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Cass. Sez. III n. 12433 del 7 aprile 2006
a Pres. Vitalone Est. Squassoni Ric. Costa
Rifiuti – articolo 53bis D.Lv. 22-1997
Il delitto di cui all’rticolo 53bis D.Lv. 22 del 1997 si configura anche nel caso in cui l’attività oggetto di valutazione da parte del giudice penale sia svolta in presenza di autorizzazione.

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 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 15/11/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 01246
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 027610/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIB., LIBERTÀ di PALERMO;
nei confronti di:
1) COSTA PAOLO, N. IL 04/02/1965;
avverso ORDINANZA del 11/05/2005 TRIB. LIBERTÀ di PALERMO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. SQUASSONI CLAUDIA;
lette le conclusioni del P.G.: rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza 12 aprile 2005, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha respinto la richiesta del Pubblico Ministero di applicazione della misura cautelare della interdizione dai pubblici uffici nei confronti di Costa Paolo indagato per il reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (per attività di gestione di rifiuti speciali ingombranti della Azienda municipalizzata AMIA di cui l'indagato era il capo settore);
l'ordinanza è stata confermata in sede di appello dal Tribunale di Palermo con provvedimento del 11 maggio 2005.
A sostegno della loro conclusione, i Giudici di merito hanno rilevato:
- che il trattamento del percolato della discarica non era conforme alle prescrizioni indicate nel provvedimento autorizzatorio;
- che la condotta illecita rientrava nell'ambito applicativo della D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 4, perché l'attività di gestione di rifiuti era autorizzata;
- che non sussisteva il requisito della ingente qualità di rifiuti in quanto, in rapporto alla mole del materiale globalmente trattata, la complessa organizzazione, di cui faceva parte l'indagato, non poteva ritenersi finalizzata alla attività abusiva;
- che non sussisteva il dolo specifico dal momento che il profitto era costituito dalla percezione di una premio di produzione, che era subordinato ad una serie di variabili, e non si esauriva nel risparmio di spesa conseguito dallo indagato con la sua illecita condotta.
Per l'annullamento della ordinanza, ricorre in Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo violazione di legge. Rileva che sussistono gli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi della fattispecie di reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, di cui fa una analitica ricognizione, e precisamente: una organizzazione imprenditoriale dedita alla attività di traffico illecito di rifiuti; l'ingente quantità dei materiali gestiti abusivamente; il conseguimento di un ingiusto profitto costituito dai premi di produzione.
Il delitto previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (introdotto con la L. n. 93 del 2001, art. 22) intende sanzionare comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della gestione illecita dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva, attività professionale. Per il perfezionamento del reato, necessita il compimento di più operazioni illecite e la predisposizione di una organizzazione, sia pure rudimentale, con allestimento di mezzi ed impiego di capitali, finalizzata al traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti. Le condotte sanzionate dall'art. 53 bis si riferiscono a qualsiasi gestione di rifiuti e non sono limitate a quelle svolte al di fuori delle prescrizioni della autorizzazione; pertanto, la fattispecie di reato in esame comprende, oltre alla attività clandestina o avente ad oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le concrete modalità in cui si esplicano, risultino totalmente difformi dal contenuto della autorizzazione si da non potere essere giuridicamente riconducibili alla stessa (Cass. Sezione 3^, sentenze n. 40828/2005 e n. 40827/2005).
Consegue che, sul punto, il principio di diritto enucleato dal Tribunale, per il quale il delitto di cui all'art. 53 bis è connotato dalla mancanza di autorizzazione, non è condivisibile. I Giudici, avrebbero dovuto analizzate, pur in presenza di un titolo abilitativo (il cui contenuto, peraltro, non è specificato), quali fossero le difformità, in termini qualitativi o quantitativi, della gestione dei rifiuti rispetto alle prescrizioni della autorizzazione e verificare se la condotta dell'indagato fosse ontologicamente diversa da quella autorizzata.
Solo all'esito di questa analisi, il Tribunale avrebbe potuto concludere che la fattispecie concreta fosse sussumibile nella ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 4, e non in quella contestata dal Pubblico Ministero.
Per quanto riguarda il tema degli ingenti quantitativi di rifiuti, è esatto quanto precisato dal Tribunale perché il termine "ingenti", che qualifica i rifiuti, deve riferirsi al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se singolarmente considerate, potrebbero essere di modesta entità;
il requisito in oggetto non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità della abusiva gestione di rifiuti (Cass. Sezione 3 sentenza n 30373/2004).
Tuttavia, la motivazione della ordinanza impugnata, sul punto, è generica ed apparente; il Tribunale non ha indicato in base a quali parametri obiettivi ed elementi specifici ha concluso, in relazione al globale contesto della attività addebitata all'indagato, che il quantitativo di rifiuti non fosse ingente.
Anche relativamente al dolo specifico la motivazione della ordinanza non appare congrua e corretta. Il profitto, che la norma richiede, non deve assumere necessariamente natura di ricavo patrimoniale, ben potendo lo stesso essere integrato dal mero risparmio dei costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura (Cass. Sezione 3 sentenza n. 40827/2005).
Ora, nel caso concreto, la riduzione di esborsi da parte dell'azienda è stata evidenziata dai Giudici e la circostanza che tale risparmio fosse solo uno dei parametri da valutare ai fini del conferimento dei premi di produzione non esclude che lo stesso concorresse a determinare l'erogazione di incentivi anche economici con conseguente profitto patrimoniale e personale da parte dell'indagato. Per i rilevati vizi motivazionali, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Palermo.
P.Q.M.
La Corte annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2006