Cass. Sez. III n. 5016 del 7 febbraio 2025 (Up 18 dic 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Casertano
Aria.Natura permanente del reato di cui all'art. 279 comma 1 D.lgs.. 152/06

Il reato di cui all'art. 279 comma 1 D.lgs. 152/06, posta la analogia e continuità di tale fattispecie con la precedente di cui agli artt. 15 e 25, comma sesto, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto industriale) ha natura di reato permanente, costituendo la modifica solo il momento iniziale della consumazione che si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo e rilascio dell'autorizzazione, ovvero sino a che l'agente non abbia ripristinato la situazione precedente. Il reato ex art. 674  cod. pen. ha di regola carattere istantaneo e, solo eventualmente, natura permanente, essendo ravvisabile la permanenza solo quando le illegittime emissioni siano connesse all'esercizio di attività economiche e legate al ciclo produttivo.

RITENUTO IN FATTO 

1. Con sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Avellino condannava Casertano Francesco in ordine ai reati di cui agli artt. 279 comma 1 in relazione alle fattispecie ex artt. 279 comma 1 in relazione agli artt.  269 comma 8 e 279  comma 2 del dlgs. 152/06, ed ex art. 674  cod. pen. 

2. Avverso la predetta sentenza Casertano Francesco mediante il proprio difensore ha proposto, con 11 motivi, ricorso per cassazione.

3. Con il primo motivo ha dedotto la violazione della legge processuale, per essere stata utilizzata documentazione inutilizzabile, con riguardo ad una informativa di pg e a denunzie inserite nel fascicolo dibattimentale, senza consenso della difesa. 

4. Con il secondo, deduce il vizio di violazione della legge penale, per l’inconferente richiamo al comma 2 dell’art. 279 del Dlgs. 152/06 in assenza di superamenti di valori limite di emissione non citati in sentenza. Si tratterebbe piuttosto del comma 2 bis dello stesso articolo, punito con sanzione amministrativa. Nè sarebbe pertinente l’ultima parte del comma 2 bis. 
 
5. Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione manifestamente illogica, atteso che l’intervento di copertura di una vasca citato in sentenza non può ricondursi all’art. 279 comma 1 citato al capo a) non integrando modifiche sostanziali dell’impianto di depurazione. 

6. Con il quarto, deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione, a fronte della avvenuta valutazione, da parte dell’ente regionale competente per la copertura della vasca, senza che si spieghi quali altre valutazioni fossero di spettanza della p.a. dopo che era stata ordinata l’effettuazione di lavori. 

7. Con il quinto motivo deduce vizi di motivazione in ordine al capo b). Si precisa che l’impianto di depurazione interessato è di proprietà della regione Campania, e che la Cogei avrebbe immediatamente effettuato lavori urgenti di copertura di una vasca di cui al capo a) mentre restanti lavori sarebbero stati assegnati con procedura pubblica di gara ed affidati a soggetto diverso dall’imputato come tale non rimproverabile. Si contesta comunque l’illogicità della motivazione, posto che diversamente da quanto ritenuto in sentenza, la Cogei non avrebbe potuto svolgere lavori di manutenzione senza le necessarie determinazioni dell’ente regionale proprietario, unico soggetto in tal senso deputato. Si contesta quindi che la mancata richiesta di una modifica di autorizzazione all’UOD di Avellino avrebbe concorso a cagionare le emissioni odorigene contestate. E comunque l’unità di Avellino sarebbe stata sempre a conoscenza degli interventi alla luce della consulenza difensiva come citata in ricorso. Vi sarebbe quindi un travisamento delle prove, a sostegno di quanto sopra, sia dichiarative che documentali. 

8. Con il sesto motivo deduce la violazione della legge penale, contestandosi la tesi della natura permanente dei reati ascritti. I lavori contestati, commessi il 10.2.2017, sarebbero alla base di reati istantanei prescritti alla data di pubblicazione della sentenza.

9. Con il settimo motivo deduce la violazione della legge penale, riguardo al capo b), rilevando il carattere non permanente del reato ex art. 674  cod. pen. e si osserva come si darebbe contezza delle emissioni in epoca non successiva al febbraio 2017. Con intervenuta prescrizione del reato. 

10. Con l’ottavo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, osservando che la contestazione come formulata e’ “aperta” per i reati ipotizzati, ed il ricorrente non ricoprirebbe la carica di rappresentante legale della Cogei dal 4.2.2019 come da visura storica, con cessazione da quel momento della permanenza a suo carico del reato. Alla data del 2.2.2024, di pubblicazione della sentenza di primo grado, il reato sarebbe stato ormai prescritto. Sul punto i giudici non si sarebbero espressi.

  11. Con il nono motivo deduce vizi di motivazione, circa il trattamento sanzionatorio, non comprendendosi se il reato più grave di cui al capo a) sarebbe da intendersi nella sua interezza o solo per uno dei reati ivi contestati, e non procedendosi alla citata riduzione per le attenuanti generiche. Inoltre rispetto alla pena base di euro 4000 il citato aumento di un terzo per la continuazione non porterebbe comunque alla pena finale di euro 6000. 

12. Con il decimo motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio a fronte del discostamento dal minimo edittale. 

13. Con l’undicesimo motivo deduce la mancanza di motivazione rispetto alla mancata applicazione del beneficio della non menzione. 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che ai sensi dell’art. 279 comma 1 citato al capo a), “1. Fuori dai casi per cui trova applicazione l'articolo 6, comma 13, cui eventuali sanzioni sono applicate ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza dell'autorizzazione prevista dagli articoli 269 o 272 ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata è punito con la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro. Con la stessa pena è punito chi sottopone uno stabilimento ad una modifica sostanziale senza l'autorizzazione prevista dall'articolo 269, comma 8 o, ove applicabile, dal decreto di attuazione dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35. Chi sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8 o comma 11-bis, o, ove applicabile, dal decreto di attuazione dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, è assoggettato ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 300 euro a 1.000 euro, alla cui irrogazione provvede l'autorità competente”.
Ai sensi poi dell’art.279 comma 2 pure citato al capo a) “chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione stabiliti dall'autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all'articolo 271 è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a 10.000 euro. Se i valori limite violati sono contenuti nell'autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione”.
Ancora, ai sensi del comma 2 bis dell’art. 279 citato “chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola le prescrizioni stabilite dall'autorizzazione, dagli allegati I, II, III o V alla Parte Quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all'articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall'autorità competente è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro, alla cui irrogazione provvede l'autorità competente. Se le prescrizioni violate sono contenute nell'autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione”.
Ai sensi del comma 3 seguente, “fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 7, chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la preventiva comunicazione prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 6, o ai sensi dell'articolo 272, comma 1, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.500 euro. È soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.500 euro, alla cui irrogazione provvede l'autorità competente, chi non effettua una delle comunicazioni previste all'articolo 273-bis, comma 6 e comma 7, lettere c) e d).”
Ai sensi poi dell’art. 269 del Dlgs. 152/06 relativo alla Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti, “1. Fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 267, commi 2 e 3, dal comma 10 del presente articolo e dall'articolo 272, commi 1 e 5, per tutti gli stabilimenti che producono emissioni deve essere richiesta una autorizzazione ai sensi della parte quinta del presente decreto.
L'autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
1-bis. In caso di stabilimenti soggetti ad autorizzazione unica ambientale si applicano, in luogo delle procedure previste ai commi 3, 7 e 8, le procedure previste dal decreto di attuazione dell'articolo 23, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, in legge 4 aprile 2012, n. 35. Le disposizioni dei commi 3, 7 e 8 continuano ad applicarsi nei casi in cui il decreto di attuazione dell'articolo 23, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, rinvia alle norme di settore, nonché in relazione alla partecipazione del Comune al procedimento.
Sono fatti salvi gli ulteriori termini previsti all'articolo 273-bis, comma 13”.
Il comma 8 del medesimo articolo, poi, stabilisce che “il gestore che intende effettuare una modifica dello stabilimento ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta, ai sensi del presente articolo, una domanda di autorizzazione. Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di autorizzazione ai sensi del presente articolo. Se la modifica è sostanziale l'autorità competente aggiorna l'autorizzazione dello stabilimento con un'istruttoria limitata agli impianti e alle attività interessati dalla modifica o, a seguito di eventuale apposita istruttoria che dimostri tale esigenza in relazione all'evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili, la rinnova con un'istruttoria estesa all'intero stabilimento. Se la modifica non è sostanziale, l'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto. Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestor e può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere successivamente”. A tale ultimo riguardo, occorre precisare che l’articolo 269 d.lgs. 152\06 dispone che per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, deve essere richiesta un'autorizzazione ed indica, dettagliatamente, i contenuti della domanda, la procedura conseguente, la messa in esercizio e la messa a regime dell'impianto ed il regime delle modifiche degli impianti autorizzati. Precisa, inoltre, che l'autorizzazione deve stabilire, per le emissioni tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e convogliamento e, per le emissioni convogliate, appositi valori limite di emissione e prescrizioni; per le emissioni diffuse, non tecnicamente convogliabili, l'autorizzazione deve stabilire apposite prescrizioni volte ad assicurarne il contenimento.
 Diversamente da quanto stabilito nell'originaria formulazione, l'articolo si riferisce ora a «stabilimenti» e non più ad «impianti», prendendo così in considerazione strutture anche complesse, come si ricava dal disposto del primo comma, laddove si specifica che l'autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento ed i singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
Ciò non significa, tuttavia, che una volta ottenuta l'autorizzazione possono essere apportate innovazioni o modificazioni dello stabilimento, perché è evidente che il titolo abilitativo viene rilasciato all'esito di un procedimento amministrativo che tiene conto della situazione esistente e non può ritenersi valido quando tale situazione sia mutata, tanto è vero che lo stesso articolo 269 impone, al comma 8, la richiesta di un'autorizzazione anche per le modifiche sostanziali (e l'effettuazione di una comunicazione per quelle non sostanziali), sanzionando penalmente l'esecuzione di modifiche sostanziali in assenza di autorizzazione e con sanzione amministrativa pecuniaria quelle non sostanziali eseguite in assenza di comunicazione (art. 279 comma 1), come peraltro è già stato fatto rilevare in una precedente decisione (Sez. 3, n. 1 5500 del 13/4/2012, Botti, Rv. 25240001).
Rispetto al predetto quadro giuridico, la sentenza dà atto di come sia emersa, a seguito di accertamenti di polizia giudiziaria, la violazione di prescrizioni di cui alla autorizzazione per le emissioni in atmosfera, che imponevano in particolare la installazione, sugli impianti di abbattimento relativi ad un depuratore, di sistemi di rilevamento e registrazione in continuo delle emissioni oltre alla copertura della seconda vasca dell’impianto di trattamento fisico chimico. Si evidenzia come le predette emissioni imponevano l’ottenimento di una nuova autorizzazione ex art. 269 comma 8 citato, mai invece rilasciata e si aggiunge che sarebbe emerso come la società Cogei, cui era preposto il ricorrente, avrebbe avviato da una parte solo alcuni degli interventi necessari e imposti sull’impianto e prima accennati, con particolare riferimento a lavori relativi all’adeguamento dell’impianto chimico fisico, in assenza della nuova autorizzazione necessaria trattandosi di modifica sostanziale che la stessa regione avrebbe reputato tale. Così perpetrandosi secondo il giudice, l’illecito di cui all’art. 279 comma 1 in relazione all’art. 269 comma 8 pure già citato. 
Appare dunque chiaro che a fronte di un capo a) di imputazione ampiamente descrittivo della complessa vicenda, in cui la violazione di prescrizioni di cui alla originaria autorizzazione alle emissioni rimanda di fatto, al di là della non corretta citazione del comma 2 dell’art. 279 citato piuttosto che 2 bis, ad aspetti amministrativi, l’unica fattispecie penale contestata e rilevata è quella di cui al combinato disposto di cui all’art. 268 9 comma 8 e 279 del Dlgs,. 152/06. Fattispecie, per quanto prima osservato, perfettamente delineatae contestata come permanente. 
Rispetto ad essa sono inammissibili le censure di cui al secondo motivo, relativo al ritenuto inconferente richiamo al comma 2 dell’art. 279 del Dlgs. 152/06 in assenza di superamenti di valori limite di emissione non citati in sentenza – per le ragioni immediatamente prima riportate circa il rilievo meramente descrittivo di tale ultima citazione; quelle di cui al terzo motivo, circa il carattere non sostanziale  dell’intervento di copertura di una vasca, trattandosi di mera valutazione di fatto, inammissibile in questa sede; quelle di cui al quarto motivo, in ordine alla contestazione, in sostanza, della  mancanza di autorizzazione, posto che a fronte di una motivazione completa circa la tipologia dell’intervento della regione Campania, sede di Napoli, limitato solo ad una autorizzazione di spesa, con assenza della autorizzazione da rilasciarsi dall’ Ufficio competente di Avellino, si oppone ancora una volta una mera rivalutazione di fatto tesa a trascurare la ricostruzione di cui alla sentenza e sopra riportata e a rivalutare i dati disponibili in maniera unilaterale. Per analoghe ragioni, ovvero per la prospettazione di argomentazioni meramente rivalutative oltre che ripetitive di censure già esaminate e confutate validamente in sentenza ( cfr. anche pag, 2 e 3)  è inammissibile il quinto motivo in ordine al capo b), con cui si  sostiene che l’impianto di depurazione interessato è di proprietà della regione Campania, e che la Cogei avrebbe immediatamente effettuato lavori urgenti di copertura di una vasca di cui al capo a) mentre restanti lavori sarebbero stati assegnati con procedura pubblica di gara ed affidati a soggetto diverso dall’imputato come tale non rimproverabile. Oltre a contestarsi la illogicità della motivazione ribadendo nuovamente assertivamente   la sufficienza delle determinazioni di spesa assunte dalla regione. 
In tale quadro è eccentrica la invocazione del vizio di travisamento delle prove sia in assenza di allegazione di tutti i dati citati a supporto, sia a fronte di una ricostruzione che, lungi dal valorizzare dati inopinabili e oggettivi, come necessario per la valida prospettazione di un tale vizio, si dilunga in una personale quanto opinabile valorizzazione dei medesimi. Si ricorda al riguardo che in tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilità del vizio di travisamento è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della prova ( cfr. in tema di prova dichiarativa, con principio valevole per ogni tipo di prova, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 (dep. 20/02/2018 ) Rv. 272406 – 01). Inoltre, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti che intende far valere, ovvero curando che l'atto sia effettivamente acquisito al fascicolo o provvedendo a produrlo in copia, non essendo sufficiente per l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto la citazione di alcuni brani dei medesimi (cfr. Sez. 4, n. 18335 del 28/06/2017 (dep. 26/04/2018) Rv. 273261 – 01 Conti; anche in motivazione, Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep. 14/03/2012 ) Rv. 252349 – 01 S.; Sez. 1, Sentenza n. 41738 del 19/10/2011 (dep. 15/11/2011 ) Rv. 251516 – 01 Longo), 
Riguardo poi al primo motivo inerente la violazione della legge processuale, per essere stata utilizzata documentazione inutilizzabile, con riguardo ad una informativa di pg e a denunzie inserite nel fascicolo dibattimentale senza consenso della difesa, deve osservarsi innanzitutto che la deduzione relativa alla informativa di pg citata in sentenza, che non sarebbe stata correttamente inserita del fascicolo dibattimentale  come da stralcio di verbale stenotipico riportato con ricorso, è inammissibile, atteso che in violazione del principio di autosufficienza del ricorso è inadeguata la mera citazione di uno stralcio di verbale, in assenza di una integrale allegazione dello stesso. Invero non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. 5, Sentenza n. 30102 del 19/04/2018 Ud.  (dep. 04/07/2018 ) Rv. 273511 – 01). L’insufficienza della allegazione si riverbera anche nel senso di impedire di stabilire la porta sulla motivazione, dell’atto ritenuto inutilizzabile, rispetto alla restante parte della sentenza, che per vero si articola anche nella citazione di una testimonianza di un teste di polizia giudiziaria e di diversi altri documenti, per cui risalta sotto tale aspetto anche la mancata considerazione in ricorso del principio secondo il quale, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 (dep. 20/02/2017) Rv. 269218 – 01 La Gumina). Considerazioni analoghe devono ripetersi quanto alla dedotta inutilizzabilità di denunzie sporte da cittadini rispetto alle quali, per vero,  neppure si fa menzione nello stralcio di verbale stenotico riportato in ricorso a corredo della eccezione. Così che appare validamente sostenuta anche la ricostruzione del reato ex art. 674  cod. pen. di cui al capo b). 
Riguardo al sesto motivo con cui si contesta la tesi della natura permanente dei reati ascritti, con relativa prescrizione alla data di pubblicazione della sentenza, e alla analoga censura di cui al settimo motivo inerente il capo b), ex art. 674  cod. pen. e la sua prescrizione, si tratta di doglianze inammissibili, posto che si rappresenta, con contestazione aperta, una condotta perdurante. In proposito, quanto al reato di cui al capo a) ex art. 279 comma 1 D.lgs.. 152/06, posta la analogia e continuità di tale fattispecie con la precedente di cui agli artt. 15 e 25, comma sesto, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto industriale) non può che ribadirsi il principio già affermato al riguardo da questa Corte per cui si tratta di un reato permanente, costituendo la modifica solo il momento iniziale della consumazione che si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo e rilascio dell'autorizzazione, ovvero sino a che l'agente non abbia ripristinato la situazione precedente. (Sez. 3, Sentenza n. 4326 del 20/12/2005 Ud.  (dep. 02/02/2006) Rv. 233301 – 01). Quanto al reato ex art. 674  cod. pen. va ribadito che il reato di getto pericoloso di cose ha di regola carattere istantaneo e, solo eventualmente, natura permanente, essendo ravvisabile la permanenza solo quando le illegittime emissioni siano connesse all'esercizio di attività economiche e legate al ciclo produttivo. (Sez. 3, Sentenza n. 1301 del 09/11/2016 Ud.  (dep. 12/01/2017 ) Rv. 269413 - 01 ). Nel caso di specie si evidenzia una perdurante emissione odorigena ed una perdurante molestia fondata su denunzie per le quali non è dato rinvenire in sentenza e tantomeno in atti allegati, in maniera documentata e chiara,  la asserita limitazione temporale al febbraio 2017, così che esse, in uno con la contestazione aperta  formulata e in assenza di confutazioni specifiche circa tale sviluppo del reato,  devono portare a stabilirne la interruzione alla data di pubblicazione della sentenza impugnata con insussistenza della invocata prescrizione. 
Quanto all’ottavo motivo per cui il ricorrente  non ricoprirebbe la carica di rappresentante legale della Cogei dal 4.2.2019 come da visura storica allegata al ricorso, che non sarebbe stata quindi considerata dal giudice, con cessazione da quel momento della permanenza a suo carico del reato, si osserva innanzitutto che non è stata fornita prova della avvenuta sottoposizione del predetto documento all’attenzione del giudice trattandosi di una mera fotocopia priva di depositato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, che impone la completa allegazione di quanto si voglia, con precisione,  dimostrare.  Così che appare corretta la configurazione del reato che, alla luce della contestazione relativa a condotta perdurante deve ritenersi persistente fino alla data di pubblicazione della sentenza al 2.2.2014. Del resto e per sola completezza si tratta di un dato documentale che alla luce di una condotta perdurante integra un mero dato di fatto riguardante il merito della complessiva vicenda affidato al giudice del tribunale e come tale sottratto ad ogni valutazione di legittimità di questa Corte. 
Con il nono motivo si sostiene che non si comprenderebbe se il reato più grave di cui al capo a) sarebbe da intendersi nella sua interezza o solo per uno dei reati ivi contestati, e si contesta che non si sarebbe proceduto alla citata riduzione per le attenuanti generiche. Inoltre rispetto alla pena base di euro 4000 il citato aumento di un terzo per la continuazione non porterebbe comunque alla pena finale di euro 6000. Quanto alla prima censura si rimanda a quanto in precedenza osservato circa la contestazione, al capo a), di una unica ipotesi di reato ex art. 279 comma 1 del Dlgs. 152/06. Quanto alle attenuanti generiche seppur non specificate nella loro riduzione, senza che alcuna censura a tale ultimo riguardo sia sollevata con il motivo qui in esame, deve ritenersi che siano state applicate, così da determinare la pena base finale pari a euro 4000 di ammenda. L’aumento per la continuazione, da intendersi, alla luce di quanto sinora rilevato sulla struttura del capo a), riferita al solo reato di cui al capo b), siccome stabilito nella misura di un terzo, deve essere corretto così da condurre alla pena finale di euro 5333,00. 
Quanto al decimo motivo, di mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio a fronte del discostamento dal minimo edittale, si rammenta che  la Suprema Corte ha stabilito che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596 - 01Denaro). Tale è il caso di specie ove è congruo il richiamo ai criteri ex art. 133  cod. pen. a fronte di un trattamento sanzionatorio inferiore al medio edittale. 
Riguardo all’undicesimo motivo, sulla mancanza di motivazione rispetto alla mancata applicazione del beneficio della non menzione esso è inammissibile, in assenza di specifica richiesta come emerge dal riepilogo delle richieste difensive finali, riportato nell’epigrafe della sentenza. 

 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza debba essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena che si ridetermina nella misura di euro 5333,00 di ammenda. Di chiarandosi inammissibile nel resto il ricorso. 
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena che ridetermina nella misura finale di euro 5333,00 di ammenda. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. 
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.