CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE J. MAZÁK
presentate il 22 marzo 2007

Causa C-194/05
Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato – Ambiente –Direttiva 75/442/CEE come modificata dalla direttiva 91/156/CEE – Nozione di “rifiuti”– Terre e rocce da scavo»

I – Introduzione

1. Con il presente ricorso, la Commissione chiede di constatare che la Repubblica italiana, nella misura in cui l’art. 10 della legge n. 93/2001 e l’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001 hanno escluso le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti, dall’ambito di applicazione della disciplina nazionale sui rifiuti, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 1, lett. a), della direttiva 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (2), come modificata dalla direttiva 18 marzo 1991, 91/156/CEE (in prosieguo: la «direttiva 75/442», o la «direttiva» (3).

2. Ancora una volta, viene portato dinanzi alla Corte di giustizia un caso riguardante la nozione di rifiuti. Dal momento che una definizione onnicomprensiva di rifiuti non esiste, né potrebbe esistere e che, di conseguenza, la questione se una determinata sostanza rientri o meno nella nozione di rifiuti dev'essere stabilita caso per caso, in base a tutte le circostanze della fattispecie, la Corte avrà certamente l’opportunità di riflettere sul significato di tale termine anche in futuro.

3. Il punto centrale della presente causa consiste sostanzialmente nello stabilire in che misura ed in quali circostanze una sostanza che viene destinata a determinate operazioni di riutilizzo possa essere esclusa dalla definizione di rifiuti ai sensi della direttiva. Si tratta perciò di analizzare la distinzione che separa il concetto di recupero dei rifiuti dal normale trattamento industriale di un prodotto, o – più precisamente – di un sottoprodotto, che non costituisce un rifiuto.

4. Sotto tale profilo, la presente causa è strettamente connessa alla causa C-195/05, nella quale, del pari, presento oggi le conclusioni ed alla quale rimanderò là dove i due procedimenti presentino punti di contatto (4).

II – Contesto normativo

A – Direttiva 75/442

5. Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva, s'intende per:

«“rifiuto": qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

La Commissione, conformemente alla procedura di cui all’articolo 18, preparerà, entro il 1° aprile 1993, un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all’allegato I. Questo elenco sarà oggetto di un riesame periodico e, se necessario, sarà riveduto secondo la stessa procedura».

6. L’allegato I alla direttiva 75/442, intitolato «Categorie di rifiuti», comprende, sotto la voce Q16, «[q]ualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate».

7. La versione attualmente vigente di tale elenco di rifiuti, adottato dalla Commissione in conformità all’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 (5), riporta, all’interno del capitolo 17 – uno dei capitoli che elencano le fonti di produzione dei rifiuti e che riguarda i «Rifiuti da costruzioni e demolizioni (compresa la costruzione di strade)» – la categoria «terra e materiali di dragaggio» (codice 17 05) e, più precisamente, le voci «terra e rocce contenenti sostanze pericolose» (codice 17 05 03*) e «terra e rocce diverse da quelle di cui al punto 17 05 03» (voce 17 05 04).

B – Normativa nazionale

8. In Italia, la disciplina sullo smaltimento dei rifiuti è contenuta nel decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (6) (in prosieguo: il «d. lgs. n. 22/97).

9. L’art. 6, primo comma, lett. a), del d. lgs. n. 22/97 definisce i rifiuti come segue:

«Ai fini del presente decreto si intende per:

a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».

10. L'art. 8, primo comma, del d. lgs. n. 22/97 esclude dal campo di applicazione del decreto determinate sostanze e materiali, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge, tra i quali, alla lett. b), figurano «i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave».

11. L’art. 10 della legge 23 marzo 2001, n. 93, recante disposizioni in campo ambientale (in prosieguo: la «legge n. 93/2001») ha inserito un nuovo punto (f-bis) nell’art. 8, primo comma, del d. lgs. n. 22/97, che esclude dall’ambito di applicazione del decreto, inter alia, le sostanze di seguito elencate:

«le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti».

12. L’art. 1, comma 17, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici (...) (in prosieguo: la «legge n. 443/2001») ha stabilito che l’art. 8, primo comma, lett. f-bis), del d. lgs. n. 22/97 si interpreta nel senso che:

«(…) le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, semprechè la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti».

13. Inoltre, l’art. 1, comma 19, della legge n. 443/2001, stabilisce che:

«per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato».

14. L’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001 è stato modificato mediante l’art. 23 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (in prosieguo: la «legge n. 306/2003»).

III – Fase precontenziosa e procedimento davanti alla Corte

15. Con lettera di diffida 27 giugno 2002, la Commissione comunicava al governo italiano che, a parere dei suoi servizi, il combinato disposto dell’art. 10 della legge n. 93/2001 e dell’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001, violavano le disposizioni della direttiva 75/441, in quanto comportavano l’esclusione delle terre e delle rocce da scavo destinate a determinate operazioni di riutilizzo dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti.

16. Poiché le autorità italiane non rispondevano alla detta lettera, in data 19 dicembre 2002 la Commissione inviava un parere motivato, con il quale invitava il governo italiano ad uniformarsi alle disposizioni previste dalla direttiva entro il termine di due mesi dalla sua ricezione.

17. Le autorità italiane replicavano al parere motivato con lettera del 5 marzo 2003, inviando alla Commissione un progetto di legge di modifica della normativa contestata, relativo alle terre da scavo. In una riunione congiunta tenutasi il 25 giugno 2003, la Commissione faceva presente che tale progetto di legge continuava a prevedere un’interpretazione restrittiva del concetto di rifiuti, rimanendo perciò contrario alla direttiva. Con lettera del 3 febbraio 2004, le autorità italiane facevano pervenire alla Commissione una copia del nuovo testo di legge modificato, segnatamente, la legge n. 306/2003, così come anticipato alla Commissione con lettera del 5 marzo 2003.

18. Ritenendo che la situazione rimanesse insoddisfacente, la Commissione depositava il presente ricorso presso la cancelleria della Corte in data 2 maggio 2005.

IV – Analisi degli inadempimenti contestati

A – Principali argomenti delle parti

19. La Commissione lamenta che la normativa italiana in materia di rifiuti e, in particolare, il combinato disposto dell’art. 10 della legge n. 93/2001 e dell’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001, viola la direttiva 75/442– anche tenendo conto delle modifiche legislative introdotte con la legge n. 306/2003 –in quanto esclude a priori e in generale le terre e le rocce da scavo destinate a certe operazioni di riutilizzo dall’ambito di applicazione della normativa nazionale sui rifiuti, con la conseguenza che, in Italia, tali materiali sfuggono all’applicazione delle disposizioni sulla gestione dei rifiuti stabilite dalla direttiva.

20. La Commissione sostiene che i materiali in oggetto, che sono elencati nel catalogo europeo dei rifiuti, sono materiali di cui il detentore vuole disfarsi e, che di conseguenza, devono essere considerati rientranti nella definizione di rifiuti di cui alla direttiva 75/442. Secondo tale istituzione, il fatto che tali materiali siano esclusi dall’ambito di applicazione della normativa italiana sui rifiuti unicamente in quanto destinati all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, non è rilevante.

21. La Commissione rileva che la normativa italiana interpreta la definizione di rifiuti in senso più restrittivo rispetto alla nozione di rifiuti ai sensi della direttiva, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte. Secondo tale giurisprudenza (7), affinché un residuo sia considerato non un rifiuto, ma un sottoprodotto di cui il detentore non si disfa, è necessario valutare il grado di probabilità di riutilizzo del medesimo, e soprattutto il fatto che il residuo sia riutilizzato nello stesso processo di produzione.

22. In contrasto con tale giurisprudenza, l’esclusione in oggetto vale altresì per i residui il cui riutilizzo sia previsto anche per cicli di produzione differenti, ivi incluso il riempimento di cave coltivate, nonché per il caso di ricollocazione in altro sito, autorizzata dall’autorità amministrativa competente.

23. Infine, la Commissione afferma che gli emendamenti introdotti con la legge n. 306/2003 non hanno modificato, in sostanza, la violazione contestata.

24. Il governo italiano sostiene, anzitutto, che il presente ricorso è irricevibile, poiché la Commissione non avrebbe tenuto conto delle modifiche legislative apportate con la legge n. 306/2003, che è stata approvata il 31 ottobre 2003, vale a dire a procedimento d’infrazione iniziato.

25. Quanto al merito, il detto governo replica che la normativa italiana è conforme al concetto di rifiuti come delineato dalla direttiva 75/442.

26. Richiamando la giurisprudenza della Corte (8), il governo italiano osserva che il concetto generale di «rifiuti» è connotato da ragionevoli eccezioni, nel caso di residui di cui il detentore non intenda «disfarsi» in quanto rifiuti.

27. Secondo tale governo, da un’attenta lettura della giurisprudenza in materia, emerge che i presupposti indispensabili per la qualificazione del residuo in termini di sottoprodotto, piuttosto che di rifiuto, consistono non nel reimpiego di questi materiali nel medesimo processo produttivo da cui sono derivati, bensì nella certezza del loro riutilizzo, in assenza di trasformazioni preliminari. I residui il cui utilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, nel corso di un processo di produzione diverso da quello da cui sono derivati – ma comunque contemporaneo ad esso, o almeno idoneo ad assicurarne un tempestivo riutilizzo – dovrebbero essere qualificati come sottoprodotti.

28. Il governo italiano pone in evidenza che, nel caso presente, il legislatore nazionale ha pensato principalmente alla realizzazione di opere pubbliche, e i movimenti di terra e la destinazione delle terre di scavo costituiscono la parte forse più importante di tali progetti. È proprio l’obbligo gravante sulle persone incaricate della realizzazione del progetto di condurre a termine quest’ultimo in tutti i suoi aspetti che garantisce l’effettivo riutilizzo delle terre da scavo e dei materiali da riporto.

29. La disciplina nazionale censurata, lungi dal prevedere un’esclusione generalizzata, circoscrive rigorosamente – in sede di progettazione e di controllo dell’esecuzione dei lavori – le ipotesi nelle quali le terre e le rocce da scavo sono esentate dall'applicazione della normativa sui rifiuti in quanto materiali riutilizzabili secondo un disegno organico, basato sulla valutazione preventiva e specifica degli effetti sull’ambiente e sulla salute.

B – Valutazione

30. Riguardo, anzitutto, all’obiezione preliminare relativa alla ricevibilità del ricorso, sollevata dal governo italiano sulla base del rilievo che la Commissione non ha preso in considerazione le modifiche apportate alla normativa controversa con la legge n. 306/2003, emanata il 31 ottobre 2003 – quindi, successivamente al termine fissato nel parere motivato – occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’esistenza di un inadempimento dev'essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (9).

31. Ne deriva che la Commissione non era tenuta, nel presente procedimento, a prendere in considerazione le modifiche apportate con la legge n. 306/2003; né tale legge viene esaminata in questa sede. Al riguardo, occorre notare che le conclusioni del ricorso non si riferiscono alla legge 306/2003 e che, sebbene la Commissione dichiari che la detta legge non ha modificato la violazione addebitata, essa ha ribadito, tanto nella replica quanto in udienza, di non impugnare la legge n. 306/2003 nell’ambito del presente procedimento.

32. Occorre pertanto esaminare se la normativa italiana censurata, vale a dire, la legge n. 93/2001 e la legge n. 443/2001, introduca una inammissibile restrizione della nozione di rifiuti, come definiti dalla direttiva 75/442, escludendo dall’applicazione di quest’ultima le terre e le rocce da scavo destinate a determinate operazioni di riutilizzo.

33. Anzitutto, inizierò da una descrizione delle principali caratteristiche della nozione di rifiuti ai sensi della direttiva, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte (10).

34. In primo luogo, da una costante giurisprudenza emerge, in particolare, che il fatto che un materiale o un bene debba essere considerato un rifiuto ai sensi della direttiva dipende dalla circostanza che il detentore se ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene. Tale elemento dev'essere valutato alla luce del complesso delle circostanze. In proposito, la Corte ha fornito alcuni criteri ed orientamenti che permettono di dedurre il comportamento o la volontà del detentore di disfarsi di determinate sostanze. Così, il fatto che una sostanza usata sia un residuo di produzione – cioè, un prodotto che non è stato ricercato in via principale e in quanto tale dal produttore va considerato, di norma, una prova del fatto che il detentore si sia disfatto di tale sostanza o voglia disfarsene (11).

35. Tuttavia, un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione, che non sia principalmente destinato a produrlo, può costituire non un residuo, bensì un sottoprodotto, che l’impresa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Tenuto conto dell’obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuti, il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima dev'essere certo, come indicato dalla giurisprudenza, e deve avvenire nel corso di un processo di produzione o di utilizzazione. Tuttavia, una sostanza può non essere considerata un rifiuto se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta (12).

36. Come rilevo anche nelle conclusioni da me presentate nella causa C-195/05, l’elemento decisivo perché una sostanza possa essere qualificata come sottoprodotto consiste, in ultima analisi, nella prova che tale sostanza rappresenta un valore economico per il detentore – piuttosto che un peso di cui voglia disfarsi – o nella prospettiva di un suo sfruttamento ulteriore o utilizzo nell’ambito dell’attività principale, o perché il detentore la commercializza a condizioni a lui favorevoli (13).

37. Infine, dobbiamo sempre tenere presente che, alla luce delle finalità della direttiva, la nozione di rifiuti non può essere interpretata restrittivamente (14).

38. Volgendo ora l’attenzione alle disposizioni nazionali in discussione nel presente procedimento, consta che esse escludono le terre e le rocce da scavo dall’applicazione della normativa sui rifiuti nel caso in cui tali materiali siano destinati al riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati.

39. Al riguardo, occorre notare che, anche supponendo che i materiali in oggetto siano effettivamente destinati al riutilizzo, come rileva giustamente la Commissione, non si può concludere sulla base di questo solo fatto, in via automatica e generale, che essi non costituiscano rifiuti.

40. Difatti, la normativa controversa e, in particolare, l’art. 1, comma 19, della legge n. 443/2001, individua chiaramente un'ampia serie di situazioni, inclusi i casi in cui i detriti di terra e roccia vengono ricollocati in altro sito.

41. Inoltre, risulta che le condizioni relative all’effettivo riutilizzo sono indicate in contesti normativi diversi, o devono essere ricavate da essi, come le normative nazionali in materia di lavori pubblici – in relazione ai quali il governo italiano non ha citato nessuna regolamentazione in particolare –, ovvero il contenuto di progetti specifici che comportano lo scavo di terra e rocce. Di conseguenza, esiste un’ampia gamma di possibilità riguardo alle situazioni e alle condizioni di riutilizzo. Tale dato fa nascere seri dubbi in merito alla certezza del riutilizzo in ciascun caso specifico.

42. In particolare, come ha rilevato il governo italiano in udienza, nonostante i provvedimenti che il precedente governo possa aver preso per accelerare i lavori pubblici in generale, nessuna disposizione della normativa controversa stabilisce che i materiali di scavo debbano essere riutilizzati entro un determinato lasso di tempo. In tale contesto, si ricorda che nella sentenza Palin Granit, che ha considerato i detriti risultanti dallo sfruttamento di una cava come residui provenienti da attività estrattive, e quindi li ha qualificati come rifiuti, la Corte ha dato importanza alla durata del deposito e ha osservato che le operazioni di deposito di lunga durata rappresentano un intralcio per chi sfrutta la cava e sono potenzialmente fonte di quel danno per l’ambiente, che la direttiva mira specificamente a limitare (15).

43. Alla luce di tali elementi, non si può presumere, in via generale e astratta – anche se in taluni caso può essere vero, – che nelle situazioni contemplate dall’esenzione di cui alle leggi n. 93/2001 e n. 443/2001, i detriti di terra e rocce derivanti da operazioni di scavo rappresentino, in considerazione della prospettiva di un loro riutilizzo, un valore economico o un vantaggio per il loro detentore come sottoprodotti, piuttosto che un peso di cui egli cerchi di disfarsi. Infatti, alla luce della legislazione italiana controversa e delle spiegazioni offerte dal governo italiano, non sussiste alcuna ragione imperativa per ritenere che, di regola, il vantaggio per il detentore consista in qualcosa di più della mera possibilità di sbarazzarsi delle terre e delle rocce considerate, vale a dire, del fatto che può disfarsene. Di conseguenza, in tali ipotesi, le dette operazioni di riutilizzo devono essere considerate, in realtà, operazioni di smaltimento o di recupero, ai sensi della direttiva.

44. Ne deriva che la detta normativa italiana sui rifiuti, come osserva la Commissione, si risolve nel sottrarre alla qualifica di rifiuti residui di produzione che invece corrispondono alla definizione di rifiuti sancita dalla direttiva 75/442.

45. Dal momento che l’esenzione prevista dalla legge italiana a favore delle terre e delle rocce da scavo destinate a determinate operazioni di riutilizzo equivale in realtà a presumere che tali materiali non costituiscano rifiuti ai sensi della direttiva, si deve rilevare che l’efficacia dell’art. 174 CE e della direttiva risulterebbero pregiudicate qualora la normativa nazionale dovesse utilizzare modalità di prova, come le presunzioni iuris et de iure, che avessero l’effetto di restringere l’ambito di applicazione della direttiva escludendone materiali, sostanze o prodotti che rispondono chiaramente alla definizione di rifiuti ai sensi della direttiva (16).

46. Per quanto riguarda poi la dichiarazione del governo italiano in udienza, in base alla quale le operazioni di cui trattasi – principalmente lavori pubblici, come la costruzione di terrapieni e di gallerie – sarebbero regolate da una moltitudine di disposizioni nazionali, occorre osservare che ciò potrebbe soltanto condurre all’esclusione dei materiali in oggetto dall’ambito di applicazione della direttiva qualora rientrassero in una delle categorie di rifiuti di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva. Tuttavia, è evidente che tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, poiché la terra e le rocce derivanti da tali operazioni non costituiscono rifiuti «risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave», ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. b), sub ii), della direttiva.

47. Inoltre, il governo italiano non ha dimostrato in che misura le varie disposizioni dell’ordinamento nazionale applicabili ai progetti o ai lavori in parola riguardino, come richiede la giurisprudenza, la gestione dei detti rifiuti in quanto tali, né che esse portino ad un livello di protezione dell’ambiente almeno equivalente a quello auspicato dalla direttiva (17).

48. Infine, riguardo all’argomento del governo italiano, secondo cui l’applicazione della disciplina dei rifiuti comporterebbe necessariamente il coinvolgimento delle imprese di smaltimento dei rifiuti o delle imprese autorizzate al trasporto e alla raccolta degli stessi nelle dette opere, il che potrebbe provocare un considerevole aumento dei costi, la Commissione ha giustamente sottolineato che tale problema deriva piuttosto dalla normativa italiana e non dalla direttiva. Nel rispetto degli obblighi relativi alla registrazione e, se del caso, al rilascio di un'autorizzazione, il produttore o il detentore dei rifiuti possono semplicemente provvedere in proprio al recupero o allo smaltimento, in conformità alle disposizioni della direttiva (18).

49. Le suesposte considerazioni mi portano a concludere che il ricorso della Commissione è fondato.

V – Conclusione

50. Pertanto, propongo alla Corte

(1) di dichiarare che la Repubblica italiana, nella misura in cui l’art. 10 della legge n. 93/2001 e l’art. 1, commi 17 e 19, della legge n. 443/2001 hanno escluso le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti, dall’ambito di applicazione della disciplina nazionale sui rifiuti, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 1, lett. a), della direttiva 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 18 marzo 1991, 91/156/CEE; e

(2) di condannare la Repubblica italiana alle spese.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – GU L 194, pag. 39.


3 – GU L 78, pag. 32.


4 – Conclusioni presentate il 22 marzo 2007 nella causa C-195/05, Commissione/Italia, pendente dinanzi alla Corte.


5 – Decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 226, pag. 3) (in prosieguo: il «catalogo europeo dei rifiuti» o «CER»).


6 – GURI n. 38 del 15 febbraio 1997, Supplemento ordinario n. 33.


7 – Al riguardo, la Commissione cita, in particolare, le sentenze 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli (Racc. pag. I‑10853), 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit (Racc. pag. I‑3533), e 11 settembre 2003, causa C-114/01, AvestaPolarit (Racc. pag. I‑8725).


8 – In particolare, sentenze Palin Granit, cit. alla nota 7; AvestaPolarit, cit. alla nota 7; Niselli, cit. alla nota 7.


9 – V., inter alia, sentenze 9 dicembre 2004, causa C-177/03, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑11671, punto 19), e 18 gennaio 2007, causa C-104/06, Commissione/Svezia (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28).


10 – Per un’analisi più dettagliata e per riferimenti più precisi rimando alle mie conclusioni presentate nella causa C‑195/05 (paragrafi 36-55).


11 – Al riguardo, v., inter alia, sentenze Palin Granit, cit. alla nota 7 (punti 22-25), e sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a. (Racc. pag. I‑4475, punti 83 e 84); v., inoltre, paragrafi 36-45 delle mie conclusioni presentate nella causa C‑195/05.


12 – In merito, v., inter alia, sentenze Niselli, cit. alla nota 7 (punti 44, 45 e 52), e 8 settembre 2005, causa C‑416/02, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑7487, punto 90); v., inoltre, paragrafi 46-54 delle mie conclusioni presentate nella causa C‑195/05.


13 – V., in particolare, i paragrafi 52 e 55 delle conclusioni da me presentate nella causa C‑195/05.


14 – V., inter alia, sentenza Palin Granit, cit. alla nota 7 (punto 23).


15 – V., al riguardo, Palin Granit, cit. alla nota 7 (punti 38 e 39).


16 – V., in tal senso, sentenza ARCO Chemie, cit. alla nota 11 (punto 42).


17 – V., inter alia, sentenza Avesta Polarit, cit. alla nota 7 (punto 61).


18 – V., in particolare, art. 8 della direttiva 75/442. Riguardo all’obbligo d’iscrizione degli stabilimenti e delle imprese che, nell’ambito della loro attività, provvedono in via ordinaria e regolare al trasporto di rifiuti, a prescindere dal fatto che tali rifiuti siano prodotti da loro stessi o da terzi, v. sentenza 9 giugno 2005, causa C-270/03, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑5233).