Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Consiglio di Stato Sez. IV n. 4549 del 22 maggio 2024
Rifiuti.Differenza tra rifiuti elettrici ed elettronici
La differenza tra rifiuti elettrici ed elettronici non è solo terminologica, dato che fra le apparecchiature elettriche e quelle elettroniche esiste una differenza tecnica di composizione, in particolare per quanto qui rileva ai fini di un riciclaggio, per fatto notorio nel settore specifico, i dispositivi elettrici utilizzano fili di rame e alluminio per il flusso di corrente elettrica mentre i dispositivi elettronici utilizzano materiale semiconduttore. In coerenza con questo dato tecnico, la normativa in materia distingue fra le due categorie. La direttiva RAEE, 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012 e la corrispondente normativa nazionale, d. lgs. 14 marzo 2014 n.49. per parte loro parlano, sia nel testo originale inglese sia in quello italiano, di “electrical and electronic equipment”, ovvero di “apparecchiature elettriche, ed elettroniche”. Nel regolamento 1013/2016 e nel suo antecedente la distinzione invece scompare, perché il testo del codice GC020, espressamente sostituito dalla voce Basilea B1110, che si riferiva ad entrambi, parla solo di apparecchiature “elettroniche” sia nel testo originale inglese, sia in quello italiano, come sopra riportati (fattispecie in cui il provvedimento impugnato, a prescindere dal riferimento che esso fa ad un codice CER, usato all’evidenza solo a scopo descrittivo, è stato ritenuto legittimo, perché un carico di rifiuti, contenendo sia rifiuti elettrici, sia rifiuti elettronici, non rientrava nella fattispecie per la quale è applicabile la procedura semplificata, ovvero nella fattispecie dei soli rifiuti elettronici).
Trasporto occasionale di rifiuti propri da attività di impresa: la cassazione conferma obbligo di iscrizione all’albo
di Gianfranco AMENDOLA
Verso la positivizzazione di un nuovo diritto umano al clima stabile e sicuro? Prime riflessioni a caldo sulla sentenza della Corte CEDU del 9 aprile 2024.
di Antonietta LUPO
Consiglio di Stato Sez. VI n. 4298 del 14 maggio 2024
Danno ambientale.Principi generali e responsabilità
Il principio generale di diritto europeo che regola la materia della responsabilità per danno ambientale è quello “chi inquina paga”, espresso dal primo considerando della direttiva n. 2008/98/CE. Le coordinate esegetiche disegnate dal legislatore europeo e recepite dal legislatore interno si basano su criteri estremamente precisi, chiari e rigorosi nell’attribuzione della responsabilità per danno ambientale, e segnatamente: a) il quadro giuridico europeo risultante dai principi generali del Trattato e dal diritto derivato non esige lo stretto accertamento dell’elemento psicologico e del nesso di causalità fra la condotta di detenzione del rifiuto in ragione della disponibilità dell’area e il rischio ambientale dell’inquinamento; b) la normativa nazionale deve essere interpretata in chiave europea e in maniera compatibile con canoni di assoluto rigore a tutela dell’ambiente. La tutela dell’ambiente ruota intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione. La responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (corrispondenti, rispettivamente, al contenuto di un diritto personale o reale di godimento) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto, dal momento che grava su colui che è in relazione con la cosa l’obbligo di attivarsi per fare in modo che la cosa medesima non rappresenti più un danno o un pericolo di danno (o anche di aggravamento di un danno già prodotto). La responsabilità in questione è pur sempre ascrivibile secondo i canoni classici, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati, della responsabilità per il proprio fatto personale colpevole, dal momento che la personalità e la rimproverabilità dell’illecito risiedono nel comportamento del soggetto che volontariamente sceglie di sottrarsi o, il che è lo stesso, di non attivarsi anche per mera negligenza, per ripristinare l’ambiente; c) la responsabilità dell’autore materiale del fatto originario generatore del danno ambientale non costituisce un’esimente, né elide, tantomeno in via successiva, la responsabilità di coloro che divengono proprietari del bene o che vantano diritti o relazioni di fatto col bene medesimo
Cass. Sez. III n, 22298 del 4 giugno 2024 (UP 7 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Di Stasi Ric. Picci
Ambiente in genere.Reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo
Il reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo consiste nell'acquisire e mantenere senza autorizzazione il possesso o la detenzione dello stesso in modo corrispondente all'esercizio non transeunte di un diritto di proprietà o di godimento, in maniera da impedirne la fruibilità da parte di potenziali utenti o da comprimerne in maniera significativa l'uso, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall'interesse della collettività di usare in maniera completa e in tutte le sue implicazioni il bene demaniale
Consiglio di Stato Sez. VI n. 4389 del 16 maggio 2024
Beni culturali.Autorizzazione monumentale e decadenza del titolo edilizio
I due atti di assenso, quello della Soprintendenza e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ai sensi dall’art. 21, c. 4, D.Lgs. 42/2004, l’autorizzazione monumentale è riferita ad uno specifico intervento e non al titolo edilizio che ne assente l’esecuzione. La sua efficacia temporale, inoltre, è determinata in maniera autonoma rispetto a quella del permesso di costruire. L’art. 21, c. 5, infatti, prevede che “se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione”, mentre, ai sensi dell’art. 15, c. 2, del DPR 380/2001 “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”. Pertanto, ben può accadere che entro il quinquennio di efficacia dell’autorizzazione monumentale decada il titolo edilizio, senza che ciò produca alcuna conseguenza sulla validità dell’autorizzazione monumentale, non essendo stata prevista alcuna correlazione tra le due ipotesi dalla normativa vigente, in coerenza, peraltro, con i differenti profili di valutazione sottesi all’uno e all’altro provvedimento.
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