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Consiglio di Stato Sez. IV sent. 3022 del 31 maggio 2003
Strumento urbanistico. Misure di salvaguardia

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R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

         Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 263 del 1995 proposto dalla Tessitura Raion d’Inveruno, s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa da gli avv.ti C.L. Scrosati e A. Corselli e con gli stessi elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio, n. 46 - Pal IV, (Studio Gianmarco Grez);

c o n t r o

il Comune di Inveruno , in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Viviani e con lo stesso elettivamente domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per l'annullamento

della sentenza n. 626 del 3 novembre 1994, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione II°, sui ricorsi proposti dalla stessa Società ed iscritti ai numeri 4662/93 e 1658/94 del registro generale di quel Tribunale;  

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Relatore alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003 il Consigliere Dedi Rulli; uditi l'avv. E. Mazzocco su delega dell'avv. C.L. Scrosati per la Società appellante e l'avv. L. Stendardi su delega dell'avv. M. Viviani per l'Amministrazione comunale resistente.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con separati ricorsi proposti innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, la società “Tessitura Raion di Inveruno” impugnava:

- il provvedimento di applicazione delle misure di salvaguardia adottato sulla sua richiesta di concessione edilizia avanzata in data 18 maggio 1993, nonché il piano Regolatore Generale adottato dal Comune, per quanto di ragione;

- l’iter procedimentale relativo al predetto strumento urbanistico deducendone la illegittimità per numerosi motivi.

Il Tribunale adito, previa riunione, ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte accolto il primo ricorso ed ha respinto il secondo.

Con atto notificato in data 2 gennaio 1995 la medesima società ha impugnato la predetta decisione ridendola ingiusta per diversi motivi.

 In punto di fatto precisa che l’area su cui insiste il fabbricato per il quale aveva chiesto l’ampliamento ricadeva, in base al vigente piano di fabbricazione, a “zona mista residenziale/artigianale”.

In vigenza di questo strumento urbanistico presentava istanza di concessione edilizia sulla quale si formava il silenzio rifiuto che, impugnato innanzi al medesimo Tribunale, veniva dichiarato illegittimo.

Notificata la sentenza, l’Amministrazione adottava un provvedimento espresso di diniego, oggetto di autonomo e separato ricorso (allo stato ancora pendente).

Parte appellante presentava, quindi, una nuova istanza di concessione in ordine alla quale, dopo varie richieste di integrazione documentale, veniva fatta applicazione delle misure di salvaguardia, atteso che, nelle more, era in corso di approvazione un nuovo strumento urbanistico che inseriva l’area interessata in zona F1 (verde sport).

A sostegno dell’appello si deduce:

“Violazione di legge ed eccesso di potere; iniquità manifesta e sviamento della causa” atteso che, in un paese di piccole dimensioni (che non comporta alcuna difficoltà per un sollecito esame della pratica), il tempo trascorso tra la presentazione della domanda ed il provvedimento poi adottato dimostra la volontà del Comune di “guadagnare tempo” soprattutto tenendo conto del fatto che esso segue ad un precedente comportamento omissivo della stessa Amministrazione già dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo;

“Violazione di legge e falsa applicazione della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 e della legge 6 agosto 1967 n. 765. Eccesso di potere, difetto di motivazione e violazione dell’interesse pretensivo” atteso che la domanda della Società interessata è precedente all’adozione del P.R.G.;

Violazione di legge ed eccesso di potere, difetto di motivazione: travisamento dei fatti” per genericità della nuova destinazione impressa all’area interessata;

“Violazione di legge ed eccesso di potere. Difetto di motivazione” mancando qualsiasi giustificazione circa la modifica di destinazione impressa all’area dal nuovo strumento urbanistico che, al contrario, avrebbe dovuto tener conto della posizione particolarmente qualificata della Società che il giudice di primo grado ritiene erroneamente mero interesse legittimo destinato a recedere di fronte all’interesse pubblico ad un ordinato sviluppo del territorio.

L’interessata conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento, in parte qua, della decisione impugnata.

Ha, poi, depositato memoria difensiva insistendo nelle argomentazioni svolte e nelle già rassegnate conclusioni.

Si è costruito in giudizio il Comune di Inverigo senza produrre scritti difensivi.

Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003, uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza, la controversia è passata in decisione.

D I R I T T O

1. Con la decisione portata all’esame del Collegio, il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia ha respinto la pretesa sostanziale avanzata con i due ricorsi dalla Società originaria ricorrente, e volti ad ottenere l’annullamento delle misure di salvaguardia adottate sulla sua domanda di concessione edilizia attesa la pendenza della procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico di cui chiedeva, altresì, l’annullamento per la parte relativa alla nuova destinazione di zona impressa all’area di proprietà della medesima Società.

Con la stessa decisione veniva accolta quella parte del secondo ricorso che censurava l’art. 22 delle norme tecniche di attuazione del nuovo P.R.G.

La decisione negativa resa dal giudice di primo grado sulla detta pretesa sostanziale assume a presupposto due considerazioni:

- la posizione di chi richiede una concessione edilizia non è di diritto soggettivo, ma concreta un mero interesse legittimo, posizione che non può ritenersi modificata per effetto della sentenza che aveva dichiarato illegittimo il silenzio-rifiuto mantenuto dall’Amministrazione sulla precedente istanza;

- insussistenza della denunciata genericità della nuova destinazione di zona (verde-sport), trattandosi di destinazione specializzata, che dovrà trovare specifica individuazione (ed attuazione) nella successiva pianificazione attuativa; d’altra parte la scelta dell’Amministrazione comunale non appare illogica e/o contraddittoria se viene valutata alla luce di quanto espresso nella relazione allegata al progetto del nuovo strumento urbanistico nella quale si dava atto di voler “…evitare lo sviluppo di ambiti industriali isolati e di concentrare le aree industriali in un unico ambito a nord-ovest del territorio comunale.”

2. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno precisare che la documentazione depositata dai difensori delle parti in udienza (in particolare la modifica di destinazione in zona D1 Produttiva Industriale ed Artigianale dell’area interessata, modifica intervenuta con delibera n. 18 del 13 marzo 1995 in parziale accoglimento delle osservazioni al piano e l’inizio della procedura di rilascio della concessione edilizia – nota del Comune n. 328 dell’8 gennaio 2003) non è idonea a determinare una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che non è da escludere che l’interessato possa trarre ristoro, sotto il profilo risarcitorio, del danno subito a causa di un atto riconosciuto in ipotesi illegittimo dal giudice amministrativo.

3. L’esame delle questioni sollevate dalla parte appellante rende preliminarmente opportuno ricordare, in via di estrema sintesi, le vicende fattuali della controversia. Ed infatti la Società appellante, già in data 24 aprile 1990, chiedeva al Comune concessione edilizia per l’ampliamento del proprio insediamento produttivo; non avendo l’Amministrazione provveduto sulla domanda stessa, la medesima Società proponeva ricorso avverso il silenzio-rifiuto così formato, ricorso accolto dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia che dichiarava illegittima la detta condotta omissiva.

Notificata la sentenza, con provvedimento del 28 luglio 1992, l’Amministrazione provvedeva in senso negativo sul rilievo che “la zona non era servita da fognatura pubblica ed il progetto non era conforme alle prescrizioni del programma di fabbricazione all’epoca vigente”. Il provvedimento di diniego è stato oggetto di autonoma impugnativa allo stato ancora pendente.

Anche su una successiva domanda, presentata in data 19 novembre 1992, dopo alcune richieste di integrazione documentale, l’Amministrazione provvedeva in senso negativo perché “nei calcoli planivolumetrici vengono considerate come edificabili delle aree che risultano azzonate nel vigente strumento urbanistico come zona di rispetto viario e di filtro e quindi mancanti di potenzialità edificatoria.” (provvedimento del 19 febbraio 1993 prot. n. 10137/92).

Sul progetto integrato e modificato relativamente al posizionamento dei manufatti, l’Amministrazione, con  il provvedimento impugnato (prot. n. 4467/UT/LT/ML del 5 agosto 1993) sospendeva ogni determinazione in merito sino all’esito del procedimento di approvazione del nuovo P.R.G., essendo quanto richiesto in contrasto con le previsioni del nuovo strumento urbanistico, adottato in data 30 luglio 1993.

Tale essendo il quadro fattuale di riferimento, non può condividersi quanto sostenuto dalla la Società appellante circa la prima delle considerazioni svolte da giudice di primo grado: sostiene, al riguardo, che, tenuto conto delle vicende procedimentali connesse alla propria istanza di concessione edilizia, vicende iniziate ancor prima della modifica della destinazione di zona che ha interessato la propria area, la sua posizione era da ritenere particolarmente qualificata e si concreta in un interesse pretensivo a che l’autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica riveda il piano vigente al fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga favorevole al titolare di detto interesse. Richiama in proposito la decisione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n.1 dell’8 gennaio 1986) che aveva ritenuto applicabile siffatto principio anche nell’ipotesi di sentenza di annullamento di un silenzio-rifiuto.

Appare allora evidente che il principio elaborato dall’Adunanza Plenaria, e richiamato dalla Società appellante, non può trovare applicazione nel caso in esame atteso che, una volta intervenuto il provvedimento di reiezione della istanza di concessione edilizia in esecuzione del giudicato di annullamento del silenzio rifiuto, quella procedura –iniziata in vigenza del precedente strumento urbanistico - deve ritenersi ormai conclusa. Tanto ciò è vero che la Società interessata  ha presentato successivamente nuove istanze con progetti modificati secondo le osservazioni all’epoca prospettate dal Comune e sulle quali sono intervenuti altri dinieghi; né può fondatamente attribuirsi alle richieste documentali avanzate dall’Amministrazione per l’esame della istanza di concessione edilizia un fine meramente dilatorio atteso che, proprio a seguito di quelle richieste, la Società interessata provvedeva  a modificare i progetti inizialmente presentati.

Da quanto detto consegue che manca quel nesso di diretta consequenzialità tra il diniego di concessione edilizia (e/o il silenzio rifiuto) e lo strumento urbanistico in itinere che l’Adunanza plenaria ha posto a base della riconosciuta sussistenza di un interesse pretensivo del privato ad una variante di adeguamento delle previsioni urbanistiche al giudicato.

E, d’altra parte, il contenuto dell’invocata decisione dell’Adunanza plenaria non può essere interpretato nel senso della presenza di un obbligo gravante sull’Amministrazione di provvedere- nelle ipotesi ivi indicate - in senso positivo, ma solamente della necessità di una più ponderata valutazione della posizione del privato che, pur avendo ottenuto un giudicato a lui favorevole, vede sfumare l’utilità concreta da questo derivante per effetto di una diversa scelta dell’assetto del territorio effettuata dall’Amministrazione.

Deve, quindi, ritenersi legittimo il comportamento del Comune di Inveruno che, nelle more della procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico, ha fatto corretta applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 10 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, (nel testo introdotto dall’art. 3 della L. 6 agosto 1967, n. 765), e nell’articolo unico della L. 3 novembre 1952, n. 1902 e ciò al fine di evitare che il nuovo assetto del territorio programmato dall’Amministrazione comunale, ma ancora all’esame dell’Autorità regionale, possa essere compromesso da una edificazione privata realizzata medio tempore e con esso contrastante, ancorchè rispettosa della previgente disciplina.

4. Quanto fin qui detto consente di ritenere infondati anche gli ulteriori motivi di illegittimità prospettati e che si concretizzano, in buona sostanza, nella carenza di motivazione della scelta effettuata in ordine alla intervenuta modifica della destinazione edilizia della zona in cui si trova l’area della Società collegata alla asserita peculiarità della posizione soggettiva azionata.

Ed invero, una volta qualificata la predetta posizione come di interesse legittimo, secondo le precisazioni svolte al punto precedente e come correttamente ha fatto il giudice di primo grado, è sufficiente richiamare il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza in base al quale le scelte effettuate dall’Amministrazione circa la destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si può rilevare dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento (cfr., in termini, Ad.Pl. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV° 19 gennaio 2000, n. 245) e nella specie, il Comune di Inveruno, con la nuova destinazione a “verde sport” impressa alla zona interessata, e nell’ambito di una voluta distinzione tra aree residenziali ed aree produttive, ha voluto evitare lo sviluppo di ambiti industriali isolati e concentrare le aree industriali in altra zona del territorio comunale, come emerge dalla relazione illustrativa allegata al nuovo Piano Regolatore Generale, e tale scelta non appare illogica, irrazionale, né generica pur se da realizzare attraverso una successiva pianificazione attuativa.

5. In conclusione l’appello proposto deve essere respinto con la conseguente conferma della decisione impugnata.

Le spese e gli onorari del giudizio, che si liquidano in dispositivo seguono, come di regola, la soccombenza.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizione, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, conferma la decisione impugnata.

Condanna parte appellante a rimborsare al Comune di Inveruno le spese e gli onorari del giudizio che liquida il complessivi € 3.000 (tremilaeuro).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 4 febbraio 2003 , in camera di consiglio, con l'intervento dei magistrati: