Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2740, del 21 maggio 2013
Rifiuti. Ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria. Principio comunitario “chi inquina, paga” e responsabilità del proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento

Si sottopone all’esame dell’Adunanza plenaria la quaestio iuris se: in base al principio di matrice comunitaria compendiato nella formula “chi inquina, paga”, l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 152 del 2006 (sia pure, in solido con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se, in alternativa, in siffatte ipotesi gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restino limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali. (Segnalazione di F. Albanese)

N. 02740/2013REG.PROV.COLL.

N. 00656/2013 REG.RIC.

N. 00658/2013 REG.RIC.

N. 00659/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

PARZIALE CON CONTESTUALE ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 656 del 2013, proposto da: 
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Fipa Group S.r.l.Gia' Nasco Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Candido Di Gioia, Francesco Massa, con domicilio eletto presso Giovan Candido Di Gioia in Roma, piazza G. Mazzini, 27;

nei confronti di

Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda Regionale Protezione Ambientale Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambientale Settore Versilia;




sul ricorso numero di registro generale 658 del 2013, proposto da: 
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Tws Automation Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Lazzini, Stefano Prosperi Mangili, con domicilio eletto presso Stefano Prosperi Mangili in Roma, via G. Battista Vico, 1;

nei confronti di

Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda Regionale Protezione Ambientale Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambientale Settore Versilia;




sul ricorso numero di registro generale 659 del 2013, proposto da: 
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Ivan Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giovan Candido Di Gioia, Francesco Massa, con domicilio eletto presso Giovanni Di Gioia in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, 19;

nei confronti di

Montedison Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Stefania Masini, Wladimiro Troise Mangoni, Gian Luca Conti, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, via Antonio Gramsci N.24; Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda Regionale Protezione Ambientale Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambientale Settore Versilia;

per la riforma

quanto al ricorso n. 656 del 2013:

della sentenza breve del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01666/2012, resa tra le parti, concernente

quanto al ricorso n. 658 del 2013:

della sentenza del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01659/2012, resa tra le parti, concernente

quanto al ricorso n. 659 del 2013:

della sentenza del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01664/2012, resa tra le parti, concernente



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Fipa Group S.r.l.Gia' Nasco Srl e di Tws Automation Srl e di Ivan Srl e di Montedison Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Cristina Gerardi, l'avv.to Di Gioia e l'avv.to Massa dello Stato Cristina Gerardi e l'avv.to Prosperi Mangili dello Stato Cristina Gerardi, l'avv.to Massa, l'avv.to Di Gioia, l'avv.to Masini e l'avv.to Troise;



1. Con i cinque ricorsi di primo grado, proposti al T.A.R. della Toscana (nn. 695/2012, 1294/2007, 145/2012, 2070/2011 e 134/2012), le società odierne appellate avevano chiesto l’annullamento dei decreti adottati dal Ministero dell’ambiente fra il 2007 e il 2011 con cui, ai sensi dell’articolo 14-ter della l. 7 agosto 1990, n. 241 (e in senso conforme alle determinazioni conclusive delle conferenze di servizi decisorie all’uopo convocate), era stato ordinato a tali società – quali proprietarie di aree gravemente contaminate da agenti nocivi ed incluse nell’ambito del sito di interesse nazionale di Massa Carrara - di avviare specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza, nonché di presentare la variante del progetto di bonifica dell’area (progetto risalente al 1995).

In particolare:

- con il ricorso n. 695/2012 (definito con la sentenza n. 1666/2012), la soc. Nasco s.r.l. aveva impugnato il decreto direttoriale del 7 novembre 2011 avente ad oggetto il provvedimento finale di adozione delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria del 5 ottobre 2011;

- con il ricorso n. 1294/2007 e il successivo ricorso n. 145/2012 (definiti, previa riunione, con sentenza n. 1695/2012), la soc. TWS Automation s.r.l. aveva impugnato: a) il decreto direttoriale del 18 maggio 2007 avente ad oggetto il provvedimento finale di adozione delle determinazioni conclusive delle conferenze di servizi decisorie del 22 dicembre 2005, 28 aprile 2005 e 24 marzo 2005; b) il decreto direttoriale del 7 novembre 2011 avente ad oggetto il provvedimento finale di adozione delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria del 5 ottobre 2011 (a sua volta recettiva dell’accordo di programma del 14 marzo 2011);

- con il ricorso n. 2070/2011 e il successivo ricorso n. 134/2012 (definiti, previa riunione, con sentenza n. 1664/2012), la soc. I.Van. s.r.l. aveva impugnato: il decreto direttoriale del 16 settembre 2011 e il successivo decreto del 7 novembre 2011, con cui era stato chiesto alla società in qualità di attuale proprietaria dell’area e ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ., di provvedere al integrare le misure di messa in sicurezza di emergenza del sito industriale di cui è proprietaria e di presentare una variante al progetto di bonifica del sito.

Al riguardo, le società ricorrenti in primo grado avevano rappresentato:

- di essere subentrate nella titolarità delle aree in parola ad altre società, le quali le avevano acquistate dalla Cersam s.r.l.;

- di non aver in alcun modo concorso a determinare il grave stato di contaminazione delle aree da loro acquistate (stato di contaminazione le cui cause erano da rinvenirsi nelle attività già svolte su tali aree da parte dei precedenti titolari e, in primis, dalle società del gruppo Montedison);

- che i decreti impugnati in primo grado avevano imposto alle appellate, per la loro qualità di proprietarie delle aree, l’adozione di onerose attività riferibili alle previsioni di cui al Titolo V della Parte IV del decreto legislativo 152 del 2006 (sulla ‘bonifica dei siti contaminati’), fra cui: i) l’avvio di specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza (fra cui il barrieramento fisico delle acque di falda); ii) la presentazione di varianti al progetto di bonifica dell’area.

2. Con le sentenze in epigrafe, il Tribunale adìto ha accolto i ricorsi proposti dalle società Nasco s.r.l., TWS Automation s.r.l. e Ivan s.r.l. e, per l’effetto, ha disposto l’annullamento degli atti impugnati.

3. Le sentenze in questione sono state appellate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha articolato tre ricorsi in appello (invero fondati su argomenti coincidenti) che vengono qui di seguito descritti.

Con un primo ordine di motivi, il Ministero osserva che i primi Giudici avrebbero dovuto rilevare l’inammissibilità dei ricorsi di primo grado per la ritenuta insussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale all’impugnativa.

Ed infatti, un siffatto interesse sarebbe nel caso di specie assente, in considerazione del fatto che nessun pregiudizio diretto ed immediato poteva derivare alla sfera di interessi delle ricorrenti in primo grado, atteso che l’amministrazione avrebbe potuto agire in loro danno solo se si fosse verificato un evento futuro e incerto (la paventata inadempienza della Montedison s.r.l. - in seguito: Edison s.p.a. - rispetto agli obblighi di cui al Titolo V della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n., 152).

Inoltre, i primi Giudici avrebbero dovuto concludere nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi in considerazione del fatto che i provvedimenti impugnati dinanzi al T.A.R. erano stati notificati alle società odierne appellate solo in quanto proprietarie delle aree e che tali provvedimenti non contenevano alcun ordine nei loro confronti, sì da porre in dubbio la stessa legittimazione al ricorso, prima ancora dell’interesse ad agire.

Con un secondo ordine di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui è stato accolto il motivo di ricorso con il quale si era contestata la sussistenza dei presupposti per attivare la messa in sicurezza d’emergenza e per impartire le conseguenti disposizioni nei confronti dei soggetti proprietari delle aree.

Questo motivo concerne due distinti aspetti delle sentenze in epigrafe (entrambi, tuttavia, determinanti ai fini della complessiva risoluzione della vicenda).

In primo luogo, il Ministero appellante lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano negato la sussistenza dei presupposti per disporre l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m) del decreto legislativo n. 152 del 2006.

Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, infatti, le misure di messa in sicurezza d’emergenza potrebbero essere disposte anche al fine di evitare un incremento repentino (non ancora verificatosi, ma in concreto possibile) e potenzialmente immediato e incontrollabile dell’inquinamento. Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per non aver considerato che l’approccio in questione è quello maggiormente compatibile con i princìpi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danno causati all’ambiente.

In secondo luogo, i primi Giudici non avrebbero considerato che nei confronti del proprietario del sito inquinato ben possono essere adottati i provvedimenti di cui al titolo IV della parte IV del ‘codice ambientale’ (articolo 240 e seguenti) a prescindere dalla sussistenza di una prova in ordine all’addebitabilità dell’inquinamento alle sue azioni o omissioni.

Ad avviso del Ministero appellante, invero, il principio di matrice comunitaria ‘chi inquina paga’ dovrebbe essere inteso con un’ampia accezione interpretativa e avendo prioritario rilievo alla funzione di salvaguardia al cui presidio il principio in questione è posto.

In definitiva, il principio in parola dovrebbe essere inteso nel senso che la responsabilità degli operatori economici proprietari o utilizzatori di aree industriali ricadenti nell’ambito di siti inquinati si qualificherebbe quale ‘oggettiva responsabilità imprenditoriale’, conseguente all’esercizio di un’attività ontologicamente pericolosa.

Ne consegue che i proprietari delle aree sarebbero tenuti a sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela dell’ambiente (ad esempio, mediante la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza) in correlazione causale con tutti - indistintamente - i fenomeni di compromissione collegati alla destinazione produttiva del sito il quale sarebbe - sotto tale aspetto - gravato da un vero e proprio onere reale finalizzato alla tutela di prevalenti interessi della collettività.



Del resto l’approccio in questione sarebbe compatibile con un sistema (quello delineato dagli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006) il quale, nelle ipotesi in cui il responsabile dell’inquinamento non sia in concreto individuabile o non provveda, non prevede che la responsabilità (per così dire: ‘di ultima istanza’) gravi sulla collettività, ma prevede che i relativi oneri gravino a carico della proprietà, salvo il diritto di rivalsa da parte del proprietario nei confronti del responsabile.

Sotto questo aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma laddove ha affermato che, nell’ipotesi di mancata effettuazione degli interventi di ripristino ambientale da parte del responsabile dell’inquinamento (ovvero, nelle ipotesi di mancata sua identificazione), le attività di recupero ambientale dovrebbero essere eseguite dalla P.A. competente (la quale potrà a sua volta rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata anche esercitando - laddove la rivalsa non abbia avuto buon fine - le ‘garanzie’ gravanti sul terreno in relazione ai medesimi interventi).

Con un terzo ordine di motivi, il Ministero lamenta che le sentenze appellate non avrebbero considerato che l’applicazione del principio comunitario ‘chi inquina paga’ ben può consentire l’imposizione a un soggetto di misure urgenti di tutela ambientale in virtù del mero dato oggettivo della relazione con il sito inquinato e a prescindere dalla prova di aver cagionato l’evento con la propria condotta dolosa o colposa.

Ciò sarebbe compatibile con la natura cautelare (e di estrema tutela) e non sanzionatoria che caratterizza le misure di tutela ambientale d’urgenza.

L’approccio in questione sarebbe confermato dalla giurisprudenza nazionale (viene citata al riguardo Cons. Stato, V, 16 novembre 2005, n. 6406) e comunitaria (viene citata al riguardo la sentenza della Corte di giustizia della CE del 9 marzo 2010, sui ricorsi riuniti C-379/08 e C-380/08).

Il Ministero appellante annette particolare importanza ai fini del decidere alla sentenza da ultimo richiamata, la quale ha affermato che l’ordinamento comunitario ammette che le misure di riparazione del danno ambientale possano essere imposte a un soggetto a prescindere dalla dimostrazione dell’esistenza di un comportamento doloso o colposo da parte dell’operatore le cui attività siano considerate all’origine del danno ambientale.

Con un quarto ordine di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe per la parte in cui non hanno considerato che l’imposizione al proprietario dell’obbligo di ripristino ambientale risulta compatibile con il principio comunitario di precauzione, il quale postula che - in tutti i casi in cui non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa - l’azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al consolidarsi delle conoscenze scientifiche

In tal senso deporrebbe la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Con un quinto ordine di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe per la parte in cui hanno assorbito il motivo dedotto dalle società ricorrenti in primo grado in relazione alla pretesa non conformità delle ‘prescrizioni’ imposte in seno alla conferenza di servizi decisoria rispetto ai contenuti dell’accordo di programma intervenuto fra i competenti soggetti pubblici.

Sotto tale aspetto, la pronuncia di assorbimento non risulterebbe corretta, atteso che i primi Giudici avrebbero piuttosto dovuto respingere il motivo di ricorso, in quanto infondato, con le conseguente statuizione di rigetto dei ricorsi nel loro complesso.

Nel ricorso n. 656/2013 si è costituita in giudizio la società Fipa Group s.r.l. (già soc. Nasco s.r.l.), la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Nel ricorso n. 658/2013 si è costituita in giudizio la società TWS Automation s.r.l., la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Nel ricorso n. 659/2013 si è costituita in giudizio la società Ivan s.r.l., la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Nel ricorso n. 659/2013 si è costituita in giudizio la soc. Montedison s.r.l. - in seguito: Edison s.p.a., a quale ha concluso nel senso della fondatezza dell’appello..

Alla camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione, dopo che il presidente ha rappresentato – con l’adesione delle parti – che il collegio si sarebbe riservato di decidere soltanto le domande cautelari, ovvero di decidere il secondo grado dei giudizi con sentenza semplificata, ovvero di decidere le domande cautelari, con trattenimento delle cause per la definizione del secondo grado dei giudizi.

All’esito della medesima camera di consiglio, il Collegio:

- ha reso tre ordinanze, con cui è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti delle sentenze impugnate, per carenza dei presupposti di legge;

- ha ritenuto sussistenti i presupposti per trattenere le cause in decisione, per la definizione del secondo grado dei giudizi, decidendo – come precisato nel dispositivo – nel senso di deferire la decisione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ai sensi dell’articolo 99 del cod. proc. Amm

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio tre ricorsi in appello proposti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare avverso altrettante sentenze con cui il T.A.R. della Toscana ha accolto i ricorsi in primo grado proposti da società che si erano rese acquirenti di alcune aree (già appartenute a società del gruppo Montedison e incluse nel sito di interesse nazionale di Massa Carrara, in quanto interessate da gravi fenomeni di contaminazione) e, per l’effetto, ha annullato gli atti con cui i soggetti pubblici competenti hanno loro ordinato - in qualità di proprietari delle aree - di avviare specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza, nonché di presentare la variante del progetto di bonifica dell’area (progetto risalente al 1995).

2. I ricorsi in questione devono essere riuniti, sussistendo evidenti ragioni di carattere oggettivo e in parte soggettivo (articolo 70 del cod. proc. amm.).

3. Il Collegio (che ha trattenuto in decisione i ricorsi in questione all’esito della camera di consiglio, come prospettato alle parti) ritiene che alcuni dei punti di diritto sottoposti al suo esame possano dare luogo a contrasti giurisprudenziali e, pertanto, ritiene di deferire la questione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ai sensi dell’articolo 99 del cod. proc. amm.

In particolare, si sottopone all’esame dell’Adunanza plenaria la quaestio iuris se . in base al principio di matrice comunitaria compendiato nella formula ‘chi inquina, paga’ – l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 152 del 2006 (sia pure, in solido con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se – in alternativa - in siffatte ipotesi gli effetti a carico del proprietario ‘incolpevole’ restino limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali.

4. Ritiene la Sezione che la questione sopra riassunta sub 3 sia rilevante, poiché vanno respinte le eccezioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito sollevati dalle difese delle parti in causa.

4.1. Si osserva al riguardo che non è fondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa della soc. Nasco s.r.l. (in seguito: FIPA Group s.r.l.) per non essere stato il ricorso in appello notificato alla società Montedison s.r.l. (in seguito: Edison s.p.a.), poiché alla società Montedison (in seguito: Edison s.p.a.) è stato notificato il ricorso in appello n. 659/2013, nell’ambito del quale essa ha potuto compiutamente articolare le proprie difese.

4.2. Inoltre, non risultano fondati i motivi di appello con i quali si è chiesto che il ricorso di primo grado fosse dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione attiva e interesse ad agire in capo alle società ricorrenti in primo grado (la cui posizione giuridica potrebbe essere incisa solo nell’ipotesi - futura ed incerta - del temuto inadempimento di Montedison).

Al riguardo appare dirimente ai fini del decidere il fatto che i provvedimenti impugnati in primo grado sanciscono l’obbligo in via solidale delle società oggi appellate per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e per la presentazione delle varianti ai progetti di bonifica.

Ne consegue che i provvedimenti impugnati in primo grado risultano idonei ad incidere in modo negativo nella sfera giuridica di tali imprese, imponendo in capo ad esse (in via solidale rispetto al soggetto responsabile dell’inquinamento) onerosi obblighi di facĕre;

5. Il carattere dirimente ai fini del decidere della questione sollevata (relativa al se gli obblighi di cui agli articoli 240 e seguenti del t.n. n. 152 del 2006 possano ricadere anche sul proprietario ‘incolpevole’ in ragione del titolo proprietario dell’area) emerge anche dalla infondatezza (di cui si darà atto nel dispositivo) del motivo con il quale si è chiesta la riforma in parte qua delle sentenze in epigrafe, per la parte in cui esse avrebbero negato in radice la sussistenza dei presupposti stessi dell’avvio della messa in sicurezza di emergenza dell’area.

Infatti, le sentenze appellate non hanno posto in discussione la sussistenza stessa dei presupposti e delle condizioni per imporre l’adozione di misure di messa in sicurezza di emergenza.

Pertanto, risultano inammissibili – per difetto di interesse - i motivi di appello con i quali il Ministero ha chiesto di riformare le sentenze per avere negato (il che non è) che nel caso in esame sussistessero i presupposti per imporre misure di messa in sicurezza di emergenza, difettando le condizioni all’uopo previste dall’articolo 240, comma 1, lettere m) e t) del d.lgs. 152 del 2006.

Sul punto, va precisato che, qualora il TAR avesse effettivamente negato l’esistenza dei presupposti per l’attivazione delle misure di messa in sicurezza di emergenza, si sarebbe dovuto esaminare anche la questione inerente l’effettiva sussistenza di tali presupposti.

Tuttavia, non avendo il TAR escluso che vadano realizzate le misure di messa in sicurezza di emergenza, nel giudizio occorre unicamente verificare quale sia la concreta ‘distribuzione’ degli obblighi tra l’autore dell’inquinamento - sia o meno esso proprietario dell’area - e il proprietario che risulti tale al momento in cui l’amministrazione ordina le misure imposte dalla legge.

6. Nel merito il Collegio, poiché la centrale questione di diritto posta al suo esame risulta particolarmente delicata e può dare luogo a contrasti giurisprudenziali, ritiene di devolvere la definizione delle controversie all’esame dell’Adunanza plenaria.



6.1. Al riguardo si ritiene di premettere alcuni cenni in ordine al complessivo assetto delle disposizioni che il decreto legislativo 152 del 2006 dedica alla questione degli obblighi ricadenti - rispettivamente - a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento e del proprietario dell’area.

L’articolo 242 (in tema di ‘procedure operative ed amministrative’) disciplina con un certo livello di dettaglio gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell’inquinamento al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito.

L’articolo 242 disciplina gli obblighi ricadenti sul soggetto responsabile per ciò che riguarda:

i) l’adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d’emergenza;

ii) gli obblighi di comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti;

iii) la predisposizione del piano di caratterizzazione;

iv) la gestione della procedura di analisi del rischio specifica;

v) l’ottemperanza agli obblighi derivanti dall’approvazione del piano di monitoraggio;

vi) la presentazione dei progetti operativi degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente;

vii) l’attivazione delle attività di caratterizzazione, di bonifica, di messa in sicurezza e di ripristino ambientale rese necessarie, a seconda dei casi, dalle prescrizioni impartite dai soggetti pubblici competenti.

L’at. 242 non individua alcun obbligo in capo al proprietario del sito, la cui posizione, in effetti, non viene mai richiamata nell’ambito della disposizione in esame.

L’articolo 244 (rubricato ‘ordinanze’) disciplina il caso in cui sia stato accertato che la contaminazione verificatasi nel caso concreto abbia superato i valori di concentrazione della soglia di contaminazione.

In questo caso, Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione all’adozione delle misure di cui agli articoli 240 e seguenti.

Il comma 3 stabilisce che “l’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253”.

Il successivo comma 4 stabilisce che, “se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250”.

L’articolo 245 (rubricato ‘Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione’) al comma 1 stabilisce che: “Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili”.

Il comma 2, inoltre, stabilisce che “Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. E' comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità”.

L’articolo 250 (rubricato ‘bonifica da parte dell’amministrazione’) stabilisce che, “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne' il proprietario del sito ne' altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per I predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.

Infine, rileva l’articolo 253 (rubricato ‘Oneri reali e privilegi speciali’), il quale, ai primi quattro commi, stabilisce quanto segue: “1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica”. “2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile”. “3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilita' di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilita' di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità”. “4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito”

7. In giurisprudenza si sono registrate posizioni differenziate in ordine al se possa farsi gravare sul proprietario dell’area ‘incolpevole’ della contaminazione l’obbligo di realizzare gli interventi di cui al titolo V della parte IV del ‘codice ambientale’ (sia pure solo in solido con il responsabile effettivo e salvo il diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo per gli oneri sostenuti).

7.1. In base a un primo orientamento, al quesito va data risposta in senso positivo, avuto riguardo al principio di matrice comunitaria compendiato nella formula ‘chi inquina paga’.

L’orientamento in questione è stato compendiato (con puntuali richiami alla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Cassazione) dalla seconda Sezione di questo Consiglio di Stato con il parere n. 2038/2012 (reso all’esito dell’adunanza di Sezione del 23 novembre 2011).

Stante il suo carattere del tutto perspicuo, si ritiene di richiamare de extenso la parte principale del parere in questione, per quanto qui di interesse:

“Alla luce degli artt. 242, 244, 245, 250 e 253 del D.Lgs. 152/2006, appare evidente che, nel sistema sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito inquinato è senza dubbio soggetto diverso dal responsabile dell’inquinamento (pur potendo, ovviamente, i due soggetti coincidere); su quest’ultimo gravano, oltre altri tipi di responsabilità da illecito, tutti gli obblighi di intervento, di bonifica e lato sensu ripristinatori, previsti dal Codice dell’ambiente (in particolare dagli artt. 242 ss.).

Tuttavia, il proprietario dell’immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione. In primo luogo, il proprietario è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (art. 254); in secondo luogo, il proprietario, ancorché non responsabile, può sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245); infine, il proprietario è il soggetto sul quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare — in mancanza di individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione — le conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (253).

I principi della precauzione e dell’azione preventiva sono del resto posti a base della politica della Comunità europea in materia ambientale.

Il principio “chi inquina paga”, pur individuando nel responsabile dell’inquinamento il soggetto responsabile per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitone, per altro verso, non prevede che — in assenza di individuazione del responsabile ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni — il costo degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà.

D’altra parte, escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento venga sopportato dalla collettività, costituisce proprio la ratio sottesa al principio comunitario del “chi inquina paga”.

La giurisprudenza della Suprema Corte, con la sentenza a Sezioni Unite n. 4472 del 25 febbraio 2009 ha evidenziato che “nonostante la corresponsabilità del proprietario richieda che la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o colpa grave….le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma citata rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente”; la Corte in pratica sostiene che proprio l’omissione degli accorgimenti e delle cautele atte a realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area possano integrare il requisito della colpa previsto dalla norma.

Tale giurisprudenza della Corte di Cassazione è stata di recente ribadita anche da questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. IV, 13.1.2010, n. 84).

Del resto, come pure affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4561), mentre la responsabilità dell’autore dell’inquinamento, di cui all’art. 17, comma 2, del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (tale decreto è stato abrogato dall’art. 264, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) <<costituisce, invero, una forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree – la natura oggettiva della responsabilità in questione, secondo tale pronuncia, sarebbe “desumibile dalla circostanza che l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all’art. 17 citato, in connessione con una condotta “anche accidentale”, ossia a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all’autore dell’inquinamento; ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l’azione (o l’omissione) dell’autore dell’inquinamento ed il superamento o pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario “chi inquina paga”, sensibilmente diversa << si presenta, invece, la posizione del proprietario del sito (…) per la responsabilità del quale occorre fare riferimento ai commi 10 e 11 dell’art. 17: chi è proprietario o chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito>>.

Il principio comunitario “chi inquina paga”, piuttosto che ricondursi alla fattispecie illecita integrata dall’elemento soggettivo del dolo e della colpa e dall’elemento materiale, imputa il danno a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi, cioè imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della “cost-benefit analysis” per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente”.

7.1.1. In definitiva, i principali argomenti a sostegno della tesi in questione risultano:

- la valorizzazione del dato testuale sul coinvolgimento (anche su base volontaria) del proprietario nell’adozione delle misure di cui agli articoli 240 e segg.;

- la lettura dei princìpi comunitari di precauzione, dell’azione preventiva e del ‘chi inquina paga’, sulla base dell’esigenza che le conseguenze dell’inquinamento (a seguito delle alienazione tra privati delle aree) ricadano sulla collettività;

- la sussistenza di specifici doveri di protezione e custodia ricadenti sul proprietario dell’area (peraltro riconducibili ai codici civili del 1865 e del 1942, oltre che alle tradizioni giuridiche degli Stati), a prescindere dal suo coinvolgimento diretto ed immediato nella determinazione del fenomeno di contaminazione;

- la sottolineatura della particolare posizione del proprietario, il cui coinvolgimento nei più volte richiamati obblighi sarebbe svincolato da qualunque profilo di colpa, essendo qualificabile quale responsabilità ‘da posizione’, derivante in ultima analisi: i) dalla mera relazione con la res; ii) per di più dall’esistenza di un onere reale sul sito (di fonte normativa); iii) dall’essere (o dall’essere stato) in condizione di realizzare ogni misura utile ad impedire il verificarsi del danno ambientale.

7.2. In base a un opposto orientamento, non vi sono ragioni testuali o sistematiche per far gravare in capo al proprietario dell’area gli obblighi di adozione delle misure di cui alle disposizioni più volte citate.

7.2.1. L’orientamento in questione è stato di recente sostenuto da questa Sezione, con la sentenza 9 gennaio 2013, n. 56.

Anche in questo caso, va riportata la parte essenziale della motivazione.

“Il d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente) stabilisce che l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare (artt. 242 e 244); che il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).

Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, laddove l’Amministrazione non provi che l’inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alle società appellate, a queste ultime non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito. (Cons. di Stato, Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376).

A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché “su prove e non su mere presunzioni” (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).

Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per fattispecie diversa, che l’addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio “chi inquina paga” (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188)”.

7.2.1. In definitiva, i principali argomenti a sostegno della tesi in questione sembrano essere i seguenti:

- l’indagine testuale delle disposizioni del d.lg. n. 152 del 2006, interpretate nel senso che delineano una precisa scansione nell’individuazione dei soggetti di volta in volta chiamati ad adottare le misure di protezione e ripristino ambientale, senza possibilità di individuare in modo diretto ed immediato in capo al proprietario ‘incolpevole’ alcuno degli obblighi di cui agli articoli 240 e seguenti, salvi gli effetti dell’imposizione ex lege di particolari oneri reali e di privilegi speciali per far fronte all’ipotesi di inadempimento da parte del soggetto responsabile;

- un approccio concettuale il quale declina le conseguenze del principio comunitario ‘chi inquina paga’ secondo le categorie tipiche del canone della responsabilità personale, con l’esclusione del ricorso ad indici presuntivi o a forme più o meno accentuate di responsabilità oggettiva.

8. Una volta rilevata l’esistenza di contrasti in giurisprudenza, il Collegio ritiene necessario che la questione venga devoluta all’esame della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

8.1. Al riguardo, in aggiunta a quanto già osservato dalla sopra richiamata giurisprudenza, il Collegio ritiene di formulare le seguenti considerazioni.

Da un lato, si potrebbe sostenere che le disposizioni sopra riportate non consentano di concludere nel senso che al proprietario dell’area possano essere impartiti specifici obblighi di facĕre (quali quelli relativi all’integrazione delle misure di messa in sicurezza di emergenza e di presentazione della variante al progetto di bonifica, che nella presente vicenda vengono in rilievo).

Infatti, ai sensi dell’articolo 244, comma 3, l’ordinanza che impartisce al responsabile l’ordine di adottare le misure di cui agli articoli 240 e segg. viene, sì, notificata anche al proprietario dell’area, ma “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253” (i.e.: ai sensi della disposizione in tema di oneri reali e privilegi speciali gravanti sul fondo).

Si potrebbe dunque sostenere che il comma 3 non consenta di notificare l’ordinanza al proprietario anche ai fini della diretta attribuzione nei suoi confronti - in solido con il responsabile - dell’obbligo di adottare le misure.

Inoltre, si potrebbe sostenere che:

- ai sensi del combinato disposto dell’articolo 244, comma 4, e dell’articolo 245, commi 1 e 2, il proprietario dell’area ‘incolpevole’ possa, ma non debba, realizzare gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, se abbia uno specifico interesse ad operare in tal senso.

- ai sensi dell’articolo 245, comma 2, il proprietario ‘incolpevole’avrebbe solo l’obbligo di attuare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera i) e di cui all’articolo 242, comma 1 (si tratta delle sole misure di somma urgenza, da adottare entro le prime ventiquattro ore dall’evento e il cui contenuto è puntualmente individuato dal ‘codice’).

Pertanto, si potrebbe affermare che, in applicazione del principio di tendenziale inestensibilità degli obblighi impositivi di prestazioni personali o patrimoniali (nonché del generale principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), gli obblighi ricadenti sul proprietario costituiscono un numerus clausus;

- l’art. 250, che elenca in ordine successivo e sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le attività di cui al più volte richiamato titolo V, non ha trasformato in ‘obbligo’ ciò che le altre disposizioni delineano quale mera facoltà, stabilendo invece che l’onere ‘di ultima istanza’ di realizzare le misure gravi comunque su un soggetto pubblico (il Comune o la Regione territorialmente competenti), fermo restando - naturalmente - che in tale ipotesi operano le previsioni e le ‘garanzie’ di cui all’articolo 253;

- il comma 3 dell’articolo 253 (quale norma di ‘chiusura’ del sistema) legittima i competenti soggetti pubblici ad avvalersi del privilegio speciale immobiliare e del connesso diritto di chiedere la ripetizione delle spese in ipotesi del tutto residuali, quali quelle - che qui non ricorrono - in cui sia del tutto impossibile accertare l’identità del soggetto responsabile o in cui sia del tutto impossibile o infruttuoso l’esercizio dell’azione di rivalsa nei suoi confronti.

La medesima conclusione ‘negativa’ si potrebbe basare su considerazioni di ordine sistematico, ove si ritenesse che:

- l’onere reale sia una figura incompatibile con la obbligazione propter rem, che invece pacificamente implica la ‘trasmissibilità’ dell’obbligo di cui è titolare il dante causa.

- il principio comunitario di precauzione non implica necessariamente che il proprietario sia il destinatario ‘naturale’ delle misure precauzionali (pur se la giurisprudenza comunitaria ha attenuato il rilievo da riconoscere all’elemento psicologico ai fini della riferibilità del danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE: CGUE 9 marzo 2010, in C-379/08), in quanto nessuna disposizione comunitaria sembra consentire che il principio ‘chi inquina paga’ comporti l’addebito di una responsabilità per danno ambientale quale mera conseguenza di un rapporto dominicale con la res sulla quale sia in atto un fenomeno di inquinamento.;

- le ipotesi di responsabilità oggettiva per danno ambientale costituiscono un numerus clausus, tendenzialmente inestensibile in via interpretativa ed applicativa (v. la legge 6 aprile 1977, n. 185, sulla responsabilità oggettiva nel caso di inquinamento marino da idrocarburi);

- gli obblighi di protezione e di custodia non rileverebbero quando - come nel caso in esame - l’inquinamento risalga a un periodo in cui le aree erano di proprietà di altri soggetti.

Ove dovesse prendersi in comparazione la normativa sul danno ambientale, va osservato che l’ordinamento comunitario richiede il nesso causale fra l’attività esercitata dall’operatore economico sul fondo e il danno all’ambiente, non ammettendo le ipotesi di responsabilità c.d. ‘da posizione’, mentre solo nel caso di attività oggettivamente rischiose (indicate all’allegato III alla direttiva n. 35 del 2004) le misure di ripristino ambientale possono essere imposte all’operatore responsabile quale mera conseguenza del nesso di causalità esistente fra l’attività esercitata e il danno, mentre – al di là di tali casi – non vi è una disposizione espressa che imponga al proprietario in quanto tale le misure di ripristino ambientale.

8.2. D’altra parte, oltre alle articolate deduzioni contenute nel sopra richiamato parere della seconda Sezione (n. 2038/2012, reso all’esito dell’adunanza del 23 novembre 2011), si può osservare che:

- la normativa può essere interpretata nel senso che le vicende di rilievo civilistico (similmente a quanto accade, per la tutela del territorio, quando il proprietario pro tempore realizza un immobile abusivo) non incidono sulla operatività delle disposizioni volte alla salvaguardia dell’ambiente, anche perché altrimenti diventerebbe estremamente agevole ridurre o eludere l’applicazione della normativa di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;

- l’onere reale (che in base al diritto moderno è concepibile solo nei casi previsti dalla legge e comporta che il bene che ne risulta oggetto ha un particolare regime giuridico, difforme da quello previsto dal codice civile, ancorato al sistema romanistico del numero chiuso dei diritti reali) per sua natura implica che il titolare del bene, che ne risulta oggetto, sia anche il soggetto tenuto ad adempiere quanto dovuto (sotto tale profilo, col richiamo all’onere reale – rispetto al quale l’obbligazione propter rem differisce, perché essa comporta l’ambulatorietà dell’obbligo, in assenza di un regime giuridico particolare del bene – il legislatore in re ipsa può aver esplicitato la regola che il proprietario ‘attuale’, su cui ricade l’onere reale, è per definizione il soggetto tenuto agli obblighi che costituiscono il presupposto della stessa esistenza dell’onere reale);

- da decenni la dottrina e la giurisprudenza civilistica hanno abbandonato (o comunque largamente contestato) il principio colpevolistico un tempo posto a base della responsabilità civile ed hanno rilevato come tale principio sia uno dei tanti ‘criteri di imputazione’ del danno, al quale – in ragione del determinante rilievo dei sopra richiamati principi comunitari, che tengono conto delle esigenze di difesa dell’ambiente, della natura e della salute – si può aggiungere quello secondo il quale il proprietario di un bene immobile (così come risponde della rovina di un edificio o di un’altra costruzione o quale custode dell’area, per gli artt. 2053 e 2051) risponde anche del danno (da inquinamento) che il terreno continua a cagionare pur dopo il suo acquisto, in ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall’inquinamento (proprio quelli che giustificano le misure che devono trovare attuazione).

Sotto tale profilo, si può anche ritenere che la ‘rivalsa’ spetta alle autorità pubblica che abbiano eseguito le misure, proprio in ragione del primario ed immanente obbligo gravante sul proprietario in quanto tale.

Del resto, si può anche sostenere che – in coerenza col fondamento stesso del principio ‘chi inquina paga’ – il ‘chi’ non va inteso solo come colui che con la propria condotta attiva abbia posto in essere le attività inquinanti o abusato del territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche colui che – con la propria condotta omissiva o negligente – nulla faccia per ridurre o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.

Infine, per l’id quod plerumque accidit, l’acquirente di un terreno, ove sia sufficientemente diligente, può venire a conoscenza del suo grado di inquinamento (specie quando esso sia ‘grave’): ritenere che l’alienazione in quanto tale renda ‘incolpevole’ l’acquirente-proprietario rischia di risultare una formalistica elusione della normativa di salvaguardia dell’ambiente.

Pertanto, la normativa comunitaria e quella nazionale possono essere interpretate nel senso che hanno considerato rilevanti solo le caratteristiche oggettive dei terreni e non anche le indagini di fatto (altrimenti necessarie) sulla effettiva sussistenza dell’elemento psicologico del proprietario (anche quando si tratti di una persona giuridica).

9. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio ritiene che, ferme le statuizioni di cui ai punti 4.1. e 4.2. – la controversia vada devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria, affinché con la sua istituzionale autorevolezza siano definite le segnalate delicate questioni, aventi carattere di massima

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

- respinge le eccezioni di cui ai punti 4.1. e 4.2. della motivazione;

- non definitivamente pronunciando per il resto, rimette l’esame degli appelli in epigrafe all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo

Spese al definitivo.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)