Consiglio di Stato Sez.IV n. 5966 del 20 agosto 2021
Urbanistica.Impianto di climatizzazione contenuto in un controsoffitto non costituisce volume tecnico
I volumi tecnici sono per definizione soltanto quelli allocati al di fuori del corpo dell’edificio (ma ad esso funzionali) i quali non vengono computati solo ed in quanto insuscettibili di autonoma utilizzazione. Nello stesso senso depone la risalente, ma, invero, ancora attuale, Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 1973 secondo la quale i volumi tecnici sono quelli “strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”. La circolare precisa, inoltre, che la definizione “può trovare applicazione soltanto nei casi in cui i volumi tecnici non siano diversamente definiti o disciplinati dalle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune”. Può dunque agevolmente concludersi che un impianto di climatizzazione contenuto in un controsoffitto non costituisce un “volume tecnico” ai fini di cui trattasi.
Pubblicato il 20/08/2021
N. 05966/2021REG.PROV.COLL.
N. 00327/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 327 del 2021, proposto dalla società Bella Vita S.r.l.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marcello Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Barone e Aniello Di Mauro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), n. 1007 del 2020.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 127 del 2020 – il consigliere Silvia Martino;
Udito l’avvocato Marcello Fortunato;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno, la società odierna appellante esponeva che - avendo la disponibilità di un immobile già avente destinazione industriale, sito alla via dei Carrari n. 38 del Comune di Salerno, ricompreso nell’ambito del comprensorio A. S. I. - in data 3 maggio 2019, aveva depositato un’istanza finalizzata a realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia, con cambio di destinazione d’uso dell’immobile da industriale a commerciale, al fine di insediarvi una media struttura di vendita.
All’esito dell’istruttoria, la civica Amministrazione aveva espresso parere favorevole al rilascio del provvedimento unico e, nel contempo, aveva chiesto il versamento di un importo, pari ad € 333.530,76, a titolo di contributo di costruzione.
L’importo era stato confermato dal Dirigente del S.U.A.P., nonostante le articolate osservazioni della società.
1.1. Avverso siffatta quantificazione, nonché avverso gli atti presupposti, la società articolava nove complessi mezzi di gravame.
2. Nella resistenza del Comune di Salerno, il TAR dichiarava il ricorso irricevibile (per quanto attiene l’impugnazione, in parte qua, del RUEC del Comune di Salerno e delle delibere n. 31 del 22 gennaio 2016, n. 70 del 16 marzo 2017, n. 396 del 28 dicembre 2018 e n. 78 del 13 marzo 2019 determinative dei parametri e dei coefficienti tabellari applicati nel calcolo del contributo ex art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001) e lo respingeva per il resto.
3. La sentenza è stata impugnata dalla società, rimasta soccombente.
3.1. Essa ha articolato i seguenti mezzi di gravame.
A – Sulla manifesta erroneità della sentenza resa nella parte in cui il giudice di prime cure ha dichiarato il ricorso irricevibile.
I. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010, art. 14 e ss l. n. 241/90, artt. 16 e 17 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del RUEC del Comune di Salerno, delibera del Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985, delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007 e n. 10 del 18 gennaio 2003).
Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto – di istruttoria erroneità manifesta – sviamento).
Il TAR ha ritenuto irricevibili i motivi nn. II, III, IV, VI e VII articolati in primo grado.
Tuttavia la nota prot. n. 0131094 dell’8 luglio 2019, alla quale il primo giudice ha fatto riferimento ai fini di tale declaratoria, è un mero parere reso nell’ambito del procedimento di Conferenza di Servizi.
Il procedimento in oggetto, volto ad acquisire il titolo unico per l’attivazione di una media struttura di vendita, previo mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, è stato attivato ai sensi del d.P.R. n. 160 del 2010.
In materia di procedimenti aventi ad oggetto attività produttive, il provvedimento autorizzativo è reso all’esito di apposita conferenza di servizi nell’ambito della quale vengono acquisiti gli atti di assenso necessari.
Detti atti di assenso costituiscono atti meramente endoprocedimentali che confluiscono nel provvedimento conclusivo del procedimento.
Nel caso di specie, a seguito dell’adozione del parere del tecnico istruttore, la società depositava articolate osservazioni alle quali il dirigente del S.U.A.P. ha replicato con nota del 26 agosto 2019 (prot. n. 0156700). In tale nota il Dirigente ha fornito motivazioni non contenute nella precedente nota dell’8 luglio 2019. Sarebbe evidente, quindi, che non si tratta di un atto meramente confermativo;
II. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2020; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; artt. 16, 17 e 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
Il momento rilevante ai fini della determinazione del contributo di costruzione è quello in cui viene rilasciato il permesso di costruire.
Nell’ambito di un procedimento ex d.P.R. n. 160/2010, tale momento coincide con quello in cui viene rilasciato il provvedimento unico (edilizio e commerciale).
Nel caso di specie ciò è avvenuto in data 1 ottobre 2019 (atto di assenso n. 23).
Il ricorso, proposto in data 30 ottobre 2019, è quindi sicuramente tempestivo rispetto ad ogni censura con esso dedotta;
B – Sulla erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto infondati gli ulteriori motivi di ricorso.
III. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; ARTT. 16, 17 E 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
Il TAR ha poi ritenuto infondati gli altri motivi di ricorso (I, V, VIII e IX), volti a denunciare vizi propri del procedimento di calcolo del contributo di costruzione.
Con il primo motivo di ricorso l’appellante aveva contestato il mancato scomputo dalla volumetria complessiva oggetto di cambio di destinazione d’uso della volumetria occupata dall’impianto di climatizzazione, che ha determinato una diminuzione dell’altezza utile di circa 35 cm.
Si tratterebbe di un volume tecnico che non incide sul carico urbanistico così come si ricaverebbe dagli articoli 25 e 26 del RUEC del Comune di Salerno.
Quanto meno esso andrebbe computato al 60% ai sensi del D.M. n. 801 del 1977;
IV. Error in iudicando – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; ARTT. 16, 17 E 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
Con il quinto motivo di ricorso la società appellante aveva richiamato, tra l’altro, le determinazioni adottate in materia da altre Amministrazioni comunali le quali calcolano l’incidenza degli oneri di urbanizzazione per gli insediamenti commerciali sulla base della superficie lorda di pavimento ovvero al mq, e non sulla base del volume e, quindi, al mc. Il motivo n. V era pertanto collegato ai motivi III e IV ed era volto a corroborarne la fondatezza.
Quanto alla reiezione dell’ottavo motivo di ricorso, con cui si deduceva il difetto di motivazione del procedimento di calcolo del contributo, l’appellante ha ribadito che l’Amministrazione non ha spiegato le modalità attraverso le quali è addivenuta alla determinazione dell’incidenza unitaria al mc.
In particolare, non è stato chiarito:
- perché mai la quota prevista per la ristrutturazione sia addirittura maggiore di quella prevista per la nuova edificazione;
- perché, a fronte di una incidenza del carico urbanistico in relazione alla superficie (quale si ricaverebbe dall’art. 5 – punto 2 del D.M. n. 1444/1968), il criterio di calcolo sia stato da ultimo modificato da superficie a volume senza modificare il costo unitario, con la conseguente irragionevole duplicazione degli oneri.
L’appellante ha poi riproposto i motivi di ricorso erroneamente non valutati dal giudice di prime cure, riportati con la medesima numerazione:
II. Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; ARTT. 16, 17 E 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
Con l’art. 17 – comma 4 bis del d.P.R. n. 380/2001, il legislatore ha previsto che nell’ipotesi di ristrutturazione edilizia il contributo di costruzione deve essere, in percentuale, inferiore a quello previsto per la nuova edificazione.
Nella specie, tale previsione normativa sarebbe stata violata.
Ed invero, come si evince dalla relazione tecnica allegata, il costo unitario per la ristrutturazione individuato dal Comune (€ 24,65) è maggiore di quello previsto per la nuova edificazione (€ 22,87).
L’importo richiesto muove dal coefficiente previsto dalla “tabella destinazione di zona” della “Scheda 3a” pari, per la zona D, a 0,83 e non 0,20 come previsto per le zone A, B, C ed E.
Tale disparità comporta non solo, come sopra verificato, un maggiore costo unitario degli oneri di urbanizzazione nel caso di ristrutturazione rispetto alla nuova costruzione, ma implicherebbe anche una disparità di trattamento tra edifici analoghi nell’ambito della medesima categoria di intervento ovvero tra quelli previsti in zona omogena A, B, C ed E, rispetto a quelli previsti in zona D.
Ciò sarebbe tanto più irragionevole ove si consideri che per gli edifici ricompresi in Zona D e nel comprensorio A.S.I. è previsto un ulteriore costo pari ad € 1,30 /mq in favore del Consorzio A.S.I., non dovuto per gli immobili ricompresi nelle altre zone omogenee.
La correttezza della ricostruzione che precede troverebbe conferma negli atti adottati dalla Regione Campania in materia di “criteri per la determinazione degli oneri di urbanizzazione”.
In particolare, con D.G.R. n. 299 del 2 marzo 2007 è stato espressamente previsto che “sono fatti salvi gli insediamenti all’interno dei Consorzi ASI e dei P.I.P., per i quali i prezzi pagati ai Consorzi, ovvero ai Comuni, dagli acquirenti di lotti edificabili comprendono anche i costi sostenuti per la realizzazione delle infrastrutture e degli allacci dei singoli insediamenti (al netto di eventuali contributi a fondo perduto corrisposti da Enti Pubblici in favore dei soggetti attuatori). Nei casi indicati, gli oneri di urbanizzazione saranno dovuti al Comune interessato limitatamente alla copertura della parte dei costi che il Comune stesso è chiamato a sopportare con il proprio bilancio per le specifiche urbanizzazioni suppletive rispetto a quelle finanziate dai Consorzi ASI o da altre fonti esogene”.
Muovendo da tali presupposti sarebbe evidente che anche l’intervento in oggetto, ricadendo nel comprensorio A.S.I., deve godere delle suddette agevolazioni in termini di costo unitario delle opere di urbanizzazione, non certamente essere addirittura penalizzato rispetto ad analoghi interventi ricompresi in altre zone omogenee.
La suddetta D.G.R. n. 299 del 2 marzo 2007 ha stabilito i criteri cui i Comuni devono far riferimento nella redazione delle schede inerenti al calcolo del contributo di costruzione (nella specie, la c.d. “Scheda 3a”) prevedendo “condizioni di convenienza economica e di mercato per gli operatori, lo sviluppo degli interventi di ristrutturazione per creare una maggiore propensione al riuso del patrimonio edilizio esistente, in luogo di programmi di espansione dell’edificato”.
Muovendo da tale finalità, la relativa tabella (Tabella C – 3° Coefficiente) prevede espressamente che nell’ipotesi – come nella specie – di “ristrutturazione edilizia con variazione di destinazione d’uso” il coefficiente correttivo, per tutte le zone omogenee, è pari a 0,20.
Sarebbe quindi evidente l’erroneità del coefficiente riportato nella scheda 3a del RUEC (0,83), sulla base della quale la P.A. ha calcolato il contributo di costruzione a suo dire dovuto nel caso di specie e, per l’effetto, la correttezza degli importi calcolati dalla ricorrente sulla base del coefficiente pari a 0,20, come individuato dalla Regione Campania;
III – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; ARTT. 16, 17 E 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
L’incidenza degli oneri di urbanizzazione va calcolata con riferimento al carico urbanistico che le opere da assentire comportano.
Per quanto riguarda gli insediamenti produttivi, tale incidenza è calcolata, dal D.M. n. 1444 del 1968, relativamente alla superficie. Per quanto di interesse della presente vicenda, il riferimento va al comma 1 - n. 2, in virtù del quale il parametro di dimensionamento degli standard è la superficie lorda di pavimento: a 100 mq di SLP devono corrispondere 80 mq. di standard.
Tale parametro corrisponde ad un evidente criterio logico–pratico: le attività produttive (e, tra queste quelle commerciali) spesso registrano, per evidenti esigenze funzionali, grandi altezze.
Ma a tali altezze (e, quindi, a maggiori volumi) non corrisponde un maggior carico urbanistico.
Il carico urbanistico, cioè, è connesso solo ed esclusivamente alla superficie, l’unica che può incidere sulla presenza umana e, quindi, sulla necessità di maggiori dotazioni standard.
Muovendo da tali presupposti la P.A., in sede di calcolo degli oneri di urbanizzazione per interventi di carattere commerciale, avrebbe l’obbligo di moltiplicare il relativo coefficiente unitario per la superficie lorda di pavimento, non per il volume.
Nella fattispecie, al contrario, il Comune ha calcolato l’importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione per un mutamento di destinazione d’uso da industriale a commerciale sulla base di un coefficiente al mc e non al mq;
IV – Violazione di legge (art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010; artt. 14 e ss. della l. n. 241/90; ARTT. 16, 17 E 19 del d.P.R. n. 380 del 2001; artt. 25 e 26 del R.U.E.C. del Comune di Salerno; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 208 del 26 marzo 1985; delibera di Consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; delibera di Consiglio regionale n. 10 del 18 gennaio 2003) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, sviamento).
La correttezza della ricostruzione che precede trova conferma nel criterio fissato, in un primo tempo, dalla stessa Amministrazione Comunale.
Il riferimento va alle delibere di G.C.:
- n. 930 del 30 novembre 2012 recante i “costi del contributo di costruzione anno 2013 – Provvedimenti”;
- 462 del 13 dicembre 2013, recante i “costi del contributo di costruzione anno 2014 – Provvedimenti”;
- n. 40 del 20 febbraio 2015, recante i “costi del contributo di costruzione anno 2015 – Provvedimenti”.
Tutte le predette delibere prevedono quale criterio per la quantificazione degli oneri di urbanizzazione la somma di euro “al metro quadrato di superficie”. In tal modo, dunque, confessando la piena consapevolezza del corretto criterio di calcolo.
Senonché, solo successivamente, a partire dalla delibera di G.C. n. 31/2016, la P.A. ha rivisto e disatteso quanto precedentemente approvato, determinando gli oneri di urbanizzazione “al metro cubo di superficie complessiva”. E ciò, tra l’altro, senza fornire alcuna motivazione tanto più dovuta ove si consideri la diversa – notevole – incidenza che tale diverso criterio comporta sull’importo dovuto (difetto assoluto di motivazione).
Il primo criterio, corretto, successivamente rivisto e disatteso, è la prova più evidente della piena consapevolezza da parte della stessa P.A. dell’erroneità del calcolo da cui muove l’avversata richiesta di pagamento.
Le nuove delibere regolamentari, dunque, andrebbero disapplicate in parte qua;
VI – Violazione di legge (art. 16 del d.P.R n. 380 del 2001 – art. 5 del D.M. n. 1444 del 1968 – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto – di istruttoria – erroneità manifesta – sviamento).
Dalla lettura della Tabella relativa ai costi unitari degli oneri di urbanizzazione si evince che:
a) per la nuova edificazione terziaria, direzionale o commerciale in zona D è previsto un importo pari ad € 22,92 mc;
b) per gli interventi di ristrutturazione con variazione d’uso, invece, sempre in zona D, è stato previsto un importo pari ad € 24,70 mc..
In altri termini, il mutamento di destinazione d’uso sconta un importo maggiore rispetto, addirittura, alla nuova edificazione. Ma ciò non può essere;
VII – Violazione di legge (art. 19 del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 5 del D.M. n. 1444 del 1968 – in relazione agli artt. 2 e ss. della l. n. 241 del 1990) – Eccesso di potere (Difetto assoluto del presupposto – di istruttoria – erroneità manifesta – sviamento).
Come è noto, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, nell’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso “nei dieci anni successivi all’ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell’intervenuta variazione”.
La predetta norma, per quanto di interesse, muovendo dal presupposto che gli immobili aventi destinazione industriale – tra quelli “non destinati alla residenza” – scontano una diversa e spesso inferiore somma a titolo di contributo di costruzione (e, quindi, a titolo anche di oneri di urbanizzazione), ha prescritto un termine minimo di utilizzo senza cambio di destinazione d’uso (10 anni) per conservare detto beneficio.
In particolare, nell’ipotesi di immobile assentito con destinazione industriale e di successivo cambio di destinazione d’uso, gli oneri:
a) sono dovuti nella misura massima nel caso di mutamento della destinazione d’uso entro il predetto termine di dieci anni dalla relativa realizzazione;
b) non sarebbero dovuti o, comunque, lo sarebbero in misura certamente inferiore, qualora il mutamento di destinazione d’uso intervenga successivamente al termine di dieci anni dalla realizzazione.
Ricorrendo l’ipotesi sub a), la misura massima non può che essere quella prevista per la nuova edificazione.
L’immobile in oggetto è stato realizzato, con destinazione industriale.
Il cambio di destinazione d’uso al centro della presente vicenda – da industriale a commerciale – è successivo al termine di 10 anni di cui all’art. 19, comma 3.
In tale contesto, sarebbe evidente l’illegittimità della richiesta operata dalla P.A. la quale, in aperta violazione della suddetta previsione normativa e, comunque, ignorandola del tutto, ha chiesto l’avversata somma a titolo, tra l’altro, di oneri di urbanizzazione.
L’importo richiesto è infatti addirittura maggiore della misura massima prevista per la nuova destinazione ovvero per la edificazione di un immobile commerciale ex novo.
Il riferimento va alla tabella B utilizzata dall’Ente ai fini del calcolo degli oneri ed, in particolare, alla categoria di intervento n. 9: “ristrutturazione edilizia con variazione della destinazione d’uso”.
Per la maggior parte delle zone omogenee, nell’ambito delle quali è consentita la variazione d’uso in commerciale, il costo unitario è determinato in € 5,96.
Un diverso costo – pari addirittura ad € 24,70 (maggiore di quello della nuova edificazione) - è previsto solo per le zone omogenee “D” ed “F”.
Una tale maggiore determinazione:
- sarebbe assolutamente comprensibile per le zone “F”, laddove l’immobile di partenza – ovvero oggetto di modifica di destinazione d’uso – non può essere certamente produttivo/industriale; sicché, è giusto che sconti l’intera somma dovuta;
- non lo sarebbe certamente per le zone “D”, laddove: a) la destinazione commerciale è una delle destinazioni tipiche della zona; b) il cambio attiene ad un immobile produttivo, per il quale trova diretta applicazione l’art. 19 succitato ed, in particolare, il comma 3.
Non vi sarebbe alcuna ragione per differenziare il cambio nelle zone A, B, C ed, addirittura, nelle zone “E” da quello nelle zone “D”.
4. Si è costituito, per resistere, il Comune di Salerno articolando le proprie deduzioni difensive con dovizia di argomentazioni.
5. Con ordinanza n. 675 del 12 febbraio 2021, è stata accolta l’istanza cautelare.
6. L’appellante ha depositato una memoria conclusionale.
7. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza dell’8 luglio 2021.
8. Sono fondati i primi due mezzi dell’appello (sub A, I – II), i quali avversano la declaratoria di irricevibilità dell’esame dei motivi articolati in primo grado afferenti agli atti generali presupposti alla determinazione del contributo che l’Amministrazione ritiene dovuto.
Al riguardo, si conferma quanto già evidenziato in sede cautelare, circa il fatto che tali disposizioni assumono carattere lesivo per il privato istante al momento del rilascio del titolo abilitativo, poiché è in tale momento che la quantificazione del contributo assume carattere definitivo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2006, n. 2463).
Nel caso di specie, il provvedimento “unico” ex art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010, è stato rilasciato in data 1° ottobre 2019, sicché – rispetto ad un ricorso notificato il 30 ottobre 2019 - anche le censure afferenti gli atti autoritativi presupposti alla liquidazione del contributo, incidenti su interessi legittimi, risultano tempestive.
Tale conclusione, a differenza di quanto assume il Comune appellato, non è confutata dalla sentenza n. 12 del 30 agosto 2018 dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, la quale si è limitata a ribadire il consolidato orientamento secondo cui gli atti con quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art.16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale.
9. Ciò posto, attraverso i restanti mezzi l’appellante ha condotto una serrata critica ai motivi respinti dal TAR e ha altresì riproposto le censure non esaminate dal primo giudice.
Poiché in appello è stato devoluto l’intero thema decidendum trattato in primo grado, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio esaminerà direttamente i motivi originari posti a sostegno dei ricorsi di primo grado che, per altro verso, perimetrano obbligatoriamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. Sez. IV, n. 1137 del 2020, n. 1130 del 2016, Sez. V, n. 5868 del 2015; Sez. V, n. 5347 del 2015).
10. Il primo motivo, come correttamente ritenuto dal TAR, è palesemente infondato.
10.1. Per consolidata giurisprudenza, i volumi tecnici sono per definizione soltanto quelli allocati al di fuori del corpo dell’edificio (ma ad esso funzionali) i quali non vengono computati solo ed in quanto insuscettibili di autonoma utilizzazione (ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, 27 dicembre 2019, n. 8835).
Nello stesso senso depone la risalente, ma, invero, ancora attuale, Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 1973 secondo la quale i volumi tecnici sono quelli “strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
La circolare precisa, inoltre, che la definizione “può trovare applicazione soltanto nei casi in cui i volumi tecnici non siano diversamente definiti o disciplinati dalle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune”.
Nel caso di specie, può dunque agevolmente concludersi che un impianto di climatizzazione contenuto in un controsoffitto non costituisce un “volume tecnico” ai fini di cui trattasi.
La formulazione delle pertinenti disposizioni del RUEC di Salerno confermano tale conclusione.
L’art. 26.01 del Regolamento edilizio definisce il volume del fabbricato come “volume complessivo computato come somma dei prodotti delle superfici lorde di piano per le rispettive altezze, computate da piano di calpestio a piano di calpestio”.
Vero che, ai sensi dell’art. 26.03, “Dalle superfici lorde di solaio devono essere detratte le superfici non computabili ai sensi delle presenti norme”.
Tuttavia, il successivo art. 27 definisce i volumi tecnici in termini esattamente coincidenti con quelli in precedenza delineati (“27.01. Sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione e condizionamento, ecc.) che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”).
Deve quindi convenirsi con il TAR come sia del tutto ultronea la pretesa di parte ricorrente di scomputare, dal parametro a base del calcolo degli oneri d’urbanizzazione, operato dall’Ufficio, la controsoffittatura destinata all’alloggio dell’impianto di climatizzazione, facente invece parte integrante della volumetria computabile a tal fine.
11. Pure infondato è il primo profilo del secondo mezzo relativo alla violazione dell’art. 17, comma 4 – bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
Secondo tale disposizione, nel testo vigente ratione temporis, “Al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d’uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della relativa riduzione”.
Non è contestato quanto dedotto dal Comune di Salerno circa il fatto che la trasformazione di un compendio a destinazione industriale in una media struttura di vendita ne abbia comportato un aumento di valore, con conseguente inapplicabilità dell’invocata disposizione.
11.1. Neppure può condividersi l’ulteriore profilo della medesima censura secondo cui configurerebbe una evidente disparità di trattamento la previsione - nell’ambito della “tabella destinazione di zona” della “Scheda 3a” del RUEC - di un coefficiente pari per la zona D, a 0,83 e non 0,20 come previsto per le zone A, B, C ed E.
Proprio il fatto che si tratti di zone omogenee diverse, caratterizzate da specifiche esigenze di infrastrutturazione, non consente di istituire alcun utile raffronto tra i rispettivi coefficienti.
Per quanto riguarda invece le differenze sussistenti tra i coefficienti previsti, nell’ambito della medesima zona D, per l’edilizia terziaria, direzionale e commerciale, da un lato, e gli interventi di ristrutturazione con variazione della destinazione d’uso dall’altro, si rinvia al par. 12 della presente decisione.
11.2. Quanto al fatto che, nelle zone ASI (terzo profilo del motivo II e motivo IX), gli oneri di urbanizzazione siano dovuti al Comune interessato, “limitatamente alla copertura della parte dei costi che il Comune stesso è chiamato a sopportare con il proprio bilancio per le specifiche urbanizzazioni suppletive rispetto a quelle finanziate dai Consorzi ASI o da altre fonti esogene (così come prescritto dalla D.G.R. n. 299 del 2 marzo 2007”), la censura, invero, è rimasta del tutto generica poiché l’appellante non ha fornito nessun elemento utile a dimostrare che, in concreto, gli oneri calcolati dal Comune siano esorbitanti rispetto alle richiamate esigenze.
Peraltro, l’appellante non ha contestato quanto dedotto dall’Amministrazione circa il fatto che la richiamata delibera regionale reca soltanto una proposta di approvazione del disegno di legge avente ad oggetto “Disposizioni per la determinazione degli oneri di urbanizzazione” la quale non si è poi effettivamente tradotta in una specifica disciplina legislativa regionale.
Quanto fatto rilevare dal Comune destituisce di fondamento anche l’ulteriore argomentazione di parte appellante, secondo cui tale delibera risulterebbe violata anche nella parte in cui in cui ha previsto che i Comuni, nella redazione delle schede inerenti al calcolo del contributo di costruzione (nella specie, la “Scheda 3a”), debbano prevedere “condizioni di convenienza economica e di mercato per gli operatori, lo sviluppo degli interventi di ristrutturazione per creare una maggiore propensione al riuso del patrimonio edilizio esistente, in luogo di programmi di espansione dell’edificato” e che, nella particolare ipotesi della “ristrutturazione edilizia con variazione di destinazione d’uso” il coefficiente correttivo debba essere necessariamente pari, per tutte le zone omogenee, a 0,20.
12. Relativamente ai restanti motivi articolati in primo grado, il Collegio ritiene necessario acquisire una documentata Relazione dell’Ufficio tecnico comunale intesa a chiarire, avuto riguardo anche ad eventuali pertinenti prescrizioni regionali:
- le motivazioni sottese alla scelta, a partire dalla delibera di G.C. n. 31 del 2016, di determinare gli oneri di urbanizzazione, anche relativamente agli insediamenti commerciali, applicando i coefficienti unitari non più al metro quadrato ma “al metro cubo di superficie complessiva”;
- le ragioni dell’applicazione, nell’ambito della zona D, dell’importo unitario di € 22,92/mc per la nuova edificazione terziaria, direzionale o commerciale, inferiore a quello di € 24,70/mc previsto per gli interventi di ristrutturazione con variazione d’uso terziaria, direzionale o commerciale.
La predetta relazione dovrà essere depositata nel termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza parziale; l’udienza in prosieguo sarà fissata con separato decreto presidenziale, all’esito dell’espletamento dell’incombente istruttorio.
13. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello può essere definito solo in parte.
In particolare, risultano fondati e debbono essere accolti i motivi IA e IIA.
Per quanto riguarda i motivi del ricorso di primo grado, merita conferma la reiezione da parte del TAR dei motivi I e IX.
Il motivo II, non esaminato dal TAR, deve essere respinto.
Per il resto, occorre disporre gli incombenti istruttori precisati al paragrafo 12 della presente decisione.
E’ riservata ogni ulteriore decisione in rito, in merito e sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
- accoglie i motivi di appello IA e IIA;
- conferma la reiezione dei motivi I e IX dedotti in primo grado;
- respinge il motivo II dedotto in primo grado;
- dispone gli incombenti di cui in motivazione.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto - con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore