TAR Campania (NA) Sez.V n. 4615 del 31 luglio 2023
Ambiente in genere.Industrie insalubri e poteri del sindaco

In base agli artt. 216 e 217 del T.U.LL.SS. (non modificati, ma ribaditi dall'art. 32 del d.P.R. 616/1977 e dall'art. 32, comma 3, della legge 833/1978), spetta al sindaco, all'uopo ausiliato dall'unità sanitaria locale, la valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate "insalubri", e l'esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell'impianto industriale, potendosi estrinsecare con l'adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di esalazioni, scoli e rifiuti, specialmente riguardanti gli allevamenti, e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle dell'attività produttiva. L'autorizzazione per l'esercizio di un'industria classificata insalubre è concessa e può essere mantenuta a condizione che l'esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità e che siano adottate tutte le misure, secondo la specificità delle lavorazioni, per evitare esalazioni "moleste": pertanto, a seguito dell'avvenuta constatazione dell'assenza di interventi per prevenire ed impedire il danno da esalazioni, il sindaco può disporre la revoca del nulla osta e, pertanto, la cessazione dell'attività.

Pubblicato il 31/07/2023

N. 04615/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04156/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4156 del 2020, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato Catello Miranda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Agerola, non costituito in giudizio;

nei confronti

Asl 108 - Napoli 3, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Rosa Anna Peluso, Giovanni Rajola Pescarini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
-OMISSIS- rappresentati e difesi dall'avvocato Sergio Mascolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- dell’atto prot. n. 7414 del 30/7/2020, a firma del Responsabile del Settore IV SUE e SUAP del Comune di Agerola, con il quale, a fronte dell'esposto/denuncia presentato dal ricorrente, si dava atto della legittimità dell’allevamento di capi bovini realizzato sul fondo confinante la struttura di proprietà del ricorrente, denegandosi l'adozione dei provvedimenti atti ad eliminare gli abusi e gli inconvenienti igienico – sanitari denunciati;

- di tutti gli atti preordinati, connessi e/o conseguenziali, comunque lesivi degli interessi del ricorrente, ivi compreso il verbale di sopralluogo del 23/7/2020;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Asl 108 - Napoli 3, di-OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 22 giugno 2023, tenuta da remoto a termini dell’art. 87, comma 4-bis c.p.a., il dott. Fabio Maffei e riservata la causa in decisione sulla base degli atti come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- L’odierno ricorrente, titolare di una struttura turistica, sita in Agerola alla -OMISSIS-, ha dedotto che, con denuncia/esposto del 4/6/2020, assunta al prot. Com. n. 5620 e successivo atto di diffida prot. n. 6704 del 9/7/2020, aveva portato all’attenzione del Comune di Agerola la realizzazione, sul fondo confinante alla sua struttura, catastalmente identificato al foglio 21, particella 1592, da parte dei controinteressati-OMISSIS-comproprietari del fondo in questione, di opere edilizie volte alla realizzazione di una stalla/ricovero di animali (capi bovini) tenuti allo stato brado e/o semibrado. A tal fine, i controinteressati avevano edificato, tra l’altro, una recinzione del fondo di circa 500 mq, riadattando un preesistente rudere ed una baracca in lamiera, cosicché le predette opere si ponevano in contrasto con le distanze legali tra costruzioni previste dal PRG e dalla L.R. n. 19/2009. Inoltre, aveva segnalato il mancato rispetto di ogni norma di salvaguardia dell’igiene e salubrità dell’ambiente, difettando l’allevamento gestito dai controinteressati di ogni minimo accorgimento urbanistico e tecnico, atto ad evitare immissioni ed esalazioni che si espandessero sui fondi confinanti. Tuttavia, il resistente Comune, a seguito del sopralluogo eseguito unitamente all’ASL Na 3 – Dipartimento di Prevenzione Servizio Veterinario, aveva ritenuto, con l’impugnata nota, l’infondatezza delle prospettate doglianze, concludendo per la legittimità del contestato intervento edilizio e dell’allevamento ivi insediato, così denegando ogni provvedimento preclusivo o limitativo dell’attività.

Avverso il predetto provvedimento è insorto l’odierno ricorrente articolando le censure di seguito sinteticamente riportate.

In primo luogo, ha sostenuto l’illegittimità dell’impugnata nota in quanto adottata dal Comune di Agerola in totale pretermissione delle disposizioni dettate dall’art. 4, comma 1, lett. d) del DPR 203/88 e dalla delibera di attuazione n. 4102 del 5/8/1992 adottata dalla Giunta Regionale che aveva fissato, con riguardo agli impianti zootecnici, i valori massimi delle emissioni in atmosfera e le distanze minime dagli altri insediamenti. In violazione delle disposizioni dettate da entrambi i citati testi normativi, l’allevamento dei controinteressati non solo era privo di un impianto di abbattimento emissioni, ma distava anche circa 57 metri dal fabbricato del ricorrente e mt. 42 dal confine esterno recintato della particella 1592, costituente l’area esterna del fondo attoreo, laddove la distanza minima prescritta non poteva essere inferiore ai ml 250.

In secondo luogo, l’istruttoria condotta dal resistente Comune non aveva considerato le specifiche prescrizioni poste dall’art. 3 del Regolamento n. 6 del 12 ottobre 2011, attuativo dell’art. 11 della L.R. Campania n. 19/2009, che imponevano, anche per gli allevamenti domestici, la dotazione di una specifica concimaia o, comunque, di apposite modalità di “gestione” dei rifiuti organici prodotti dai capi allevati.

Infine, l’allevamento in oggetto insisteva sul fondo dei controinteressati in aperta violazione delle disposizioni poste dal Regolamento comunale di igiene e sanità, adottato con delibera di C.C. n. 115/bis del 16.6.1972, poiché quest’ultimo non solo imponeva l’utilizzo della concimaia per lo stoccaggio dei rifiuti organici, ma stabiliva anche una distanza minima delle stalle dai fondi confinanti, nella specie chiaramente non rispettata dai controinteressati, nonostante le opposte conclusioni cui era pervenuta la civica amministrazione.

Nella contumacia del resistente Comune, si costituivano esclusivamente l’ASL, eccependo il suo difetto di legittimazione passiva, e i controinteressati, insistendo quest’ultimi per l’infondatezza dei motivi di gravame.

Respinta la domanda cautelare con l’ordinanza cautelare n. 314/2021, la causa è stata inserita nel ruolo dell’udienza pubblica del 22 giugno 2023, calendarizzata in attuazione delle Linee guida per lo smaltimento dell'arretrato negli uffici della giustizia amministrativa, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 16 marzo 2022, in attuazione del D.L. 80 del 2021, convertito dalla L. n. 113 del 2021, all’esito della quale è stata trattenuta in decisione.

2.- Il ricorso è infondato.

3.- Fuori sesto appare essere il primo nucleo di censure articolate dal ricorrente sul presupposto, non condiviso dal Collegio, secondo cui il resistente Comune, nel vagliare l’esposto presentato, aveva omesso di considerare come l’allevamento insistente sul fondo di proprietà dei controinteressati fosse, in realtà, gestito in aperta violazione delle disposizioni poste dal DPR 203/88 e dalla delibera di G.R. n. 4102 del 5/8/1992, adottata per dare attuazione alle disposizioni regolamentari.

Al riguardo, come stigmatizzato dai controinteressati, le succitate disposizioni regolamentari sono state abrogate dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cosicché non possono trovare applicazione nella fattispecie de qua, in ragione del noto principio secondo cui l'Amministrazione deve assumere i provvedimenti di sua competenza in base alla normativa vigente al momento dell'adozione degli stessi, risultando il procedimento amministrativo regolato dal principio tempus regit actum (c.f.r. C. di S., sez. IV, 28.9.2009, n. 5835; C.d. S., sez. VI, 3.9.2009, n. 5195).

Nonostante ciò, osserva il Collegio che la giurisprudenza (T.A.R. Veneto, Sez. III, 5 maggio 2014, n. 573), in diverse occasioni, abbia rilevato come per le emissioni odorigene, in base alla normativa nazionale vigente, non sia prevista la fissazione di limiti di emissione né di metodi o di parametri idonei a misurarne la portata; tuttavia ciò non significa che non possano essere oggetto di considerazione i profili attinenti alle molestie olfattive al fine di prevenire e contenere i pregiudizi dalle stesse causati: infatti, l'art. 268, comma 1, lett. a), d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 (che sul punto richiama l'abrogato art. 2 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203) recepisce un concetto ampio di inquinamento atmosferico e, pertanto, anche se non è rinvenibile un riferimento espresso alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi ricomprese nella definizione di "inquinamento atmosferico" e di "emissioni in atmosfera", poiché la molestia olfattiva intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di "pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente", che di compromissione degli "altri usi legittimi dell'ambiente", dovendo essere verificati i profili che arrecano molestie olfattive facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili.

Ciò posto in termini generali, non può non rilevarsi che le verifiche sopra indicate sono prescritte esclusivamente per gli allevamenti che possano configurarsi come “impianti” e, quindi, come tali, destinati allo svolgimento di attività imprenditoriale. Per contro, con specifico riferimento all'attività svolta dai controinteressati, alla luce di quanto accertato in sede di sopralluogo operato dal resistente Comune unitamente alla competente ASL, avuto riguardo alle modalità e alle dimensioni, è da escludere la sua natura di allevamento in senso proprio. Invero, sebbene talune specie detenute siano classificabili come "da reddito ", non è stato provato in atti che esse siano in concreto destinate a tale specifico scopo e dunque nemmeno è stata dimostrata la loro riconducibilità ad una attività di tipo industriale.

A tanto aggiungasi che il Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’Asl Na 3 Sud non ha mai di fatto escluso che l'attività in parola potesse essere svolta nell'area considerata, avendo piuttosto asserito che detta attività potesse essere ammessa, stante la sua regolare registrazione ed in assenza di riscontrate possibili fonti di nocumento per il vicinato. Va poi evidenziato (come emerge dal verbale del 23 luglio 2023) che, all'atto del sopralluogo posto in essere dai tecnici della prevenzione, non sono stati percepiti cattivi odori né è stata riscontrata la presenza di insetti o animali indesiderati, sicché l’unica prescrizione disposta (inerente al trattamento dei rifiuti organici) è stata dettata solo come forma di tutela per le civili abitazioni limitrofe, al fine di evitare che detti inconvenienti potessero di fatto verificarsi in condizioni diverse non presenti al momento del condotto accertamento. Peraltro, anche nel corso del sopralluogo dei tecnici non sono emerse particolari criticità dal punto di vista igienico-sanitario.

In conclusione, può dirsi che, a fronte di un mancato accertamento della presenza, nell'area in questione, di condizioni igieniche inidonee (in base a quanto evidenziato dall'Asl) e non risultando neppure una specifica norma regolamentare comunale che espressamente vietasse tale attività di detenzione di animali in detta zona, essa non potesse di per sé stessa essere inibita.

4.- Infondato è anche il secondo nucleo di doglianze con cui il ricorrente ha censurato l’impugnata nota, poiché, a sua avviso, violativa delle disposizioni poste dal R.D. n. 1265 del 27/7/1934.

Si premette che alle valutazioni tecnico/discrezionali espresse dagli organi pubblici preposti alla tutela igienico/sanitaria ed ambientale non possono essere sovrapposte le valutazioni di parte di segno contrario, a meno che, a carico delle prime, non vengano evidenziati vizi di logicità, contraddittorietà o incompletezza, per quanto concerne l'individuazione degli elementi di fatto rilevanti, la scelta della regola tecnica di riferimento o la sua applicazione; tanto più in un settore, quello delle emissioni olfattive, connotato da un'estesa discrezionalità tecnica, che il giudice amministrativo può sindacare solo in caso di manifesta irragionevolezza od incoerenza sotto il profilo scientifico; vizi la cui esistenza non emerge dal ricorso in esame.

Con riferimento alle previsioni dell'art. 216 R.D. n. 1265/1934, l'abbattimento delle "esalazioni insalubri" (di tipo olfattivo) dell'allevamento può essere disposta sempreché si accerti un pericolo o un danno per la salute pubblica.

Tuttavia, come sopra evidenziato, non risultano specificamente normati (artt. 269/271, del d.lgs. 152/2006) parametri e limiti di accettabilità di tale tipo di effetti "odoriferi" delle emissioni; tuttavia è pacifico, almeno a partire dal R.D. 1265/1934, che anch'esse debbano essere contenute entro limiti di tollerabilità e pertanto sottoposte al potere limitativo dell'Amministrazione locale.

È stato infatti affermato che, in base agli artt. 216 e 217 del T.U.LL.SS. (non modificati, ma ribaditi dall'art. 32 del d.P.R. 616/1977 e dall'art. 32, comma 3, della legge 833/1978), spetta al sindaco, all'uopo ausiliato dall'unità sanitaria locale, la valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate "insalubri", e l'esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell'impianto industriale, potendosi estrinsecare con l'adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di esalazioni, scoli e rifiuti, specialmente riguardanti gli allevamenti, e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle dell'attività produttiva. L'autorizzazione per l'esercizio di un'industria classificata insalubre è concessa e può essere mantenuta a condizione che l'esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità e che siano adottate tutte le misure, secondo la specificità delle lavorazioni, per evitare esalazioni "moleste": pertanto, a seguito dell'avvenuta constatazione dell'assenza di interventi per prevenire ed impedire il danno da esalazioni, il sindaco può disporre la revoca del nulla osta e, pertanto, la cessazione dell'attività (cfr. Cons. Stato, V, 15 febbraio 2001, n. 766).

Inoltre, è stato ritenuto legittimo il provvedimento sindacale volto a sollecitare (sulla base del parametro della "normale tollerabilità" delle emissioni, ex art. 844 c.c., e con riferimento alle funzioni attribuite dall'art. 13 del d.lgs. 267/2000) l'elaborazione di misure tecniche idonee a far cessare le esalazioni maleodoranti provenienti da attività produttiva (cfr. Cons. Stato, V, 14 settembre 2010, n. 6693); ciò, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione, però, che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli (cfr. Cons. Stato, V, 19 aprile 2005, n. 1794).

Ne discende che la discrezionalità esercitata in questa materia è inevitabilmente ampia, anche considerato che l'art. 216, cit. riferisce la valutazione ad un concetto, quello di "lontananza", spiccatamente duttile, avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta (cfr. Cons. Stato, V, 24 marzo 2006, n. 1533).

Orbene, nel condurre la sollecitata istruttoria non può ritenersi che il resistente Comune abbia violato i criteri valutativi sopra indicati, poiché, da un lato, ha acquisito il preventivo parere dell’Azienda Sanitaria attestante l’assenza di pericoli per la salute; dall’altro, constatate le effettive caratteristiche del denunciato allevamento - vale a dire che lo stesso non avesse carattere industriale ed intensivo, essendo destinato all’”autoconsumo” -, ne ha verificato la regolare distanza dall’immobile del ricorrente nonché ha considerato come non necessaria l’installazione di una concimaia, non superando l’allevamento in questione il limite numerico di capi prescritto dall’art. 233 R.D. n. 1265 cit. affinché tale dotazione fosse necessaria.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto occasione di sottolineare che nel sistema delineato dagli articoli 216 e 217 del Testo unico delle leggi sanitarie, in presenza di un'attività classificata come insalubre, l'intervento repressivo sindacale deve dar contezza dell'esistenza di effettive situazioni di pericolo o di danno per la salute pubblica (Cons. Stato, Sez. V, sent. 1° aprile 1996, n. 338). Va ricordato, del resto, che la giurisprudenza ritiene che “i provvedimenti, con i quali l'autorità comunale, ai sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, prescrive le norme da applicare per prevenire od impedire il danno o il pericolo derivante, per la salute pubblica, dall'attività di manifatture o fabbriche, devono fondarsi su elementi certi e concreti che diano conto delle indagini svolte, degli accertamenti condotti in concreto, nonché della stretta correlazione fra attività ritenuta insalubre o pericolosa e il tipo di pericolosità individuata nel provvedimento” (Cons. St., Sez. V, 5 settembre 1987, n. 532).

Nella specie, in assenza di un concludente accertamento in ordine alla sussistenza di una situazione di pericolo e constatata la limitata consistenza numerica dell’allevamento de quo, correttamente la civica amministrazione ha concluso per l’assenza dei presupposti necessari per prescrivere ai controinteressati l’adozione di misure di adeguamento della stalla alle disposizioni imposte dalla normativa vigente (v., sempre con riferimento all’applicazione degli articoli 216 e 217 del R.D. 1265 del 1934, Cons. St., Sez. V, 19 aprile 2005, n. 1794).

5.- Devono, infine, essere respinte le ultime due censure con cui il ricorrente ha contestato la regolarità urbanistica dell’allevamento dei controinteressati.

Va, infatti, evidenziato che l'attività svolta dai controinteressati, per le modalità e la tipologia, è più vicina al concetto di detenzione di animali che a quello di allevamento nel senso proprio del termine. Ad ogni modo, pur volendo considerarla come un allevamento, non può prescindersi dalla considerazione che l'allevamento di animali rientra nell'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 c.c.e, e quindi è in astratto compatibile con la tipizzazione dell'area in cui detta attività è insediata, destinata, appunto, dal PRG a zona agricola.

L'assunto trova poi conferma nella stessa disciplina pianificatoria del Comune di Agerola e nel Regolamento Comunale di Igiene e Sanità, che, all'art. 82, con riferimento a tutte le zone agricole, a prescindere dalla loro suddivisione nelle diverse sottozone (E1, E2, E3 e E4), menziona, tra le attività che è possibile svolgere nelle stesse, l'allevamento del bestiame, sempre che l’allevamento sia collocato ad una distanza di almeno venti metri dalle limitrofe abitazioni; distanza di cui, nella specie, è stata accertata l’osservanza.

In definitiva, il ricorso dev’essere respinto essendo infondate tutte le articolate censure.

5.- La complessità della vicenda fattuale sottesa ai contestati esiti procedimentali giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge;

spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023, tenuta da remoto con modalità Microsoft Teams, con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente

Roberto Michele Palmieri, Consigliere

Fabio Maffei, Primo Referendario, Estensore