Cass. Sez. III n. 15449 del 13 aprile 2023 (UP 16 mar 2023)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. Imbesi
Rifiuti.Pastazzo di agrumi

Il "pastazzo" di agrumi, pur possedendo in astratto i requisiti per essere qualificato come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, se esposto senza alcun particolare accorgimento agli agenti atmosferici e soggetto, pertanto, per la sua composizione, ai naturali processi di fermentazione, costituisce un rifiuto, con la conseguenza che il suo abbandono o il suo deposito incontrollato su un terreno presentano rilievo penale


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/4/2022, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dichiarava Salvatore Imbesi colpevole del reato di cui all’art. 256, comma 2, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e lo condannava alla pena di 10.500,00 euro di ammenda.
2. Propone ricorso per cassazione l’Imbesi, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- violazione degli artt. 240 cod. pen., 256, comma 2, contestato. La sentenza avrebbe disposto la confisca del terreno sebbene il testo unico non preveda alcuna misura ablatoria, con riguardo al reato in rubrica, né sia applicabile una confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 cod. pen.; la stessa area, inoltre, apparterrebbe a persona diversa dall’imputato ed estranea al reato;
- violazione di legge per mancata dichiarazione di estinzione della fattispecie. Il Tribunale non avrebbe considerato che la contravvenzione sarebbe estinta per prescrizione dal 2/4/2022, ossia da una data precedente la sentenza, anche a considerare i 64 giorni di sospensione per emergenza Covid. In ogni caso, il termine di prescrizione sarebbe ormai ampiamente decorso;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza sarebbe gravemente viziata con riguardo alla sussistenza sia della condotta di deposito incontrollato, sia dell’elemento psicologico in capo al ricorrente. L’istruttoria, infatti, avrebbe provato che i rifiuti in oggetto non erano pericolosi, che si trattava di ammendato, che il materiale non era in fermentazione, che il terreno non era vulnerabile, che il materiale non era depositato in modo incontrollato e che, in ogni caso, la sua collocazione era stata preventivamente comunicata all’autorità comunale;
- il vizio di motivazione, infine, è dedotto anche quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che il ricorrente avrebbe meritato, ed alla misura della pena, contraria al principio di proporzionalità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Con riguardo, innanzitutto, al terzo motivo, da analizzare in via logica per primo in quanto relativo al giudizio di responsabilità, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
4.1. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse al provvedimento impugnato sono inammissibili; dietro la parvenza di un plurimo vizio motivazionale, infatti, le stesse tendono ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole in ordine alla natura del rifiuto, alla sua qualifica di “ammendato”, alle caratteristiche della relativa area, della condotta effettivamente tenuta dall’Imbesi e del correlato profilo psicologico.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, trascura che il Tribunale – pronunciandosi proprio sulle questioni qui riprodotte – ha steso una motivazione ampia, del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha richiamato l’intera istruttoria, dalla quale era emerso che: a) scarti vegetali costituiti da resti di agrumi, provenienti dalla “Agrumigel s.r.l.” (della quale l’Imbesi era amministratore unico), erano stati depositati su un terreno di proprietà della “Bellavista s.r.l.” (della quale, ancora, il ricorrente era legale rappresentante); b) questo materiale doveva esser qualificato come rifiuto, presentandosi in putrefazione e con cattivo odore, e, dunque, non poteva essere riutilizzato in agricoltura come ammendante agricolo, come da costante giurisprudenza di questa Corte che la sentenza ha propriamente richiamato; c) questi scarti risultavano esser stati accumulati sul terreno da tempo imprecisato, e non sottoposti a procedura e controlli per il recupero. La qualificazione del prodotto come rifiuto, dunque, è stata fondata su una adeguata e logica lettura di obbiettive emergenze istruttorie, che la sentenza ha eseguito con assoluto rigore, senza meritare censure; così da ritenere del tutto congrua l’affermazione di responsabilità, anche quanto al profilo psicologico. La sentenza, peraltro, ha fatto corretta applicazione della costante giurisprudenza di legittimità in materia, per la quale il "pastazzo" di agrumi, pur possedendo in astratto i requisiti per essere qualificato come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, se esposto senza alcun particolare accorgimento agli agenti atmosferici e soggetto, pertanto, per la sua composizione, ai naturali processi di fermentazione, costituisce un rifiuto, con la conseguenza che il suo abbandono o il suo deposito incontrollato su un terreno presentano rilievo penale (per tutte, Sez. 3, n. 1426 del 18/9/2019, Ferrari, Rv. 277944).
5. Con riguardo, poi, al secondo motivo, in punto di prescrizione del reato, lo stesso è ugualmente del tutto infondato.
5.1. Al riguardo, va innanzitutto osservato che, secondo un indirizzo ormai ripetutamente condiviso dalle più recenti decisioni, il reato di deposito incontrollato di rifiuti può avere natura permanente, nel caso in cui l'attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento degli stessi, o, invece, natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’attività illecita si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l'intero disvalore della condotta (in questo senso: Sez. 3, n. 8088 del 13/01/2022, Franceschetti Rv. 282916; Sez. 3, n. 32305 del 24/5/2022, Vitali, non massimata; Sez. 3, n. 20713 del 25/01/2022, Messina, non massimata).
5.2. A sostegno di questa opzione ermeneutica, si osserva, in particolare, che: -) la fattispecie di deposito incontrollato attiene ad una condotta la quale deve distinguersi dalle altre due tipologie contemplate dall'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, quelle di abbandono e di immissione nelle acque superficiali o sotterranee, pena altrimenti l'inutilità della previsione normativa; -) il significato letterale del termine "deposito" evoca «la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto»; -) la condotta "deposito", tuttavia, coincide con quella di abbandono quando «sia mancata la successiva fase di gestione [...] e la collocazione del rifiuto ed altri dati oggettivi siano indicativi della mera volontà di liberarsene definitivamente», con conseguente esaurimento della stessa al momento in cui la cosa viene riposta; -) la condotta di "deposito", invece, quando costituisce attività prodromica alla successiva gestione del rifiuto, in una prospettiva di smaltimento o di recupero, è diversa dall'abbandono, che si protrae nel tempo, perché consiste nella «detenzione con modalità estranee a quelle conformi alla legge, potenzialmente pericolose», e tali da incidere, durante la sua protrazione, sui beni giuridici tutelati della salute umana e dell'integrità dell'ambiente, ed integra, quindi, un illecito permanente (così, specificamente, in motivazione, Sez. 3, n. 44516 del 17/7/2019, Jannotti, non massimata).
6. Tanto premesso in termini generali, il Giudice del merito ha correttamente individuato le modalità con cui la condotta era stata posta in essere, rimarcando come la stessa fosse stata caratterizzata da una sistematica pluralità, desunta dal quantitativo, e da una palese volontà dismissiva (espressa anche dallo stato di fermentazione), “il che consentiva di escluderne una destinazione diversa dal mero abbandono, tenuto conto della mancata destinazione dell’area ad attività agricola”.
6.1 In forza di ciò, dunque, la consumazione del reato deve essere ancorata alla data del suo accertamento, ossia al 27/1/2017; relativamente a questa, tuttavia, il termine quinquennale di prescrizione – di cui agli artt. 157-161 cod. pen. - non era ancora decorso alla data della sentenza impugnata (19/4/2022), alla luce della sospensione dello stesso termine dall’8/2/2022 al 19/4/2022 (per rinvio su istanza del difensore) e dal 10/4/2020 all’11/5/2020 (per sospensione ex lege per pandemia).
6. La sentenza, di seguito, non risulta affatto censurabile neppure con riguardo al quarto motivo, in punto di trattamento sanzionatorio.
6.1. Il Tribunale, in particolare, ha innanzitutto negato le circostanze attenuanti generiche, sul presupposto – congruo e immune da vizi - che non era emerso alcun elemento che le giustificasse, in termini sia oggettivi che psicologici, o legati alla condotta processuale; questa affermazione, peraltro, ha trovato nel ricorso soltanto contestazioni in punto di merito, quindi non ammissibili.
6.2. Quanto, poi, alla misura della pena, la generica censura di mancanza di proporzione si scontra con la solida motivazione redatta anche sul punto; il Tribunale, infatti, ha giustificato il discostamento dal minimo edittale con il quantitativo di scarti agrumari rinvenuti, tali da propagarsi fino al sottosuolo, oltre che con le caratteristiche organiche della sostanza, indici della natura assai inquinante degli scarti, poi “comprovata dalla concentrazione dei parametri in misura decisamente superiore ai limiti massimi fissati dalla normativa regionale”.
7. Infine, con riguardo alla confisca dell’area, basti qui osservare che – per indicazione dello stesso ricorso – il terreno “apparteneva ed appartiene a persona diversa dall’imputato e comunque persona estranea ai fatti”; l’Imbeni, pertanto, è soggetto privo di interesse a porre la questione, nonché privo di legittimazione.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2023