Cass. Sez. III n. 29901 del 3 luglio 2018 (Cc 18 giu 2018)
Presidente: Cavallo Estensore: Ramacci Imputato: Nicolazzi ed altro
Ecodelitti.Disastro ambientale e nozione di ambiente

Anche l’ipotesi di disastro ambientale descritta al n. 3 dell’art. 452-quater cod. pen. presuppone, come le due precedenti, che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull’ambiente in genere o su una delle sue componenti.
Nei delitti contro l’ambiente il legislatore ha inteso riferirsi alla più ampia accezione di ambiente, quella cosiddetta unitaria, non limitata da  un esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell’intervento umano, ponendo in evidenza la correlazione tra l’aspetto puramente ambientale e quello culturale, considerando quindi non soltanto l’ambiente nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma anche l’ambiente inteso come risultato anche delle trasformazioni operate dall’uomo e meritevoli di tutela.


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Crotone. con ordinanza del 22 febbraio 2018 ha accolto l'appello del Pubblico Ministero avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella città del 26 gennaio 2018 ed ha conseguentemente disposto il sequestro preventivo di due immobili e di una pubblica via nel comune di Petilia Policastro, ipotizzandosi il delitto di cui agli articoli 452-quater, comma 1, n. 3 e 452-quinquies, comma 2 cod. pen. nei confronti di Amedeo NICOLAZZI e Sebastiano ROCCA, nelle loro rispettive qualità di sindaco del comune di Petilia Policastro e di responsabile dell'ufficio tecnico, settore gestione del territorio e lavori pubblici, nel medesimo comune.
La condotta loro contestata si sarebbe concretata nella prolungata inerzia, a fronte di una situazione di elevato rischio di crollo, riscontrato riguardo ad un fabbricato totalmente abusivo e conseguente non soltanto al inosservanza delle norme tecniche di legge che disciplinano l'attività edificatoria, ma anche alla instabilità del sottosuolo dovuta all'attraversamento tombale di un canale al di sotto del fabbricato.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, rilevando l'insussistenza, nel caso di specie, del delitto contestato ed affermando che la condotta loro attribuita non sarebbe riconducibile alla fattispecie astratta del delitto di disastro ambientale colposo, mancando, in particolare, un fenomeno di disastro riscontrabile quale effetto dell'alterazione o della compromissione di un ecosistema o delle sue componenti, come richiesto dalla legge ed osservando che l'eventuale violazione della disciplina urbanistica, riscontrata nel caso specifico, sarebbe diversamente disciplinata e non riferibile alla nozione di ambiente considerata dal legislatore con l'introduzione della legge 68/2015.
Aggiungono che la figura di disastro ipotizzata dai giudici dell’appello consisterebbe nel crollo di una costruzione e, cioè, in una figura specificamente tipicizzata dal codice penale nell'articolo 434.

3. Con un secondo motivo di ricorso deducono la violazione degli articoli 40, comma 2 e 41 cod. pen.  e la mera apparenza della motivazione dell'ordinanza impugnata riguardo all’omissione loro contestata.
Osservano, a tale proposito, che l'ordinanza avrebbe fatto erroneo riferimento alla legislazione in materia di protezione civile.

4. Con un terzo motivo di ricorso deducono la violazione di legge e la mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato con riferimento alle modalità abusive della condotta come possibile causa del pericolo di disastro colposo, rilevando che, nell'ordinanza, l'abusività della condotta sarebbe riconducibile alla costruzione in assenza di valido titolo edilizio dei due immobili oggetto di sequestro, costruzione avvenuta in epoca remota, mentre analogo riferimento non sarebbe riscontrabile riguardo alla omissione addebitata agli indagati e, cioè, alla mancata evacuazione dalla zona interessata dal rischio di tutta la popolazione residente.

5. Con un quarto motivo di ricorso denunciano l'erronea interpretazione ed applicazione dell'articolo 41 cod. pen. e la mera apparenza della motivazione nella determinazione del rilievo causale dell'omissione contestata gli imputati, osservando che l'ordinanza impugnata avrebbe erroneamente affermato che, se il provvedimento di sgombero fosse stato eseguito, il disastro ambientale, ovvero l'offesa alla pubblica incolumità, non si sarebbe mai verificato, poiché, come premesso nell'ordinanza, il rischio per la pubblica incolumità sarebbe stato causato dalle condotte di abusivismo le quali, secondo l'ipotesi accusatoria, avrebbero determinato il pericolo di crollo dell'immobile, con la conseguenza che il disastro ambientale (o, comunque, il pericolo per la pubblica incolumità) si sarebbe verificato per effetto di tali ultime condotte, precedentemente all'omissione contestata ed indipendentemente da essa.

6. Con un quinto motivo di ricorso denunciano la violazione di legge e la mera apparenza della motivazione riguardo alla violazione di norme cautelari generiche e specifiche ipotizzata nei confronti degli indagati.
Insistono pertanto per l'accoglimento del ricorso.



CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito specificate.

2. Va premesso che né nell’ordinanza impugnata, né, tanto meno, nel ricorso, unici atti accessibili a questa Corte, è stata riprodotta testualmente l’incolpazione provvisoria.
Dalla dettagliata ricostruzione della vicenda effettuata dal Tribunale emerge comunque, per quel che qui rileva, che, a seguito dell’improvvisa apertura di una voragine di circa 10 metri quadrati all’interno di un magazzino di proprietà di un privato, i Vigili del Fuoco riscontrarono la sussistenza di un concreto ed attuale pericolo di cedimento strutturale dell’intero edificio e dell’immobile adiacente, esposto a pericolo di crollo per induzione.
Analoga situazione era stata riscontrata nel 2015, in occasione dell’apertura di un’altra voragine.
L’edificio oggetto di verifica, di cinque piani, presentava l’esplosione ed il completo deterioramento di tre pilastri interni, in corrispondenza del nodo di congiunzione pilastro/trave ed il copri ferro inesistente ed i ferri di armatura verticali inefficaci non venivano ritenuti idonei a garantire la sicurezza statica dell’edificio.
Entrambi gli edifici risultavano essere completamente abusivi, così come tutti quelli ubicati nella via Colla, perché costruiti senza alcun titolo abilitativo e mai sanati o condonati (pag. 3 ordinanza).
A fronte di tale situazione, gli indagati emettevano due ordinanze ai sensi dell’art. 54, comma 2 d.lgs. 276/2000, con le quali si disponeva lo sgombero degli edifici e la chiusura al traffico di un tratto di strada. I provvedimenti, tuttavia, ad un successivo controllo risultavano non eseguiti, in quanto tutti gli appartamenti, tranne uno, risultavano abitati, gli esercizi commerciali erano aperti e sulla strada si circolava liberamente.
Descritti gli esiti di altre verifiche tecniche ed indagini, l’ordinanza specifica che la Procura della Repubblica avanzava richiesta di sequestro al Giudice per le indagini preliminari, rilevando che gli indagati, fino a quel momento, pur essendo obbligati in virtù delle cariche ricoperte, non avevano adottato alcune iniziativa concreta effettivamente idonea a fronteggiare la situazione di pericolo accertata, limitandosi all’adozione di una ordinanza di sgombero mai eseguita, causando, conseguentemente, un perdurante, concreto incombente pericolo di disastro ambientale, tale da integrare il delitto di cui agli artt. 113, 452-quater, commi 1 e 2 n. 3 e 452-quinquies cod. pen.
La richiesta veniva però respinta dal Giudice per le indagini preliminari, il quale escludeva che la condotta accertata fosse idonea a configurare il reato oggetto di provvisoria incolpazione.
Il Tribunale, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero e dando conto dell’accertata sussistenza del pericolo, ha invece ritenuto astrattamente ipotizzabile il delitto, collocando le condotte contestate nell’ambito dell’art.452-quater, comma 1, n. 3 cod. pen., osservando che il disastro ambientale, oltre che nei casi descritti ai nn. 1 e 2 della citata disposizione, si configura anche mediante “...una qualsivoglia offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi o per il numero delle persone offese o esposte al pericolo” e che, nel caso specifico, la causa della concreta situazione di pericolo di crollo dei due fabbricati era da rinvenire nelle condotte omissive tenute dagli indagati, obbligati ad agire in ragione delle rispettive posizioni all’interno dell’amministrazione comunale anche ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di protezione civile.
Questa, dunque, è la condotta ipotizzata secondo quanto illustrato nella motivazione dell’ordinanza impugnata.
Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici dell’appello, tuttavia, non possono essere condivise.

3. L’art. 452-quater cod. pen.,rientrante nella Parte Sesta-bis del codice penale, introdotta con la legge 22 maggio 2015 n. 68, stabilisce testualmente: “fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;
2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Quando il disastro e' prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e' aumentata”.
L’art.452-quinquies cod. pen. stabilisce, inoltre che “se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater e' commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo”.

4. Ciò premesso, va in primo luogo osservato che il delitto di disastro ambientale ha, quale oggetto di tutela, la integrità dell’ambiente ed in ciò si distingue, peraltro, dal disastro innominato di cui all’art. 434 cod. pen., menzionato nella clausola di riserva, posto a tutela della pubblica incolumità, peraltro come norma di chiusura rispetto alle altre figure tipiche disciplinate dagli articoli che lo precedono.
Nei delitti contro l'incolumità pubblica, poi, si fa esclusivo riferimento ad eventi tali da porre in pericolo la vita e l'integrità fisica delle persone ed il danno alle cose viene preso in considerazione solo nel caso in cui sia tale da produrre quelle conseguenze, tanto che la scelta del termine «incolumità», come ricorda la relazione ministeriale al progetto del codice penale, non è affatto casuale, mentre il disastro ambientale può verificarsi anche senza danno o pericolo per le persone, evenienza che viene chiaramente presa in considerazione quale estensione degli effetti dell’alterazione dell’ecosistema.
Delle differenze tra le due fattispecie si è ripetutamente interessata la dottrina, mentre l’ambito di operatività dell’art. 434 cod. pen., nella figura, di creazione giurisprudenziale, del c.d. disastro ambientale innominato, è stata più volte presa in considerazione da questa Corte (da ultimo, v. Sez. 1, n. 2209 del 10/1/2018, Tatò, non massimata, con richiami ai prec., nonché Sez. 1, n. 58023 del 17/5/2017, Pellini, Rv. 271840, che prende in considerazione anche le differenze tra le due fattispecie).
Un primo requisito del disastro ambientale, come emerge dalla lettura della norma, è quello della “abusività” della condotta, comune anche ad altri delitti contro l’ambiente, quali l’inquinamento ambientale, sanzionato dall’art. 452-bis  cod. pen. e rispetto al quale questa Corte, richiamando anche i principi precedentemente affermati con riferimento al delitto ora contemplato dall’art. 452-quaterdecies cod. pen. (e prima sanzionato dall’art. 260 d.lgs. 152\06), ha avuto già modo di pronunciarsi (Sez. 3, n. 18934 del 15/3/2017, Catapano, non massimata; Sez. 3, n. 15865 del 31/1/2017, Rizzo, Rv. 269491; Sez. 3, n. 46170 del 21/9/2016, P.M. in proc. Simonelli, Rv. 268060, con richiami ai prec.), ritenendo, in sintesi, che la condotta "abusiva" è non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative.
La disposizione in esame fornisce, inoltre, la definizione di disastro ambientale, indicando tre diverse situazioni che alternativamente lo configurano.
Nel caso in esame rileva esclusivamente quella indicata la n. 3 dell’art. 452-quater cod. pen., in quanto oggetto della provvisoria incolpazione.

5. Si tratta, tra le tre ipotesi di disastro ambientale, di quella di meno agevole lettura e l’unica in astratto ricollegabile all’art. 434 cod. pen., rispetto al quale si pone in rapporto di sostanziale specialità.
La fattispecie descritta nell’art. 452-quater al n. 3 si pone, di fatto, a chiusura del sistema di condotte punibili e riguarda qualsiasi comportamento che, ancorché non produttivo degli specifici effetti descritti nei numeri precedenti - poiché, altrimenti, come rilevato da più parti in dottrina, una simile previsione sarebbe superflua - determini un’offesa alla pubblica incolumità di particolare rilevanza per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Va però rilevato che la collocazione di tale condotta nell’ambito dello specifico delitto di disastro ambientale deve necessariamente ritenersi riferita a comportamenti comunque incidenti sull’ambiente, rispetto ai quali il pericolo per la pubblica incolumità rappresenta una diretta conseguenza, pur in assenza delle altre situazioni contemplate dalla norma.
Tale soluzione interpretativa trova peraltro plurime conferme, in primo luogo, nella collocazione della condotta tra le ipotesi di disastro ambientale, quindi di un fenomeno che logicamente svolge i suoi effetti sull’ambiente, trattandosi, appunto, di un delitto contro l’ambiente; un ulteriore motivo di distinzione è dato dal fatto che, escludendo tale necessario collegamento con l’ambiente e considerando il solo riferimento alla pubblica incolumità, verrebbe meno ogni distinzione rispetto al disastro innominato di cui all’art. 434 cod. pen. ed, infine, assume rilievo anche il tenore stesso della disposizione, laddove l'offesa alla pubblica incolumità appare chiaramente quale conseguenza di un fatto caratterizzato da una compromissione - evidentemente dell’ambiente o di una sua componente – estesa, ovvero che abbia significativi effetti lesivi o che coinvolga un numero di persone offese o esposte al pericolo altrettanto significativo.

6. Ne consegue che anche l’ipotesi di disastro ambientale descritta al n. 3 dell’art. 452-quater cod. pen. presuppone, come le due precedenti, che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull’ambiente in genere o su una delle sue componenti.  

7. Resta da considerare, a questo punto, quale sia la nozione di ambiente da prendere in considerazione.
Sembra, anche ad un sommario esame del complesso delle disposizioni richiamate nella Parte Sesta-bis del codice penale, che il legislatore abbia inteso riferirsi alla più ampia accezione di ambiente, quella cosiddetta unitaria, non limitata da  un esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell’intervento umano, ponendo in evidenza la correlazione tra l’aspetto puramente ambientale e quello culturale, considerando quindi non soltanto l’ambiente nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma anche l’ambiente inteso come risultato anche delle trasformazioni operate dall’uomo e meritevoli di tutela.
Invero, paiono deporre in questo senso le aggravanti previste dagli artt. 452-bis, comma 2, 452-quater comma 2 nella parte in cui si riferiscono alle ipotesi in cui i fatti puniti si verifichino anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, storico, artistico, architettonico o archeologico, né osta a tale soluzione alcuna delle disposizioni contenute nel titolo.
Inoltre, anche nella giurisprudenza costituzionale si rinvengono considerazioni che depongono nel senso di una concezione più ampia di ambiente, laddove si parla, ad esempio, dell'ambiente “come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse… ( Corte Cost. sent. 407 del 10 luglio 2002), affermandosi anche che “… quando si guarda all'ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti(…). Occorre, in altri termini, guardare all'ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto”(Corte Cost. sent. 378 del 14 novembre 2007) .

8. Ciò posto, occorre considerare che, alla luce di quanto precedentemente osservato, deve escludersi che i fatti presi in considerazione dall’ordinanza impugnata possano essere ricondotti alla fattispecie astratta di cui all’art. 452-quater comma 1, n. 3 cod. pen.
Appare determinante, a tale proposito, la circostanza che la condotta omissiva addebitata agli indagati, che avrebbe causato la conseguente situazione di pericolo per la pubblica incolumità, sulla base di quanto emerge dall’ordinanza e dal ricorso, abbia la necessaria incidenza sull’ambiente richiesta dalla norma.
Invero, si tratta, nella fattispecie, di edifici completamente abusivi, costruiti negli anni ‘80 del secolo scorso su terreno ad elevato rischio idrogeologico, che presentano lesioni strutturali dovute verosimilmente all’effetto dell’acqua che attraversa il sottosuolo e che rischiano quindi di crollare, costituendo un pericolo per l’incolumità delle persone.
Tale situazione di pericolo, secondo l’ipotesi accusatoria, non sarebbe stata evitata dagli indagati, i quali, pur avendo emesso le ordinanze di sgombero, non ne avrebbero poi curato la effettiva esecuzione mediante l’allontanamento delle persone dalla zona interessata dal un possibile crollo.
Tale condotta omissiva sarebbe quindi astrattamente riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 452-quater, comma 1, n. 3 cod. pen.

9. Una simile ricostruzione della vicenda non consente, però, di ritenere sussistente il fumus del disastro ambientale.
Ciò non tanto, perché, come sostenuto in ricorso, la materia urbanistica sia estranea al settore della tutela ambientale, in quanto, al contrario, l’abusivismo edilizio ha una sicura incidenza sul territorio, comportando la trasformazione del suo originario assetto, con conseguenze evidenti anche sull’ambiente, ma per il fatto che la realizzazione degli edifici abusivi, risalente nel tempo, oltre a non poter essere addebitata agli indagati, non viene indicata come produttiva di simili conseguenze, né le stesse sono in qualche modo riferite alle condotte successive.        
Ciò non significa, ovviamente, che la situazione riscontrata sia lecita, poiché evidenzia chiaramente una gravissima situazione di illegalità protrattasi nel tempo, dapprima con la realizzazione, a quanto pare priva di conseguenze per i responsabili, di interi edifici completamente abusivi e mai sanati e condonati, peraltro in zona a rischio idrogeologico, successivamente con la mancata demolizione degli stessi, inevitabile conseguenza della loro natura abusiva ed ancora possibile in base al d.P.R. 380\01 e, sempre per quanto risulta dall’ordinanza impugnata, per il pericolo di crollo constatato e per la mancata effettiva esecuzione delle ordinanze emesse dagli indagati, condotte riconducibili ad altre ipotesi di reato ma certamente non a quella di disastro ambientale.

10. Il primo motivo di ricorso risulta dunque fondato e la sua natura assorbente esonera il Collegio dall’esame degli altri motivi.
L’ordinanza impugnata deve conseguentemente essere annullata senza rinvio.

    

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso in data 18/6/2018