Cons. Stato Sez. IV sent. 6784 del 2 novembre 2009
Urbanistica. Inammissibilità sanatoria giurisprudenziale o impropria
L’art.36 T.U. edilizia in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di una interpretazione riduttiva, secondo cui, in contrasto con il suo tenore letterale, basterebbe la conformità delle opere con il piano regolatore vigente al momento in cui sia definita la istanza di sanatoria. Pertanto la sanabilità postula la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quella in vigore alla data della presentazione della domanda.
Urbanistica. Inammissibilità sanatoria giurisprudenziale o impropria
L’art.36 T.U. edilizia in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di una interpretazione riduttiva, secondo cui, in contrasto con il suo tenore letterale, basterebbe la conformità delle opere con il piano regolatore vigente al momento in cui sia definita la istanza di sanatoria. Pertanto la sanabilità postula la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quella in vigore alla data della presentazione della domanda.
N. 06784/2009 REG.DEC.
N. 03853/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3853 del 2009, proposto da:
Magnini Beatrice, rappresentato e difeso dagli avv. Franco B. Campagni, Roberto Righi, con domicilio eletto presso R. Righi in Roma, via G. Carducci, 4; Magnini Alessandro, rappresentato e difeso dagli avv. Franco B. Campagni, Roberto Righi, con domicilio eletto presso Roberto Righi in Roma, via G.Carducci, 4;
contro
Comune di Vaiano, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Studio Grez in Roma, corso V.Emanuele II, N.18; Agenzia del Territorio-Direz.Reg.Toscana Uff. Prov. Prato, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
nei confronti di
Pini Maurizio, Mariani Franco, rappresentati e difesi dagli avv. Luciano Barletta, Giammaria Camici, con domicilio eletto presso Giammaria Camici in Roma, via Monte Zebio 30;
per la riforma
della sentenza del TAR TOSCANA - FIRENZE :Sezione III n. 00429/2009, resa tra le parti, concernente IRROGAZIONE SANZIONE PER OPERE DI RISTRUTTURAZIONE ESEGUITE IN ASSENZA DIA.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2009 il dott. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Campagni, l'avv. Righi, L'avv. Giovannelli, L'avv. dello Stato Grumetto e l'avv. Barletta.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana gli attuali appellanti impugnavano una serie di atti (ordinanza del comune di Vaiano di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria per opere di ristrutturazione edilizia non ripristinabili in assenza di denuncia di inizio attività notificata il 6 ottobre 2008 e controdeduzioni alla memoria di intervento nel medesimo procedimento sanzionatorio; archiviazione della pratica edilizia n.121 del 2006 e n.122 del 2006; stima del 13 giugno 2006 della Agenzia del Territorio; diniego del comune di Vaiano del 16 novembre 2007 sulla pratica edilizia n.177 del 2007; diniego di rimborso del comune di Vaiano del 26 marzo 2008 sulla istanza del 26.2.2008) a mezzo del ricorso originario e di due ricorsi per motivi aggiunti.
Il Tribunale adito in parte respingeva il ricorso ritenendo infondate in parte le doglianze prospettate in quella sede e in parte dichiarava la inammissibilità dei proposti motivi.
Con l’atto di appello vengono proposti i seguenti motivi di censura.
Con il primo motivo di appello (pagine 16, 17, 18 e 19) gli appellanti Magnini lamentano che il primo giudice abbia ritenuto erroneamente tardiva la istanza di accertamento di conformità in sanatoria da essi avanzata, violando l’art. 140 della l.r. 1/2005 che consentirebbe di proporre la istanza fino alla notifica della ingiunzione di pagamento delle sanzioni amministrative di cui all’art. 2 r.d.639 del 1910, nella specie non emessa né notificata.
Con altro motivo di appello gli appellanti lamentano la erroneità della sentenza, che ha omesso di pronunciare sulla illegittimità del comune di Vaiano, che ha ritenuto che la sanatoria edilizia dell’art. 36 DPR 380 del 2001 e dell’art. 140 l.r.T. 1/2005, richiedendo la c.d. doppia conformità, non poteva essere rilasciata per mancanza della conformità urbanistica al momento della realizzazione delle opere.
Secondo gli appellanti, dovendo valutarsi la conformità alla data di presentazione della istanza (10 agosto 2007) e al momento di adozione del provvedimento negativo da parte del Comune (7 novembre 2007) lo strumento urbanistico rilevante per valutare la ammissibilità era il regolamento urbanistico, che consente per gli edifici di interesse storico architettonico (quale il Complesso Le Casacce) la ristrutturazione edilizia.
Conseguentemente, secondo l’appello, sino alla integrale corresponsione della sanzione pecuniaria e anche successivamente vi è interesse alla concessione in sanatoria e essa non poteva essere negata in presenza della conformità urbanistica al momento dell’esame della domanda da parte del Comune.
Con altro motivo di appello si contesta la qualificazione di “ristrutturazione edilizia” attribuita all’intervento, che invece consisterebbe in intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria (demolizione e sostituzione di pavimenti, rimozione di intonaci, nuove aperture interne, tamponamento di porte interne, demolizione di parapetto, sostituzione di pavimenti) nonché di restauro e risanamento conservativo (realizzazione di servizio igienico, impianti termici); nella definizione di risanamento conservativo rientrerebbe anche il mutamento di destinazione di uso dell’immobile.
Il diniego della istanza di sanatoria ha pertanto omesso di valutare la reale portata e tipologia delle opere realizzate, sulla base della situazione dei luoghi, nonché non tenendo in considerazione il fatto che da tempo il complesso edilizio aveva destinazione civile e non costituiva più un fabbricato rurale.
Secondo la prospettazione dell’atto di appello le misure di salvaguardia hanno efficacia limitata nel tempo (nella specie fino al marzo 2005, tre anni dalla data di adozione, secondo la normativa regionale), sicchè le opere, in corso di esecuzione alla data del 22 dicembre 2005 (secondo gli accertamenti della Polizia Municipale), sono state effettuate quando oramai le norme di salvaguardia erano decadute ed era vigente il nuovo regolamento urbanistico che consente per l’immobile in questione interventi fino alla ristrutturazione edilizia.
Con ulteriori motivi di appello (pagina 32, pagina 33, pagine 34 e seguenti dell’appello) si lamenta la illegittimità dell’operato del comune: a) riguardo all’epoca dei lavori e al periodo di realizzazione dell’opera contestata; b) circa la mancanza del parere della Commissione Edilizia; c) circa la consistenza e natura dell’intervento, da intendersi risanamento conservativo e non ristrutturazione edilizia.
Con altro motivo di appello (pagine 38 e seguenti) si deduce la violazione dei principi in tema di onere della prova nei giudizi, in quanto il primo giudice avrebbe posto a fondamento della sua decisione sulla consistenza effettiva dei lavori solo gli atti provenienti dalla amministrazione comunale, mentre avrebbe omesso di considerare la documentazione agli atti, tra cui la perizia della CTU in altro giudizio, dalla quale emergerebbe che il solaio intermedio era già esistente.
Con altro motivo di appello si deduce la erroneità della sentenza, nel punto in cui ha concluso per la mancata dimostrazione dell’interesse dei ricorrenti alla applicazione della misura ripristinatoria in luogo della misura pecuniaria, in quanto è invece evidente che la prima avrebbe comportato una spesa di importo ben inferiore alla somma dovuta di euro 486.000.000, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’intero immobile.
Con altro motivo di appello, gli appellanti deducono che la stima dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere contestate avrebbe dovuto essere determinata in base ai criteri posti dall’art. 33 DPR 380 del 2001 che detta i principi fondamentali ai quali le Regioni debbono adeguarsi, anziché sulla base dell’art. 134 l.r.Toscana n.1 del 2005.
Con altro motivo di appello si contesta la stima effettuata sotto altro profilo e cioè riguardo all’effettivo ampliamento della superficie, che non è di mq.78, ma, come risulta dall’accertamento della Polizia Municipale di Vaiano e dalla CTU menzionata a firma dell’ing. Leggeri, l’edificio ha la superficie di mq.211 e quindi una inalterata consistenza rispetto allo stato originario.
Con altro motivo di censura gli appellanti lamentano la ingiustizia della sentenza e la illegittimità della attività comunale, che ha omesso di irrogare la sanzione pecuniaria anche agli esecutori delle opere abusive, signori Pini Maurizio e Mariani Franco.
Con gli ultimi motivi di appello si deduce la violazione del dovere di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio, nonché la illegittimità del diniego di rimborso.
Si è costituito il Comune di Vaiano, deducendo la legittimità del suo operato, la inammissibilità e infondatezza dell’appello.
Si è costituita l’Agenzia del Territorio chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Si sono costituiti i signori Pini e Mariani chiedendo rigettarsi l’appello perché infondato.
Alla udienza pubblica del 6 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Con l’atto di appello vengono proposti i seguenti motivi di censura.
Con il primo motivo di appello (pagine 16, 17, 18 e 19) gli appellanti Magnini lamentano che il primo giudice abbia ritenuto erroneamente tardiva la istanza di accertamento di conformità in sanatoria da essi avanzata, violando l’art. 140 della l.r. 1/2005 che consentirebbe di proporre la istanza fino alla notifica della ingiunzione di pagamento delle sanzioni amministrative di cui all’art. 2 r.d.639 del 1910, nella specie non emessa né notificata.
Il motivo è infondato.
Il giudice di prime cure ha correttamente ragionato nel senso che è tardiva la richiesta avanzata, perché presentata successivamente al parziale pagamento della sanzione irrogata per gli abusi che si era richiesto di sanare.
L’articolo 14 della legge regionale toscana n. 1 del 2005 stabilisce che l’avente titolo può ottenere la attestazione di conformità fino alla “irrogazione” della sanzione amministrativa, dovendosi intendere avvenuta la preclusione anche a seguito dell’inizio della fase esecutiva, consistente nel pagamento parziale.
La esistenza del provvedimento sanzionatorio non impedisce la sanatoria solo laddove lo stesso non sia ancora stato eseguito o qualora non sia stata ancora iniziata la procedura di riscossione coattiva, mentre nella specie gli appellanti hanno dato parzialmente attuazione e esecuzione alla ordinanza-ingiunzione ancora prima di avanzare la istanza di cui all’art. 140 su menzionato.
Gli appellanti hanno concordato il piano di rateizzazione e quindi corrisposto l’importo della prima rata ancora prima della presentazione della istanza.
Occorre osservare inoltre da parte di questo giudicante che, come eccepito dal Comune appellato, il provvedimento di diniego di sanatoria era retto da due motivi distinti: la insussistenza del requisito del doppia conformità richiesto dall’art. 140 l.r.n.1 e la insussistenza del requisito relativo alla effettiva possibilità di presentazione della istanza.
Con i motivi aggiunti al ricorso principale gli attuali appellanti non avevano dedotto alcunché avverso la prima statuizione negativa (il requisito mancante della doppia conformità).
Il PRG del Comune di Vaiano vigente al momento dell’abuso ammetteva come massimo intervento la ristrutturazione edilizia D1 di cui all’allegato A della legge regionale Toscana n.59 del 1980, nel cui novero sono compresi gli interventi di ristrutturazione edilizia a condizione che gli stessi non comportino alterazione dei volumi o superfici, né modifiche agli elementi strutturali, ai caratteri architettonici e decorativi dell’edificio e agli elementi di arredo urbano.
Sono (erano) vietati quindi gli interventi di ristrutturazione edilizia come quelli in questione, che hanno determinato un passaggio da un edificio rurale a uno residenziale nonché un aumento significativo di superficie e volumi, creazione di nuovi vani, la completa alterazione dei caratteri strutturali e architettonici del complesso colonico per effetto della modifica delle aperture dei prospetti, la totale modifica dei tratti distintivi dell’area pertinenziale all’esito di lavori di sbancamento, scavo, livellamento, aggiunta di plurimi elementi di arredo e così via.
Vale inoltre la considerazione per cui allorchè sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l’accertamento dell’ “inattaccabilità” anche di uno solo di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni (così, Cons. Stato, IV, 6.11.2008, n.5503).
Nella specie la sanzione pecuniaria è stata irrogata con ordinanza notificata ai signori Magnini in data 6 ottobre 2006; il Comune di Vaiano ha richiesto il pagamento della sanzione irrogata il successivo 6.7.2007 avvisando i trasgressori della possibilità di rateizzare l’importo; i signori Magnini hanno presentato istanza in tal senso chiedendo la ripartizione del pagamento in rate trimestrali; l’amministrazione ha accolto la richiesta stilando un piano di rateizzazione in otto rate trimestrali di importo pari a euro 65.162,91 oltre accessori; in data 19.7.2007 i Magnini hanno provveduto al pagamento della prima rata; in data 10.8.2007 hanno presentato istanza di attestazione di conformità in sanatoria.
Gli appellanti hanno, con il primo motivo di appello, lamentato la ingiustizia della sentenza, che ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso per motivi aggiunti, avendo accertato la legittimità del diniego in relazione alla istanza tardivamente presentata: secondo i primo giudici non poteva in alcun caso applicarsi il meccanismo della c.d. sanatoria giurisprudenziale con esito favorevole, in quanto la istanza era stata tardivamente proposta.
Il primo motivo di ricorso va rigettato in quanto la istanza era tardiva e tale considerazione è assorbente ai fini del rigetto della maggior parte dei motivi di appello, ritenendo il Collegio di dover esaminare, per completezza, anche gli altri motivi.
2.Con l’appello si sostiene non solo che la istanza era tempestiva e quindi da esaminare, ma anche che sussistevano i presupposti per la doppia conformità.
In relazione a tale proposizione il Comune appellato eccepisce la inammissibilità del primo motivo di appello, nella parte in cui mira a contestare un provvedimento divenuto definitivo, oltre che a introdurre domande nuove in appello, contro il principio di cui all’art. 345 c.p.c..
L’appello lamenta la erroneità della sentenza, anche perchè ha omesso di pronunciare sulla illegittimità del comune di Vaiano, che ha ritenuto che la sanatoria edilizia dell’art. 36 DPR 380 del 2001 e dell’art. 140 l.r.T. 1/2005, richiedendo la c.d. doppia conformità, non poteva essere rilasciata per mancanza della conformità urbanistica al momento della realizzazione delle opere.
Secondo gli appellanti, dovendo valutarsi la conformità alla data di presentazione della istanza (10 agosto 2007) e al momento di adozione del provvedimento negativo da parte del Comune (7 novembre 2007) lo strumento urbanistico rilevante per valutare la ammissibilità era il regolamento urbanistico, che consente per gli edifici di interesse storico architettonico (quale il Complesso Le Casacce) la ristrutturazione edilizia.
Conseguentemente, secondo l’appello, sino alla integrale corresponsione della sanzione pecuniaria e anche successivamente vi è interesse alla concessione in sanatoria e essa non poteva essere negata in presenza della conformità urbanistica al momento dell’esame della domanda da parte del Comune.
Il motivo è infondato, valendo al contrario il principio opposto rispetto a quello invocato.
In sede di esame della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, non è possibile applicare la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale che, infatti, come spesso accade per gli istituti di ispirazione pretoria, non ha trovato conferma nella recente legislazione, la quale invece prevede il presupposto della c.d. doppia conformità non essendo stato recepito nell’art. 36 T.U. edilizia l’auspicio in tal senso della Adunanza Generale del Consiglio di Stato. Deve ritenersi quindi che allo stato attuale per ottenere una concessione edilizia in sanatoria sia necessaria la c.d. doppia conformità e cioè occorra dimostrare che l’opera abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui viene richiesta ma anche a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera (così, Consiglio di Stato, IV, 17.9.2007, n.4838).
L’art. 13 della legge 47 del 1985 (ora art. 36 T.U. edilizia) in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di una interpretazione riduttiva, secondo cui, in contrasto con il suo tenore letterale, basterebbe la conformità delle opere con il piano regolatore vigente al momento in cui sia definita la istanza di sanatoria.
Pertanto la sanabilità postula la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quella in vigore alla data della presentazione della domanda.
Nella specie le opere realizzate abusivamente non risultavano comunque neppure conformi allo strumento urbanistico vigente alla sola data di presentazione della istanza di attestazione di conformità (cioè al 18.7.2007).
D’altronde, attesa la natura degli interventi, definiti consistenti e che non possono essere qualificati minimali e non alterativi dello stato dei luoghi e del valore agro-ambientale-insediativo (così la Sezione nelle ordinanze in sede cautelare), non può ritenersi che sussistesse tale conformità, sia pure limitata alla data di presentazione della istanza di attestazione di conformità (18.7.2007), in quanto in relazione alla strada nella quale è ubicato l’immobile in questione (Via Bronia), tramite un rinvio dell’art. 35.1, comma quarto del R.U. del Comune di Vaiano all’art. 24, settimo comma lettera a), vale la regola per cui per la classe R1 gli interventi di ristrutturazione edilizia dovranno essere eseguiti nel rispetto delle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali dell’organismo edilizio esistente, con l’impiego di appropriate caratteristiche costruttive che garantiscano la salvaguardia degli elementi architettonici e decorativi caratterizzanti l’edificio.
Pertanto, le opere abusive realizzate non erano conformi neppure allo strumento urbanistico vigente alla data di presentazione della istanza di attestazione in conformità, perché realizzate contro il disposto di cui agli articolo 35.1, quarto comma e 24 settimo comma lettera a) del R.U. del Comune di Vaiano, applicabile a tale data.
Allo stesso modo è infondata la censura di appello con la quale si lamenta la mancata applicazione del’art. 33 Regolamento edilizio che contempla la sanatoria amministrativa, poiché non sussistevano i presupposti, essendo la istanza stata presentata dopo i termini per la richiesta di sanatoria.
3.Con altro motivo di appello si contesta la qualificazione di “ristrutturazione edilizia” attribuita all’intervento, che invece consisterebbe in un lieve intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria (demolizione e sostituzione di pavimenti, rimozione di intonaci, nuove aperture interne, tamponamento di porte interne, demolizione di parapetto, sostituzione di pavimenti) nonché di restauro e risanamento conservativo (realizzazione di servizio igienico, impianti termici); nella definizione di risanamento conservativo rientrerebbe anche il mutamento di destinazione di uso dell’immobile.
Il diniego della istanza di sanatoria, secondo l’appello, avrebbe pertanto omesso di valutare la reale portata e tipologia delle opere realizzate, sulla base della situazione dei luoghi, nonché non tenendo in considerazione il fatto che da tempo il complesso edilizio aveva destinazione civile e non costituiva più un fabbricato rurale.
Secondo la prospettazione dell’atto di appello le misure di salvaguardia hanno efficacia limitata nel tempo (nella specie fino al marzo 2005, tre anni dalla data di adozione, secondo la normativa regionale), sicchè le opere, in corso di esecuzione alla data del 22 dicembre 2005 (secondo gli accertamenti della Polizia Municipale) sono state effettuate quando oramai le norme di salvaguardia erano decadute ed era vigente il nuovo regolamento urbanistico, che consente per l’immobile in questione interventi fino alla ristrutturazione edilizia.
Il motivo è infondato.
La doppia conformità di un intervento edilizio deve essere verificata anche in relazione agli strumenti urbanistici soltanto adottati e non ancora approvati, sia alla data di esecuzione delle opere che a quella della presentazione della domanda.
Come ammettono i medesimi appellanti il Piano Strutturale del Comune di Vaiano era stato adottato e non ancora approvato alla data di realizzazione degli abusi e consentiva sul complesso immobiliare di loro proprietà soltanto gli interventi fino al restauro e risanamento conservativo.
Le opere abusivamente realizzate, in quanto qualificabili come ristrutturazione edilizia, non erano ammesse al momento della loro realizzazione.
In ordine poi alla affermazione dei signori Magnini che negano che i fabbricati in questione avessero destinazione rurale e alla asserita mancanza del cambio di destinazione di uso, deve rilevarsi che la precedente destinazione a pollaio del piano terreno dell’edificio “A” risulta inequivocabilmente dalle stesse dichiarazioni espresse circa la destinazione dei locali dagli odierni appellanti nella pratica edilizia n.136 del 2002.
E’ errata altresì la pretesa appellante di ritenere decadute le misure di salvaguardia del Piano Strutturale alla data del 22.12.2005, perché sarebbero state vigenti dal 27.3.2002 al 27.3.2005.
Il piano strutturale è stato adottato con delibera consiliare n.22 del 27.3.2002 e approvato con successiva delibera consiliare n.17 del 15.4.2004.
Poiché tale piano era stato adottato e approvato prima della entrata in vigore della legge regionale n.1 del 2005, non potevano trovare applicazione le norme richiamate ma quelle della L.R. 1 del 2005, che sanciva un regime quinquennale di operatività delle salvaguardie ordinarie e uno triennale ma decorrente dalla data di approvazione del P.S. di operatività delle salvaguardie speciali, entrambe pienamente efficaci alla data di esecuzione delle opere abusive contestate.
Inoltre l’art. 50 del P.S. del Comune di Vaiano stabiliva espressamente che le misure di salvaguardia dal medesimo previste dovevano avere efficacia sino alla approvazione del R.U. e comunque non oltre tre anni dalla data di approvazione (non di adozione) del Piano Strutturale e quindi comunque fino al 15 aprile 2007.
Va respinta anche ogni doglianza che – a parte la valutazione della eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, attesa la contrarietà urbanistica in ogni momento rilevante - contesta una ipotetica omissione di istruttoria e motivazione della sentenza impugnata, circa il periodo temporale di realizzazione delle opere abusive, che invece è ben individuato dalla data di presentazione della variante finale relativa alla DIA per il rifacimento del tetto, 28 maggio 2002, alla data del sopralluogo, 22.12.2005.
4.Con ulteriori motivi di appello (pagina 32, pagina 33, pagine 34 e seguenti dell’appello) si lamenta la illegittimità dell’operato del comune: a) riguardo all’epoca dei lavori e al periodo di realizzazione dell’opera contestata; b) circa la mancanza del parere della Commissione Edilizia; c) circa la consistenza e natura dell’intervento, da intendersi risanamento conservativo e non ristrutturazione edilizia.
Premesso che i motivi riguardanti l’epoca di realizzazione dei lavori e la consistenza e natura dell’intervento – in realtà ristrutturazione edilizia e non mero risanamento conservativo – sono stati ampiamente affrontati e rigettati in precedenza, va per completezza esaminata la censura consistente nella mancanza acquisizione del parere della Commissione Edilizia.
A parte i rilievi di inammissibilità del riproposto motivo, il Collegio osserva che il parere della richiamata Commissione (di istituzione facoltativa) era previsto dal regolamento edilizio comunale unicamente per i procedimenti ordinari e non anche per quelli di sanatoria edilizia.
Si ritiene inoltre che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria il parere della Commissione edilizia comunale considerata la mancanza di espressa previsione normativa e la specialità del procedimento deve essere considerato facoltativo (così, Cons. Stato, V, 8.5.2007).
Vale in ogni caso il principio per cui attesa la difformità dalle misure di salvaguardia degli interventi abusivi, il provvedimento ancorchè in teoria privo del parere della Commissione edilizia, non potrebbe o avrebbe potuto avere un contenuto diverso rispetto a quello in concreto adottato.
E’ da rigettare anche ogni doglianza con la quale gli appellanti sostengono che dalle consulenze in atti sarebbe emerso quanto segue: assenza di incremento superficiale; che l’edificio non avrebbe mai mutato la sua destinazione d’uso non essendo mai stato adibito a pollaio; che tutti gli interventi avrebbero dovuto essere qualificati come di manutenzione ordinaria o restauro conservativo e che solo su parte del fabbricato sui era concretizzata una ristrutturazione edilizia.
Il giudice di primo grado ha puntualmente elencato le opere effettuate: in particolare per l’edificio principale “A” costituente nuova abitazione colonica, esse sono consistite nella realizzazione di un nuovo vano e di nuove aperture interne, nella trasformazione in civile abitazione costituente autonoma unità immobiliare composta da cucina, bagno e ripostiglio, di vecchi locali destinati a pollaio-ripostiglio, in modifiche di prospetti esterni, nella realizzazione di nuova apertura esterna in corrispondenza del nuovo locale bagno ubicato al piano terreno, in nuove aperture interne e di chiusura di altre, nella realizzazione di apertura sul solaio tra i piani terra e primo; per l’edificio C denominato ex fienile sono stati accertati il cambio di destinazione in civile abitazione composta da cucina soggiorno, 2 bagni, camera e sala, modifiche dei prospetti, la demolizione del solaio e la sua sostituzione con uno nuovo, posizionato a una quota inferiore, così da ottenere due piani fruibili, la creazione di un nuovo vano adibito a bagno, di nuove tramezzature interne e di varie aperture esterne.
Sono stati effettuati interventi che incrementano la superficie utile, modificano la distribuzione della superficie interna, incidono sul preesistente carico urbanistico (edifici A e C).
Dagli atti risultava che la attuale destinazione dell’edificio A è residenziale mentre prima una stanza risultava a pollaio, mentre per l’edificio C il piano terreno era fienile (pratica edilizia 201 del 1999).
Tali interventi, mutando le aperture dei due edifici e in parte la destinazione di uso degli stessi non si limitano all’inserimento di nuovi elementi accessori propri del risanamento conservativo, che presuppone la conservazione di tipologia, forma e struttura, ma si sono sostanziati in una vera e propria ristrutturazione edilizia, cioè in lavori che danno vita a organismi edilizi in parte diversi da quelli originari, con parziale cambio di destinazione di uso.
Mentre il risanamento e il restauro hanno la finalità di rinnovare l’edificio in modo sistematico e globale ma tale finalità va perseguita nel rispetto dei suoli elementi essenziali dal punto di vista tipologico, formale e strutturale, la ristrutturazione edilizia (di tipo invasivo) riguarda le opere rivolte a creare un organismo in tutto o in parte diverso da quello oggetto di intervento.
5.Con altro motivo di appello (pagine 38 e seguenti) si deduce la violazione dei principi in tema di onere della prova nei giudizi, dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, del principio dispositivo, in quanto il primo giudice avrebbe posto a fondamento della sua decisione sulla consistenza effettiva dei lavori solo gli atti provenienti dalla amministrazione comunale, mentre avrebbe omesso di considerare la documentazione agli atti, tra cui la perizia della CTU in altro giudizio, dalla quale emergerebbe che il solaio intermedio era già esistente.
I motivi sono infondati, essendo invece chiaro ed evidente che – in disparte il principio del libero apprezzamento del giudice delle risultanze tecniche, oltre alla osservazione che tali perizie tecniche sono state espresse in altri giudizi, definiti in diverse giurisdizioni e soprattutto in assenza del contraddittorio con le parti avversarie nel giudizio in questione - il primo giudice ha adeguatamente motivato, rappresentando i motivi per i quali riteneva di dovere accogliere le osservazioni della amministrazione nella relazione tecnica di replica alla CTU richiamata da parte appellante, redatta dall’Ing. Leggeri, né gli appellanti hanno fornito prove sufficienti a smentire le risultanze ricavabili dagli elaborati di cui alle pregresse pratiche edilizie.
Vale inoltre il principio secondo cui il Giudice amministrativo non è affatto obbligato ad accogliere la istanza di consulenza tecnica di ufficio avanzata né deve tanto meno spiegare le ragioni per le quali sulla base del suo libero convincimento ritiene che dagli atti di causa siano ad esso offerti elementi sufficienti per decidere “causa cognita” sulla questione sottoposta al suo esame.
6.Con altro motivo di appello si deduce la erroneità della sentenza, nel punto in cui ha concluso per la mancata dimostrazione dell’interesse dei ricorrenti alla applicazione della misura ripristinatoria in luogo della misura pecuniaria, in quanto è invece evidente che la prima avrebbe comportato una spesa di importo ben inferiore alla somma dovuta di euro 486.000.000, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’intero immobile.
Sostengono gli appellanti che avrebbe dovuto essere ad essi applicato l’art. 132 della legge regionale Toscana n.1 del 2005, che prevede in caso di esecuzione di opere abusive la irrogazione della sanzione demolitoria e non quella pecuniaria, prevista dall’art. 134 soltanto nella ipotesi alternativa alla demolizione nel caso in cui le opere non siano ripristinabili.
Secondo la tesi di parte appellante essi avrebbero potuto abbattere le sole parti abusive e ciò sarebbe stato più conveniente della disposta sanzione pecuniaria.
Il motivo è infondato.
Il giudice di primo grado ha condivisibilmente osservato che in generale gli effetti della sanzione demolitoria sono più gravi degli effetti della sanzione pecuniaria; nel caso specifico, inoltre, i ricorrenti non avevano provato in alcun modo che la demolizione sarebbe stata per loro più conveniente del pagamento richiesto.
Allo stesso modo, con l’appello, gli appellanti si limitano a riferire che la sanzione pecuniaria avrebbe potuto essere più conveniente, senza nulla addurre in relazione alla rimozione degli abusi, alla ripristinabilità di interventi che in un tutt’uno non possono essere eliminati senza pregiudicare la parte intera.
Vale inoltre la considerazione che l’art. 134 l.r. 1/2005 sanziona con la sanzione pecuniaria proprio tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 79 comma secondo lettera d, e quindi anche quelli comportanti un mutamento parziale di destinazione di uso.
In ordine alla asserita ripristinabilità delle opere, il giudice di prime cure ha osservato come la amministrazione comunale abbia compiuto tale valutazione, precisando che la demolizione delle opere abusive non sia possibile in quanto le stesse sono completamente integrate con quelle legittime.
Tale valutazione di tipo tecnico è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione comunale, è limitatamente sindacabile e nella specie non appare né illogica, né irragionevole in rapporto alla incisività degli interventi sanzionati (in tal senso, sul principio generale del sindacato limitato, Cons. Stato, VI, 8.11.2000; nella specie, ordinanza n.392 del 3.7.2007, sezione quarta).
7.Con altro motivo di appello, gli appellanti deducono che la stima dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere contestate avrebbe dovuto essere determinata in base ai criteri posti dall’art. 33 DPR 380 del 2001 che detta i principi fondamentali ai quali le Regioni debbono adeguarsi, anziché sulla base dell’art. 134 l.r.Toscana n.1 del 2005.
Il primo giudice avrebbe omesso di ravvisare la non manifesta infondatezza della censura di incostituzionalità in riferimento all’art. 117 Cost. , avendo una legge regionale previsto una disciplina configgente con i principi fondamentali dettati dal testo Unico Edilizia in una materia di legislazione concorrente.
Il motivo è del tutto infondato.
L’art. 134 l.r. ha rispettato il principio dettato dalla normativa statale a norma del quale il parametro da porre a base di calcolo è costituito dall’aumento di valore conseguente alla realizzazione delle opere. Tale valore è stato assunto dalla legge regionale come “fondamento e parametro” della sanzione, stabilita, infatti, in misura pari al doppio, prevedendo poi legittimamente una disciplina di dettaglio difforme da quella di cui al DPR 380 del 2001 in merito “al calcolo” della sanzione.
Il meccanismo matematico utilizzato per il calcolo della sanzione non è un principio fondamentale riservato alla legislazione statale, ma è un aspetto rientrante nella potestà legislativa regionale a norma dell’art. 117 terzo comma Costituzione.
Correttamente il primo giudice ha rigettato la censura con la quale si lamentava l’utilizzo quale metodo di stima dell’aumento di valore del metodo sintetico comparativo, che prende a riferimento il prezzo di mercato di immobili simili a quello considerato, anziché il metodo di cui alla legge 392 del 1978, richiamato dal solo DPR 380 del 2001.
Il primo giudice ha considerato che la legge regionale non prevede alcun richiamo alla legge n.392 del 1978 e che, nel silenzio della legge, il metodo basato sul valore di mercato della zona non solo è logico, ma costituisce il più attendibile ed autorevole parametro di raffronto per la determinazione del valore venale cui fa riferimento il legislatore (così anche Consiglio Stato, V, 25.11.1988, n.729).
E’ da rigettare anche la doglianza con la quale si lamenta erroneità dei calcoli effettuati in quanto questi, come chiarito dalla Agenzia del Territorio di Prato, sono stati effettuati facendo riferimento allo stato di conservazione dell’immobile, tenendo conto del fatto che “una considerevole consistenza del corpo A e parte del corpo C risultano in uno stato di manutenzione definito tecnicamente al grezzo”.
8.Con altro motivo di appello si contesta la stima effettuata sotto altro profilo e cioè riguardo all’effettivo ampliamento della superficie. Secondo l’appello, come risulta dall’accertamento della Polizia Municipale di Vaiano e dalla CTU menzionata a firma dell’ing. Leggeri, l’edificio avrebbe la superficie di mq.211 e quindi vi sarebbe una inalterata consistenza rispetto allo stato originario.
Il motivo è del tutto infondato.
Come rilevato dal primo giudice, la stima della Agenzia del territorio è stata effettuata sulla base dello stato di fatto risultante dalle planimetrie allegate alla pratica edilizia n.201 del 1999, mai in realtà contestate da controparte. Tali atti indicano in mq. 161 la consistenza dell’immobile preesistente alle opere abusive, mentre ora gli appellanti affermano che la superficie originaria dell’immobile sarebbe di mq. 211.
Inoltre, sia il verbale di sopralluogo della Polizia Municipale che la comunicazione di avvio del procedimento, contengono un esplicito riferimento alla costruzione di un nuovo solaio al posto del preesistente collocato ad una quota inferiore rispetto a prima, in quanto posizione idonea a ottenere due piani in luogo di uno solo.
La accertata creazione di un nuovo piano abitabile rende evidente l’ampliamento della superficie residenziale, alla quale si aggiunge la realizzazione di un nuovo vano ottenuto con scavo esterno al perimetro dell’edificio.
9.Con altro motivo di censura gli appellanti lamentano la ingiustizia della sentenza e la illegittimità della attività comunale, che ha omesso di irrogare la sanzione pecuniaria anche agli esecutori delle opere abusive, signori Pini Maurizio e Mariani Franco.
Anche tale motivo è infondato.
L’accertamento condotto sulla circostanza della assenza e del non reperimento in cantiere al momento del sopralluogo rende legittimo il procedimento nel quale i soggetti invocati dagli appellanti quali esecutori delle opere abusive (Pini e Mariani) non sono stati coinvolti.
Dalla documentazione in atti si evinceva soltanto che i due signori invocati avevano realizzato lavori di intonacatura, restauro e stuccatura, consentiti in quanto rientranti nella manutenzione ordinaria.
I signori menzionati Pini e Mariani hanno effettuato lavori legittimi di manutenzione ordinaria, mentre il signor Dreni è risultato l’esecutore materiale delle opere abusive di ristrutturazione edilizia.
In ogni caso, a parte la sua infondatezza, il motivo che si rifà alla mancata notificazione a eventuali corresponsabili non è in grado di inficiare la legittimità della ordinanza
10.Con gli ultimi motivi di appello si deduce la violazione del dovere di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio, nonché la illegittimità del diniego di rimborso.
Il motivo relativo alla partecipazione è infondato, in quanto se è vero che la presentazione della domanda di sanatoria preclude la adozione di misure repressive fino alla conclusione del procedimento così instaurato, una volta definito il procedimento di sanatoria legittimamente l’amministrazione può irrogare sanzioni, dal momento che la circostanza che sia stata richiesta (e non sia stata rilasciata) la attestazione di conformità in sanatoria non rende necessaria la emissione di un nuovo avviso di avvio del procedimento, che risulterebbe funzionale ad assicurare un ulteriore apporto collaborativo del privato che invece ha già svolto le sue difese nella prima fase del procedimento.
Nella specie, alla iniziale comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio per opere di ristrutturazione edilizia non ripristinabili eseguite in assenza di DIA sono seguite le osservazioni degli interessati appellanti odierni.
Deve tenersi presente che a ragione del loro contenuto rigidamente vincolato gli atti sanzionatori in materia edilizia, non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, non possono essere annullati se il loro esito sarebbe stato il medesimo.
E’ evidente come conseguenzialità logica della ritenuta legittimità dei provvedimenti sanzionatori, il rigetto del rimborso di quanto asseritamente non dovuto e, invece, per i sopra esposti motivi, dovuto all’amministrazione comunale.
11.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.
La condanna alle spese del giudizio segue in parte il principio della soccombenza nei confronti del Comune di Vaiano; in parte sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la impugnata sentenza.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Vaiano, liquidandole in complessivi euro cinquemila. Spese compensate per il resto.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2009 con l'intervento dei Signori:
Gaetano Trotta, Presidente
Giuseppe Romeo, Consigliere
Antonino Anastasi, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Sandro Aureli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il ___________________
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
N. 03853/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3853 del 2009, proposto da:
Magnini Beatrice, rappresentato e difeso dagli avv. Franco B. Campagni, Roberto Righi, con domicilio eletto presso R. Righi in Roma, via G. Carducci, 4; Magnini Alessandro, rappresentato e difeso dagli avv. Franco B. Campagni, Roberto Righi, con domicilio eletto presso Roberto Righi in Roma, via G.Carducci, 4;
contro
Comune di Vaiano, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Studio Grez in Roma, corso V.Emanuele II, N.18; Agenzia del Territorio-Direz.Reg.Toscana Uff. Prov. Prato, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
nei confronti di
Pini Maurizio, Mariani Franco, rappresentati e difesi dagli avv. Luciano Barletta, Giammaria Camici, con domicilio eletto presso Giammaria Camici in Roma, via Monte Zebio 30;
per la riforma
della sentenza del TAR TOSCANA - FIRENZE :Sezione III n. 00429/2009, resa tra le parti, concernente IRROGAZIONE SANZIONE PER OPERE DI RISTRUTTURAZIONE ESEGUITE IN ASSENZA DIA.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2009 il dott. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Campagni, l'avv. Righi, L'avv. Giovannelli, L'avv. dello Stato Grumetto e l'avv. Barletta.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana gli attuali appellanti impugnavano una serie di atti (ordinanza del comune di Vaiano di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria per opere di ristrutturazione edilizia non ripristinabili in assenza di denuncia di inizio attività notificata il 6 ottobre 2008 e controdeduzioni alla memoria di intervento nel medesimo procedimento sanzionatorio; archiviazione della pratica edilizia n.121 del 2006 e n.122 del 2006; stima del 13 giugno 2006 della Agenzia del Territorio; diniego del comune di Vaiano del 16 novembre 2007 sulla pratica edilizia n.177 del 2007; diniego di rimborso del comune di Vaiano del 26 marzo 2008 sulla istanza del 26.2.2008) a mezzo del ricorso originario e di due ricorsi per motivi aggiunti.
Il Tribunale adito in parte respingeva il ricorso ritenendo infondate in parte le doglianze prospettate in quella sede e in parte dichiarava la inammissibilità dei proposti motivi.
Con l’atto di appello vengono proposti i seguenti motivi di censura.
Con il primo motivo di appello (pagine 16, 17, 18 e 19) gli appellanti Magnini lamentano che il primo giudice abbia ritenuto erroneamente tardiva la istanza di accertamento di conformità in sanatoria da essi avanzata, violando l’art. 140 della l.r. 1/2005 che consentirebbe di proporre la istanza fino alla notifica della ingiunzione di pagamento delle sanzioni amministrative di cui all’art. 2 r.d.639 del 1910, nella specie non emessa né notificata.
Con altro motivo di appello gli appellanti lamentano la erroneità della sentenza, che ha omesso di pronunciare sulla illegittimità del comune di Vaiano, che ha ritenuto che la sanatoria edilizia dell’art. 36 DPR 380 del 2001 e dell’art. 140 l.r.T. 1/2005, richiedendo la c.d. doppia conformità, non poteva essere rilasciata per mancanza della conformità urbanistica al momento della realizzazione delle opere.
Secondo gli appellanti, dovendo valutarsi la conformità alla data di presentazione della istanza (10 agosto 2007) e al momento di adozione del provvedimento negativo da parte del Comune (7 novembre 2007) lo strumento urbanistico rilevante per valutare la ammissibilità era il regolamento urbanistico, che consente per gli edifici di interesse storico architettonico (quale il Complesso Le Casacce) la ristrutturazione edilizia.
Conseguentemente, secondo l’appello, sino alla integrale corresponsione della sanzione pecuniaria e anche successivamente vi è interesse alla concessione in sanatoria e essa non poteva essere negata in presenza della conformità urbanistica al momento dell’esame della domanda da parte del Comune.
Con altro motivo di appello si contesta la qualificazione di “ristrutturazione edilizia” attribuita all’intervento, che invece consisterebbe in intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria (demolizione e sostituzione di pavimenti, rimozione di intonaci, nuove aperture interne, tamponamento di porte interne, demolizione di parapetto, sostituzione di pavimenti) nonché di restauro e risanamento conservativo (realizzazione di servizio igienico, impianti termici); nella definizione di risanamento conservativo rientrerebbe anche il mutamento di destinazione di uso dell’immobile.
Il diniego della istanza di sanatoria ha pertanto omesso di valutare la reale portata e tipologia delle opere realizzate, sulla base della situazione dei luoghi, nonché non tenendo in considerazione il fatto che da tempo il complesso edilizio aveva destinazione civile e non costituiva più un fabbricato rurale.
Secondo la prospettazione dell’atto di appello le misure di salvaguardia hanno efficacia limitata nel tempo (nella specie fino al marzo 2005, tre anni dalla data di adozione, secondo la normativa regionale), sicchè le opere, in corso di esecuzione alla data del 22 dicembre 2005 (secondo gli accertamenti della Polizia Municipale), sono state effettuate quando oramai le norme di salvaguardia erano decadute ed era vigente il nuovo regolamento urbanistico che consente per l’immobile in questione interventi fino alla ristrutturazione edilizia.
Con ulteriori motivi di appello (pagina 32, pagina 33, pagine 34 e seguenti dell’appello) si lamenta la illegittimità dell’operato del comune: a) riguardo all’epoca dei lavori e al periodo di realizzazione dell’opera contestata; b) circa la mancanza del parere della Commissione Edilizia; c) circa la consistenza e natura dell’intervento, da intendersi risanamento conservativo e non ristrutturazione edilizia.
Con altro motivo di appello (pagine 38 e seguenti) si deduce la violazione dei principi in tema di onere della prova nei giudizi, in quanto il primo giudice avrebbe posto a fondamento della sua decisione sulla consistenza effettiva dei lavori solo gli atti provenienti dalla amministrazione comunale, mentre avrebbe omesso di considerare la documentazione agli atti, tra cui la perizia della CTU in altro giudizio, dalla quale emergerebbe che il solaio intermedio era già esistente.
Con altro motivo di appello si deduce la erroneità della sentenza, nel punto in cui ha concluso per la mancata dimostrazione dell’interesse dei ricorrenti alla applicazione della misura ripristinatoria in luogo della misura pecuniaria, in quanto è invece evidente che la prima avrebbe comportato una spesa di importo ben inferiore alla somma dovuta di euro 486.000.000, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’intero immobile.
Con altro motivo di appello, gli appellanti deducono che la stima dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere contestate avrebbe dovuto essere determinata in base ai criteri posti dall’art. 33 DPR 380 del 2001 che detta i principi fondamentali ai quali le Regioni debbono adeguarsi, anziché sulla base dell’art. 134 l.r.Toscana n.1 del 2005.
Con altro motivo di appello si contesta la stima effettuata sotto altro profilo e cioè riguardo all’effettivo ampliamento della superficie, che non è di mq.78, ma, come risulta dall’accertamento della Polizia Municipale di Vaiano e dalla CTU menzionata a firma dell’ing. Leggeri, l’edificio ha la superficie di mq.211 e quindi una inalterata consistenza rispetto allo stato originario.
Con altro motivo di censura gli appellanti lamentano la ingiustizia della sentenza e la illegittimità della attività comunale, che ha omesso di irrogare la sanzione pecuniaria anche agli esecutori delle opere abusive, signori Pini Maurizio e Mariani Franco.
Con gli ultimi motivi di appello si deduce la violazione del dovere di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio, nonché la illegittimità del diniego di rimborso.
Si è costituito il Comune di Vaiano, deducendo la legittimità del suo operato, la inammissibilità e infondatezza dell’appello.
Si è costituita l’Agenzia del Territorio chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Si sono costituiti i signori Pini e Mariani chiedendo rigettarsi l’appello perché infondato.
Alla udienza pubblica del 6 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Con l’atto di appello vengono proposti i seguenti motivi di censura.
Con il primo motivo di appello (pagine 16, 17, 18 e 19) gli appellanti Magnini lamentano che il primo giudice abbia ritenuto erroneamente tardiva la istanza di accertamento di conformità in sanatoria da essi avanzata, violando l’art. 140 della l.r. 1/2005 che consentirebbe di proporre la istanza fino alla notifica della ingiunzione di pagamento delle sanzioni amministrative di cui all’art. 2 r.d.639 del 1910, nella specie non emessa né notificata.
Il motivo è infondato.
Il giudice di prime cure ha correttamente ragionato nel senso che è tardiva la richiesta avanzata, perché presentata successivamente al parziale pagamento della sanzione irrogata per gli abusi che si era richiesto di sanare.
L’articolo 14 della legge regionale toscana n. 1 del 2005 stabilisce che l’avente titolo può ottenere la attestazione di conformità fino alla “irrogazione” della sanzione amministrativa, dovendosi intendere avvenuta la preclusione anche a seguito dell’inizio della fase esecutiva, consistente nel pagamento parziale.
La esistenza del provvedimento sanzionatorio non impedisce la sanatoria solo laddove lo stesso non sia ancora stato eseguito o qualora non sia stata ancora iniziata la procedura di riscossione coattiva, mentre nella specie gli appellanti hanno dato parzialmente attuazione e esecuzione alla ordinanza-ingiunzione ancora prima di avanzare la istanza di cui all’art. 140 su menzionato.
Gli appellanti hanno concordato il piano di rateizzazione e quindi corrisposto l’importo della prima rata ancora prima della presentazione della istanza.
Occorre osservare inoltre da parte di questo giudicante che, come eccepito dal Comune appellato, il provvedimento di diniego di sanatoria era retto da due motivi distinti: la insussistenza del requisito del doppia conformità richiesto dall’art. 140 l.r.n.1 e la insussistenza del requisito relativo alla effettiva possibilità di presentazione della istanza.
Con i motivi aggiunti al ricorso principale gli attuali appellanti non avevano dedotto alcunché avverso la prima statuizione negativa (il requisito mancante della doppia conformità).
Il PRG del Comune di Vaiano vigente al momento dell’abuso ammetteva come massimo intervento la ristrutturazione edilizia D1 di cui all’allegato A della legge regionale Toscana n.59 del 1980, nel cui novero sono compresi gli interventi di ristrutturazione edilizia a condizione che gli stessi non comportino alterazione dei volumi o superfici, né modifiche agli elementi strutturali, ai caratteri architettonici e decorativi dell’edificio e agli elementi di arredo urbano.
Sono (erano) vietati quindi gli interventi di ristrutturazione edilizia come quelli in questione, che hanno determinato un passaggio da un edificio rurale a uno residenziale nonché un aumento significativo di superficie e volumi, creazione di nuovi vani, la completa alterazione dei caratteri strutturali e architettonici del complesso colonico per effetto della modifica delle aperture dei prospetti, la totale modifica dei tratti distintivi dell’area pertinenziale all’esito di lavori di sbancamento, scavo, livellamento, aggiunta di plurimi elementi di arredo e così via.
Vale inoltre la considerazione per cui allorchè sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l’accertamento dell’ “inattaccabilità” anche di uno solo di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni (così, Cons. Stato, IV, 6.11.2008, n.5503).
Nella specie la sanzione pecuniaria è stata irrogata con ordinanza notificata ai signori Magnini in data 6 ottobre 2006; il Comune di Vaiano ha richiesto il pagamento della sanzione irrogata il successivo 6.7.2007 avvisando i trasgressori della possibilità di rateizzare l’importo; i signori Magnini hanno presentato istanza in tal senso chiedendo la ripartizione del pagamento in rate trimestrali; l’amministrazione ha accolto la richiesta stilando un piano di rateizzazione in otto rate trimestrali di importo pari a euro 65.162,91 oltre accessori; in data 19.7.2007 i Magnini hanno provveduto al pagamento della prima rata; in data 10.8.2007 hanno presentato istanza di attestazione di conformità in sanatoria.
Gli appellanti hanno, con il primo motivo di appello, lamentato la ingiustizia della sentenza, che ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso per motivi aggiunti, avendo accertato la legittimità del diniego in relazione alla istanza tardivamente presentata: secondo i primo giudici non poteva in alcun caso applicarsi il meccanismo della c.d. sanatoria giurisprudenziale con esito favorevole, in quanto la istanza era stata tardivamente proposta.
Il primo motivo di ricorso va rigettato in quanto la istanza era tardiva e tale considerazione è assorbente ai fini del rigetto della maggior parte dei motivi di appello, ritenendo il Collegio di dover esaminare, per completezza, anche gli altri motivi.
2.Con l’appello si sostiene non solo che la istanza era tempestiva e quindi da esaminare, ma anche che sussistevano i presupposti per la doppia conformità.
In relazione a tale proposizione il Comune appellato eccepisce la inammissibilità del primo motivo di appello, nella parte in cui mira a contestare un provvedimento divenuto definitivo, oltre che a introdurre domande nuove in appello, contro il principio di cui all’art. 345 c.p.c..
L’appello lamenta la erroneità della sentenza, anche perchè ha omesso di pronunciare sulla illegittimità del comune di Vaiano, che ha ritenuto che la sanatoria edilizia dell’art. 36 DPR 380 del 2001 e dell’art. 140 l.r.T. 1/2005, richiedendo la c.d. doppia conformità, non poteva essere rilasciata per mancanza della conformità urbanistica al momento della realizzazione delle opere.
Secondo gli appellanti, dovendo valutarsi la conformità alla data di presentazione della istanza (10 agosto 2007) e al momento di adozione del provvedimento negativo da parte del Comune (7 novembre 2007) lo strumento urbanistico rilevante per valutare la ammissibilità era il regolamento urbanistico, che consente per gli edifici di interesse storico architettonico (quale il Complesso Le Casacce) la ristrutturazione edilizia.
Conseguentemente, secondo l’appello, sino alla integrale corresponsione della sanzione pecuniaria e anche successivamente vi è interesse alla concessione in sanatoria e essa non poteva essere negata in presenza della conformità urbanistica al momento dell’esame della domanda da parte del Comune.
Il motivo è infondato, valendo al contrario il principio opposto rispetto a quello invocato.
In sede di esame della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, non è possibile applicare la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale che, infatti, come spesso accade per gli istituti di ispirazione pretoria, non ha trovato conferma nella recente legislazione, la quale invece prevede il presupposto della c.d. doppia conformità non essendo stato recepito nell’art. 36 T.U. edilizia l’auspicio in tal senso della Adunanza Generale del Consiglio di Stato. Deve ritenersi quindi che allo stato attuale per ottenere una concessione edilizia in sanatoria sia necessaria la c.d. doppia conformità e cioè occorra dimostrare che l’opera abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui viene richiesta ma anche a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera (così, Consiglio di Stato, IV, 17.9.2007, n.4838).
L’art. 13 della legge 47 del 1985 (ora art. 36 T.U. edilizia) in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di una interpretazione riduttiva, secondo cui, in contrasto con il suo tenore letterale, basterebbe la conformità delle opere con il piano regolatore vigente al momento in cui sia definita la istanza di sanatoria.
Pertanto la sanabilità postula la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quella in vigore alla data della presentazione della domanda.
Nella specie le opere realizzate abusivamente non risultavano comunque neppure conformi allo strumento urbanistico vigente alla sola data di presentazione della istanza di attestazione di conformità (cioè al 18.7.2007).
D’altronde, attesa la natura degli interventi, definiti consistenti e che non possono essere qualificati minimali e non alterativi dello stato dei luoghi e del valore agro-ambientale-insediativo (così la Sezione nelle ordinanze in sede cautelare), non può ritenersi che sussistesse tale conformità, sia pure limitata alla data di presentazione della istanza di attestazione di conformità (18.7.2007), in quanto in relazione alla strada nella quale è ubicato l’immobile in questione (Via Bronia), tramite un rinvio dell’art. 35.1, comma quarto del R.U. del Comune di Vaiano all’art. 24, settimo comma lettera a), vale la regola per cui per la classe R1 gli interventi di ristrutturazione edilizia dovranno essere eseguiti nel rispetto delle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali dell’organismo edilizio esistente, con l’impiego di appropriate caratteristiche costruttive che garantiscano la salvaguardia degli elementi architettonici e decorativi caratterizzanti l’edificio.
Pertanto, le opere abusive realizzate non erano conformi neppure allo strumento urbanistico vigente alla data di presentazione della istanza di attestazione in conformità, perché realizzate contro il disposto di cui agli articolo 35.1, quarto comma e 24 settimo comma lettera a) del R.U. del Comune di Vaiano, applicabile a tale data.
Allo stesso modo è infondata la censura di appello con la quale si lamenta la mancata applicazione del’art. 33 Regolamento edilizio che contempla la sanatoria amministrativa, poiché non sussistevano i presupposti, essendo la istanza stata presentata dopo i termini per la richiesta di sanatoria.
3.Con altro motivo di appello si contesta la qualificazione di “ristrutturazione edilizia” attribuita all’intervento, che invece consisterebbe in un lieve intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria (demolizione e sostituzione di pavimenti, rimozione di intonaci, nuove aperture interne, tamponamento di porte interne, demolizione di parapetto, sostituzione di pavimenti) nonché di restauro e risanamento conservativo (realizzazione di servizio igienico, impianti termici); nella definizione di risanamento conservativo rientrerebbe anche il mutamento di destinazione di uso dell’immobile.
Il diniego della istanza di sanatoria, secondo l’appello, avrebbe pertanto omesso di valutare la reale portata e tipologia delle opere realizzate, sulla base della situazione dei luoghi, nonché non tenendo in considerazione il fatto che da tempo il complesso edilizio aveva destinazione civile e non costituiva più un fabbricato rurale.
Secondo la prospettazione dell’atto di appello le misure di salvaguardia hanno efficacia limitata nel tempo (nella specie fino al marzo 2005, tre anni dalla data di adozione, secondo la normativa regionale), sicchè le opere, in corso di esecuzione alla data del 22 dicembre 2005 (secondo gli accertamenti della Polizia Municipale) sono state effettuate quando oramai le norme di salvaguardia erano decadute ed era vigente il nuovo regolamento urbanistico, che consente per l’immobile in questione interventi fino alla ristrutturazione edilizia.
Il motivo è infondato.
La doppia conformità di un intervento edilizio deve essere verificata anche in relazione agli strumenti urbanistici soltanto adottati e non ancora approvati, sia alla data di esecuzione delle opere che a quella della presentazione della domanda.
Come ammettono i medesimi appellanti il Piano Strutturale del Comune di Vaiano era stato adottato e non ancora approvato alla data di realizzazione degli abusi e consentiva sul complesso immobiliare di loro proprietà soltanto gli interventi fino al restauro e risanamento conservativo.
Le opere abusivamente realizzate, in quanto qualificabili come ristrutturazione edilizia, non erano ammesse al momento della loro realizzazione.
In ordine poi alla affermazione dei signori Magnini che negano che i fabbricati in questione avessero destinazione rurale e alla asserita mancanza del cambio di destinazione di uso, deve rilevarsi che la precedente destinazione a pollaio del piano terreno dell’edificio “A” risulta inequivocabilmente dalle stesse dichiarazioni espresse circa la destinazione dei locali dagli odierni appellanti nella pratica edilizia n.136 del 2002.
E’ errata altresì la pretesa appellante di ritenere decadute le misure di salvaguardia del Piano Strutturale alla data del 22.12.2005, perché sarebbero state vigenti dal 27.3.2002 al 27.3.2005.
Il piano strutturale è stato adottato con delibera consiliare n.22 del 27.3.2002 e approvato con successiva delibera consiliare n.17 del 15.4.2004.
Poiché tale piano era stato adottato e approvato prima della entrata in vigore della legge regionale n.1 del 2005, non potevano trovare applicazione le norme richiamate ma quelle della L.R. 1 del 2005, che sanciva un regime quinquennale di operatività delle salvaguardie ordinarie e uno triennale ma decorrente dalla data di approvazione del P.S. di operatività delle salvaguardie speciali, entrambe pienamente efficaci alla data di esecuzione delle opere abusive contestate.
Inoltre l’art. 50 del P.S. del Comune di Vaiano stabiliva espressamente che le misure di salvaguardia dal medesimo previste dovevano avere efficacia sino alla approvazione del R.U. e comunque non oltre tre anni dalla data di approvazione (non di adozione) del Piano Strutturale e quindi comunque fino al 15 aprile 2007.
Va respinta anche ogni doglianza che – a parte la valutazione della eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, attesa la contrarietà urbanistica in ogni momento rilevante - contesta una ipotetica omissione di istruttoria e motivazione della sentenza impugnata, circa il periodo temporale di realizzazione delle opere abusive, che invece è ben individuato dalla data di presentazione della variante finale relativa alla DIA per il rifacimento del tetto, 28 maggio 2002, alla data del sopralluogo, 22.12.2005.
4.Con ulteriori motivi di appello (pagina 32, pagina 33, pagine 34 e seguenti dell’appello) si lamenta la illegittimità dell’operato del comune: a) riguardo all’epoca dei lavori e al periodo di realizzazione dell’opera contestata; b) circa la mancanza del parere della Commissione Edilizia; c) circa la consistenza e natura dell’intervento, da intendersi risanamento conservativo e non ristrutturazione edilizia.
Premesso che i motivi riguardanti l’epoca di realizzazione dei lavori e la consistenza e natura dell’intervento – in realtà ristrutturazione edilizia e non mero risanamento conservativo – sono stati ampiamente affrontati e rigettati in precedenza, va per completezza esaminata la censura consistente nella mancanza acquisizione del parere della Commissione Edilizia.
A parte i rilievi di inammissibilità del riproposto motivo, il Collegio osserva che il parere della richiamata Commissione (di istituzione facoltativa) era previsto dal regolamento edilizio comunale unicamente per i procedimenti ordinari e non anche per quelli di sanatoria edilizia.
Si ritiene inoltre che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria il parere della Commissione edilizia comunale considerata la mancanza di espressa previsione normativa e la specialità del procedimento deve essere considerato facoltativo (così, Cons. Stato, V, 8.5.2007).
Vale in ogni caso il principio per cui attesa la difformità dalle misure di salvaguardia degli interventi abusivi, il provvedimento ancorchè in teoria privo del parere della Commissione edilizia, non potrebbe o avrebbe potuto avere un contenuto diverso rispetto a quello in concreto adottato.
E’ da rigettare anche ogni doglianza con la quale gli appellanti sostengono che dalle consulenze in atti sarebbe emerso quanto segue: assenza di incremento superficiale; che l’edificio non avrebbe mai mutato la sua destinazione d’uso non essendo mai stato adibito a pollaio; che tutti gli interventi avrebbero dovuto essere qualificati come di manutenzione ordinaria o restauro conservativo e che solo su parte del fabbricato sui era concretizzata una ristrutturazione edilizia.
Il giudice di primo grado ha puntualmente elencato le opere effettuate: in particolare per l’edificio principale “A” costituente nuova abitazione colonica, esse sono consistite nella realizzazione di un nuovo vano e di nuove aperture interne, nella trasformazione in civile abitazione costituente autonoma unità immobiliare composta da cucina, bagno e ripostiglio, di vecchi locali destinati a pollaio-ripostiglio, in modifiche di prospetti esterni, nella realizzazione di nuova apertura esterna in corrispondenza del nuovo locale bagno ubicato al piano terreno, in nuove aperture interne e di chiusura di altre, nella realizzazione di apertura sul solaio tra i piani terra e primo; per l’edificio C denominato ex fienile sono stati accertati il cambio di destinazione in civile abitazione composta da cucina soggiorno, 2 bagni, camera e sala, modifiche dei prospetti, la demolizione del solaio e la sua sostituzione con uno nuovo, posizionato a una quota inferiore, così da ottenere due piani fruibili, la creazione di un nuovo vano adibito a bagno, di nuove tramezzature interne e di varie aperture esterne.
Sono stati effettuati interventi che incrementano la superficie utile, modificano la distribuzione della superficie interna, incidono sul preesistente carico urbanistico (edifici A e C).
Dagli atti risultava che la attuale destinazione dell’edificio A è residenziale mentre prima una stanza risultava a pollaio, mentre per l’edificio C il piano terreno era fienile (pratica edilizia 201 del 1999).
Tali interventi, mutando le aperture dei due edifici e in parte la destinazione di uso degli stessi non si limitano all’inserimento di nuovi elementi accessori propri del risanamento conservativo, che presuppone la conservazione di tipologia, forma e struttura, ma si sono sostanziati in una vera e propria ristrutturazione edilizia, cioè in lavori che danno vita a organismi edilizi in parte diversi da quelli originari, con parziale cambio di destinazione di uso.
Mentre il risanamento e il restauro hanno la finalità di rinnovare l’edificio in modo sistematico e globale ma tale finalità va perseguita nel rispetto dei suoli elementi essenziali dal punto di vista tipologico, formale e strutturale, la ristrutturazione edilizia (di tipo invasivo) riguarda le opere rivolte a creare un organismo in tutto o in parte diverso da quello oggetto di intervento.
5.Con altro motivo di appello (pagine 38 e seguenti) si deduce la violazione dei principi in tema di onere della prova nei giudizi, dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, del principio dispositivo, in quanto il primo giudice avrebbe posto a fondamento della sua decisione sulla consistenza effettiva dei lavori solo gli atti provenienti dalla amministrazione comunale, mentre avrebbe omesso di considerare la documentazione agli atti, tra cui la perizia della CTU in altro giudizio, dalla quale emergerebbe che il solaio intermedio era già esistente.
I motivi sono infondati, essendo invece chiaro ed evidente che – in disparte il principio del libero apprezzamento del giudice delle risultanze tecniche, oltre alla osservazione che tali perizie tecniche sono state espresse in altri giudizi, definiti in diverse giurisdizioni e soprattutto in assenza del contraddittorio con le parti avversarie nel giudizio in questione - il primo giudice ha adeguatamente motivato, rappresentando i motivi per i quali riteneva di dovere accogliere le osservazioni della amministrazione nella relazione tecnica di replica alla CTU richiamata da parte appellante, redatta dall’Ing. Leggeri, né gli appellanti hanno fornito prove sufficienti a smentire le risultanze ricavabili dagli elaborati di cui alle pregresse pratiche edilizie.
Vale inoltre il principio secondo cui il Giudice amministrativo non è affatto obbligato ad accogliere la istanza di consulenza tecnica di ufficio avanzata né deve tanto meno spiegare le ragioni per le quali sulla base del suo libero convincimento ritiene che dagli atti di causa siano ad esso offerti elementi sufficienti per decidere “causa cognita” sulla questione sottoposta al suo esame.
6.Con altro motivo di appello si deduce la erroneità della sentenza, nel punto in cui ha concluso per la mancata dimostrazione dell’interesse dei ricorrenti alla applicazione della misura ripristinatoria in luogo della misura pecuniaria, in quanto è invece evidente che la prima avrebbe comportato una spesa di importo ben inferiore alla somma dovuta di euro 486.000.000, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’intero immobile.
Sostengono gli appellanti che avrebbe dovuto essere ad essi applicato l’art. 132 della legge regionale Toscana n.1 del 2005, che prevede in caso di esecuzione di opere abusive la irrogazione della sanzione demolitoria e non quella pecuniaria, prevista dall’art. 134 soltanto nella ipotesi alternativa alla demolizione nel caso in cui le opere non siano ripristinabili.
Secondo la tesi di parte appellante essi avrebbero potuto abbattere le sole parti abusive e ciò sarebbe stato più conveniente della disposta sanzione pecuniaria.
Il motivo è infondato.
Il giudice di primo grado ha condivisibilmente osservato che in generale gli effetti della sanzione demolitoria sono più gravi degli effetti della sanzione pecuniaria; nel caso specifico, inoltre, i ricorrenti non avevano provato in alcun modo che la demolizione sarebbe stata per loro più conveniente del pagamento richiesto.
Allo stesso modo, con l’appello, gli appellanti si limitano a riferire che la sanzione pecuniaria avrebbe potuto essere più conveniente, senza nulla addurre in relazione alla rimozione degli abusi, alla ripristinabilità di interventi che in un tutt’uno non possono essere eliminati senza pregiudicare la parte intera.
Vale inoltre la considerazione che l’art. 134 l.r. 1/2005 sanziona con la sanzione pecuniaria proprio tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 79 comma secondo lettera d, e quindi anche quelli comportanti un mutamento parziale di destinazione di uso.
In ordine alla asserita ripristinabilità delle opere, il giudice di prime cure ha osservato come la amministrazione comunale abbia compiuto tale valutazione, precisando che la demolizione delle opere abusive non sia possibile in quanto le stesse sono completamente integrate con quelle legittime.
Tale valutazione di tipo tecnico è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione comunale, è limitatamente sindacabile e nella specie non appare né illogica, né irragionevole in rapporto alla incisività degli interventi sanzionati (in tal senso, sul principio generale del sindacato limitato, Cons. Stato, VI, 8.11.2000; nella specie, ordinanza n.392 del 3.7.2007, sezione quarta).
7.Con altro motivo di appello, gli appellanti deducono che la stima dell’aumento del valore dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere contestate avrebbe dovuto essere determinata in base ai criteri posti dall’art. 33 DPR 380 del 2001 che detta i principi fondamentali ai quali le Regioni debbono adeguarsi, anziché sulla base dell’art. 134 l.r.Toscana n.1 del 2005.
Il primo giudice avrebbe omesso di ravvisare la non manifesta infondatezza della censura di incostituzionalità in riferimento all’art. 117 Cost. , avendo una legge regionale previsto una disciplina configgente con i principi fondamentali dettati dal testo Unico Edilizia in una materia di legislazione concorrente.
Il motivo è del tutto infondato.
L’art. 134 l.r. ha rispettato il principio dettato dalla normativa statale a norma del quale il parametro da porre a base di calcolo è costituito dall’aumento di valore conseguente alla realizzazione delle opere. Tale valore è stato assunto dalla legge regionale come “fondamento e parametro” della sanzione, stabilita, infatti, in misura pari al doppio, prevedendo poi legittimamente una disciplina di dettaglio difforme da quella di cui al DPR 380 del 2001 in merito “al calcolo” della sanzione.
Il meccanismo matematico utilizzato per il calcolo della sanzione non è un principio fondamentale riservato alla legislazione statale, ma è un aspetto rientrante nella potestà legislativa regionale a norma dell’art. 117 terzo comma Costituzione.
Correttamente il primo giudice ha rigettato la censura con la quale si lamentava l’utilizzo quale metodo di stima dell’aumento di valore del metodo sintetico comparativo, che prende a riferimento il prezzo di mercato di immobili simili a quello considerato, anziché il metodo di cui alla legge 392 del 1978, richiamato dal solo DPR 380 del 2001.
Il primo giudice ha considerato che la legge regionale non prevede alcun richiamo alla legge n.392 del 1978 e che, nel silenzio della legge, il metodo basato sul valore di mercato della zona non solo è logico, ma costituisce il più attendibile ed autorevole parametro di raffronto per la determinazione del valore venale cui fa riferimento il legislatore (così anche Consiglio Stato, V, 25.11.1988, n.729).
E’ da rigettare anche la doglianza con la quale si lamenta erroneità dei calcoli effettuati in quanto questi, come chiarito dalla Agenzia del Territorio di Prato, sono stati effettuati facendo riferimento allo stato di conservazione dell’immobile, tenendo conto del fatto che “una considerevole consistenza del corpo A e parte del corpo C risultano in uno stato di manutenzione definito tecnicamente al grezzo”.
8.Con altro motivo di appello si contesta la stima effettuata sotto altro profilo e cioè riguardo all’effettivo ampliamento della superficie. Secondo l’appello, come risulta dall’accertamento della Polizia Municipale di Vaiano e dalla CTU menzionata a firma dell’ing. Leggeri, l’edificio avrebbe la superficie di mq.211 e quindi vi sarebbe una inalterata consistenza rispetto allo stato originario.
Il motivo è del tutto infondato.
Come rilevato dal primo giudice, la stima della Agenzia del territorio è stata effettuata sulla base dello stato di fatto risultante dalle planimetrie allegate alla pratica edilizia n.201 del 1999, mai in realtà contestate da controparte. Tali atti indicano in mq. 161 la consistenza dell’immobile preesistente alle opere abusive, mentre ora gli appellanti affermano che la superficie originaria dell’immobile sarebbe di mq. 211.
Inoltre, sia il verbale di sopralluogo della Polizia Municipale che la comunicazione di avvio del procedimento, contengono un esplicito riferimento alla costruzione di un nuovo solaio al posto del preesistente collocato ad una quota inferiore rispetto a prima, in quanto posizione idonea a ottenere due piani in luogo di uno solo.
La accertata creazione di un nuovo piano abitabile rende evidente l’ampliamento della superficie residenziale, alla quale si aggiunge la realizzazione di un nuovo vano ottenuto con scavo esterno al perimetro dell’edificio.
9.Con altro motivo di censura gli appellanti lamentano la ingiustizia della sentenza e la illegittimità della attività comunale, che ha omesso di irrogare la sanzione pecuniaria anche agli esecutori delle opere abusive, signori Pini Maurizio e Mariani Franco.
Anche tale motivo è infondato.
L’accertamento condotto sulla circostanza della assenza e del non reperimento in cantiere al momento del sopralluogo rende legittimo il procedimento nel quale i soggetti invocati dagli appellanti quali esecutori delle opere abusive (Pini e Mariani) non sono stati coinvolti.
Dalla documentazione in atti si evinceva soltanto che i due signori invocati avevano realizzato lavori di intonacatura, restauro e stuccatura, consentiti in quanto rientranti nella manutenzione ordinaria.
I signori menzionati Pini e Mariani hanno effettuato lavori legittimi di manutenzione ordinaria, mentre il signor Dreni è risultato l’esecutore materiale delle opere abusive di ristrutturazione edilizia.
In ogni caso, a parte la sua infondatezza, il motivo che si rifà alla mancata notificazione a eventuali corresponsabili non è in grado di inficiare la legittimità della ordinanza
10.Con gli ultimi motivi di appello si deduce la violazione del dovere di comunicare l’avvio del procedimento sanzionatorio, nonché la illegittimità del diniego di rimborso.
Il motivo relativo alla partecipazione è infondato, in quanto se è vero che la presentazione della domanda di sanatoria preclude la adozione di misure repressive fino alla conclusione del procedimento così instaurato, una volta definito il procedimento di sanatoria legittimamente l’amministrazione può irrogare sanzioni, dal momento che la circostanza che sia stata richiesta (e non sia stata rilasciata) la attestazione di conformità in sanatoria non rende necessaria la emissione di un nuovo avviso di avvio del procedimento, che risulterebbe funzionale ad assicurare un ulteriore apporto collaborativo del privato che invece ha già svolto le sue difese nella prima fase del procedimento.
Nella specie, alla iniziale comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio per opere di ristrutturazione edilizia non ripristinabili eseguite in assenza di DIA sono seguite le osservazioni degli interessati appellanti odierni.
Deve tenersi presente che a ragione del loro contenuto rigidamente vincolato gli atti sanzionatori in materia edilizia, non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, non possono essere annullati se il loro esito sarebbe stato il medesimo.
E’ evidente come conseguenzialità logica della ritenuta legittimità dei provvedimenti sanzionatori, il rigetto del rimborso di quanto asseritamente non dovuto e, invece, per i sopra esposti motivi, dovuto all’amministrazione comunale.
11.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.
La condanna alle spese del giudizio segue in parte il principio della soccombenza nei confronti del Comune di Vaiano; in parte sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la impugnata sentenza.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Vaiano, liquidandole in complessivi euro cinquemila. Spese compensate per il resto.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2009 con l'intervento dei Signori:
Gaetano Trotta, Presidente
Giuseppe Romeo, Consigliere
Antonino Anastasi, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Sandro Aureli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il ___________________
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione