Quali sono le contravvenzioni passibili di prescrizione a norma della legge n. 68/15?

di Vincenzo PAONE

 

Nel contributo di CARBONI-BERTUZZI, La estinzione di alcuni reati contravvenzionali introdotta dalla Legge 68/2015, pubblicato in Lexambiente, si sviluppano alcuni interessanti spunti di riflessione in merito alla recente disciplina che ha introdotto l’istituto della prescrizione finalizzata alla regolarizzazione degli illeciti in campo ambientale.

Premesso che la legge n. 68/15 si applica esclusivamente alle contravvenzioni previste dal D.Lgs. n. 152/2006, una questione fortemente dibattuta è se la stessa normativa si estenda o meno alle contravvenzioni punite con la pena congiunta arresto/ammenda.

Gli AA. hanno dapprima ricordato che è stata sostenuta la tesi che esclude queste contravvenzioni dal perimetro applicativo della legge in virtù del principio di legalità delle pene per cui, se si aderisse alla diversa opinione, la pena dell'arresto, prevista congiuntamente all'ammenda, non verrebbe mai applicata in difetto di una norma espressa che consenta tale operazione.

Gli AA. hanno quindi proposto un’interpretazione differente esordendo con l’affermazione che «Il legislatore, pur clonando la disciplina del lavoro, ha ritenuto scientemente di non dover prevedere alcuna distinzione in merito alla tipologia di contravvenzioni a cui è applicabile questo particolare istituto».

Orbene, anche se in generale il silenzio del legislatore può prestarsi ad interpretazioni di segno contrario, è però evidente che, al definitivo, l’opzione da preferire non può che essere quella conforme ai principi generali e tra questi vi è per l’appunto quello della legalità delle pene.

Gli AA., pur non contestando la validità del principio, lo hanno semplicemente «by-passato» sviluppando un ragionamento concernente la natura delle fattispecie sanzionate in campo ambientale che, di per sé, è esatto, ma che, a nostro avviso, non rileva nella discussione della questione controversa.

Infatti, a prescindere dal fatto che i reati ambientali siano di danno, di pericolo concreto o di pericolo presunto, ciò che occorre prendere in esame per verificare la sfera applicativa dell’art. 318 bis è solo il tipo di sanzione prevista: dato che il meccanismo estintivo si basa sul pagamento di una somma pari al quarto del massimo della sanzione pecuniaria, esso può operare solo in presenza di una pena costituita dalla sola ammenda o dall’ammenda alternativa all’arresto, salvo che non sia previsto espressamente il contrario.

Da questo angolo visuale, è altamente opinabile che il legislatore, non inserendo nella legge alcuna specifica disposizione in merito alla tipologia di contravvenzioni cui è applicabile l’istituto, avrebbe compiuto una scelta consapevole, avrebbe cioè indicato, tramite il silenzio dell’art. 318 bis, che l’istituto vale anche per le contravvenzioni sanzionate con pena congiunta.

Infatti, non solo non esiste alcun elemento testuale dal quale si possa ricavare questa conclusione, ma va anche sottolineato che mai, nel corso dei lavori preparatori, si è posto all’attenzione dei parlamentari il problema di cui trattasi: fin dalla prima stesura del testo, l’articolo recitava così come appare oggi e mai nessuno ha sollevato obiezioni o sollecitato una riflessione sul tema.

Si può allora concludere che il legislatore avrebbe scientemente omesso di specificare la tipologia di contravvenzioni cui è applicabile l’istituto perché la questione poteva dirsi pacifica in base alle regole generali?

Evidentemente no.

Né è sostenibile che alla tesi meno restrittiva si possa giungere attraverso un’interpretazione sistematica e logica delle varie disposizioni legislative: come è stato evidenziato dagli stessi AA. cit., «le condotte sanzionate con la pena congiunta o hanno già prodotto la concreta lesione del bene giuridico ambiente, oppure ancorchè del tutto identiche a quelle condotte sanzionate con contravvenzioni punite con pena alternativa, sono dal legislatore considerate più gravi in quanto interessano rifiuti pericolosi o in generale sostanze pericolose».

Tenendo conto che l'art. 318-bis si applica solamente alle contravvenzioni che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, si può agevolmente constatare che esiste una certa correlazione tra le ipotesi criminose punite con la pena congiunta e le condotte che, tendenzialmente, cagionano un danno all’ambiente o creano un pericolo concreto ed attuale di danno sicchè appare del tutto logico (e comunque non arbitrario né ingiustificato) che alle prime non si estenda la nuova normativa.

Chiarito questo problema, ci pare utile soffermarci sulla parte del contributo citato in cui, parlando del contenuto della prescrizione, si prospetta una casistica delle attività che possono essere oggetto di prescrizione.

Ci interessano quelle esercitate in mancanza di autorizzazione. In tali ipotesi, si sostiene dagli AA. che il contenuto della prescrizione non può che essere quello di interrompere l'attività espletata sine titulo e presentare la richiesta di autorizzazione all'autorità competente.

Nutriamo alcuni dubbi al riguardo.

In primo luogo, la principale finalità della prescrizione è quella di puntare ad ottenere la regolarizzazione della situazione, e cioè il ripristino della legalità violata, attraverso un comportamento esigibile dal contravventore.

Ciò posto, osserviamo in primo luogo che l’ordine di «far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose» può essere imposto dall'organo accertatore, ai sensi dell’art. 318-ter, unitamente alla prescrizione e non può rappresentarne l’unico contenuto. Infatti, si tratterebbe di una mera duplicazione del comando della legge che già impone al privato di non intraprendere determinate attività senza avere i titoli abilitativi.

Parimenti problematica si presenta la seconda affermazione. Giova ricordare che la legge non punisce chi inizia un’attività senza presentare la richiesta di autorizzazione all'autorità competente, nel qual caso la prescrizione di inoltrare detta domanda potrebbe anche avere un senso. La legge punisce chi, senza aver ottenuto l’autorizzazione, esercita un’attività in campo ambientale: in questo caso, perciò, non ha alcuna efficacia, al fine di regolarizzazione la situazione illegale, che l'organo accertatore prescriva di presentare l’istanza all'autorità competente perché tale fatto per un verso non fa cessare la consumazione del reato (salvo che contestualmente il soggetto non decida di interrompere l’attività) e per altro verso non fa venir meno gli effetti della condotta già realizzata.

Ci rendiamo conto che, con questo argomentare, la legge n. 68 rischia di essere depotenziata, ma questo dipende dal fatto che il legislatore ha ricopiato il testo del d.leg. n. 758/94, dettato per la sicurezza del lavoro, senza adattarlo al ben diverso settore ambientale.

Infatti, come sa chiunque abbia pratica delle contravvenzioni relative alla sicurezza del lavoro (cfr. d.leg. n. 81/2008), i comportamenti oggetto di prescrizione, idonei a regolarizzare l’illecito accertato, rientrano nella totale sfera di azione e di controllo del datore di lavoro, mentre nel settore ambientale il rilascio del titolo abilitativo non dipende esclusivamente dal soggetto richiedente, ma anche da un terzo e cioè dall’ente pubblico che delibera sull’accoglimento o sul rigetto della domanda.

E’ perciò evidente che il meccanismo estintivo della contravvenzione, di cui alla legge n. 68, nelle fattispecie in cui il fatto tipico è l’assenza del titolo per lo svolgimento di determinate attività, non è neppure in linea astratta nelle condizioni di poter operare.

Alla evidenziata aporia può rimediare solo il legislatore ponendo mano ad una correzione di questo, come di tanti altri errori o illogicità contenute nella l. n. 68 (che dire, ad esempio, dell’art. 318-septies che ha stabilito che, in caso di adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione o in caso di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, si applica l’art. 162-bis c.p. e «la somma da versare è ridotta alla metà del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa», vale a dire quella stessa già prevista dal citato articolo del codice penale!).