Cass. Sez. III n.12844 del 24 marzo 2009 (Cc 5 feb. 2009)
Pres. De Maio Est. Lombardi Ric. De Angelis ed altri
Rifiuti. Sottoprodotti di origine animale

Gli scarti di origine animale sono sottratti alla applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivarnente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi dell’ad. 183, comma primo lett. n), del D. Lgs n. 152/06, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale. Ciò trova applicazione sia con riferimento al testo originario dell’art. 185 del D. L.gs. n. 152/06, che alla nuova formulazione dell’articolo introdotta dall’art. 22 del D.Lgs 16.1.2008 n. 4, dovendo essere privilegiata quella interpretazione delle norme nazionali che sia conforme al diritto comunitario e trovando, peraltro, detta interpretazione, in relazione al secondo comma dell’articolo 185, nella formulazione previgente, un puntuale riscontro testuale, stante il riferimento della norma all’ambito di applicazione ivi indicato” (dal Regolamento CE n. 1774/2002) e, quindi, al solo profilo sanitario e di polizia sanitaria disciplinato da detto Regolamento. La recente Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19.11.2008 n. 2008/98/CE non risulta avere affatto modificato gli enunciati principi di diritto che regolano il concorso tra la disciplina sanitaria della gestione dei sottoprodotti di origine animale e la normativa in materia di rifiuti, in quanto la esclusione del principio di specialità trova puntuale riscontro proprio nelle disposizioni in essa contenute.
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice del riesame, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso il provvedimento del G.I.P. in data 5.5.2008, ha disposto il sequestro preventivo dell’autocarro tg. CDI97HN di proprietà della Meridional Leathers di Cinefra Roberto, degli stabilimenti DEABAN S.p.A., MISO S.r.L, DEL VECCHIO L. & G. S.n.c. di Del Vecchio Giuseppe, nonché dei mattatoi Sud Allevamenti S.r.l., Mondial Carni S.r.l. e Intercarni S.r.l. in relazione ai reati: a) di cui all’ad. 416 c.p.; b) di cui agli art. 81 cpv., 110, 112 n. i e 2 c.p. e 260 del D.Lgs. n. 152/06; c) di cui agli art. 81 cpv., 110 c.p. e 256, comma primo lett. a), del D.Lgs. n. 152/06, oggetto di indagine a carico di Cinefra Luigi, quale legale rappresentante della Cinefra Pelli S.r.l., Cinefra Vito Rocco, quale legale rappresentante della società Nuova Centro Pelli di Cinefra Vito Rocco S.n.c., Cinefra Vincenzo, quale trasportatore, dipendente della ditta Cinefra Pelli S.r.l., Angrisani Alfonso, quale legale rappresentante della Deaban S.r.l., Milone Leopoldo, quale socio e gestore di fatto della MILO S.r.l., Del Vecchio Giuseppe, quale legale rappresentante del centro di transito e stoccaggio Del Vecchio L. & Del Vecchio G. S.n.c., per essersi costoro associati per commettere più delitti di traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da sottoprodotti di origine animale (SOA), appartenenti alla categoria I (CER 020202 - scarti di tessuti animali) ed alla categoria 3 (CER 020203 - scarti inutilizzabili per il consumo o la trasformazione) che, prelevati da vari macelli, venivano gestiti illegalmente mediante le condotte integranti il reato fine di cui all’art. 260 del D.Lgs. n. 152/06, nonché tutti i predetti indagati effettuato, nelle indicate qualità, attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi senza le prescritte autorizzazioni.
Si osserva nell’ordinanza che il G.I.P., sulla base delle risultanze delle indagini effettuate dal Corpo Forestale dello Stato, non aveva espresso dubbi in ordine alla sussistenza dei fatti ascritti agli indagati, ma aveva escluso la configurabilità dei reati ipotizzati dalla pubblica accusa, ritenendo che i sottoprodotti di origine animale sono disciplinati esclusivamente dal Regolamento CE n. 1774)2002, che prevede una disciplina derogatoria rispetto al D.Lgs. n. 152/06.
Secondo il provvedimento del G.I.P., in particolare, l’art. 185, comma secondo, del D.Lgs. n. 152/06, vigente all’epoca dei fatti, prima della sua abrogazione, conseguente alla nuova formulazione della norma di cui al D.Lgs. n. 4 del 2008, faceva espressamente salva, con riferimento ai sottoprodotti di origine animali, la disciplina prevista dai citato Regolamento CE.
L’ordinanza impugnata, dopo avere estensivamente riportate le risultanze delle indagini, ha affermato che, al contrario, non sussiste un rapporto di specialità ira la normativa di cui al D.Lgs. n. 152/06 ed il citato Regolamento Comunitario, disciplinando quest’ultimo esclusivamente i profili sanitari e di polizia veterinaria nella gestione dei sottoprodotti di origine animale con la conseguente configurabilità dei reati oggetto di indagine.
Sul punto è stato anche rilevato che i SOA di categoria I, in quanto potenzialmente dannosi per la saline, non possono subire, per espressa previsione dell’art. 4 del Regolamento CE n. 1774/02, alcun trattamento diverso dalla eliminazione e che gli indagati avevano altresì proceduto alla illecita miscelazione dei SOA di categoria I con quelli di altre categorie, potenzialmente destinati anche al consumo umano, con la conseguente pericolosità della condotta posta in essere.
Sono state, infine, ritenute sussistenti le esigenze cautelari, rilevandosi, con riferimento al mezzo di trasporto, che lo stesso è suscettibile di confisca obbligatoria e, con riferimento agli impianti, l’esistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori degli indagati di cui in epigrafe, che la denunciano per violazione di legge e vizi della motivazione.
Con vari mezzi di annullamento la difesa del De Angelis denuncia:
1) violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento alla ritenuta applicabilità del D.Lgs. n. 152/06, invece della normativa comunitaria prevista dal Regolamento CE n. 1774/2002. Si deduce che i SOA non possono essere considerati rifiuti, ma devono essere assimilati alle carogne animali e, per tale motivo, sono sottratti alla normativa in materia di rifiuti fino al loro ingresso negli inceneritori o nelle discariche; che, in caso contrario, si verificherebbe una duplicazione nella disciplina della stessa materia.
2) insussistenza di elementi idonei a configurare il reato di cui all’art. 416 c.p., non essendo emersa dalle indagini l’esistenza di una stabile organizzazione, né la preordinazione di un progetto criminoso, ma solo comportamenti sviluppatisi nell’ambito di rapporti tra due persone.
3) inesistenza delle esigenze cautelari. Sul punto si deduce che la società Deaban è amministrata da oltre un anno da una persona diversa da quella indagata ed ha interrotto ogni rapporto legato allo smaltimento dei SOA.
Con il primo mezzo di annullamento il Cinefra Roberto, denuncia la violazione di nonne processuali, nonché degli art. 416 c.p. e 185 del D.Lgs. n. 152/06.
Si deduce in primo luogo che il ricorrente, non risultando persona sottoposta alle indagini, non poteva essere attinto da alcuna misura cautelare,
Nel prosieguo del motivo di gravame, previa analisi degli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere, si deduce che dalle indagini non è emerso alcun dato sintomatico dell’esistenza di un’organizzazione criminale e che l’ordinanza del riesame non indica alcun elemento di prova dell’esistenza della associazione, anche con riferimento all’elemento soggettivo della consapevole partecipazione degli indagati ad un sodalizio criminoso. Si deduce, infine, che i SOA trovano la loro esclusiva disciplina nel Regolamento CE n. 1774/02 e che gli stessi non possono essere qualificati rifiuti, diventando tali solo dopo l’incenerimento. Si osserva in particolare che la inapplicabilità della disciplina in materia di rifiuti trova il suo fondamento normativo nell’art. 185 del D.Lgs. 152/06, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti; che l’interpretazione della norma nei sensi indicati nel provvedimento del G.I.P. trova riscontro nella sua successiva riformulazione, effettuata dal legislatore proprio al fine di adeguare la normativa interna a quella comunitaria dopo che la Corte di Giustizia Europea aveva dichiarato l’Italia, a causa di vari provvedimenti, inadempiente agli obblighi derivanti dalla direttiva in materia di rifiuti.
Si denuncia infine la assoluta carenza di motivazione dell’ordinanza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 260 del D.Lgs. n. 152/06 con particolare riferimento all’elemento psicologico del dolo specifico richiesto dalla norma.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione dell’art. 274 c.p.p. e la carenza di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla esistenza delle esigenze cautelari, deducendosi che il sequestro non può essere giustificato dalla sola suscettibilità di confisca del mezzo di trasporto.
Con quattro motivi di ricorso sostanzialmente identici la difesa di Del Vecchio e del Salerno denuncia, con il primo di detti motivi, violazione ed erronea applicazione di legge.
Dopo aver richiamato il quadro normativo antecedente al D.Lgs. n. 508/92, in applicazione del quale gli scatti di origine animale erano stati regolamentati esclusivamente dalle nonne sanitarie e di polizia veterinaria, si osserva che un elemento di confusione in ordine alla disciplina da applicarsi è stato introdotto proprio dalla definizione di “rifiuti di origine animali” attribuita dal citato testo legislativo ai predetti scarti; che, però, sul piano amministrativo, vari provvedimenti di volta in volta emanati dai ministeri di sanità ed ambiente direttamente interessati e da altre autorità competenti hanno sempre chiarito che gli scarti di origine animale non sono soggetti al campo di applicazione della normativa sui rifiuti.
Con riferimento al più recente D.Lgs. n. 152/06 si osserva che i sottoprodotti di origine animale non sono inclusi nell’elencazione dei rifiuti contenuta nell’art 177, che, peraltro fa salve le disposizioni specifiche, particolari o complementari, adottate in attuazione di direttive comunitarie, che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti.
Si aggiunge che l’art. 185, comma secondo, del predetto decreto legislativo espressamente stabilisce che “Resta ferma la disciplina di cui al Regolamento CE n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002 recante norme sanitarie relative a sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo di applicazione ivi indicato”.
Si deduce, quindi, che ai sensi di tale disposizione, vigente all’epoca dei fatti, il provvedimento del G.I.P. aveva correttamente escluso, sulla base di una diffusa motivazione che si riporta nel motivo di gravame, la applicabilità delle norme in materia di rifiuti di cui al citato testo legislativo ai sottoprodotti di origine animale.
Si osserva inoltre sul punto che il Regolamento CE n. 1774/02 impone specifiche autorizzazioni ed obblighi, sicché, ritenendosi applicabile anche la normativa in materia di rifiuti, ogni attività risulterebbe soggetta ad una duplice autorizzazione.
Si aggiunge che la questione di cui si tratta aveva dato luogo ad interpretazioni contrastanti da parte di questa Corte e che secondo una più recente pronuncia, della quale si riporta quasi integralmente la motivazione, la normativa in materia di rifiuti Uova applicazione solo con riferimento allo smaltimento dei residui derivanti da operazioni di incenerimento dei sottoprodotti di origine animale.
Si conclude, affermando che i sottoprodotti di origine animale, a qualsiasi categoria appartengano, sono esclusivamente soggetti alle disposizioni datate dal citato Regolamento CE, la cui violazione è attualmente sanzionata dal D.Lgs. 21.2.2005 n. 36.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza, deducendosi che la tesi accusatoria non trova riscontro in puntuali risultanze degli accertamenti di polizia giudiziaria, riferibili ad un unico episodio, ma poggia su basi meramente ipotetiche, scaturenti da fonti confidenziali e da interpretazioni estensive delle intercettazioni telefoniche. Con il terzo mezzo di annullamento sì denuncia la inesistenza dei presupposti per la contestazione del delitto di cui all’art. 416 c.p., deducendosi la non configurabilità di detta fattispecie, sia quale conseguenza della inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 260 del D.Lgs. n. 152/06, sia in base al rilievo che dalle indagini e dalle intercettazioni telefoniche sono esclusivamente emersi singoli rapporti tra le parti interessate con esclusione di qualsiasi vincolo associativo.
Con l’ultimo motivo si denuncia, infine l’inesistenza delle esigenze cautelari, evidenziando la gravità delle conseguenze della misura del sequestro sul complesso aziendale che ne è oggetto e facendosi rilevare che lo stesso provvedimento del G.I.P. aveva in proposito, in ogni caso, espresso riserve in ordine alla configurabilità dell’elemento soggettivo dei delitti ipotizzati, quale conseguenze delle incertezze interpretative in ordine al quadro normativo applicabile.
Con memoria depositata il 14.1.2009 la difesa dei ricorrenti Salerno e Del Vecchio ha sostanzialmente ribadito le precedenti argomentazioni in ordine alla non applicabilità delle disposizioni in materia di rifiuti ai sottoprodotti di origine animale, ripercorrendo l’evoluzione dei testi legislativi che hanno regolamentato, sempre separatamente, tali materie.
Si ribadisce inoltre che un elemento di confusione in ordine alla disciplina applicabile agli scarti di origine animale è derivata dalla definizione di rifiuti attribuita agli stessi dal D.Lgs. n. 508/92, ma che tale elemento di confusione doveva ritenersi eliminato dal chiaro disposto di cui all’art. 185, secondo comma, del D.Lgs. n. 152/06, che riserva alla normativa dettata dal Regolamento CE n. 1774/2002 la disciplina da applicarsi ai sottoprodotti di origine animale.
Si osserva infine che il Parlamento europeo, al fine di introdurre elementi di chiarezza in ordine all’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, ha emanato in materia l’ulteriore direttiva del 19.11.2008 n. 2008/98/CE, che abroga precedenti direttive e definisce ulteriormente alcuni concetti basilari in materia.
Tale Direttiva, dopo aver precisato, al punto 13, che, nel caso in cui i sottoprodotti di origine animale presentino rischi potenziali per la salute, lo strumento giuridico idoneo per far fronte a tali rischi è il Regolamento CE n. 1774/2002 e che dovrebbero essere evitate sovrapposizioni inutili con la normativa in materia di rifiuti, con l’art. 2, punto 2 1ett. b) ha espressamente escluso dall’ambito di applicazione della direttiva sui rifiuti i sottoprodotti di origine animale.
Si aggiunge, infine, che l’autonomia delle due normative risulta evidenziata dalla attribuzione delle competenze in materia di autorizzazioni e controlli ad organi ed enti diversi.
Con memoria difensiva depositata il 29.1.2009 il Cinefra ha, a sua volta, ribadito le precedenti deduzioni di cui al ricorso.
I ricorsi non sono fondati.
La giurisprudenza prevalente di questa Suprema Corte, con un’unica pronuncia di segno diverso (sez. III, 200329236, Miccoli, RV 225419), ha reiteratamente affermato, nella vigenza del D.Lgs. 14 dicembre 1992 n. 508 (di attuazione della Direttiva n. 90/667/CEE), che non sussiste rapporto di specialità tra detta normativa in materia di scarti di origine animale e quella che disciplina la gestione dei rifiuti, di cui al D.Lgs. n 5.2.1997 n. 22, atteso che il citato D.Lgs. n. 508 ha come proprio obiettivo la tutela degli interessi sanitari e di polizia sanitaria che riguardano la fase dì trasformazione dei predetti scarti di origine animale con esclusione dei profili di gestione afferenti al loro smaltimento (cfr. sez. III, 200208520, Leuci, RV 221273; sez. III, 5.5.2004 n. 26851, Milone, RV 230102).
Tale indirizzo interpretativo è stato, poi, reiteratamente ribadito da questa Suprema Cotte successivamente all’entrata in vigore del Regolamento CE a 1774 del 2002 in tema di gestione di sottoprodotti di origine animale e della normativa di cui al D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, in tema di gestione dei rifiuti, avendo la giurisprudenza di legittimità riaffermato che le disposizioni di settore riguardanti i sottoprodotti di origine animale regolano esclusivamente i profili sanitari e di polizia veterinaria, rimanendo escluse le attività di gestione degli scarti, in quanto rifiuti, per le quali permane l’operatività della disciplina generale in materia. (sez. III, 27.3.2007 n. 21095, Guerrini ed altro, RV 236744; sez. I, 26.1.2007 n.21676, Zanchin e altro, RV236703).
In particolare questa Corte si è occupata, ancor più di recente, del rapporto tra le disposizioni dettate dal citato Regolamento CE, in materia di sottoprodotti di origine animale, e la normativa generale, che disciplina la gestione e lo smaltimento di rifiuti proprio con riferimento alla stessa vicenda di cui ci si occupa, in relazione alla applicazione di misure cautelari personali (sez. III, sentenza n. 45057/08 del 4.11.2008, Cinefra ed altri), esaminando in termini assolutamente esaustivi la successione delle leggi e dei provvedimenti della Comunità europea che hanno disciplinato entrambe le materie e del rapporto esistente ira le stesse, non configurabile afflitto in termini di specialità.
Orbene, tralasciando il riferimento alla successione dei provvedimenti normativi, ampiamente riportati nella citata pronuncia, le cui argomentazioni sono condivise dal Collegio, è stato osservato
nella stessa, in relazione alla legislazione attualmente vigente, che:
1) solo con il Regolamento CE n. 1774/2002 è stato adottato il termine sottoprodotti di origine animale, abbandonando quello di rifiuti di origine animale utilizzata nel D.Lgs. 508/92;
2) si intendono per sottoprodotti, secondo la giurisprudenza comunitaria ed ai sensi dell’art. 183, comma primo lett. n), del D.Lgs. n. 152/06 i materiali risultanti dal processo produttivo, che pur non costituendo l’oggetto proprio del ciclo produttivo, scaturiscono da esso e sono destinati dal produttore ad ulteriore impiego o al consumo (il riutilizzo però, deve essere certo, senza l’intervento di trasformazioni preliminari e senza pregiudizio per l’ambiente);
3) il significato di “carogna” non è del tutto sovrapponibile a quello di sottoprodotto di origine animale contemplato nel Regolamento CE n. 1774/2002 (le carogne sono i corpi dì animali morti, mentre i sottoprodotti di origine animale, ai sensi dell’art. 2, comma i lett. a), del Regolamento sono sia i corpi interi, sia parti di animali o prodotti di origine animale non destinati al consumo, secondo le specificazioni contenute nella citata disposizione ed in quelle cui rinvia);
4) la nozione di rifiuto e le espressioni che la qualificano non possono essere interpretate in senso restrittivo, come peraltro reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. cit. sez. III, 200208520, Leuci, RV 221273), mentre devono formare oggetto dì interpretazione restrittiva le esclusioni di determinate sostanze dall’ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti.
Dalle riportate puntualizzazioni la pronuncia di questa Corte ha desunto:

“a) le carogne sono escluse dalla disciplina generale sui rifiuti solo in quanto regolate da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria;
b) poiché il Regolamento CE n. 1774/2002 assicura solo una tutela sanitaria per le carogne e per i sottoprodotti di origine animale. la materia delle carogne - in quanto tali - è sempre inclusa nella disciplina generale sui rifiuti, che assicura anche la tutela ambientale;
c) resta ferma la disciplina sanitaria dettata dal Regolamento n. 1774/2002 in materia di sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, e quindi anche delle carogne, se e in quanto configurabili come sottoprodotti e non come rifiuti, dovendosi intendere questa disciplina come esaustiva ed autonoma in ordine al profilo sanitario;”
In conclusione gli scarti di origine animali sono sottratti alla applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi dell’art. 183, comma primo lett. n), del D.Lgs. n. 152/06, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale.
Gli enunciati principi di diritto inoltre trovano applicazione sia con riferimento al testo originario dell’art. 185 del D.Lgs. n. 152/06, che alla nuova formulazione dell’articolo introdotta dall’art 22 del D.Lgs. 16.1.2008 n. 4, dovendo essere privilegiata quella interpretazione delle nonne nazionali che sia conforme al diritto comunitario e trovando, peraltro, detta interpretazione, in relazione al secondo comma dell’articolo 185, nella formulazione previgente, un puntuale riscontro testuale, stante il riferimento della norma all’ambito di applicazione ivi indicato” (dal Regolamento CE n. 1774/2002) e, quindi, al solo profilo sanitario e di polizia sanitaria disciplinato da detto Regolamento.
Va, infine, rilevato che la recente Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19.11.2008 n. 2008/98/CE, citata nella memoria del difensore dei ricorrenti Salerno e Del Vecchio, non risulta avere affatto modificato gli enunciati principi di diritto che regolano il concorso tra la disciplina sanitaria della gestione dei sottoprodotti di origine animale e la normativa in materia di rifiuti, in quanto la esclusione del principio di specialità trova puntuale riscontro proprio nelle disposizioni richiamate dal ricorrente.
L’art. 2, punto 2, della citata Direttiva, infatti, dispone: “Sono esclusi dall‘ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria: “lett. b) “sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal Regolamento CE a 1774/2002. eccetto quelli destinati all‘incenerimento, allo smaltimento in discarica o all‘utilizzo in un impianto di produzione di biogas odi compostaggio.”
E’ agevole, quindi rilevare che la deroga in favore di altra normativa comunitaria è riferita alla materia disciplinata dalla stessa (nella specie profili sanitari e di polizia veterinaria) e che la esclusione dall’ambito dei rifiuti, in ogni caso, non riguarda i sottoprodotti di origine animale destinati alle varie forme di smaltimento citate dalla norma (incenerimento, smaltimento in discarica, utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio) e, cioè, quegli scarti di origine animale che devono essere qualificati rifiuti in base alla nozione dettata in materia dalla corrispondente normativa.
Va peraltro e in ogni caso osservato che le Direttive della Comunità Europea, a differenza dei Regolamenti CE e delle pronunce della Corte di Giustizia, non sono self-executing, ma necessitano
di appositi atti normativi per essere introdotte negli ordinamenti dei singoli Stati appartenenti alla
Comunità.
Sicché la indicazione contenuta nel punto 13 della premessa, in ordine alla necessità di applicare il Regolamento (CE) n. 1774/2002 ai sottoprodotti di origine animate pericolosi per la salute, con l’esclusione di inutili sovrapposizioni con la normativa in materia di rifiuti, è evidentemente dettata dalla necessità di privilegiare il profilo sanitario della regolamentazione in tale ipotesi e, peraltro, detta precisazione ha esclusivo valore di indirizzo della legislazione da adottarsi in materia, come reso manifesto dallo stesso uso del condizionale nella formulazione della premessa
Osserva, quindi, la Corte, alla luce degli enunciati principi di diritto,che l’ordinanza impugnata ha correttamente ravvisato la sussistenza di sufficienti elementi atti a configurare i reati oggetto di indagine, essendo emerso da queste ultime, le cui risultanze sono ampiamente riportate nel provvedimento che gli indagati, in assenza delle prescritte autorizzazioni, ricevevano dai vari macelli ingenti quantitativi di scarti di macellazione, da qualificarsi come rifiuti, in quanto il produttore degli stessi se ne era disfatto, e che detti scatti erano destinati direttamente, o a seguito di operazioni di trasformazione in farine animali, da inquadrarsi anche esse tra quelle proprie del ciclo di gestione dei rifiuti, allo smaltimento.
A tali attività, peraltro, si aggiungevano, secondo quanto riportato nell’ordinanza, altre di miscelazione di SOA di categoria 1), obbligatoriamente destinati alla eliminazione, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, del Regolamento CE 1774/2002, con SOA di altre categorie per destinarli al riutilizzo con conseguente pericolo per la salme umana.
In ordine alle contestazioni dei ricorrenti sul punto della configurabilità di tutti i reati oggetto di indagine è appena il caso di ricordare il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Cotte, secondo il quale, ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per l’applicazione delle misure cautelari reali, è preclusa ogni valutazione in ordine alla esistenza degli indizi di colpevolezza e della gravità degli stessi, non essendo estensibili al sequestro le condizioni previste dall’ari 273 c.p.p. per l’applicazione delle misure restrittive della libertà personale. La valutazione del giudice inoltre deve essere limitata al controllo della compatibilità della fattispecie concreta oggetto di indagine con quella di reato ipotizzata secondo le prospettazioni della pubblica accusa. (sez. un. 23.4.1993 n. 4, Gifuni; sez. un. 4i.2000 n. 7, Mariano, NV 215X40 ed altre)
Appaiono, pertanto, inconferenti le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza ed alla carenza di motivazione dell’ordinanza con riferimento all’elemento soggettivo dei reati, il cui accertamento è riservato al giudizio di merito, salve le ipotesi in cui sia già emersa dalle indagini con certezza la sua inesistenza.
Va solo precisato che la configurabilità dei reati in materia di gestione illecita dei rifiuti costituiti dagli scarti di origine animale giustifica, in ogni caso, l’adozione delle misure cautelari, sicché si palesa inconferente la eventuale fondatezza della censura per carenza di motivazione della ordinanza in ordine alla individuazione degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 c.p., il cui accertamento peraltro ha già formato oggetto di adeguata valutazione nel giudizio afferente alle misure cautelari personali.
Va, ancora, rilevato, con riferimento ai motivi di gravame del Cinefra, che il ricorrente figura tra le persone indagate per i reati di cui si tratta e peraltro, le misure cautelari reali sono giustificate dalla pertinenza al reato delle cose sottoposte a vincolo, mentre a nulla rileva l’appartenenza delle stesse a persona estranea alla commissione dell’illecito. Inoltre ai sensi dell’art. 321, comma secondo, c.p.p. la suscettibilità di confisca giustifica di per sé il sequestro della cosa pertinente a reato.
Le ulteriori censure dei ricorrenti in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, che, in ogni caso, hanno formato oggetto di adeguata motivazione nell’ordinanza, attengono a profili di merito, non suscettibili di valutazione in sede di legittimità e, peraltro, le eventuali modificazioni della situazione che ha giustificato l’adozione della misura reale devono essere fatte valere, ai sensi dell’art. 321, comma terzo, c.p.p., in sede di richiesta di restituzione delle cose sottoposte a sequestro.
I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati.
Ai sensi dell’a 616 c.p.p. segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.