Consiglio di Stato Sez. IV n. 8639 del 6 novembre 2025
Ambiente in genere.AUA e compiti del SUAP

Se è vero che ai fini del rilascio dell’A.U.A., secondo il procedimento disegnato dal d.P.R. n. 59/2013, l’autorità competente è la “Provincia”, siffatta autorizzazione, ai sensi del già citato art. 2, comma 1, lett. b) di tale decreto confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, ovvero nella determinazione motivata di cui all'articolo 14-ter, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241. L’art. 7 del d.P.R. n 160 del 2010, disciplina il c.d. “procedimento unico” in cui il S.U.A.P. è individuato quale “unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59” (art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 160 del 2010). Esso è deputato ad adottare “il provvedimento conclusivo” (art. 7, comma 2), previa verifica della documentazione e dell’acquisizione di tutti gli atti di competenza di altre amministrazioni eventualmente necessari. Anche rispetto alle attività oggetto dell’A.U.A., pertanto, il S.U.A.P. non è un mero “nuncius” della volontà della Provincia, ma svolge il compito di verifica della sussistenza di tutti gli assensi necessari per lo svolgimento dell’attività, in particolare sotto il profilo urbanistico – edilizio” 

Pubblicato il 06/11/2025

N. 08639/2025REG.PROV.COLL.

N. 01101/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1101 del 2025, proposto dalla società Cantieri Navali Posillipo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Soprano e Federica Esposito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Città Metropolitana di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Daniela Mauriello, Maurizio Massimo Marsico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Giacomo Pizza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 05291/2024, resa tra le parti, sul ricorso per l’annullamento:

a) della nota prot. n. 2021/73162 del A7 gennaio 2021 dello Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP) del Comune di Napoli, con la quale è stata disposta l’archiviazione dell’istanza di voltura dell’Autorizzazione Unica Ambientale presentata dalla ricorrente alla Città metropolitana di Napoli per la presunta non compatibilità dell’attività esercitata con la normativa urbanistica;

b) del parere non favorevole espresso dal Servizio Pianificazione Urbanistica centrale e Beni Comuni del Comune di Napoli prot. n. 2020/858179 del 24 dicembre 2020 accluso alla nota di cui alla lett. a);

c) del parere non favorevole espresso dal Servizio Pianificazione Urbanistica centrale e Beni Comuni del Comune di Napoli prot. n. 2020/64342 del 23 gennaio 2020 accluso alla nota di cui alla lett. a);

d) di tutti gli atti e provvedimenti connessi, preordinati e presupposti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Napoli e del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2025 la consigliera Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante opera nel settore del brokeraggio nautico e della cantieristica da diporto.

1.1. Con il ricorso di primo grado ha riferito di avere sottoscritto, il 1° luglio 2019, un contratto di locazione di una cava di tufo e del piazzale antistante ubicati sul litorale di Napoli per continuare a svolgere l’attività di riparazione, commercio e rimessaggio di imbarcazioni da diporto gestita dalla Progetto Mare Charter & Broker s.r.l., sua dante causa e titolare della relativa Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) rilasciata dal SUAP a seguito di determinazione prot. n. 6151 del 10 novembre 2016 della Città Metropolitana di Napoli.

1.2. La società ha quindi impugnato l’archiviazione del 27.1.2021 della sua istanza di voltura dell’AUA rilasciata alla Progetto Mare Charter & Broker s.r.l., che lo Sportello unico delle attività produttive (SUAP) del Comune di Napoli ha disposto in ragione dell’incompatibilità con la normativa urbanistica (articoli 39 e 44 delle NTA del PRG) dell’attività che essa intende esercitare.

1.3. Il ricorso è stato affidato a quattro mezzi di gravame così rubricati:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59; incompetenza;

2) violazione dell’art. 1, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per irragionevolezza; sviamento di potere;

3) violazione degli artt. 39 e 44 delle n.t.a. della variante al P.R.G. del Comune di Napoli; sviamento di potere; motivazione illogica, incongrua e contraddittoria; travisamento dei fatti;

4) violazione dell’art. 17 bis, comma 3, della legge n. 241/1990 e smi. sviamento di potere; travisamento dei fatti; illegittimità derivata.

2. Nella resistenza del Comune e della Città metropolitana di Napoli il T.a.r. ha respinto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese di lite.

2.1. Nello specifico, il primo giudice ha premesso che dagli accertamenti svolti dall’Amministrazione è emerso:

- che l’attività oggetto dell’istanza di voltura, consistente nella riparazione e rimessaggio di imbarcazioni da diporto interessa un piazzale e una cava di tufo ricadenti in “zona E – sottozona Ee” del PRG (aree agricole, incolte, boscate, a verde ornamentale e rupi, costoni, cave, spiagge e scogliere);

- che l’attività in questione non è compatibile con le destinazioni d’uso previste per la “zona E” dagli articoli 39 e 44 delle NTA del PRG, in quanto non compresa fra gli interventi ammessi nella linea costiera, nelle more dell’approvazione dello strumento attuativo;

- che l’attività di rimessaggio esercitata nella cava di tufo è incompatibile con il comma 3 del citato art. 44, ritenuto applicabile analogicamente agli ambienti ipogei, nella parte in cui stabilisce che “Per le aree dismesse dall’attività estrattiva le utilizzazioni compatibili sono finalizzate prevalentemente al recupero ambientale delle cave e dei costoni, mediante la stabilizzazione delle pareti tufacee e, per le cave dismesse, alla sistemazione del suolo con la ricostituzione dello strato di terreno attivo e il reimpianto della vegetazione”.

Il T.a.r. ha quindi:

- accertato che “il piazzale viene utilizzato anche per la manutenzione e riparazione di imbarcazioni e natanti da diporto (pag. 2 della relazione tecnica depositata dalla ricorrente il 7.4.2021)”;

- ritenuto non applicabile la deroga prevista dai commi 5 e 6 dell’art. 44 delle suddette NTA perché la stessa “riguarda solo attività stagionali funzionali all’attività balneare, mentre in specie si tratta di attività di cantieristica navale (pagg. 1 e 2 della relazione tecnica citata)”.

- ritenuto che il comma 3 dell’art. 44 delle medesime NTA “si applica al caso di specie per sussunzione, non in via analogica, come ritenuto erroneamente dal SUAP, pur senza effetti invalidanti, ma perché l’ambiente nel quale la ricorrente esercita l’attività di rimessaggio è chiaramente riconducibile al novero delle “aree dismesse dall’attività estrattiva” per le quali le NTA vietano interventi diversi dal recupero ambientale”.

Il T.a.r. ha sottolineato altresì che “il vaglio dell’istanza di voltura dell’autorizzazione unica ambientale relativa ad un impianto in esercizio, non può prescindere dalla verifica della compatibilità urbanistica dell’insediamento, come invece è possibile se viene richiesto il rilascio ex novo di detta autorizzazione, perché in tal caso l’avvio dell’attività resta subordinato al conseguimento degli ulteriori titoli abilitativi.

Pertanto correttamente il SUAP ha proceduto alla verifica di compatibilità urbanistica dell’impianto poiché l’istanza della ricorrente sottende proprio la prosecuzione dell’attività in corso.

Più specificamente, il SUAP, così come avvisò l’istante che il rilascio dell’AUA non avrebbe consentito la messa in esercizio dell’impianto finché non fossero state rilasciate le ulteriori autorizzazioni, ricevuta l’istanza di voltura ed edotto della circostanza che l’impianto era attivo, non poteva esimersi, stante la condizione posta dall’AUA, dal verificare la compatibilità dell’impianto con gli strumenti urbanistici, onde evitare la prosecuzione di un uso abusivo dei luoghi di esercizio dell’attività e di vanificare la prescrizione contenuta nel titolo di cui si chiedeva la voltura”.

3. L’appello della società, rimasta soccombente, è affidato ai seguenti motivi:

I. ERROR IN IUDICANDO – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI – ERRONEA APPLICAZIONE ART. 8 COMMA 4 L 447/1985 – ERRONEA APPLICAZIONE D.LGS 152/2006.

La società appellante, in data 1 luglio 2019, locava dalla società Progetto Mare Charter & Broker s.r.l. un’area coperta in grotta tufacea con locali ad uso ufficio ed area scoperta sita in via Ferdinando Russo n. 34, destinate dal locatario ad attività di riparazione, commercio e rimessaggio barche.

La Progetto Mare Charter & Broker s.r.l. nell’anno 2016, per le predette attività, tramite il SUAP, aveva presentato alla Città Metropolitana di Napoli una richiesta di Autorizzazione Unica Ambientale esclusivamente per lo scarico in pubblica fognatura (art. 3, comma 1, lett. a) del d.P.R. 59/2013) e per la comunicazione in materia di impatto acustico, di cui all’art. 8, comma 4, della l. n. 447/1995 (art. 3, comma 1, lett. e) del d.P.R. 59/2013).

Il SUAP, a seguito della determinazione n. 6151 del 10 novembre 2016 della Città metropolitana di Napoli (PG/2016/999418), aveva rilasciato la richiesta AUA precisando che la stessa veniva emessa solo ed esclusivamente in sostituzione dei titoli abilitativi indicati dal d..P.R. 59/2013, art. 3, comma 1, lett. a) - Autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura e lett. e) – autodichiarazione in materia di impatto acustico e, che, quindi, il richiedente, avrebbe dovuto successivamente dotarsi degli ulteriori titoli abilitativi necessari per la messa in esercizio degli impianti.

Tanto premesso, l’attuale appellante, una volta locato l’immobile di via Posillipo, presentava al SUAP del Comune di Napoli la richiesta di voltura dell’AUA rilasciata alla Progetto Mare Charter & Brokers.r.l. nell’anno 2016 con il provvedimento prot. PG/2016/999418, relativamente allo scarico in pubblica fognatura (art. 3, comma 1, lett. a) del d.P.R. 59/2013) di competenza della Città Metropolitana e per la comunicazione in materia di impatto acustico, di cui all’art. 8, comma 4, della l. n. 447/1995 (art. 3, comma 1, lett. e) del D.P.R. 59/2013) di competenza del Comune.

La Città Metropolitana, con la nota U.0139316 del 16 dicembre 2019, dava il proprio assenso alla voltura dell’autorizzazione agli scarichi in fogna di sua competenza.

Il Comune, diversamente, invece di limitarsi a verificare se il richiedente fosse in possesso dei requisiti soggettivi di legge per il subentro nell’autorizzazione di cui all’art. 8, comma 4, della l. n. 447/1995 (art. 3, comma 1, lett. e) del d.P.R. 59/2013), richiedeva all’Area Urbanistica, Servizio Pianificazione Urbanistica Generale e Beni Comuni un “parere di compatibilità urbanistica” delle attività svolte sul sito, attivando un subprocedimento del tutto estraneo all’attività amministrativa di modifica della titolarità di un titolo già rilasciato ed abbondantemente consolidato.

In tale “atipico” contesto procedimentale, gli uffici comunali impropriamente coinvolti nel procedimento, esprimevano parere negativo alla voltura per la asserita incompatibilità dell’attività esercitata con la normativa urbanistica e per la ravvisata necessita di acquisire i pareri della competente Soprintendenza visto che l’area di interesse è sottoposta a vincoli di natura paesaggistica e rientra nella fascia di interesse archeologico

Il SUAP, sulla scorta di detto parere, di conseguenza archiviava la richiesta di voltura dell’attuale appellante.

Nel ricorso di primo grado la società ritiene di avere dimostrato che il SUAP, nel caso di specie, non avrebbe potuto subordinare la richiesta di voltura della Cantieri Navali Posillipo alla verifica di compatibilità urbanistica delle attività da svolgere sul sito oggetto di causa, dovendo, diversamente, limitarsi ad accertare che il subentrante fosse in possesso dei requisiti soggettivi prescritti dalle norme di settore.

In ogni caso, l’AUA rilasciata alla Progetto Mare (con il provvedimento Prot. PG/2016/999418) ed oggetto di istanza di voltura avrebbe avuto solo la valenza di autorizzazione ambientale per lo scarico in fogna nonché di comunicazione di impatto acustico, e non anche di titolo abilitativo per la messa in esercizio degli impianti.

Se la compatibilità urbanistica dell’attività non era stata oggetto di verifica in sede di rilascio dell’AUA a maggior ragione non avrebbe dovuto essere effettuata in sede di voltura del titolo ambientale.

La “voltura” di una autorizzazione implica esclusivamente il passaggio della titolarità di una autorizzazione da un soggetto ad un altro, senza alterare la validità ovvero il contenuto del titolo già rilasciato e consolidatosi. Essa non dà quindi luogo ad una nuova autorizzazione ovvero alla sua rinnovazione e, quindi, non comporta la rivalutazione dei presupposti originariamente richiesti per il rilascio del titolo.

Nel caso in esame, il Comune non avrebbe quindi potuto procedere ad una verifica sulla compatibilità dell’attività esercitata con la normativa urbanistica ed ambientale, trattandosi di verifica che, oltretutto, non era stata effettuata (perché non sarebbe stata dovuta) in sede di rilascio dell’AUA.

L’appellante precisa che il d.P.R. n. 69 del 13 marzo 2013 non contempla l’ipotesi posta dal T.a.r. a fondamento della propria decisione rimettendo, salvo casi specifici puntualmente disciplinati (ad esempio per le emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all’art. 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - art. 3, comma 1, lett. c) del d.P.R n. 69/2013), al privato la facoltà di richiedere solo il rilascio della autorizzazione ambientale di interesse ovvero, anche di ulteriori titoli.

A conferma di quanto detto vale richiamare la Tabella I “titoli abilitativi compresi nell’AUA di cui all’art.3 comma 1 del d.P.R.59 del 2013” di cui all’Allegato 1, Guida Operativa di procedura di rilascio dell’A.U.A. adottata con Delibera della Giunta Regionale n. 25 del 18.01.2022.

Da tala tabella si evince che solo per l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera in procedura ordinaria ex art. 3, comma 1, lett. c) del d.P.R. 59/2013, (articolo 269 d.lgs. n. 152/2006) è richiesto il contestuale coinvolgimento dell’ARPAC – Dipartimento Provinciale e del Comune per il rilascio del parere di compatibilità urbanistica.

In ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che il Comune in sede di esame della richiesta di voltura potesse richiedere il rilascio di ulteriori pareri/nullaosta/autorizzazione oltre quelli da volturare, allora il SUAP, così come previsto dall’art. 4 del d.P.R. 59/2013, avrebbe dovuto, necessariamente, indire una conferenza di servizi consentendo al richiedente di produrre tutta la documentazione necessaria per il rilascio degli ulteriori titoli; tuttavia, la conferenza di servizi non è stata mai indetta.

Quand’anche, inoltre, si dovesse ritenere che il SUAP fosse legittimato a richiedere la verifica sulla compatibilità urbanistica dell’attività svolta dal richiedente, lo stesso, prima di archiviare la domanda di voltura, avrebbe dovuto, necessariamente, preliminarmente annullare in autotutela l’AUA n. 6151 del 10 novembre 2016.

Se infatti, come sostenuto dal primo giudice, la voltura non poteva essere autorizzata perché mancava un presupposto legittimante il rilascio dell’AUA, l’Amministrazione, sussistendone i presupposti di legge, avrebbe dovuto procedere preliminarmente ad annullare, ex art. 21 novies della l. n. 241/90 l’autorizzazione del 2016 e, solo dopo disporre, quale diretta conseguenza, l’archiviazione della richiesta di voltura.

II. ERROR IN IUDICANDO – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI –- ERRONEITA’ E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 39 E 44 DELLE NTA.

In ogni caso, le ragioni di merito addotte dal T.a.r. a fondamento della gravata sentenza sarebbero erronee.

Il Servizio Pianificazione Urbanistica Generale e Beni Comuni del Comune di Napoli nella nota prot. PG/2020/64342 del 23/01/2020 posta a fondamento della contestata archiviazione si è pronunciato sulla non compatibilità urbanistica dell’attività da svolgere nell’area corrispondente al piazzale esterno perché l’area ricade in Zona E sottozona Ec disciplinata dagli artt. 39 e 44 delle NTA; inoltre la stessa rientra nel perimetro delle aree vincolate dal D.M. 24 gennaio 1953, nelle aree a bassa instabilità del vincolo idrogeomorfologico, nel perimetro del Piano territoriale paesistico di Posillipo in zona PI – protezione integrale ed infine nella zona rossa dell’area a rischio vulcanico Campi Flegrei di cui al D.P.C.M. 24.06.2016.

In particolare, nella richiamata nota si affermava che, a norma dell’art. 39 comma 5 delle NTA, nell’area in cui viene svolta l’attività della ricorrente sono consentiti solo i seguenti interventi diretti finalizzati:

a) alla manutenzione ordinaria e straordinaria e al restauro e risanamento conservativo dei manufatti esistenti e non produttivi di inquinamento;

b) all’eliminazione di elementi di inquinamento quali baracche abusive, scarichi di rifiuti solidi e liquami, ruderi senza valore storico, impianti in disuso, cartelli, segnaletica assicurando la libera fruizione della costa;

c) alla pulizia e al ripascimento delle spiagge.

La ricorrente ritiene di avere dimostrato che non sussiste alcuna incompatibilità tra l’attività dalla stessa esercitata e la disciplina urbanistica vigente.

In particolare, la società ha evidenziato che le previsioni normative e di Piano richiamate nel gravato provvedimento sono finalizzate a limitare la tipologia di interventi edilizi realizzabili nell’area in ragione dei diversi vincoli ivi esistenti ma non anche la tipologia di attività da potervi svolgere.

L’AUA del 2016 non conteneva alcuna autorizzazione edilizia e, in ogni caso, la ricorrente non ha chiesto alcuna autorizzazione ad eseguire lavori.

Il richiamo alle norme di piano che contingentano gli interventi assentibili sarebbero, pertanto, ininfluenti.

L’attività di rimessaggio, riparazione e commercio di imbarcazioni da diporto, rientrerebbe comunque tra quelle ammesse dai commi 5 e 6 del citato art. 44 delle NTA che consentono “il montaggio, nel periodo estivo, di strutture per l’attività balneare, compresi wc ecologici, di strutture per l’attracco temporaneo di natanti, quali passerelle e pontili mobili”.

Il piazzale esterno sarebbe adibito solo ed esclusivamente al parcheggio temporaneo di imbarcazioni, mentre l’attività propria di rimessaggio sarebbe, invece, svolta esclusivamente all’interno delle grotte di tufo.

Tutte le suddette attività vengono svolte solo nel periodo estivo.

Si tratterebbe quindi di tipica attività stagionale certamente riconducibile a quelle ammesse dalla disciplina urbanistica vigente del Comune di Napoli.

Nella sentenza impugnata, il T.a.r. afferma che “il piazzale viene utilizzato anche per la manutenzione e riparazione di imbarcazioni e natanti da diporto (pag. 2 della relazione tecnica depositata dalla ricorrente il 7.4.2021)”.

A pagina 2 della citata relazione viene tuttavia, all’opposto, espressamente dichiarato che “le attività di manutenzione e piccola manutenzione vengono svolte presso il sito in via Ferdinando Russo n. 34, direttamente sulle imbarcazioni all’interno delle grotte tufacee”.

Le attività svolte sul piazzale esterno, limitate all’alaggio e varo delle imbarcazioni da diporto rientrerebbero tra quelle certamente ammesse dall’art. 44 comma 6 delle NTA.

La richiamata previsione di piano si limita a stabilire, tra l’altro esemplificativamente, quali sono le tipologie di “strutture” che possono essere montate nell’area nel periodo estivo e non certamente, come sostiene il primo giudice, le “attività” ivi consentite.

III. ERROR IN IUDICANDO – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI –- ERRONEITA’ E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 39 E 44 DELLE NTA.

Il Comune di Napoli ha sostenuto che in assenza di specifica disciplina, per gli ambienti ipogei, dovrebbe farsi riferimento per analogia e per quanto possibile, a quanto previsto per le cave dismesse a cielo aperto e, quindi all’art. 44 comma 3 delle NTA, con la conseguenza che l’attività di rimessaggio di imbarcazioni da diporto in zona Ee non sarebbe ammessa.

Il Comune avrebbe tuttavia illegittimamente applicato la normativa che regolamenta l’utilizzo delle “cave dismesse a cielo aperto”, perché nel caso che ci occupa, non si tratterebbe di “cava” e, men che mai di “cava dismessa” bensì, diversamente, “di grotta naturale di tufo”.

Con la conseguenza che l’applicazione, in via analogica, di previsioni previste a disciplina delle “cave dismesse a cielo aperto” risulterebbe inammissibile.

Quanto alla riconducibilità dell’area al novero delle “aree dismesse dall’attività estrattiva” per le quali le NTA vietano interventi diversi dal recupero ambientale, l’appellante sottolinea che trattasi solo di cavità naturali formatesi per effetto di fenomeni geologici ed utilizzate per scopi diversi (gallerie, rifugi, depositi etc.).

La “cava dismessa”, diversamente, è un sito artificiale creato dall’uomo per sfruttare un giacimento di minerale con finalità estrattive che ha cessato definitivamente di essere utilizzato.

La “cava dismessa” non può quindi considerarsi “fattispecie generale” idonea a ricomprendere, per sussunzione, anche la “grotta naturale”.

La grotta di via Ferdinando Russo, formatasi nel corso dei secoli a seguito dell’azione del mare, non è mai stata utilizzata per attività estrattive ed è destinata sin dagli anni 80 del secolo scorso ad uffici, in virtù di regolari titoli edilizi rilasciati dal Comune di Napoli, nonché alle attività di rimessaggio natanti.

Ed invero il Comune di Napoli con il provvedimento n. 39 del 1984 rilasciava per detta grotta tufacea autorizzazione edilizia per il rifacimento del solaio di copertura del primo piano compreso il ballatoio, la costruzione di un’intercapedine che costituisce il solaio di copertura del secondo piano, la costruzione di tramezzi ed il rifacimento della scala di tufo che porta dal primo al secondo piano.

La previsione di piano che disciplina, espressamente, solo ed esclusivamente le cave dismesse non potrebbe quindi applicarsi alla grotta per cui è causa, mai utilizzata per attività estrattive e comunque destinata da quasi 50 anni ad uffici e deposito/rimessaggio natanti.

4. Si sono costituite per resistere la Città metropolitana di Napoli e il Comune di Napoli.

5. Il Comune di Napoli, oltre a dedurre l’inammissibilità del primo mezzo dell’appello, per violazione del divieto dei “nova”, ha fatto osservare:

- che non essendo previsti controlli tipizzati finalizzati a verificare se l’insediamento ha conservato, medio tempore, la sua compatibilità urbanistica, tali controlli sarebbero legittimamente svolti in sede di voltura.

- che sarebbe nuova anche la deduzione relativa all’esistenza, in loco, di una “grotta” e non di una “cava” tufacea;

- che in ogni caso la censura colliderebbe con le affermazioni di controparte che definiscono ed individuano il sito come “cava” e “cava dismessa”; ciò tanto nel ricorso introduttivo e negli scritti difensivi successivi quanto nella relazione tecnica versata in atti dalla stessa controparte. In ogni caso, se è prevista una particolare tutela in relazione alle cave dismesse, a fortiori dovrebbe essere tutelata anche una grotta naturale.

6. La Cantieri Navali Posillipo ha depositato una memoria conclusionale.

7. L’appello, infine, è passato in decisione alla pubblica udienza del 9 ottobre 2025.

8. L’appello è fondato.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

9. In punto di fatto, giova precisare che l’atto amministrativo oggetto del contendere è l’archiviazione del procedimento di voltura del provvedimento unico rilasciato dal SUAP del Comune di Napoli a seguito della determinazione n. 6511 del 10 novembre 2016 della Città metropolitana relativa all’autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura ai sensi dell’art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché della comunicazione in materia di impatto acustico, di cui all’art. 8, comma 4, della l. n. 447/1995, necessarie per lo svolgimento dell’attività di riparazione, commercio e rimessaggio barche nel sito di via Ferdinando Russo n. 34.

Come correttamente sottolineato dalla Città metropolitana, l’autorizzazione ambientale non costituisce il provvedimento finale del procedimento, ma confluisce nel provvedimento unico che, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 160 del 2010 e dell’art. 4 del d.P.R. n. 59 del 2013. è rilasciato dal SUAP, previa acquisizione di tutti i titoli abilitativi necessari.

Nel caso in esame, è infatti del provvedimento unico che la società appellante ha chiesto la voltura (cfr. il documento n. 4 allegato al ricorso di primo grado).

In materia, la Sezione ha avuto modo di sottolineare che “se è vero che ai fini del rilascio dell’A.U.A., secondo il procedimento disegnato dal d.P.R. n. 59/2013, l’autorità competente è la “Provincia”, siffatta autorizzazione, ai sensi del già citato art. 2, comma 1, lett. b) di tale decreto “confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, ovvero nella determinazione motivata di cui all'articolo 14-ter, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241”. L’art. 7 del d.P.R. n 160 del 2010, disciplina il c.d. “procedimento unico” in cui il S.U.A.P. è individuato quale “unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59” (art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 160 del 2010). Esso è deputato ad adottare “il provvedimento conclusivo” (art. 7, comma 2), previa verifica della documentazione e dell’acquisizione di tutti gli atti di competenza di altre amministrazioni eventualmente necessari.

Anche rispetto alle attività oggetto dell’A.U.A., pertanto, il S.U.A.P. non è un mero “nuncius” della volontà della Provincia, ma svolge il compito di verifica della sussistenza di tutti gli assensi necessari per lo svolgimento dell’attività, in particolare sotto il profilo urbanistico – edilizio” (sentenza n. 3516 del 2021).

9.1. Nel caso in esame, risulta che all’atto del rilascio del provvedimento unico alla società dante causa dell’odierna appellante, il SUAP non abbia mosso alcuna obiezione di carattere urbanistico – edilizio rispetto all’attività da svolgersi nel sito di via Ferdinando Russo, pur rientrando tale valutazione nelle sue attribuzioni.

In ogni caso, il provvedimento unico è tale perché dovrebbe essere intrinsecamente idoneo a consentire la realizzazione degli interventi richiesti ovvero l’esercizio dell’attività alla quale si riferisce.

Per tale ragione, nell’ipotesi in cui si necessario “acquisire intese, nulla osta, concerti o assensi di diverse amministrazioni pubbliche” è espressamente previsto che “il responsabile del SUAP indice una conferenza di servizi ai sensi e per gli effetti previsti dagli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero dalle altre normative di settore” (art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 160 del 2010).

Vero è che, nel caso in esame, alla ditta dante causa dell’odierna appellante è stato fatto espressamente obbligo di “dotarsi, ove ne fosse sprovvista, degli ulteriori titoli abilitativi necessari per la messa in esercizio degli impianti”.

Premesso che non è chiaro a quali “impianti” tale clausola di salvaguardia si riferisca, la stessa non risulta comunque idonea a legittimare l’esecuzione postuma di quelle verifiche di carattere urbanistico che avrebbero dovuto essere svolte all’atto stesso del rilascio del provvedimento unico.

9.2. Ciò posto, il Collegio reputa fondato il primo mezzo dell’appello nella parte in cui è stato dedotto che, in presenza di un provvedimento unico tuttora efficace, il SUAP non potesse sic et simpliciter “archiviare” il procedimento di voltura senza previamente intervenire sul titolo stesso mediante l’esercizio del potere di autotutela.

In tal senso, deve convenirsi con l’appellante che qualsivoglia nuova e diversa valutazione rispetto a quella originariamente effettuata, quand’anche legittimamente resa, imponeva preliminarmente di procedere all’annullamento dell’autorizzazione del 2016 e, solo dopo, all’archiviazione dell’istanza di voltura.

È infatti evidente che il procedimento di voltura è stato archiviato non per la mancanza di un requisito soggettivo in capo alla società appellante – ovvero in esito ad una verifica propria del procedimento di voltura - bensì per la mancanza (in ipotesi) di un presupposto di legittimità del provvedimento unico in precedenza rilasciato.

Tale ultima evenienza, tuttavia, avrebbe potuto essere valutata solo nell’ambito di un procedimento di autotutela finalizzato a rimuovere – previa valutazione dell’interesse pubblico e dell’affidamento del privato – un provvedimento illegittimo.

9.3. Al riguardo, va respinta l’eccezione di inammissibilità del primo mezzo dell’appello sollevata dal Comune per violazione del divieto dei nova.

La statuizione resa del T.a.r., stigmatizzata con tale mezzo, non risulta infatti eccentrica rispetto al thema decidendum bensì rappresenta la risposta del primo giudice ad uno dei profili di censura che sono stati sollevati in primo grado.

L’appello, al riguardo, si limita a sviluppare – in maniera critica rispetto alle argomentazioni rese dal primo giudice – le deduzioni contenute nel quarto motivo del ricorso introduttivo, relative allo sviamento di potere determinato dall’utilizzo del procedimento di voltura per finalità diverse da quelle sue proprie (cfr. la pag. 15 “L’errore nel quale incorre nuovamente l’amministrazione comunale consiste nel considerare la richiesta di voltura di un’autorizzazione integrata ambientale già rilasciata, che, quindi, era già stata sottoposta ad accertamenti e valutazioni, quale richiesta di svolgimento di attività edilizia tale da comportare una modificazione o trasformazione del territorio, necessitante delle autorizzazioni relative. Invece, controparte sembra che abbia voluto utilizzare il proprio potere, che in astratto è contemplato dalla normativa di riferimento, per un fine diverso da quello previsto dalla normativa. Il che comporta un evidente sviamento di potere”).

9.4. Parimenti, non può condividersi l’affermazione della difesa del Comune secondo cui “non essendo previsti controlli tipizzati finalizzati a verificare se l’insediamento ha conservato, medio tempore, la sua compatibilità urbanistica”, la “garanzia” di ciò dovrebbe essere data dai controlli da svolgersi successivamente (e quindi, eventualmente, anche in seno al procedimento di voltura).

Il fatto che non siano previsti “controlli” successivi non è una lacuna dell’ordinamento ma il riflesso di un assetto in cui:

- il permesso di costruire è irrevocabile (art. 11, comma 2, del d.P.R. n .380 del 2001) salvo che nell’ipotesi (di decadenza) prevista dall’art. 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001;

- la pianificazione urbanistica, di regola, non ha efficacia retroattiva; pertanto, nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico individui “edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione”, è previsto che l’Amministrazione possa “in alternativa all'espropriazione” programmare “la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull'area interessata e senza aumento della superficie coperta, rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa” (art. 3 – bis del d.P.R. n. 380 del 2001).

Il mutamento della disciplina urbanistica, in sostanza, non ha alcun effetto rispetto a titoli edilizi rilasciati in precedenza, dei quali non è ovviamente configurabile una sorta di illegittimità sopravvenuta.

9.5. Giova infine precisare che il caso in esame non attiene al generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell'ordinato assetto del territorio.

L’Amministrazione non ha infatti contestato l’esistenza di abusi edilizi bensì che l’attività svolta dalla società appellante, ancorché autorizzata con il provvedimento unico rilasciato alla società dante causa, non fosse compatibile con la disciplina urbanistica, edilizia e paesaggistica vigente.

10. La fondatezza del primo mezzo, nella parte evidenziata, riveste carattere assorbente ai fini dell’accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado, essendo gli ulteriori mezzi attinenti alla conformità del provvedimento unico alla disciplina urbanistica vigente nel Comune di Napoli, profilo che avrebbe potuto formare oggetto di valutazione solo nell’ambito (e con le garanzie proprie) di un procedimento di secondo grado.

11. Per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere accolto.

In considerazione della peculiarità della fattispecie, sussistono tuttavia i presupposti per la compensazione integrale tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla gli atti impugnati.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2025 con l'intervento dei magistrati:

Luca Lamberti, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere