Art. 674 cod. pen. e sezioni unite della Cassazione

di Vincenzo PAONE

I. Nel proporre ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste che aveva confermato la condanna per il reato di cui all'art. 674 cod. pen., ascritto ai soci amministratori di una società semplice avente ad oggetto l'allevamento avicolo, uno dei ricorrenti aveva chiesto che venisse sottoposta alle sezioni unite la questione se il reato di cui all'art. 674 cod. pen. sia configurabile per le immissioni olfattive provenienti da un impianto munito di autorizzazione ai fini dell'inquinamento atmosferico.

Anche il Procuratore Generale aveva concluso, sia pure in via subordinata, per la rimessione alle sezioni unite.

La Cassazione (sentenza 29 maggio 2012, n. 37037, Guzzo e Palù) non ha aderito alla duplice richiesta. In effetti, nei termini sopra formulati la questione non era rilevante per la decisione. Si è comunque persa un’occasione per fare chiarezza sull’interpretazione dell'art. 674 cod. pen. 1.

La sentenza da atto che è consolidato l’orientamento per cui, non essendo previsti specifici valori-limite per le immissioni olfattive, che di per sé non rientrano nell'ambito della disciplina speciale sull'inquinamento atmosferico, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera.

Ha poi replicato al ricorrente che sosteneva che, in alcune recenti pronunce (come Cass. 21/10/2010, Rocchi, Ced Cass., rv. 248672; Cass. 13/07/2011, P.M. in proc. Dradi, Ced Cass., rv. 251286), la contravvenzione era stata esclusa in caso di immissioni provenienti da attività autorizzata o disciplinata dalla legge e contenute nei limiti normativi o dell'autorizzazione: infatti, si è obiettato che le citate pronunce non facevano riferimento alla specifica fattispecie dell'immissione di odori molesti, ma a casi nei quali l'immissione provocata rientrava, per tipologia, nell'ambito dell'inquinamento atmosferico, in presenza di regolare autorizzazione e del rispetto dei valori limite imposti.

L’obiezione coglie nel segno e perciò, da questo punto di vista, non era rilevante ai fini del decidere richiedere l’intervento delle sezioni unite.

Tuttavia, per mera completezza, va detto che, proprio in relazione a detta ipotesi, vi sarebbero motivi per coinvolgere le sezioni unite.

Infatti, secondo un più tradizionale orientamento giurisprudenziale, l'inciso "nei casi non consentiti dalla legge" va riferito non solo alla specifica normativa di settore, o a un provvedimento dell'autorità che regoli l'attività e che imponga limiti di emissione, ma alla legge in generale e quindi pure alle prescrizioni dell’art. 844 cod. civ. con la conseguenza che è indifferente che gli eventuali limiti tabellari siano stati o meno superati essendo sufficiente, per la configurabilità della contravvenzione, che l'attività produca emissioni eccedenti i limiti di normale tollerabilità indicati dalla citata norma civilistica.

Tale orientamento è emerso anche in alcune recenti decisioni (come Cass. 27 marzo 2008, Polizzi, Ced Cass., rv. 240117; 12 febbraio 2009, Schembri, Dir. e giur. agr. e ambiente, 2009, 552; Cass. 13 aprile 2010, Sanpaolesi de Falena; 11 gennaio 2011, PG App. Venezia in proc. Tatò e Scaroni; 5 maggio 2011, Papini, tutte citate in Ambiente e sviluppo) che però non hanno apportato particolari argomentazioni per confutare la diversa interpretazione che si è nel frattempo affermata e cioè quella per cui il reato non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (da ultimo, v. Cass. 9 gennaio 2009, Abbaneo, Ced Cass., rv. 243433; 27 febbraio 2008, Colombo, Ced Cass., rv. 239864; Cass. 10 ottobre 2008, D'Auria; 8 aprile 2010, Koehler, Foro it., 2010, II, 370).

Se questo profilo di contrasto, come si è detto, non influiva sulla decisione del caso in esame, più rilevante poteva essere una diversa questione: la sentenza, infatti, ha ribadito il principio che l'evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. (in questo stesso senso, v. anche Cass. 21/06/2007, Toma, Ced Cass., rv. 237382, Cass. 27 marzo 2008, Polizzi, cit.; Cass. 14/07/2011, Ferrara, Ced Cass., rv. 250868 e Cass. pen., 2012, 2956).

Senonchè, in molteplici occasioni la Cassazione ha espresso l’opinione che sussiste il reato di cui all'art. 674 cod. pen. quando è superato il limite della «stretta» tollerabilità delle emissioni dovendo ritenersi riduttivo e inadeguato il riferimento alla “normale tollerabilità” fissato dall’articolo 844 del codice civile, che appare inidoneo ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva (v. Cass. 9 ottobre 2007, Alghisi, Riv. pen., 2008, 762; 16 maggio 2007, Carani, Dir. e giur. agr. e ambiente, 2008, 568; Cass. 25 novembre 2009, De Nicolò, in Ambiente e sviluppo, 2010, 676; 24 marzo 2011, Iaiani, in Ambiente e sviluppo, 2011, 968; 28 aprile 2011, Corbelli, in Ambiente e sviluppo, 2011, 968; 12 gennaio 2011, Tomassello, in Ambiente e sviluppo, 2011, 874 2).

Sarebbe dunque opportuno che sulla questione si esprimessero le sezioni unite.

II. La sentenza ha qualificato il fatto come reato continuato con questa spiegazione: «La fattispecie prevista dall'art. 674 cod. pen. è, infatti, costruita dal legislatore intorno alla condotta di emissione, che si configura ordinariamente come istantanea, in mancanza di specifici elementi di fatto dai quali desumere la sua permanenza. Nel caso in esame, in particolare, la sentenza non affronta, sotto tale aspetto, il profilo - evidenziato dai ricorrenti - della ciclicità delle emissioni. Da quanto riportato alla pagina 14 della motivazione, emerge, anzi, che la Corte d'appello ha ritenuto che le immissioni abbiano carattere ciclico e si verifichino in particolare alla fine dell'allevamento, quando avvengono la vendita dei volatili e lo svuotamento e la pulizia delle lettiere, con la conseguenza che il riferimento (contenuto alla successiva pagina 15) alla permanenza in atto del reato può essere inteso solo nel senso che le immissioni cicliche sono continuate anche dopo la contestazione e non, invece, nel senso che vi sia un'unica condotta. Ne consegue che la Corte distrettuale avrebbe dovuto, ai fini della determinazione della pena e ai fini del computo dell'eventuale prescrizione di alcuni degli episodi di reato: collocare nel tempo, con sufficiente precisione, tali episodi; individuare fra di essi il più grave; procedere, conseguentemente, alla determinazione della pena-base e degli aumenti di pena per gli episodi minori».

La conclusione non ci convince del tutto.

Una recente decisione (Cass. 27/01/2012, Ghidini, Ced Cass., rv. 252890) ha infatti avuto cura di chiarire che il carattere continuativo del reato di getto pericoloso di cose, che ha natura permanente, non si identifica con la ripetitività giornaliera delle emissioni moleste, essendo sufficiente che esse si protraggano, senza interruzioni di rilevante entità, per un apprezzabile lasso di tempo a causa della duratura condotta colpevole del soggetto agente.

Anche Cass. 15/10/2001, Cognetti, Ced Cass., rv. 220054, conformandosi a Cass. 10/08/1995, Zanforlini, Ced Cass., rv. 202403, ha sostenuto che la contravvenzione prevista dall'art. 674 cod. pen., quando abbia per oggetto l'illegittima emissione di gas, di vapori, di fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all'esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, assume il carattere della permanenza, non potendosi ravvisare la consumazione di definiti episodi in ogni singola emissione di durata temporale non sempre individuabile.

Analogamente, Cass. 07/12/1994, Montano, Ced Cass., rv. 200651, ha ribadito che il reato, nell'ipotesi di emissione molesta di fumo, vapori e gas in conseguenza di attività continuativa di smaltimento di rifiuti solidi urbani mediante combustione, senza pause o interruzioni di rilevante entità, ha natura permanente.

D’altra parte, la risalente Cass. 05/06/1985, Ferrofino, Ced Cass., rv. 170759, aveva detto che il reato, che di regola ha carattere istantaneo, può assumere la figura di reato permanente quando la materia atta ad offendere, imbrattare o molestare venga versata ininterrottamente in maniera meccanica, ovvero si tratti di emissione continuativa di gas, vapori, fumo ecc.: in questa ottica, l'eventuale interruzione domenicale di un impianto che comporti tali emissioni (nella specie un inceneritore sempre in funzione per eliminare rifiuti solidi urbani) o altre brevi soste non incidono sulla natura permanente del reato, che si ricollega alla normale funzionalità dell'impianto stesso e non cessa poiché sussiste, obiettivamente, uno stato antigiuridico determinato da una azione volontaria.

Questo orientamento è confermato anche nel campo dell’inquinamento idrico: si veda infatti Cass, 22/03/1989, Dall’Ora, Ced Cass., rv. 181041 (Ai sensi degli artt. 1 e 9 legge 10 maggio 1976 n. 319 sono assoggettati alla disciplina non solo gli scarichi permanenti e continuativi, ma anche quelli discontinui, destinati a ripetersi ad intervalli nel tempo a seconda delle esigenze funzionali dell'insediamento da cui provengono); Cass. 7/11/2000, Lotti, Ced Cass., rv. 218320 (anche dopo la entrata in vigore del Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n. 152, come modificato dal decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 258, permane la rilevanza penale dello scarico discontinuo di reflui, che, sia pure qualificato dai requisiti della irregolarità, dell'intermittenza e della saltuarietà, risulti collegato ad un determinato ciclo produttivo industriale); Cass. 10/03/2004, Todesco, Ced Cass., rv. 228208 (lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai requisiti della irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo, trova la propria disciplina nel decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152).

In conclusione, siamo dell’avviso che anche nella fattispecie di cui alla sentenza Guzzo il reato contestato avesse natura permanente: era, infatti, irrilevante che l’emissione in atmosfera non avesse carattere continuativo, ma fosse «ciclica» perché la permanenza del reato andava collegata alla fonte «stabile» dell’inquinamento (ovvero all’impianto da cui provenivano le emissioni) e non al variabile andamento in concreto dell’attività produttiva.

1 Già nel nostro Emissioni in atmosfera, molestia alle persone e intervento giudiziario (nota a Cass. pen. n. 37495/2011), in lexambiente.it, auspicavamo l’intervento delle Sezioni unite in quanto sulla tematica da tempo si registra un forte contrasto in seno alla Cassazione. In argomento, v. anche Ramacci, Articolo 674 codice penale, emissioni in atmosfera e giurisprudenza di legittimità, in lexambiente.it.

2 V. inoltre:

Cassazione penale, sez. III, 4 maggio 2012, ud. 28 marzo 2012, n. 16670

Pres. Mannino - Est. Teresi - P.M. Salzano (conc. conf.) - Ric. Frate

Cassazione penale, sez. III, 27 febbraio 2012, ud. 24 gennaio 2012, n. 7605

Pres. Petti - Est. Gazzara - P.M. Fraticelli (conc. conf.) - Ric. Marrosu

Cassazione penale, sez. III, 20 gennaio 2012, ud. 4 novembre 2011, n. 2377

Pres. Mannino - Est. Squassoni - P.M. Lettieri (conc. diff.) - Ric. Landi

Cassazione penale, sez. III, 27 settembre 2011, ud. 13 luglio 2011, n. 34914

Pres. De Maio - Est. Rosi - P.M. Passacantando  (conc. conf.) - Pm in proc. Montagano

Cassazione penale, sez. III, 17 novembre 2011, ud. 20 settembre 2011, n. 42387

Pres. Ferrua - Est. Rosi - P.M. Spinaci (conc. conf.) - Ric. Scarlato.