Cass. Sez. VI n. 37902 del 12 settembre 2019 (UP 22 mag 2019)
Pres. Di Stefano Est. Ricciarelli Ric. Canale
Ambiente in genere.Dirigente pubblico e reato di cui all'art. 328 c.p.

Sulla responsabilità per il reato di cui all’art. 328 c.p. del dirigente pubblico che non provvede al risanamento di un immobile di proprietà dell’ente pubblico versante in condizioni di degrado igienico-sanitario conseguente all’accatastamento di materiali e rifiuti di vario genere.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/5/2018 la Corte di appello di Messina ha confermato quella del Tribunale di Messina in data 19/1/2016, con cui S.V. e C.M., nelle rispettive qualità di Dirigente del Dipartimento Sanità e di Dirigente del Dipartimento Manutenzione immobili del Comune di (OMISSIS), sono stati riconosciuti colpevoli del delitto di cui all'art. 328 c.p. per non aver dato corso ad un intervento di risanamento dell'immobile di proprietà comunale denominato "(OMISSIS)", riconsegnato al Comune nel 2006 dopo l'utilizzo per attività di deposito e lavorazione granaglie, immobile venutosi a trovare in una condizione di degrado igienico-sanitario per effetto della decomposizione delle merci depositate e dell'accatastamento di materiali e rifiuti di vario genere, con conseguente esalazione di odori nauseabondi e dispersione nell'aria di sostanze inquinanti.

2. Ha presentato ricorso lo S. tramite il suo difensore.

2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e contraddittorietà o mancanza di motivazione, con conseguente nullità del decreto di citazione a giudizio.

Erroneamente era stata ritenuta infondata l'eccezione relativa al difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, in quanto il capo di imputazione, nel far riferimento all'omissione, aveva ad oggetto l'ipotesi di cui all'art. 328 c.p., comma 2, mentre i Giudici di merito avevano ritenuto che fosse stata contestata l'ipotesi di cui al comma 1.

Ma in tal modo era stato compromesso il diritto di difesa.

2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla genericità del capo di imputazione e alla mancata specificazione del comportamento che il ricorrente avrebbe omesso.

L'imputazione faceva riferimento al risanamento dell'immobile "(OMISSIS)", la sentenza di primo grado aveva parlato di atti finalizzati alla pulizia dello stabile e la sentenza di appello aveva fatto riferimento alla bonifica dei luoghi.

A tale discrasia corrispondeva la mancata indicazione degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto compiere, poichè il mero riferimento a competenze igienico-sanitarie si sarebbe risolto nell'espletato servizio di disinfestazione e derattizzazione, mentre il ricorrente non sarebbe stato competente in ordine alla bonifica e allo smaltimento del percolato, ove risultato tale, di pertinenza di ditte iscritte nell'albo speciale.

Quanto alla pulizia, la stessa avrebbe dovuto intendersi di competenza del Dipartimento Manutenzione stabili comunali.

2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con travisamento della prova e mancata assunzione di prova decisiva.

Era stata acquisita la nota ASP del 29/9/2011, ma non erano stati sentiti i funzionari che avevano eseguito il sopralluogo, essendosi per il resto fatto riferimento a sopralluoghi e dichiarazioni di personale non specializzato.

Contrariamente a quanto prospettato dalla Corte, la nota ASP aveva assunto rilievo decisivo e in relazione ad essa indebitamente era stata omessa l'audizione di coloro che avevano effettuato il sopralluogo o comunque non si era dato corso ad un accertamento peritale.

Non era stata effettuata la caratterizzazione del liquido e solo impropriamente si era parlato di percolato, in assenza di verifiche in ordine al superamento dei limiti stabiliti, in presenza del quale può parlarsi di natura inquinante.

Del resto la Corte aveva contraddittoriamente ritenuto che non era rilevante la portata inquinante del liquido e che peraltro contava la potenziale capacità dello stesso di ledere la salute pubblica o l'incolumità delle persone.

Non era stata dunque acquisita certezza in ordine alla natura del liquido, mentre solo in presenza di una situazione di inquinamento si sarebbe potuto parlare di pericolo per l'incolumità pubblica, situazione posta a fondamento della responsabilità del ricorrente.

2.4. Con il quarto motivo deduce omessa valutazione di prova decisiva.

Il G.I.P. in sede di udienza preliminare, aveva acquisito una relazione a firma del Dott. L.D., nella quale si chiarivano le competenze del Dipartimento alla Sanità, escludendosi che le stesse operassero nel caso di specie.

La Corte aveva affermato che non era dato rinvenire alcuna nota, mentre il documento era confluito nel fascicolo del dibattimento, essendone stata chiesta l'acquisizione.

2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata valutazione della memoria difensiva depositata in primo grado.

La Corte aveva escluso che fosse ravvisabile la violazione denunciata, a fronte della motivazione formulata dal primo Giudice, e comunque aveva sottolineato che spettava alla stessa Corte di colmare eventuali lacune.

Ma in realtà la mancata valutazione della memoria impedisce alla parte di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo, ciò che può essere dedotto come causa di nullità del provvedimento impugnato.

2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al ruolo del Sindaco.

Erroneamente la Corte aveva affermato che il Sindaco avrebbe potuto intervenire residualmente per le emergenze sanitarie, mentre in realtà su di lui sarebbe primariamente gravato l'obbligo di adottare ordinanze contingibili e urgenti a sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54 (T.U.E.L.).

Del resto nessun Dipartimento avrebbe da solo potuto fronteggiare la situazione, atteso il costo dell'opera di bonifica, come confermato dall'Assessore A..

In particolare avrebbero dovuto intervenire l'ATO 3 e Messinaambiente, cui il ricorrente si era peraltro rivolto, senza ottenere alcun riscontro.

Proprio in tale situazione il Sindaco avrebbe dovuto dunque intervenire con i necessari atti di impulso per la soluzione del problema.

2.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al dolo La Corte aveva attribuito al ricorrente di aver continuato a declinare la propria competenza, a fronte della nota dell'Assessore A..

Ma in realtà sarebbe occorso che il ricorrente avesse consapevolezza del proprio contegno omissivo, volendo la realizzazione di un evento contra ius, senza che il diniego potesse trovare giustificazione.

Nel caso di specie vi sarebbe stato bisogno che lo S. fosse assegnatario di fondi necessari, essendo certo che il Dipartimento non disponeva della somma occorrente.

D'altro canto il ricorrente rievoca le note da lui redatte nel corso del 2011, che implicavano il coinvolgimento di altri settori e chiedevano l'intervento di ATO e di Messinambiente, che avevano un ruolo chiave, dovendosi dunque escludere che il predetto si fosse deliberatamente e ingiustificatamente astenuto dal compiere atti doverosi.

2.8. Con l'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato rilievo che la condanna era intervenuta in concorso con l'arch. C., sebbene tale aspetto non fosse contestato.

La Corte aveva parlato di intervento da realizzare in sinergia e di comune accordo, mentre nell'imputazione si era prospettato che il reato sarebbe stato commesso da entrambi gli imputati che avrebbero omesso di adottare atti volti a risanare l'immobile.

In realtà la condanna era stata pronunciata nel presupposto del concorso tra i due imputati ai sensi dell'art. 110 c.p., ciò che aveva comportato un vulnus alla possibilità per il ricorrente di difendersi anche in tale prospettiva.

2.9. Con il nono motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.

La Corte avrebbe dovuto tenere del comportamento processuale del ricorrente e del fatto che egli si era attivato nel corso degli anni per porre rimedio a molteplici problemi inerenti al proprio ufficio.

Inoltre avrebbe dovuto riconoscersi al ricorrente l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 5.

2.10. Con il decimo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al computo della prescrizione.

Erroneamente era stata computata una sospensione del termine di due mesi, conseguente a rinvii per impedimento, in realtà chiesti dal coimputato e non imputabili al ricorrente.

Inoltre la decorrenza del reato avrebbe dovuto farsi coincidere al più con la data del 3/9/2009, in cui il ricorrente aveva assunto il ruolo di Dirigente.

3. Ha presentato ricorso la C. tramite il suo difensore.

3.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 178 e 521 c.p.p..

La Corte aveva erroneamente respinto la doglianza riguardante il difetto di correlazione tra quanto contestato e quanto ritenuto, posto che l'imputazione era riferita ad una condotta omissiva riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 328 c.p., comma 2, mentre la condanna era stata pronunciata per quella di cui all'art. 328 c.p., comma 1, essendosi indebitamente ritenuto che tale fattispecie fosse stata implicitamente contestata.

3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 125 c.p.p., art. 111 Cost., artt. 43,47,328 c.p., art. 530 c.p.p..

Nessuna richiesta o diffida era stata rivolta alla ricorrente nel periodo in cui la stessa aveva ricoperto le funzioni di Dirigente del Dipartimento Manutenzione immobili comunali.

Allorchè la ricorrente aveva avuto contezza delle precarie condizioni dell'immobile "(OMISSIS)", si era attivata, con la lettera del 2/8/2011, in cui aveva segnalato l'incompetenza, informato i dipartimenti competenti, rilevato la mancanza di personale idoneo, sollecitato l'intervento del Dipartimento sanità, anche tramite l'ATO 3.

La ricorrente aveva anche disposto un sopralluogo e fatto eseguire un preventivo per l'attività di campionamento dei rifiuti.

Non si sarebbe dunque potuto parlare di inerzia della predetta, a prescindere dal mancato raggiungimento dell'obiettivo.

La Corte era incorsa nel travisamento delle risultanze processuali, costituite dalle deposizioni dei testi Sa., M., B., V., A., s., Mi., I. e Ca., di cui sono riportati nel motivo di ricorso estrapolazioni delle relative deposizioni, attestanti le difficoltà operative e finanziarie e il tipo di interessamento della ricorrente: d'altro canto il travisamento avrebbe potuto essere dedotto in un caso in cui entrambe le sentenze di merito non trovavano corrispondenza nel compendio probatorio acquisito.

Si sarebbe dovuto dunque ritenere che la ricorrente si fosse attivata e che comunque fosse assente il dolo, in quanto la predetta non si era rappresentata e non aveva voluto la realizzazione di un evento contra ius, omettendo consapevolmente una condotta doverosa, ma si era rappresentata l'incompetenza del suo Dipartimento e aveva assunto le uniche iniziative che le erano consentite, con la citata missiva, con il disposto sopralluogo e con la muratura delle finestre prospiecienti via (OMISSIS).

La Corte aveva invece ipotizzato un rimpallo di competenze, ma in realtà ciò non aveva trovato riscontro, essendo emerso che anche l'imputato S. aveva affermato di essersi attivato, avanzando richiesta all'ATO 3 e a Messinambiente.

Inoltre entrambi gli imputati avevano interagito organizzando un tavolo tecnico.

3.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge in relazione all'art. 157 c.p..

Si sarebbero dovuti retrodatare l'accertamento e l'epoca dell'effettiva condotta, con conseguente riconoscimento del decorso del termine di prescrizione.

4. Nell'interesse di C.M. è stata depositata una memoria con un motivo nuovo e allegati.

Si ribadiscono i temi riguardanti l'incompetenza del Dipartimento di cui la ricorrente era Dirigente e i limiti in cui la stessa avrebbe potuto intervenire in assenza di risorse idonee nel suo Piano esecutivo di gestione.

Si rileva che la manutenzione ordinaria e straordinaria avrebbe dovuto essere intesa come svincolata da profili di natura igienico-sanitaria e si osserva che la pulizia giornaliera degli immobili non era assimilabile ad attività straordinaria, comunque presupponendo l'attuale utilizzo, mentre nel caso di specie l'immobile era in stato di abbandono.

Si rileva che la ricorrente aveva costantemente goduto di fiducia, come dimostrato da plurime determinazioni sindacali.

Si osserva infine che eventuali responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257 avrebbero potuto far carico sul Sindaco ovvero sul locatario dell'immobile, fermo restando che gravava sul responsabile del Dipartimento Patrimonio verificare la presenza di merci e attrezzature e sanzionare l'omesso smaltimento all'atto della riconsegna.

Erroneamente dunque erano stati ravvisati a carico della ricorrente la sussistenza del reato e il connesso elemento psicologico.


 CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I due ricorsi sono nel loro complesso infondati e devono essere rigettati.

2. I primi due motivi del ricorso nell'interesse di S. e il primo motivo nell'interesse di C. sono manifestamente infondati.

2.1. La mera lettura dell'imputazione rende palese come non fosse stata contestata agli imputati l'ipotesi di reato di cui al all'art. 328 c.p., comma 2, che viene in rilievo residualmente, nei casi di specifica richiesta, accompagnata da diffida ad adempiere (Cass. Sez. 6, n. 10595 del 23/1/2018, Stancampiano, rv. 272718), cui entro trenta giorni non segua l'atto dell'ufficio o la spiegazione delle ragioni del ritardo.

Al contrario la contestazione era incentrata sul mancato intervento a fronte di una situazione di degrado igienico sanitario e di pericolo per la pubblica incolumità e dunque evocava una situazione a cui avrebbe dovuto corrispondere la dovuta attivazione dei pubblici ufficiali preposti, la cui omissione indebita avrebbe dovuto equipararsi, secondo una pacifica e costante interpretazione, al rifiuto menzionato dall'art. 328 c.p., comma 1, che non richiede comunque una manifestazione di volontà solenne e formale (Cass. Sez. 10051 del 20/11/2012, Nolè, rv. 255717).

Corrispondentemente deve escludersi qualsivoglia difetto di correlazione tra contestazione e sentenza.

2.2. D'altro canto la valutazione dei Giudici di merito è stata correlata da un lato alla veste di ciascun imputato e al quadro di competenze ad essi riferibile e dall'altro alla necessità di rimuovere la situazione di degrado e di pericolo, descritta nel capo di imputazione e accertata in punto di fatto, essendo stata in concreto addebitata, come puntualmente rilevato anche nella sentenza impugnata, la mancata concreta attivazione per la rimozione dei rifiuti e per il risanamento o bonifica dell'area.

Non è in tale prospettiva ravvisabile neppure la originaria genericità dell'imputazione in relazione all'indicazione degli atti dovuti, fermo restando che non consta che gli imputati avessero tempestivamente eccepito tale vizio in limine litis, come semmai doveroso, venendo in rilievo una nullità relativa (sul punto Cass. Sez. U. n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, non massimata sul punto; Cass. Sez. 5, n. 28512 del 14/5/2014, Novara, rv. 262508).

E' certo comunque che i Giudici di merito si sono pronunciati senza oltrepassare il perimetro delineato dall'imputazione.

2.3. Deve inoltre rilevarsi che è del tutto generica la deduzione difensiva esposta nel secondo motivo di S., secondo cui gli atti doverosi sarebbero stati diversamente descritti nell'imputazione e nelle due sentenze di merito, quando, come già rilevato, il contenuto essenziale dell'accusa e il fondamento della riconosciuta penale responsabilità dei ricorrenti riposano sulla mancata effettiva attivazione per un intervento di rimozione e risanamento o bonifica dell'area, attivazione da declinare in base alle rispettive competenze dei due imputati.

2.4. Inoltre non attiene ai profili in esame l'ulteriore deduzione riguardante la sufficienza, quanto alle competenze dello S., dell'effettuato intervento di disinfestazione e derattizzazione, unico asseritamente riconducibile alle competenze igienico-sanitarie a lui attribuite.

Si tratta invero di deduzione che, come quella riferita all'intervento di pulizia gravante sulla C., non inerisce alla contestazione, ma al contenuto delle competenze, ravvisate dai Giudici di merito per giungere ad affermare la responsabilità penale del ricorrente.

3. Il terzo motivo del ricorso di S. è manifestamente infondato e in larga misura aspecifico.

3.1. In primo luogo deve rimarcarsi che la Corte, anche alla luce delle richiamate valutazioni del primo Giudice, ha dato ampiamente conto della grave situazione di degrado, con ricadute sul profilo igienico-sanitario e della pubblica incolumità, che alla luce delle segnalazioni provenienti dal limitrofo condominio e degli accertamenti effettuati dalla polizia municipale e dall'ASP di (OMISSIS) si era registrata presso l'immobile denominato "(OMISSIS)", situazione caratterizzata da miasmi e liquame proveniente dal processo di decomposizione dei residui di granaglie, che erano lavorate in quel luogo fino al 2006.

Sul punto è stato sottolineato dalla Corte come al di là della mancata specifica caratterizzazione mediante analisi del liquame, la natura dello stesso e il suo derivare dalla putrefazione delle granaglie erano emersi da una pluralità di elementi, documentali e testimoniali: è stata menzionata una nota a firma del Dott. B. del 28 settembre 2011 in cui si parlava di putrefazione di granaglie; altra nota dello stesso funzionario, in cui si faceva riferimento a miasmi e gas sprigionati dalla fermentazione dei residui di grano e frumento; un'annotazione di servizio riferita a sopralluogo dell'agosto 2011 in cui si precisava che dal piano superiore proveniva liquido scuro, probabilmente costituito da percolato derivante da residui in decomposizione; la testimonianza di Sa., che ha parlato di fuoriuscita del liquido dalle fenditure dello stabile, per escludere che potesse trattarsi genericamente di acqua, come poi confermato dal fatto che il liquame aveva continuato a scendere anche dopo che le finestre erano state murate; la testimonianza di M., che ha parlato del fetore, dovuto alla fermentazione dei residui, rimasti nei silos, sottolineando che per terra c'era del frumento insieme a questi liquami putrescenti; l'informativa di P.G. nella quale a corredo di eloquenti fotografie si parlava di liquido dal forte cattivo odore.

3.2. D'altro canto è stato dato conto del fatto che l'amministrazione era stata posta a conoscenza della situazione, tanto che nella nota del 25 luglio 2011 dello S., responsabile del Dipartimento Sanità, diretta anche al Dipartimento Manutenzione immobili, si parlava di merci in decomposizione, circostanza emergente anche dalla nota di risposta della C. del 2 agosto 2011, fermo restando che nella nota, cruciale nell'ambito del presente processo, dell'Assessore A. del 5 agosto si faceva riferimento al paventato pericolo per la salute pubblica.

3.3. In tale quadro è stata valorizzata dal primo Giudice anche la nota dell'ASP di Messina del 29/9/2011, menzionata in una nota del Dipartimento Sanità del 5/10/2011, nella quale si parlava di condizioni di degrado ambientale e di potenziale pericolo per la salute dei residenti delle aree limitrofe.

3.4. Alla luce di tali elementi è in primo luogo corretto l'assunto della Corte, secondo cui la nota del 29/9/2011, da ultimo citata, non ha assunto un ruolo decisivo, ma ha contribuito con gli altri elementi a delineare la situazione di degrado e di pericolo che si trattava di fronteggiare.

In secondo luogo risulta tutt'altro che carente o illogica la valutazione della stessa Corte in ordine all'idoneità delle prove acquisite e sopra riassunte a dar conto della situazione, anche in assenza di uno specifico referto analitico, essendo stati forniti elementi inequivocamente idonei a rappresentare la natura e la provenienza del liquame e ad escludere che potesse trattarsi genericamente di acqua sporca.

In terzo luogo deve ritenersi inconferente la verifica delle caratteristiche specifiche del liquame, onde apprezzarne puntualmente la carica inquinante, in quanto la provenienza dello stesso da merci putrescenti costituiva di per sè, come correttamente rilevato dalla Corte, una fonte di pericolo, tale da imporre urgenti interventi destinati a rimuoverlo, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, per l'evidente rischio che le persone fossero raggiunte non solo dai miasmi, ma anche da infezioni, la cui diffusione avrebbe potuto essere propiziata anche dalla segnalata proliferazione di insetti.

In quarto luogo non ha alcun fondamento l'assunto difensivo dell'inutilizzabilità della nota del 29 settembre 2011, surrichiamata, in assenza della diretta audizione dei funzionari che avevano effettuato il sopralluogo, giacchè l'utilizzabilità va correlata alle caratteristiche ontologiche dello strumento acquisitivo e del dato probatorio, che nel caso di specie aveva avuto legittimamente ingresso nel processo, senza che sul punto siano state formulate specifiche censure.

D'altro canto la concreta valenza probatoria del dato documentale è stata correttamente inquadrata, nel contesto di tutte le risultanze acquisite, nell'ambito di un giudizio sul punto coerente e giuridicamente corretto.

3.5. A fronte di ciò le doglianze difensive si risolvono nella generica riproposizione di temi esaminati sia dal Tribunale sia dalla Corte, senza alcuno specifico confronto con gli argomenti spesi nella sentenza impugnata per dar conto della natura e provenienza del liquame e della sua conseguente rilevanza.

Tali doglianze risultano comunque manifestamente infondate nella parte in cui si assume la necessità della verifica analitica del liquame, onde poterlo definire correttamente percolato - fermo restando che nel caso di specie non veniva in rilievo una discarica e il percolato da essa derivante -, e nella parte in cui, come rilevato, si deduce l'inutilizzabilità della nota del 29/9/2011.

4. Il quarto motivo del ricorso di S. è inammissibile per genericità.

E' stato invocato un documento, relativo ad una relazione a firma del Dott. L.D.: la Corte ha sostenuto che lo stesso non è contenuto nel fascicolo, mentre il ricorrente ha dedotto che la presenza avrebbe dovuto desumersi dal fatto che ne era stato chiesto l'inserimento nel fascicolo del dibattimento dinanzi al Giudice dell'udienza preliminare.

Ma si tratta di deduzione generica in quanto non corredata dall'indicazione specifica della collocazione del documento all'interno del fascicolo per il dibattimento, essendo irrilevante che la relazione a firma del Dott. L.D. esista e sia stata allegata al ricorso, giacchè non è consentito alla Corte di cassazione il diretto esame di un documento, se non nei limiti del riscontro formale di un dato di cui sia stata omessa la valutazione, peraltro implicante la previa effettiva acquisizione, nel caso di specie non idoneamente attestata.

5. Il quinto motivo del ricorso dello S. è generico e manifestamente infondato.

E' stata dedotta la mancata valutazione di una memoria difensiva depositata nel corso del Giudizio di primo grado ed è stata in conseguenza eccepita la nullità della sentenza.

Il rilievo è generico, in quanto non si specificano i passi di cui sarebbe stata omessa la valutazione, a fronte di quanto osservato dalla Corte, secondo cui il primo Giudice aveva in realtà esaminato le argomentazioni difensive.

Ma il rilievo è anche manifestamente infondato, in quanto l'omessa valutazione di una memoria può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione, ma non determina alcuna nullità (sul punto Cass. Sez. 2, n. 14975 del 16/3/2018, Tropea, rv. 272542; Cass. Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. nel 2016, Graziano, rv. 267561).

6. Il sesto motivo del ricorso S. è manifestamente infondato.

Si assume che in forza del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54 il Sindaco avrebbe dovuto esercitare il suo potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare la situazione di pericolo, a fronte delle difficoltà emerse, in ragione dell'indisponibilità di risorse finanziarie in capo ai singoli Dipartimenti e del vano sollecito rivolto all'ATO 3 a Messinaambiente s.p.a..

Si tratta di deduzione che potrebbe dirsi al più idonea a far emergere un profilo aggiuntivo di responsabilità, ma che non varrebbe in alcun modo ad escludere l'originaria responsabilità dei dirigenti dei Dipartimenti in varia guisa coinvolti, in base al riparto di competenze desumibile dal regolamento comunale, anche alla luce della nota del 5 agosto 2011 dell'Assessore A..

Ed invero, ferma restando la necessità di porre rimedio al pericolo riveniente dallo stato di degrado dell'immobile "(OMISSIS)" di proprietà del Comune di Messina, avrebbe dovuto comunque provvedersi da parte dei responsabili dei Servizi competenti, salva la possibilità di un intervento suppletivo atipico da parte del Sindaco, in specie se destinato a coinvolgere soggetti terzi.

Ma nella sentenza impugnata si dà conto invece della mancata attivazione dei due ricorrenti, pur gravati dal relativo obbligo, implicante un intervento in sinergia dei due Dipartimenti, anche al fine della condivisione del relativo sforzo finanziario, come del resto prospettato fin dall'inizio nella nota dell'Assessore A..

La doglianza difensiva risulta dunque del tutto inidonea a vulnerare il ragionamento della Corte.

7. Il settimo motivo del ricorso S. è infondato.

7.1. Il ricorrente, quale responsabile del Dipartimento Sanità, era competente fra l'altro in materia di interventi igienico-sanitari, tutela del territorio dall'inquinamento, tutela dell'ambiente, ecologia, scarichi civili, randagismo, gestione discariche.

A fronte di ciò, è stato sottolineato come con nota del 25 luglio 2011 il predetto avesse declinato ogni competenza, facendo riferimento allo svuotamento dei locali dalle merci in decomposizione, materia ritenuta non rientrante tra le attribuzioni del Dipartimento salvo un intervento di disinfestazione e derattizzazione.

Ma è stato dato conto anche del fatto che con nota del 5 agosto 2011 l'Assessore A. aveva fatto rimarcare la competenza sia del Dipartimento Sanità sia del Dipartimento Manutenzione Stabili, diretto dalla ricorrente C., segnalando al riguardo il pericolo per la salute pubblica e invitando i responsabili dei due Dipartimenti ad operare congiuntamente, avvalendosi anche dell'ausilio di ATO ME 3 s.p.a., anche in considerazione del fatto che la congiunta azione avrebbe consentito di risolvere il problema finanziario.

Di seguito la situazione di degrado era stata ulteriormente confermata e riscontrata, ma in data 5 ottobre 2011 lo S. aveva nuovamente declinato la propria competenza, pur avendo assicurato il servizio di derattizzazione.

7.1. A fronte di ciò deve in primo luogo sottolinearsi l'assoluta inconferenza del servizio di derattizzazione, a fronte della perdurante presenza del fattore che aveva prodotto il liquame e il connesso stato di degrado.

D'altro canto, se è vero che ben avrebbe potuto e dovuto essere coinvolto l'ATO 3, non è stato in alcun modo chiarito nè precisato nel ricorso in che modo tale coinvolgimento fosse stato richiesto e poi concretamente attivato, non essendo al riguardo bastevole la mera osservazione che tale soggetto non avesse dato alcun riscontro.

Il tema della disponibilità dei fondi necessari alla realizzazione di un efficace intervento non è idoneo a fornire al ricorrente una valida scusante, in quanto fin dall'inizio l'Assessore A. aveva previsto la necessità di un'azione congiunta volta a sopperire, con l'ausilio dell'ATO 3 ME, anche quel tipo di problematica.

In concreto dunque viene in rilievo la duplice presa di distanza dello S. da un proprio coinvolgimento nell'intervento di risanamento e bonifica, non compensato in alcun modo da forme alternative e parimenti efficaci di interessamento concreto per la soluzione del problema, essendosi dato conto di un tavolo tecnico, risoltosi in un'unica seduta, che neppure aveva dato luogo a specifica verbalizzazione e dalla quale non era emersa alcuna concreta soluzione.

7.3. Sta di fatto che quella duplice presa di distanza era del tutto ingiustificata.

In senso contrario deponeva infatti proprio la nota dell'Assessore A., che aveva esplicitamente evocato il pericolo per la salute pubblica e la conseguente necessità di un intervento che coinvolgesse entrambi i Dipartimenti.

Va invero sul punto sottolineato come il vigente regolamento comunale con riguardo al Dipartimento Manutenzione Immobili prevedesse fra l'altro una competenza in materia di gestione dell'attività di ordinaria o straordinaria manutenzione degli stabili comunali, nonchè in materia di gestione della pulizia degli stabili comunali a mezzo di maestranze interne o tramite affidamento all'esterno.

Se dunque ben può dirsi, come si avrà modo di ribadire, che era coinvolta nella vicenda la concreta pulizia di un immobile comunale, tuttavia era prima di tutto rilevante il profilo igienico-sanitario, specificamente rientrante nelle competenze del Dipartimento Sanità, che, tanto più alla luce della nota dell'Assessore A., avrebbe dovuto attivarsi per eliminare efficacemente quel pericolo, senza poter contare sul parallelo obbligo di attivazione gravante su altro Dipartimento, se non nella misura di una sinergia operativa, rilevante anche sotto il profilo finanziario.

D'altro canto non viene in rilievo la specifica competenza tecnica ad operare, non essendo richiesto al ricorrente di provvedere personalmente con gli impiegati del suo Dipartimento ad eliminare fisicamente i rifiuti giacenti nell'immobile degradato, ma essendo necessario che il ricorrente, competente per la gestione dei profili inerenti sia alla sanità sia all'inquinamento, creasse le condizioni operative per la concreta attivazione, congiuntamente con l'altro Dipartimento, dei soggetti chiamati ad intervenire sul campo, per rimuovere un pericolo coinvolgente la salute pubblica.

Di qui la necessità di un confronto tecnico e operativo, coinvolgente anche l'ATO 3, destinato ad assicurare la predisposizione di un programma di interventi urgenti, ciò di cui, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, non è risultata alcuna traccia, essendo stata invece definitivamente e del tutto inopinatamente ribadita dallo S. in data 5/10/2011 la propria incompetenza, affermazione invero dissonante rispetto al concreto ed espresso coinvolgimento della tutela della salute pubblica.

7.4. In tale quadro correttamente la Corte ha ribadito il giudizio del Tribunale in ordine non solo all'attribuzione allo S. di un'indebita inerzia, ma anche alla piena coscienza e volontà di sottrarsi ad un intervento necessario e urgente.

Proprio in base alle competenze del Dipartimento infatti sarebbe stato compito dello S. di occuparsi di sanità e di interventi igienico-sanitari.

Corrispondentemente egli avrebbe dovuto intervenire per fronteggiare il pericolo riguardante proprio la sanità pubblica, a prescindere dalle specifiche modalità con le quali lo stesso si era prodotto.

In altre parole, a qualificare il suo dovere di intervento era nel caso di specie la necessità di operare per la tutela di un determinato bene, a prescindere dall'atipicità della situazione, coinvolgente se del caso anche altri Dipartimenti.

7.5. In tale prospettiva deve ritenersi corretto il giudizio della Corte in merito alla piena consapevolezza da parte dello S. del proprio contegno omissivo, confrontato con la natura del pericolo, nel presupposto che egli, pur negando la propria competenza, si fosse rappresentato in realtà quel tipo di pericolo, evocato dalla nota dell'Assessore A. e non smentito, ma semmai ribadito, da ultimo con la stessa nota dell'ASP del 29/9/2011, allegata a quella dello S. del 5/10/2011, pericolo la cui persistenza ingiustificata costituiva di per sè quell'evento contra ius, che forma oggetto del dolo nel delitto di rifiuto di atti d'ufficio (per la condivisibile affermazione della necessità che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento "contra ius", senza che il diniego trovi alcuna plausibile giustificazione, Cass. Sez. 6, n. 36674 del 22/7/2015, Martin, rv. 264668; Cass. Sez. 6, n. 51149 del 9/4/2014, Scopelliti, rv. 261415).

D'altro canto non sono emerse valide giustificazioni, a fronte della necessità di un intervento congiunto, non potendosi neppure prospettare che il ricorrente si fosse comunque idoneamente attivato, essendo stati al riguardo indicati solo generici contatti, culminati tuttavia nella ribadita radicale declinazione della competenza, a fronte del persistente pericolo.

Ed è inoltre evidente che la materia degli interventi igienico-sanitari non avrebbe potuto risolversi nella mera inclusione della disinfestazione e derattizzazione.

Di qui l'infondatezza del motivo di ricorso.

8. L'ottavo motivo è inammissibile, perchè manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto dedotto, i Giudici di merito non hanno pronunciato condanna dei due imputati in quanto responsabili in concorso tra loro, ma hanno rilevato come entrambi fossero gravati da un proprio obbligo di intervento, cui si erano sottratti, omettendo in particolare di agire sincronicamente per far fronte al pericolo che implicava sollecitudine.

Si tratta dunque di condotte omissive che in concreto hanno parimenti propiziato l'evento contra ius ma non nel presupposto della consapevolezza e volontà da parte di ciascuno - sia pur senza previo concerto - della condotta del preteso concorrente, situazione corrispondente a quella del concorso di persone (si rinvia a Cass. Sez. U. n. 31 del 22/11/2000, dep. nel 2001, Sormani, rv. 218525, per l'affermazione che "in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro").

Conseguentemente è del tutto infondato l'assunto di un difetto di correlazione con la contestazione.

9. Il nono motivo è inammissibile, perchè volto a sollecitare un diverso giudizio di merito, in assenza della specifica deduzione dell'arbitrarietà della valutazione della Corte in ordine al diniego delle attenuanti generiche.

Ed invero nel motivo si fa riferimento al preteso comportamento processuale ed al fatto che egli si era attivato nel corso degli anni per porre rimedio a molteplici problemi dell'ufficio, ma all'evidenza si tratta di prospettazioni generiche, che non individuano fratture logiche nel ragionamento della Corte, che si è fondato sul rilievo della persistenza della condotta omissiva, a fronte della perdurante situazione di degrado, tale da legittimare un giudizio di immeritevolezza di un trattamento sanzionatorio meno rigoroso.

Del tutto generica, oltre che del tutto priva di concreto fondamento, risulta infine la richiesta di applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 5.

10. Sul tema della prescrizione, oggetto del decimo motivo, si tornerà, allorchè si esaminerà il terzo motivo del ricorso della C..

11. Il secondo motivo del ricorso della C. è infondato e per larghi tratti inammissibile.

11.1. Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte ha sottolineato sulla base di nitidi dati probatori come la predetta avesse piena contezza della situazione di degrado dell'immobile "(OMISSIS)" almeno dalla fine di luglio del 2011 e come nel contempo sapesse che si trattava di rimuovere materiale e liquame proveniente da residui di merci in decomposizione.

A fronte della nota del responsabile del Dipartimento Sanità, la ricorrente in data 2/8/2011 aveva segnalato di non aver competenza in materia, occupandosi di manutenzione ordinaria e straordinaria di stabili comunali.

La circostanza che il Dipartimento non disponesse di personale idoneo non avrebbe potuto valere a giustificare il suo omesso proficuo intervento, a fronte delle chiare indicazioni rivenienti dalla nota dell'Assessore A. del 5 agosto 2011, in cui era stata segnalata la concomitante competenza dei due Dipartimenti, chiamati ad operare in sinergia con l'ausilio dell'ATO 3 ME.

11.2. A fronte di ciò, è stato dato conto della generica attivazione di un tavolo tecnico, la cui seduta non era stata verbalizzata e non aveva prodotto alcun risultato e soprattutto non era stata seguita dalla programmazione di alcun intervento.

Inoltre è stato fatto riferimento ad un sopralluogo, in realtà effettuato al mero scopo della predisposizione di un preventivo per lo svolgimento di un'attività di caratterizzazione del tipo di rifiuto, senza che peraltro fossero seguite iniziative concrete.

La stessa C. aveva segnalato l'opportunità di attendere la scadenza del termine assegnato nell'apposito bando per la presentazione di offerte di acquisto dell'immobile, nel quale si prevedevano oneri per l'opera di risanamento.

Ma alla data del 14/10/2011, cioè alla scadenza di tale termine, secondo la ricostruzione del primo Giudice, avvalorata dalla Corte, non erano risultate offerte, senza che a ciò avesse fatto seguito alcuna concreta iniziativa da parte della C..

Analogamente, sulla base dell'analitica ricostruzione dei Giudici di merito, deve rilevarsi come fosse stato dato corso esclusivamente alla muratura delle finestre dell'immobile, intervento risultato privo di concreti effetti positivi, secondo quanto emerso all'esito di un successivo sopralluogo, di cui è stato dato conto in motivazione.

11.3. Sta di fatto che sulla C. gravava l'obbligo di curare le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria e di curare altresì la pulizia anche con maestranze esterne.

Si tratta di una competenza che nel caso di specie valeva a specificare l'ambito di intervento, reso particolarmente necessario dalla situazione di degrado dell'immobile e dalla presenza dei residui in putrefazione, da cui derivavano odori nauseabondi e liquame.

Nè avrebbe potuto opporsi la mancanza di personale idoneo, in quanto il compito della pulizia veniva ad inscriversi all'interno di un perimetro di interventi sincronicamente esigibili dai due Dipartimenti, che avrebbero dovuto coordinarsi attraverso un tavolo tecnico con il coinvolgimento dell'ATO 3 ME.

D'altro canto anche nel caso della C. è stato genericamente fatto riferimento alle sollecitazioni rivolte all'ATO 3, ma senza alcuna precisazione in ordine al tipo di richieste formulate e alle ragioni del mancato concreto intervento, in sinergia con il Dipartimento Sanità.

Ed allora deve rilevarsi che correttamente su tali basi la Corte ha concluso che la ricorrente aveva omesso di provvedere, nonostante la situazione di degrado, implicante di per sè anche e in primo luogo un lavoro di pulizia manutentiva, sia pur da svolgere in sinergia, non potendosi considerare idonei ad assicurare il risultato dell'eliminazione della situazione di degrado e di pericolo interventi di minima rilevanza, comunque diversi da quelli riguardanti l'eliminazione del materiale in decomposizione e il risanamento dell'immobile.

Deve aggiungersi che a nulla rileva l'eseguito sopralluogo, funzionale alla redazione del preventivo per la successiva attività di caratterizzazione, che costituiva in realtà un passaggio specifico per lo svolgimento dell'attività di rimozione, ma che parimenti risulta essere rimasta inattuata.

11.4. Immune da vizi risulta dunque la conclusione della Corte in ordine alla concreta configurabilità in capo alla ricorrente del dolo, sul rilievo che la predetta, consapevole della situazione di degrado, tale da richiedere interventi urgenti, ha omesso di dar corso alle misure necessarie, in sinergia con il Dipartimento Sanità, pur non potendo in alcun modo accampare giustificazioni nè sul versante delle risorse finanziare e della disponibilità di personale idoneo nè sul versante dell'effettiva competenza, che era stata sancita dalla nota dell'Assessore A., cui la ricorrente aveva fatto seguire interventi in realtà non corrispondenti a quelli esigibili e necessari.

Anche nel caso della C. vale dunque il rilievo della sua coscienza e volontà di un evento contra ius, non potendosi intendere come realmente volti a scongiurare il pericolo le attività, prive di reale significato, compiute dalla ricorrente e dovendosi nel contempo escludere la possibilità di un errore sul fatto, correlato all'individuazione della propria competenza, che in realtà la congiunta valutazione del regolamento comunale e della nota dell'Assessore A. conclamavano.

11.5. Coerente in tale prospettiva risulta l'osservazione della Corte in ordine al fatto che si era registrato un indebito rimpallo di competenze tra i responsabili dei due Dipartimenti, quando in realtà la situazione, in relazione al tipo di pericolo e alla tipicità dei compiti, reclamava un immediato intervento, che entrambi i responsabili si erano indebitamente rifiutati di effettuare.

11.6. Inammissibile risulta il motivo di ricorso nella parte in cui deduce un travisamento di varie prove testimoniali.

Ed invero, al di là dei limiti di deducibilità del vizio in caso di doppia conforme pronuncia di merito, è dirimente la circostanza che sono stati riportati con riferimento alle testimonianze di Sa., M., B., V., A., s., Mi., I. e Ca. frammenti delle deposizioni, ma senza alcuna verifica della rilevanza di quei passaggi in relazione al significato attribuito dai Giudici di merito a quelle testimonianze, nel quadro del complessivo apprezzamento delle prove, non essendo stata dunque fornita la prova rigorosa dell'effettiva decisività di quei passaggi al fine di disarticolare la ricostruzione della Corte (in ordine al carattere di decisività si rinvia a Cass. Sez. 4, n. 35683 del 10/7/2007, Romis, rv. 237652).

In concreto il motivo si risolve nella mera analisi delle prove in funzione di un diverso giudizio di merito riguardante alcuni dei temi affrontati nel corso del dibattimento, come quelli relativi alle difficoltà operative e finanziarie o al tipo di interessamento della ricorrente, con riguardo ai quali la Corte ha non illogicamente formulato le sue valutazioni: si tratta dunque all'evidenza di motivo non consentito, in assenza di vizi deducibili in sede di legittimità.

12. Quanto ai motivi aggiunti della ricorrente C. è agevole osservare che gli stessi ribadiscono il medesimo tipo di rilievi già esaminati in ordine all'incompetenza del Dipartimento e ai limiti di intervento consentiti alla ricorrente.

Deve inoltre rilevarsi che risultano generiche sia le indimostrate asserzioni riguardanti il modo di intendere, in base al regolamento comunale, la pulizia degli stabili sia quelle riguardanti la nozione di manutenzione ordinaria e straordinaria, in ordine alla quale è stato solo assertivamente affermato che non sarebbe prevista alcuna azione di natura igienico-sanitaria (invero inclusa nella stessa nozione di pulizia) e che dovrebbe invece aversi riguardo alla nozione stabilita per gli interventi edilizi, quando in realtà il regolamento comunale attribuisce al Dipartimento più in generale tutta l'attività riguardante la manutenzione ordinaria e straordinaria.

E' parimenti irrilevante il riferimento alle responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257, che concerne, in presenza di determinati presupposti, gli interventi di bonifica, essendo infine del tutto inconferente la circostanza che la presenza di residui di granaglie fosse dipesa da un originario mancato controllo al momento della cessazione della precedente locazione e della nuova presa in carico dell'immobile da parte del Comune proprietario, per il tramite del Dipartimento Patrimonio.

Non assume infine rilievo la circostanza che la ricorrente fosse considerata soggetto meritevole di considerazione per l'affidamento di incarichi.

13. Venendo infine al tema della prescrizione, deve in primo luogo osservarsi che il periodo di sospensione di due mesi del relativo termine è comunque applicabile con riguardo ad entrambi i ricorrenti, non risultando che il difensore dello S. si fosse opposto al rinvio o avesse chiesto la separazione degli atti del procedimento, ove possibile (Cass. Sez. 4, n. 50303 del 20/7/2018, M., rv. 274000).

In ogni caso deve rimarcarsi che se, in linea di massima, si afferma che il delitto di rifiuto di atti di ufficio ha natura di reato istantaneo, incentrato su un termine unico finale (sul punto Cass. Sez. 4, n. 9086 del 28/3/2000, Caputo, rv. 217125, Cass. Sez. 6, n. 10137 del 24/6/1998, Fusco, rv. 211569), nondimeno il perfezionamento dello stesso deve essere correlato all'esatta individuazione del momento in cui possa concretamente parlarsi di rifiuto: ciò implica che, ad una richiesta o ad una sollecitazione, riveniente dalla concreta situazione di fatto, che "interpellat pro homine", debba corrispondere una condotta omissiva del pubblico ufficiale, la quale assuma il significato del rifiuto di attivazione, a tale momento, costituente espressione di una scelta, dovendo correlarsi l'istantaneità del reato.

Nel caso di specie deve invero osservarsi che i motivi di ricorso sono sul punto del tutto generici o addirittura manifestamente infondati: nel ricorso di S. si fa riferimento addirittura al momento della restituzione dell'immobile, cioè al 2006 o a quello in cui il ricorrente aveva assunto le funzioni nel 2009, momenti del tutto inconferenti rispetto ad una situazione di degrado e pericolo venuta in rilievo successivamente; nel ricorso della C. si fa genericamente riferimento alla necessità di retrodatare la consumazione del reato.

Tuttavia, poichè i ricorsi non sono radicalmente inammissibili e poichè dunque ha rilievo, anche ai fini dell'art. 129 c.p.p., l'ulteriore tempo trascorso dopo la sentenza impugnata, in questa sede ben potrebbe individuarsi un momento di perfezionamento del reato rispetto al quale debba dirsi interamente decorso il termine di prescrizione.

Ma, sulla base di quanto premesso, ciò deve escludersi, in quanto, stando alla ricostruzione dei Giudici di merito, la manifestazione di rifiuto dello S. deve farsi risalire almeno al diniego di competenza, invero indebito e ingiustificato, del 5/10/2011, mentre il rifiuto della C. deve farsi risalire ad epoca non anteriore al vano decorso del termine per la presentazione di domande di acquisto dell'immobile, cioè il 14/10/2011, allorchè il protrarsi dell'inerzia veniva ad assumere, a fronte del carteggio fino ad allora intercorso, il significato dell'ingiustificato ma inequivoco rifiuto di effettiva attivazione.

Su tali basi, anche a prescindere dal persistere della condotta omissiva, a fronte del perpetuarsi della situazione di pericolo e di degrado, deve ritenersi che il termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, non sia decorso, in quanto alla scadenza dell'aprile 2019, devono aggiungersi i due mesi di sospensione del termine.

14. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.