte.

Dev’essere respinto il motivo, svolto per carenza di motivazione e sviamento dall’interesse pubblico.

Per ius receptum, l’ordinanza di demolizione di opere abusive é un atto dovuto a carattere vincolato, che costituisce esercizio dei poteri-doveri di vigilanza sull’attività edilizia spettanti all’autorità preposta al governo del territorio.

Per tale ragione, é da condividersi il principio giurisprudenziale in virtù del quale il provvedimento con il quale si ingiunge doverosamente la demolizione di opere abusive, quale atto vincolato, fondato sull’accertamento del carattere abusivo delle opere, non richiede una motivazione particolarmente stringente, una volta che sia stata evidenziata l’accertata abusività delle opere.

L’ordinanza n° 92875 del 13 ottobre 2008 ha ingiunto la demolizione della ex casa colonica, “come previsto dalla licenza di costruzione n° 40/75” e la demolizione del manufatto prefabbricato installato nel 1972 a seguito degli eventi sismici.

L’ordinanza n° 92829 del 13 ottobre 2008 ha ingiunto la demolizione per gli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, realizzati nel fabbricato ricostruito.

Essendo stata resa con sufficiente precisione la descrizione delle opere accertate e la qualificazione giuridica degli interventi abusivi, l’onere motivazionale è stato adeguatamente assolto.

Né il lasso di tempo trascorso potrebbe fondare la pretesa ad un’ulteriore motivazione, non potendo ritenersi che si sia consolidata in favore della ricorrente una situazione di fatto suscettibile di ingenerare un ragionevole affidamento.

Deve ritenersi manifestamente priva di fondamento la deduzione per la quale, in considerazione della concessione in sanatoria rilasciata agli odierni controinteressati, “il presunto “abuso”” sarebbe da “considerarsi “inglobato” in una struttura preesistente (successivamente ristrutturata e condonata)”.

Nessun elemento consente di affermare che, in sede di rilascio della concessione in sanatoria agli odierni controinteressati, l’amministrazione possa aver sanato la vecchia casa colonica di proprietà della ricorrente, anche considerato che i controinteressati non avrebbero avuto alcun titolo per domandarne la sanatoria, di talchè la prospettazione impugnatoria è manifestamente infondata.

Analogamente è a dirsi per la deduzione con la quale si lamenta la mancata irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, stante l’insussistenza di elementi per i quali possa ritenersi l’impossibilità del ripristino.

La doglianza, pertanto, non può essere accolta.

E’, altresì, infondato il motivo, articolato avverso l’ordinanza n° 92829 del 13 ottobre 2008, con il quale si lamenta genericità dell’oggetto.

Le opere abusive sono, infatti, individuate in riferimento a quanto assentito con la licenza edilizia n° 40 del 1975, nonchè descritte con sufficiente precisione nel provvedimento impugnato.

Per tali ragioni, il primo ricorso per motivi aggiunti dev’essere respinto per infondatezza.

Il secondo ricorso per motivi aggiunti è infondato.

L’inconfigurabilità di un ragionevole affidamento in ordine alla legittimità delle opere di cui si controverte, per le ragioni già superiormente enucleate, impone la reiezione della doglianza di violazione del principio dell’affidamento riproposta anche nella seconda impugnativa per motivi aggiunti.

E’ infondato il profilo di doglianza, svolto nel primo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti, con il quale si lamenta che, in seguito all’ordinanza cautelare n° 51 del 29 gennaio 2009, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione, limitatamente alle ordinanze di demolizione del 13.10.2008, l’amministrazione comunale non abbia “per nulla riesaminato il provvedimento sospeso dal giudice amministrativo”.

L’ordinanza cautelare n° 51 del 29 gennaio 2009, invocata dalla parte ricorrente, ha disposto la mera sospensione dell’esecuzione della demolizione ingiunta con le impugnate ordinanze, senza che ne sia stato ordinato il riesame, di talchè la spontanea riedizione del potere non era in alcun modo preclusa.

Sono infondate le doglianze di eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di motivazione, errore di fatto, irrazionalità e contraddittorietà, nonché difetto di istruttoria e sviamento dall’interesse pubblico.

Come già osservato, con la licenza di costruzione n° 40/1975, è stata assentita la ristrutturazione edilizia mediante demolizione dell’edificio esistente e ricostruzione.

La relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria del 10 dicembre 2008 illustra gli interventi eseguiti e la domanda di sanatoria edilizia con le seguenti affermazioni:

“la licenza edilizia originaria n° 40 del 10/04/1975 prot. Gen. n. 11930 a nome Sturba Giuseppe autorizzava, previa demolizione di edificio esistente, la realizzazione di una casa colonica costituita da piano terra e piano primo tramite lo spostamento della medesima volumetria.

Nell’anno 1976 la signora Sturba Emore richiedeva ed otteneva la variazione di intestazione a proprio nome con prot. n. 31860/5670 del 28/07/76.

A seguito della ricostruzione nell’anno 1978 venivano realizzate delle opere difformi da quanto autorizzato che vengono di seguito specificate.

1. Diversa ubicazione dell’edificio all’interno dell’area di proprietà, con conseguente spostamento del sedime e della superficie, la quale resta comunque inalterata.

2. Rotazione della sagoma del manufatto, con conseguente inversione delle misure sia in lunghezza che in larghezza con modifica del posizionamento dei Bow windows.

3. A seguito dello spostamento e rotazione dell’edificio, nonché dell’adeguamento della prescrizione della Commissione edilizia che imponeva la distanza per lo stesso di mt. 20 dalla strada comunale, vista la conformazione del terreno che si presenta in leggero declivio, le differenti altezze hanno determinato un leggero incremento volumetrico da quello licenziato.

4. Internamente la diversa collocazione del corpo scala ha generato una modifica nella distribuzione degli ambienti che ha interessato sia il piano terra che presenta una C.T. oltre al previsto magazzino, sia l’abitazione colonica al piano primo. Le modifiche esterne più rilevanti ai fini estetici sono rappresentate da un terrazzo al piano primo sul fronte nord, il riordino delle bucature su tutti i prospetti e la collocazione delle canne fumarie a tetto”.

Tale essendo la descrizione della consistenza degli interventi edilizi per i quali è stato domandato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, non sono fondate le deduzioni impugnatorie con le quali si lamentano profili di erroneità nella qualificazione giuridica degli abusi, ovvero di contraddittorietà rispetto a precedenti determinazioni, atteso che la qualificazione giuridica è stata determinata in base alle dichiarazioni e alla documentazione prodotta unitamente all’istanza di sanatoria.

E’, altresì, infondato il profilo di doglianza con il quale si lamenta che l’istanza di sanatoria sia stata denegata in applicazione dell’art. 84.9 delle NTA del P.R.G. del Comune di Ancona, come risultante dalla variante di adeguamento al Piano del Parco del Conero.

Dev’essere osservato che un intervento di ristrutturazione edilizia non è subordinato al rispetto dei vincoli posti dagli strumenti urbanistici sopravvenuti laddove la ristrutturazione mantenga inalterati i parametri urbanistici ed edilizi preesistenti, di talchè la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito.

Diversamente è a dirsi nella fattispecie di cui si controverte, nella quale, come si evince dalla richiamata relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria edilizia, i parametri preesistenti non sono stati mantenuti inalterati.

Per tale ragione, la determinazione con la quale l’amministrazione comunale intimata ha qualificato l’intervento complessivamente realizzato, come risultante dalla domanda di sanatoria, alla stregua di una nuova costruzione, verificandone la non compatibilità con la disciplina urbanistica vigente, non può ritenersi illegittima.

Dalle considerazioni sin qui svolte, emerge, altresì, l’infondatezza della doglianza con la quale la ricorrente insorge avverso la declaratoria di irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica, lamentando che il vincolo paesaggistico sia stato imposto successivamente alla realizzazione delle opere edilizie di cui si controverte.

Rileva il Collegio che, per quanto il vincolo paesaggistico sopravvenuto non possa svolgere un’efficacia automaticamente preclusiva rispetto alla valutazione della compatibilità con l’interesse pubblico alla tutela paesaggistica delle opere realizzate in difformità dal titolo abilitativo, cionondimeno laddove la fattispecie concreta non sia sussumibile in alcuna delle ipotesi contemplate tassativamente dall’art. 167, quarto comma, del d.lgs. n° 42/2004, il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria non può ritenersi illegittimo.

Tale è l’evenienza che ricorre nella specie.

Le opere per le quali è stato richiesto il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria hanno determinato l’aumento dei volumi legittimamente realizzati.

Tali opere, pertanto, non possono ascriversi alla fattispecie di cui all’art. 167, quarto comma, lettera a), del d.lgs. n° 42/2004, che consente l’accertamento della compatibilità paesaggistica per i soli “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superifici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

Né, a fortiori, la fattispecie concreta potrebbe sussumersi in alcuna delle previsioni di cui alle lettere b) e c) dell’art. 167, quarto comma, del d.lgs. n° 42/2004, concenenti l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, interventi ai quali non è riducibile la realizzazione del complesso delle opere di cui si controverte.

Per tali ragioni, stante il generale divieto di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e la non ascrivibilità della fattispecie concreta ad alcuna delle ipotesi contemplate dall’art. 167, quarto comma, del medesimo codice, deve concludersi che l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciata.

Le doglianze svolte avverso il provvedimento n° 29081/2009, con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica postuma, non possono, quindi, essere accolte.

Negli impugnati provvedimenti di diniego del permesso di costruire in sanatoria è stato evidenziato che le opere di cui si controverte non sono conformi alla disciplina urbanistica vigente, ed in particolare all’art. 84.9 delle NTA, che non consente, nella zona in cui ricade l’immobile, interventi di nuova costruzione, dovendo qualificarsi tale una ristrutturazione realizzata in difformità dal titolo edilizio con mutamento dei parametri edilizi e urbanistici.

Per tale ragione, non sono sussistenti i profili di illegittimità dedotti avverso i provvedimenti di diniego della sanatoria edilizia, impugnati con il secondo ricorso per motivi aggiunti.

Il secondo ricorso per motivi aggiunti dev’essere, quindi, respinto, per infondatezza.

Il terzo ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stata impugnata l’ordinanza, prot. n° 70351 in data 5 agosto 2009, di demolizione del nuovo edificio e ripristino dello stato dei luoghi, è infondato.

Le doglianze, già svolte con il secondo ricorso per motivi aggiunti e riproposte per illegittimità derivata nei confronti dell’ordinanza di demolizione, sono infondate per insussistenza dei profili di illegittimità lamentati in via principale avverso il diniego di sanatoria.

Valgono in proposito i principi di diritto suenunciati in punto di intensità dell’onere motivazionale dell’ordinanza di demolizione, quale atto dovuto a carattere vincolato.

In applicazione dei menzionati principi di diritto, essendo stata evidenziata, nell’ordinanza prot. n° 70351 in data 5 agosto 2009, l’acclarata abusività delle opere, il terzo ricorso per motivi aggiunti dev’essere respinto per infondatezza.

Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto avverso il provvedimento n° 29081/2009, con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in disparte i profili di inammissibilità, eccepiti dall’amministrazione comunale, che ne ha peraltro richiesto la trasposizione in sede giurisdizionale, è infondato, per le medesime ragioni per le quali è stato respinto il secondo ricorso per motivi aggiunti, considerato che al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 167, quarto e quinto comma, del codice dei beni culturali, l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non può essere rilasciata.

La domanda, svolta con atto di intervento ad adiuvandum, di annullamento dell’ordinanza di demolizione del 13 ottobre 2008, notificata all’interventore in data 22 ottobre 2008, è infondata.

Per principio di diritto indiscusso, la legittimità del provvedimento amministrativo dev’essere apprezzata in riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al tempo della sua emanazione.

Come risulta dalla nota di trascrizione, depositata agli atti del giudizio dalla difesa dell’interventore ad adiuvandum, la domanda giudiziale di accertamento dell’usucapione, proposta dall’odierna ricorrente nei confronti dell’interventore ad adiuvandum, è stata notificata in data 12 dicembre 2008, ed il relativo atto di citazione presentato per la trascrizione in data 16 dicembre 2008.

Per tale ragione, alla data del 13 ottobre 2008 di emanazione dell’ordinanza di demolizione, nessuna evidenza consentiva all’amministrazione comunale di pretermettere la notifica della predetta ordinanza di demolizione all’interventore ad adiuvandum.

I profili di illegittimità dedotti con l’atto di intervento ad adiuvandum, pertanto, non possono ritenersi sussistenti.

Venendo all’esame della domanda di risarcimento del danno, avanzata dai controinteressati costituiti, dev’essere osservato che tale domanda è conoscibile in sede di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia edilizia e urbanistica.

L’odierna controversia attiene ad una vicenda amministrativa indubitabilmente unitaria, considerato che le situazioni giuridiche soggettive sia della ricorrente, sia dei controinteressati, sono state contemperate nell’esercizio dell’azione amministrativa, per effetto della quale sono state le une incise, le altre realizzate.

Per tale ragione, considerata l’unitarietà del rapporto amministrativo afferente l’esercizio delle funzioni di governo del territorio, ed in coerenza con i principi di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, la pretesa risarcitoria azionata dal terzo controinteressato nel giudizio promosso dal destinatario di provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia, non può ritenersi sottratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla quale è attribuita la cognizione del rapporto sostanziale.

Nel merito, la domanda è infondata.

I controinteressati hanno domandato il risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente derivanti dalla mancata demolizione della ex casa colonica di cui si controverte.

Nel giudizio sulla domanda di risarcimento del danno, la ripartizione dell’onere probatorio avviene secondo l’art. 64 del Codice del Processo Amministrativo e l’art. 2697 c.c., di talchè, per il criterio della vicinanza della prova, vertendosi in tema di danno patrimoniale, incombe al danneggiato l’onere di dimostrare puntualmente l’esistenza del danno asseritamente sofferto, non potendo essere invocato un intervento giudiziale suppletivo, attraverso l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, né mediante liquidazione equitativa, qualora non sia stato assolto l’onere di allegazione e produzione degli elementi nella disponibilità della parte onerata, attraverso i mezzi di prova previsti dall’art. 63 del Codice del Processo Amministrativo.

In particolare, giova ricordare che, in seguito agli storici interventi demolitori e monito della Corte Costituzionale n° 146/1987 e n° 251/1989, ed in forza delle novelle legislative recate dall’art. 35 del d.lgs. n° 80 del 1998 e dall’art. 7 della legge n° 205 del 2000, come oggi trasfuse nella disciplina degli artt. 63 e seguenti del Codice del Processo Amministrativo, nella giurisdizione sia esclusiva, che di legittimità, che di merito del giudice amministrativo può essere disposta l’assunzione di tutti i mezzi di prova contemplati dal codice di procedura civile, ad eccezione dell’interrogatorio formale e del giuramento.

Il codice di procedura civile regola analiticamente le prove, distinte in precostituite e costituende, dedicando un separato spazio di disciplina alla consulenza tecnica d’ufficio, quale strumento giudiziale di acquisizione e valutazione della prova, esperibile nei casi di cui all’art. 61 c.p.c..

Senza qui soffermarsi sulla nozione, funzione e classificazione processualcivilistica dei mezzi di prova, va rilevato, tuttavia, che a supporto della della domanda risarcitoria azionata, i controinteressati hanno prodotto una relazione redatta da un consulente tecnico di parte, non annoverabile tra le prove né precostituite, né costituende, ammissibili in base al Codice del Processo Amministrativo e al codice di procedura civile.

Il Collegio non può esimersi dal rilevare che nel giudizio amministrativo, come in quello civile, la consulenza tecnica di parte non esplica alcuna efficacia probatoria.

L’art. 87 c.p.c. equipara l’assistenza tecnica del consulente di parte all’assistenza del difensore, sia pur limitatamente al profilo tecnico della difesa, mentre l’art. 201 c.p.c. riserva alla consulenza tecnica di parte, di natura facoltativa e con tassativa predeterminazione delle attività espletabili, la funzione di garantire la pienezza del contraddittorio, nell’ambito dei confini delineati dai quesiti del giudice al consulente tecnico d’ufficio, dagli accertamenti compiuti e dalla relazione stesa da quest’ultimo.

Nel caso in esame, in cui la relazione di parte fuoriesce dall’alveo di rilevanza processuale come sopra delineato, le valutazioni in essa contenute non si prestano ad assolvere all’onere probatorio, essendo altresì prive dell’unica efficacia giuridica che l’ordinamento riconnette alla consulenza tecnica di parte, quando svolta conformemente al dettato di legge, ovvero quella di argomento di prova, rimesso al libero apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c..

Per tale ragione, la domanda di risarcimento del danno azionata dai controinteressati costituiti non può essere accolta.

Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso principale e per motivi aggiunti dev’essere respinto, perché infondato.

La domanda di annullamento svolta con atto di intervento ad adiuvandum dev’essere respinta, perché infondata.

La domanda risarcitoria proposta dai controinteressati costituiti dev’essere respinta, perché infondata.

Le spese processuali seguono la soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e dei controinteressati costituiti, e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, principale e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Respinge la domanda risarcitoria proposta dai controinteressati costituiti.

Respinge la domanda svolta con intervento ad adiuvandum.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti del Comune di Ancona, liquidate in euro duemila/00.

Condanna i controinteressati costituiti al pagamento delle spese processuali nei confronti del Comune di Ancona, liquidate in euro duemila/00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Gianluca Morri, Presidente FF

Giovanni Ruiu, Consigliere

Francesca Aprile, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)