Cass. Sez. III n. 9353 del 9 marzo 2020 (UP 8 gen 2020)
Pres. Sarno Est. Scarcella Ric. Quagli
Beni Ambientali. Inquinamento luminoso e sonoro in aree protette
Non soltanto attraverso l’emissione di suoni di fortissima intensità, ma anche attraverso la proiezione verso l’alto, in plurime direzioni, di fasci di luci bianche e colorate, di pari intensità, può porsi in essere una condotta rientrante nella locuzione normativa di cui all’art. 6, co. 3, legge n. 394 del 1991 (“quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta”), integrante una violazione delle misure di salvaguardia previste per le aree protette regionali, con compiuta integrazione del reato di cui agli artt. 6 e 30 della citata legge.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 11.07.2019, la Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza 8.06.2018 emessa dal tribunale di Lucca, appellata dal Quagli, che era stato riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 6 e 30, legge n. 349 del 1991, così riqualificato il reato di cui all’art. 11, co. 3, stessa legge, assorbita nel medesimo l’ulteriore ipotesi di cui all’art. 13, co. 1, della stessa legge, e, riconosciute le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, lo aveva condannato alla pena di 1 mese e gg. 10 di arresto ed € 4000,00 di ammenda, in relazione a fatti dell’agosto – ottobre 2014.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 6 e 30, co. 1, legge n. 391 del 1991, in assenza di una condotta lesiva del bene giuridico tutelato dalla norma.
In sintesi, sostiene la difesa il mancato raggiungimento della prova in ordine alla potenziale offensività delle condotte contestate al ricorrente, ossia la loro idoneità ad incidere tanto sulla morfologia del territorio quanto sugli equilibri ecologici del medesimo. La sentenza impugnata, in ordine al motivo di appello con cui si censurava la mancata prova della lesione del bene giuridico oggetto di tutela penale, si sarebbe limitata a ritenerlo infondato, alla luce dell’accertata compromissione della salvaguardia dell’ambiente naturale tutelato, per effetto dell’attività di disturbo posta in essere dal locale gestito dall’imputato. Sul punto, svolte alcune osservazioni in diritto, sostiene la difesa che, inquadrato il reato in esame in quelli di pericolo concreto, non sarebbe stato accertato in alcun modo l’asserito nocumento arrecato all’equilibrio ecologico ed, in particolare, alla flora ed alla fauna selvatica presente all’interno del parco regionale. Al fine di meglio chiarire la propria tesi, la difesa individuava in ricorso la realtà topografica in cui insiste il locale gestito dall’imputato, produttivo delle emissioni sonore e luminose individuate quali sorgenti disturbanti, sostenendo che, quand’anche ammesso che fosse stato arrecato un effettivo pregiudizio alla fauna ed alla flora selvatica della zona attraverso le emissioni sonore e luminose fuori limite, sarebbe risultato comunque difficoltoso attribuire causalmente tale nocumento all’attività svolta dal singolo locale, atteso che, nella zona ove insiste il locale, vi erano altre attività dello stesso tipo, operanti in quello stesso periodo. Inoltre, se è pur vero che la zona interessata è quella del parco regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, area naturale protetta, sarebbe altrettanto doveroso osservare che la superficie complessiva riguarda oltre 23.000 ettari di cui solo una parte marginale è interessata dall’area del lungomare Europa, su cui insiste il locale gestito dall’imputato, il cui carico antropico potrebbe, soprattutto nel periodo estivo caratterizzato da una grande affluenza di visitatori sin in periodo diurno che notturno, essere tale da risultare pregiudizievole per la flora e la fauna selvatica del Parco. La difesa passava poi ad esaminare sinteticamente, allegando i relativi verbali e le trascrizioni in forma integrale delle dichiarazioni di alcuni dei verbalizzanti intervenuti, quanto oggetto di accertamento nei tre sopralluoghi del 3.08, del 29.08 e del 6.10.2014, sostenendo che in tutti e tre i verbali sarebbero emerse evidenti carenze dell’attività ricognitiva degli operatori, carenze caratterizzate da valutazioni discrezionali e/o sensoriali da parte degli stessi, non supportate da alcuna misurazione strumentale né da argomentazioni tecniche. In estrema sintesi, dai primi due verbali di accertamento e dalle dichiarazioni dei testi Guerrini e Guazzini emergeva che sia le emissioni sonore ad altissimo volume che le emissioni luminose di forte intensità, anche colorate, avrebbero causato rilevante disturbo all’habitat naturale, agli utenti del Parco, nonché disturbo e molestia ad animali selvatici del posto, ai loro nidi, tane o dormitori, non potendo gli stessi condurre la normale esistenza naturale, ossia il riposo notturno della fauna omeoterma ed ectoterma, attività dei predatori e dei rapaci notturni, nidificazione, incidendo sulle specie animali endemiche di cui all’all. B della Legge regionale Toscana n. 56/00. Esclusa la rilevanza dell’ultimo sopralluogo del 6.10.2014, eseguito in orario di chiusura del pubblico esercizio in occasione del quale venne rilevata la presenza di nove casse acustiche nel sottogrondale del locale nonché la collocazione di tre banchi di colore bianco in legno ad uso somministrazione, la difesa sosteneva in ricorso che detti sopralluoghi, come emergente dalle dichiarazioni degli stessi verbalizzanti, in parte trascritte nel ricorso (le cui relative trascrizioni integrali erano comunque allegate in ossequio al principio di autosufficienza), avrebbero dimostrato la sommarietà degli stessi e delle modalità attraverso cui gli accertamenti erano stati eseguiti, desumendo i verbalizzanti il pregiudizio arrecato alla fauna selvatica del Parco unicamente da valutazioni e considerazioni personali in nessun modo provate né riscontrate. In sostanza, gli agenti accertatori, soggetti privi di competenze tecniche nel settore del comportamento animale, avrebbero dedotto la sofferenza patita dalla fauna del Parco e l’alterazione dell’equilibrio ecologico dello stesso a causa delle predette emissioni, sonore e luminose, promananti dal locale dell’imputato, unicamente da valutazioni di natura personale nonché da asserzioni prive di ogni fondamento scientifico senza accertare, nello specifico, alcun effettivo o potenziale nocumento arrecato alla flora ed alla fauna del Parco dall’attività svolta dal locale e dagli altri pubblici esercizi adiacenti. In ogni caso, aggiunge la difesa in ricorso, quand’anche si volesse inquadrare il reato in questione nella categoria dei reati di pericolo presunto, sarebbe stato comunque necessario valutare l’attività di emissioni acustiche e luminose in termini di attività pericolosa alla stregua del comune apprezzamento e delle diffuse massime di esperienza, in ossequio al principio di offensività, dovendo le condotte essere potenzialmente idonee a ledere il bene giuridico protetto. Nella specie, attesa l’assenza di qualsiasi misurazione strumentale in relazione alle emissioni sonore, il contributo probatorio degli accertamenti svolti sarebbe stato svilito, risultando censurabile anche quanto argomentato dalla Corte d’appello in ordine al “valore soccombente” da attribuirsi al c.t.p., tecnico competente in acustica ambientale, laddove non si sarebbe fatta questione di corretta installazione di limitatori delle emissioni, quanto di utilizzazione in violazione della normativa vigente. Diversamente, sostiene la difesa, in una materia quale è la valutazione dell’impatto che le emissioni sonore possano avere su di un ecosistema di un’area protetta, non si potrebbe mai prescindere da una misurazione strumentale per valutare l’eventuale superamento del limite massimo consentito dalla normativa vigente, soprattutto laddove si consideri che, proprio in base a tale normativa – costituita, da un lato, dall’art. 48 del regolamento del Parco, che vieta emissioni sonore potenzialmente arrecanti disturbo all’habitat naturale applicando i limiti massimi della tabella B di cui al DPCM 14.11.1997 che, tenuto conto dell’area in cui insiste l’esercizio pubblico di cui si discute, indica il limite massimo di tollerabilità, in 55 dB ed in 45 dB, rispettivamente, nel periodo diurno e notturno; dall’altro, dal Piano di classificazione acustica del comune di Viareggio, con cui erano stati rivisti i limiti di emissione sonora validi, passando da 45 a 50 dB per il periodo notturno, e da 55 a 60 dB per il periodo diurno – vi era la necessità di ancorare un giudizio di colpevolezza ad un dato certo e strumentale attestante il superamento dei suddetti valori massimi, non essendo sufficiente rifarsi alle mere impressioni soggettive e valutazioni discrezionali degli operanti, i quali avevano riferito di emissioni intollerabili, al punto tale che da una distanza di venti metri rispetto alla fonte sonora disturbante era difficile il colloquio a contatto tra i verbalizzanti stessi.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di manifesta illogicità e di mancanza della motivazione in relazione al mancato recepimento dell’unico contenuto tecnico – scientifico in atti, ossia la documentazione di impatto acustico redatta dal c.t.p. dott. L. Tommasi, allegata al ricorso (in sintesi, si sostiene che, proprio in assenza di qualsiasi misurazione tecnico – strumentale in sede di accertamento del reato contestato, si sarebbe dovuto tener conto di quanto emerso dalla documentazione predetta nonché dalle dichiarazioni del c.t.p. (di cui la difesa ritrascriveva in ricorso alcuni passaggi della deposizione resa all’ud. 19.12.2017), e nelle cui conclusioni veniva dichiarato, mediante la taratura del limitatore e dell’impianto di diffusione sonora effettata dallo stesso Tommasi, la conformità dell’impianto di amplificazione del locale, sia per il periodo diurno che per quello notturno, ai limiti della normativa di cui al DPCM 14.11.1997, per ambiente esterno ed interno, laddove, invece, erroneamente, i giudici di merito avrebbero attribuito ingiustificatamente fede privilegiata alle percezioni esclusivamente sensoriali e discrezionali degli accertatori. In definitiva, nella vicenda in esame, gli accertamenti in sede di indagini, relativi alle emissioni sonore e luminose, sarebbero stati posti in essere senza ausilio di apparecchiature tecniche né da personale qualificato, senza che, peraltro, il giudice di appello avesse fornito idonea motivazione tanto sui criteri utilizzati per giungere alla dichiarazioni di colpevolezza basandosi solo su valutazioni prive di ogni riscontro strumentale, quanto al ragionamento logico-giuridico posto alla base del rigetto delle risultanze della consulenza del c.t.p. Tommasi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
4. Ed invero, ritiene il Collegio di dover ribadire le argomentazioni già esposte da questa Corte in caso analogo (Cass., Sez. III, n. 38945 del 29.05.2019, dep. 23.09.2019, Cerri ed altro, non massimata).
5. Premesso che in tema di tutela delle aree protette, i divieti di effettuazione di attività che possano compromettere la salvaguardia di tali aree di cui all'art. 11, l. n. 394 del 1991 si applicano anche con riferimento ai parchi naturali regionali e possono essere derogati solo per effetto dei relativi regolamenti, la cui adozione spetta agli Enti Parco (Sez. 3, n. 35393 del 21/05/2008, Pregnolato e a., Rv. 240786) e che, a norma dell'art. 30, comma 8, I. 394/1991, «le sanzioni penali previste dal comma 1 si applicano anche in relazione alla violazione delle disposizioni di legge regionali che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali», le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso non sono fondate.
Il ricorrente, invero, lamenta che sarebbe mancato l'accertamento di quel pericolo concreto di compromissione dell'ambiente naturale tutelato, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette, richiesto dalla previsione di cui all'art. 11, comma 3, l. 394 del 1991, e non tiene conto - limitandosi a contestare l'accertamento di fatto operato dal giudice di merito - che la sentenza impugnata, viceversa, attesta di come le condotte oggetto d'imputazione, accertate nelle conformi decisioni di primo e secondo grado, fossero oggettivamente lesive dell'equilibrio ecologico e idonee ad integrare il pericolo concreto di un danno all'ecosistema.
La valutazione del giudice di merito - in questa sede insindacabile - trova peraltro un'oggettiva conferma nella previsione, il cui contenuto il ricorso riporta, dell'art. 48 del Regolamento del parco regionale, che stabilisce il divieto di "emissioni sonore che possono arrecare disturbo all'habitat naturale nelle sue varie componenti, agli utenti e fruitori del parco e in generale alla tranquillità dei luoghi".
Proprio la diffusione di musica ad alto volume all'esterno del locale la cui gestione è stata ricondotta all’imputato, ove al momento degli accertamenti di polizia giudiziaria gli avventori ballavano - sì che quel luogo, adibito a bar/ristorante, era stato di fatto destinato a discoteca all'aperto, in quanto era stata organizzata una discoteca nell’area esterna al bar mediante posizionamento di casse acustiche fissate nel sottogronda del locale e tre banchi ad uso somministrazione di cibi e bevande - ha indotto i giudici di merito a ritenere integrata la contravvenzione oggetto di contestazione, essendosi peraltro accertato, sia in occasione del primo sopralluogo del 3.08.2014 che in occasione del secondo sopralluogo del 29.08.2014, in quanto caduto sotto la diretta percezione degli operanti (peraltro, nel primo sopralluogo, avvertiti da turisti che lamentavano un eccesso di rumore e di confusione proveniente dai locali ubicati sul viale Europa), che dal locale gestito dall’imputato provenivano forti emissioni musicali e luminose, essendo in corso un’attività danzante, provvedendo a filmare la situazione mediante videocamera digitale. A ciò, peraltro, deve essere aggiunto quanto disposto dall'art. 49 del Regolamento dell'Ente Parco che sancisce il divieto di "tutte le emissioni luminose, fisse o temporanee, che possono arrecare disturbo agli habitat naturali, agli utenti del Parco nonché alla tranquillità dei luoghi".
Orbene, a fronte di questi divieti, che integrano e specificano la più generale previsione di cui all'art. 11, comma 3, I. 394/1991, non sussiste la dedotta inosservanza di legge, contestata nel primo motivo.
6. Quanto al fatto che tale giudizio non si sia fondato su accertamenti tecnici, bensì soltanto sulle "soggettive percezioni" degli operanti, si tratta di doglianza manifestamente infondata, perché la sentenza impugnata riferisce di come l'attività ispettiva, la sera del 3 agosto 2014 e del 29 agosto 2014, fosse stata documentata mediante la ripresa di un filmato acquisito agli atti che ha obiettivamente confermato le dichiarazioni a tal proposito rese dagli operanti, i quali, peraltro, avevano riscontrato, nelle due serate in cui gli accertamenti furono svolti, intense emissioni sonore e luminose e, nel corso del terzo sopralluogo del 6.10.2014, che il locale in questione era in possesso ed utilizzava un sistema ben idoneo per la diffusione della musica all’esterno, come accertato nelle due precedenti occasioni dalla p.g.
Che si trattasse di emissioni sonore ad elevatissimo volume, del resto, risulta proprio dalle dichiarazioni del teste Guerrini, il quale aveva riferito che il volume era così elevato che, pur venendo eseguito la ripresa videofilmata ad una distanza di venti metri “parlando tra colleghi, eravamo in tre quella sera, bisognava urlare per percepire quello che si diceva”. A ciò va aggiunto, peraltro, quanto emergente dalle stesse dichiarazioni del Guerrini (pag. 9 del verbale di trascrizione stenotipica allegato dalla stessa difesa), che aveva riscontrato, in occasione dell’accertamento eseguito, l'assenza, nelle zone limitrofe al locale, della fauna selvatica che di regola invece abbonda in quelle zone. Le circostanze indicate consentono di ritenere dunque legittimamente raggiunta la prova dei reati.
7. Con riguardo, da ultimo, al fatto che non si sarebbe accertato il superamento dei limiti massimi di emissione sonora stabiliti nella tab. B del D.P.C.M. 14 novembre 1997, richiamato dal Regolamento dell'Ente Parco, trattasi di doglianza inammissibile, giusta la preclusione di cui all'art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge - e connesso vizio di mancanza di motivazione - non dedotta nei motivi d'appello. Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il motivo in esame sarebbe inammissibile per genericità.
Deve aggiungersi che l'esame dell'atto d'appello ha consentito al Collegio di verificare che la doglianza relativa al mancato superamento dei limiti massimi di emissione sonora stabiliti nella tab. B del D.P.C.M. 14 novembre 1997, richiamato dal Regolamento dell'Ente Parco, non era stata effettivamente dedotta, sicché, da un lato, la violazione di tali disposizioni - di cui, nell'ottica del ricorrente, si deve tener conto nell'applicazione della legge penale - non è deducibile in sede di legittimità e, d'altro lato, non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell'impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
8. In ogni caso, quand’anche fosse stata tempestiva la eccezione relativa, la stessa sarebbe stata comunque infondata, atteso che il mancato superamento dei limiti di emissione sonora di cui al DPCM richiamato dal regolamento del Parco e di cui alla richiamata delibera del Comune di Viareggio, non rileva ai fini dell’integrazione della fattispecie penale in esame, laddove si consideri, in particolare, che quella delibera - con gli obiettivamente contenuti limiti sonori individuati - si riferiva all'emissione di musica di ascolto e di accompagnamento alla cena, vale a dire ad una situazione ben diversa da quella (che le sentenze di merito hanno sostanzialmente definito assimilabile ad una discoteca) nella specie riscontrata, che per il fortissimo volume della musica impediva una normale conversazione tra le persone. Del resto, come già affermato nell’affine reato contravvenzionale di cui all’art. 659, c.p., questa stessa Corte ha chiarito che è da ritenersi integrato il reato di cui al comma primo dell'art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete (Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015 - dep. 09/02/2015, Giuffrè, Rv. 261885; conforme, Sez. 3, n. 56430 del 18/07/2017 - dep. 19/12/2017, Vazzana, Rv. 273605).
9. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di specificità e manifesta infondatezza.
Ed invero, in merito alla consulenza del dott. Tommasi, risulta evidente dalla lettura delle sentenze di primo grado e d’appello (che, attesa la natura di doppia conforme, si integrano reciprocamente: Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 - dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 256435) che la taratura del limitatore dell'impianto di diffusione sonora del locale effettuata dal medesimo, al fine di rispettare la delibera del Consiglio comunale di Viareggio in tema di attività di intrattenimento musicale, che in periodo notturno prevedeva di non superare i 50 dB, non aveva evidentemente impedito che nelle due serate in cui l'accertamento si era svolto tale limite fosse stato senz'altro superato, come appunto riscontrato sulla base degli elementi di prova richiamati. Peraltro, quella delibera - con gli obiettivamente contenuti limiti sonori individuati - si riferiva all'emissione di musica di ascolto e di accompagnamento alla cena, vale a dire ad una situazione ben diversa da quella (che ben poteva definirsi assimilabile ad una discoteca) nella specie riscontrata, che per il fortissimo volume della musica impediva una normale conversazione tra le persone.
9.1. Non sussiste in alcun modo, pertanto, il dedotto vizio di illogicità della motivazione, che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è denunciabile con il ricorso per cessazione soltanto ove sia manifesto, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643). L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione, invero, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
10. In ogni caso, peraltro, la c.t.p. nessun apporto conoscitivo favorevole né alcun elemento valutabile in senso convergente con la tesi difensiva avrebbe consentito di apportare quanto all’ulteriore dato, oggetto di apprezzamento da parte degli agenti operanti, rappresentato dall’inquinamento luminoso che la sorgente disturbante, costituita dall’esercizio pubblico, aveva indubbiamente provocato in base a quanto emergente dalle testimonianze degli agenti accertatori. Dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, infatti, era emerso che le emissioni luminose, costituite da luci colorate che si alternavano e luci bianche che si irradiavano verso il cielo, provenivano dalla terrazza del locale (v. dich. teste Guerrini allegate al ricorso), con la caratteristica che il fascio bianco veniva proiettato in varie direzioni, in alto e lateralmente, mentre le luci colorate lampeggiavano, accendendosi e spegnendosi alternativamente. È indubbio, sotto tale profilo, che l’emissione di fonti luminose di tale intensità, documentate dalle riprese audiovisive da parte degli agenti accertatori, fosse idonea ad incidere tanto sulla morfologia del territorio quanto sugli equilibri ecologici dello stesso, provocando quello che viene definito tecnicamente “inquinamento luminoso”. Esso consiste in un’alterazione della quantità naturale di luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di luce artificiale. L’inquinamento luminoso, come è noto, ha molteplici effetti negativi. Molteplici sono gli studi ed i rapporti che documentano gli effetti della luce artificiale sull’ambiente e comprendono l’alterazione delle abitudini di vita e di caccia degli animali, disturbi alla riproduzione ed alle migrazioni, alterazioni dei ritmi circadiani, alterazioni ai processi fotosintetici delle piante e al fotoperiodismo, e per l’uomo, abbagliamento, miopia e alterazioni ormonali in grado di diminuire le difese contro i tumori.
Anche la flora e la fauna subiscono notevoli danni dalle fonti luminose. La luce, per la maggior parte dei sistemi biologici è di fondamentale importanza. L’alternarsi tra il giorno e la notte, tra luce e buio è uno dei fattori vitali sia per gli animali che per le piante. Nel momento in cui questo equilibrio viene alterato si creano dei danni irreversibili. Studi scientifici già da tempo condotti (Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, 1983, Casagrande – Giulini) hanno dimostrato che la presenza di una sorgente luminosa (artificiale) in prossimità di una pianta causa uno stress alle foglie che sono direttamente esposte alla luce, alterandone il normale processo fotosintetico. Le lampade ad incandescenza ed al quarzo-iodio presentano infatti delle ampie emissioni che interferiscono con le radiazioni assorbite dalle clorofille e dai fitocromi. Si è osservato, ad esempio, che gli alberi presenti nei viali cittadini e che si trovavano in prossimità dei lampioni stradali, avevano le chiome procombenti verso le sorgenti luminose in maniera vistosa. Inoltre, le sorgenti luminose possono essere responsabili di un microclima nelle foglie favorendo un prolungamento del periodo vegetativo e un ritardato distacco delle foglie stesse con grave rischio per la vita della pianta. Lo studio di alcuni sistemi biologici ha evidenziato inoltre l’influsso delle lampade per l’illuminazione pubblica (in particolare quelle ad ampio spettro di emissione) in alcuni cicli vitali quali la riproduzione (rettili), la migrazione (lepidotteri, uccelli), la produzione di sostanze vitali e i ritmi stagionali (piante). Analogamente è a dirsi per la fauna. Ad esempio, le falene impostano la loro rotta migratoria basandosi sulla Luna o su stelle particolarmente luminose. Singole sorgenti luminose o addirittura concentrazioni di luce artificiale di agglomerati urbani disorientano e attraggono le falene. Ciò causa la demolizione dello sciame migratorio e soprattutto la decimazione di individui con l’altissimo rischio dell’estinzione di intere specie. Alcune specie di uccelli (come alcuni passeriformi) che usano l’orientamento astronomico nelle loro migrazioni notturne possono essere disturbati dalla presenza di fonti luminose artificiali. Sicuramente degno di nota è il caso riguardante ciò che è accaduto ad un Falco pellegrino alla periferia di Cagliari alcuni anni fa: appollaiato sui tralicci di una raffineria di petroli, attendeva gli uccelli migratori notturni che venivano attratti da un potentissimo faro che illuminava a giorno gli impianti per motivi di sicurezza, disperdendo però una notevole quantità di luce verso l’alto. Nel 1998, la luce che illuminava a giorno gli alberghi sulle coste di Creta, disorientava i piccoli di tartaruga marina, che invece di tuffarsi in mare, finivano per lasciarsi morire sulla spiaggia.
11. Ciò spiega, pertanto, la ragione per la quale il tema dell’inquinamento luminoso stia iniziando ad interessare anche le autorità di regolazione. Sebbene, si noti, non esista attualmente una normativa nazionale che disciplini tale fenomeno, la pressoché totalità delle Regioni italiane si sono date una legislazione tendente a regolamentare l’inquinamento luminoso. Per quanto concerne la Regione Toscana, ove si sono svolti i fatti, in particolare, è vigente la L.R. Toscana 24 febbraio 2005, n. 39, recante Disposizioni in materia di energia, che, in particolare, detta agli artt. 34-37 la relativa disciplina, stabilendo in particolare all’art. 34, co. 2, che “2. La Regione, anche attraverso il PAER, prevede misure particolari di tutela degli equilibri ecologici nelle aree naturali protette di cui alla legge regionale 11 aprile 1995, n. 49 (Norme sui parchi, le riserve naturali e le aree protette di interesse locale)”. Il Piano Ambientale ed Energetico Regionale (Paer), istituito dalla L.R. 14/2007 è stato approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n.10 dell'11 febbraio 2015, pubblicata sul Burt n.10 parte I del 6 marzo 2015. In particolare, l’obiettivo C2 del Paer, Allegato 1 (L.R. 39/2005 - Criteri per la progettazione, realizzazione e gestione di impianti di illuminazione) prevede espressamente al punto 4 di “Limitare l'uso di proiettori ai casi di reale necessità, in ogni caso mantenendo l'orientazione del fascio luminoso verso il basso, in modo da non superare l'emissione massima di 5 cd/klm a 90° e 0 cd/klm a 100° e oltre. Nelle zone tutelate il limite è di 0 cd/klm a 90° e oltre” nonché, al punto 5 di “Adottare sistemi automatici di controllo e riduzione del flusso luminoso nella misura del 50% (cinquanta per cento) del flusso totale dopo le ore 22,00 e dopo le ore 23,00 nel periodo di ora legale. Nelle aree private, residenziali, commerciali e industriali si prevede lo spegnimento programmato totale degli impianti dopo i suddetti orari, eventualmente integrato per ragioni di sicurezza, o ulteriori situazioni da attestare con idonea relazione tecnica, dalla presenza di sensori di prossimità in grado di attivare temporaneamente gli impianti in caso di intrusione o per necessità di utilizzo”.
È, quindi, evidente l’attenzione specifica che la stessa normativa regionale ha inteso dedicare al tema dell’inquinamento luminoso, proprio perché potenzialmente idoneo ad arrecare disturbo agli equilibri dell’ecosistema, ciò in particolar modo, ove ciò si verifichi, come nel caso di specie, in un’area protetta quale quella su cui insiste l’esercizio pubblico di cui è gestore il ricorrente. Non può, pertanto, esservi dubbio che, non soltanto attraverso l’emissione di suoni di fortissima intensità, per come accertato dagli agenti operanti, ma anche attraverso la proiezione verso l’alto, in plurime direzioni, di fasci di luci bianche e colorate, di pari intensità, sia stata posta in essere una condotta rientrante nella locuzione normativa di cui all’art. 6, co. 3, legge n. 394 del 1991 (“quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta”), integrante una violazione delle misure di salvaguardia previste per le aree protette regionali, con compiuta integrazione del reato di cui agli artt. 6 e 30 della citata legge.
12. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile.
Non rileva, peraltro, la circostanza che, in relazione al primo ed al secondo degli accertamenti, intervenuti rispettivamente in data 3.08.2014 e 29.08.2014, il reato risulti estinto per prescrizione, atteso che al termine di prescrizione massima (che sarebbe maturato, avuto riguardo al primo degli accertamenti eseguiti, in data 3.8.2019 e, al secondo, in data 29.08.2019) devono essere aggiunti 126 gg. di sospensione del termine di prescrizione (atteso il rinvio dal 5.07.2016 al 7.02.2017, per un periodo complessivo, ex art. 159, c.p., di gg. 60, stante il legittimo impedimento del difensore; a ciò devono aggiungersi gg. 66 di sospensione per rinvio dell’udienza dal 3.04.2018 all’8.06.2018 su istanza della difesa). L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente infatti il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso, come nel caso di specie: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266). Diversamente quanto al terzo sopralluogo, eseguito in data 6.10.2014, il termine di prescrizione, tenuto conto dei perdetti periodi di sospensione, maturerà il 12.02.2020, data successiva alla pronuncia della presente sentenza.
13. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, l’8 gennaio 2020