Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4008, del 30 luglio 2013
Urbanistica.Modificazione edilizia all’interno di un Maso chiuso

E’ legittimo il diniego alla domanda di concessione edilizia per la demolizione della cubatura edilizia rurale esistente facente parte di un maso chiuso e la conseguente ricostruzione. Un maso chiuso costituisce un compendio fondiario agricolo che non può essere diviso o modificato in estensione o in consistenza per una mera volontà negoziale che si esplichi in atti mortis causa o in atti inter vivos. Infatti per la validità ed efficacia degli atti che comportano cambiamenti nella sua estensione o nella consistenza dei diritti reali ad esso connessi occorre la previa autorizzazione della commissione locale dei masi chiusi (artt. 4 e 37, comma 2, l. prov. Bolzano n. 17 del 2001). (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04008/2013REG.PROV.COLL.

N. 09193/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9193 del 2010, proposto da
Elma s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefan Thurin, Karl Zeller e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Confalonieri, 5;

contro

Comune di Bolzano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Merini, Bianca Maria Giudiceandrea e Giampiero Placidi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Flaminia, 79;

nei confronti di

Seebacher Hanspeter, non costituito in giudizio nel presente grado;

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano, n. 142/2010, resa tra le parti e concernente: diniego di rilascio concessione edilizia, risarcimento danni;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Manzi e Polonioli, quest’ultimo per delega dell’avvocato Giudiceandrea;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, respingeva il ricorso n. 116 del 2010, proposto dalla Home s.r.l. avverso il provvedimento dell’assessore all’urbanistica del Comune di Bolzano del 5 febbraio 2009, con il quale era stata rigettata la domanda di concessione edilizia, presentata dalla ricorrente per la demolizione della cubatura edilizia rurale esistente sulla p.ed. 426/1 C.C. Dodiciville e la conseguente ricostruzione, sulla stessa p.ed. 426/1, di un edificio ad uso residenziale (di tipo ‘casa clima B’).

La p.ed. 426/1, ubicata in Bolzano in zona residenziale di completamento B3 e già facente parte del maso chiuso “Hasenhof” in P.T. 108/I C.C. Dodiciville, era stata acquistata dalla società ricorrente sulla base di contratto di compravendita del 17 luglio 2007 (intavolato con effetto dal 18 luglio 2007) stipulato con il proprietario del maso (Seebacher Hanspeter) in qualità di venditore, dopo che la competente commissione locale per i masi chiusi, con atto del 16 marzo 2007, aveva autorizzato l’escorporazione della particella edilizia dal maso chiuso e il trasferimento della sede del maso (da parte del proprietario Seebacher) dalla p.ed. 426/1 alla p.f. 2073 C.C. Dodiciville.

L’impugnato provvedimento di diniego, previo richiamo del parere della commissione edilizia comunale del 4 febbraio 2009, si basava sul centrale rilievo testuale che “a tutt’oggi non sono ancora state presentate le documentazioni richieste al proprietario del maso originario per completare la procedura per il rilascio della concessione edilizia del nuovo maso, concessione che non è ancora stata rilasciata e che è il presupposto per avviare qualsiasi altra procedura autorizzativa sulla sede dell’ex maso”, sicché “nessuna autorizzazione edilizia è possibile sui sedimi dell’originaria sede del maso chiuso fintanto che non viene concessionata la nuova realizzazione in verde agricolo ai sensi del comma 10-ter dell’art. 107 della L.U.P.” e “qualsiasi futura trattazione in merito a nuovo utilizzo edificatorio in zona verrà esaminata da questa Amministrazione solo previo ritiro della concessione edilizia per la realizzazione della nuova sede del maso chiuso originario e relativa dichiarazione di inizio lavori”, oltre che sul rilievo della necessità di rispettare l’indice di densità edilizia della zona.

Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa respingeva il ricorso, ritenendo che, alla luce quadro normativo risultante dalle leggi provinciali 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi) e 11 agosto 1997, n. 13 (Legge urbanistica provinciale), fosse consentita la trasformazione del volume edilizio dei fabbricati rurali, costituenti la sede di un maso chiuso, in volume residenziale, soltanto in funzione della preservazione della continuità dell’insediamento sul maso, mediante il trasferimento della sua sede da zona divenuta residenziale in zona di verde agricolo, per garantire una più razionale conduzione dell’azienda agricola. Il Tribunale regionale ne traeva la conclusione che la possibilità di ottenere la suddetta trasformazione di destinazione d’uso, attraverso la demo-ricostruzione dei vecchi fabbricati rurali e la trasformazione in volumetria residenziale, fosse subordinata altrasferimento effettivo della sede del maso chiuso “Hasenhof” in zona di verde agricolo, e che ciò implicasse il legittimo condizionamento del rilascio della concessione edilizia per la demo-ricostruzione dei fabbricati rurali sul sito a quo al previo rilascio della concessione edilizia per la realizzazione della nuova sede dell’azienda agricola sul sito ad quem, accompagnato dalla dichiarazione dell’inizio dei relativi lavori, mentre, nella specie, tale evento (ossia, il rilascio di detta concessione in favore del Seebacher, proprietario del maso, per la costruzione dei fabbricati rurali nella nuova sede, nonché l’inizio dei relativi lavori), non si era avverato.

Inoltre, l’adito Tribunale regionale di giustizia amministrativa, con argomentazione autoqualificata “ad abundantiam”, rilevava che la volumetria indicata nella relazione tecnica del progetto presentato dalla società ricorrente era di mc 4.059,71, mentre, come da essa stessa ammesso nel ricorso introduttivo, la cubatura massima realizzabile ai sensi dell’art. 107 l. urb. prov. era di mc 3.855,075, con conseguente inaccoglibilità, anche sotto tale profilo, della domanda di concessione edilizia.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello la società Elma s.p.a., la quale, nelle more, aveva acquistato la p.f. 426/1 dall’originaria ricorrente, deducendo i seguenti motivi:

a) l’erronea applicazione dell’art. 107, commi 9, 10 e 10-ter l. urb. prov., dovendosi ritenere illegittima la subordinazione del rilascio della concessione edilizia sulla p.ed. 426/1 “al trasferimento effettivo della vecchia sede del maso in zona di verde agricolo, da certificare con il rilascio della concessione edilizia relativa” (v., così, testualmente, il ricorso in appello), non essendo siffatto condizionamento previsto da alcuna disposizione di legge, e dovendosi, al contrario, ritenere che era il trasferimento del maso ad una nuova sede ad essere condizionato dal previo (o contestuale) rilascio della concessione edilizia per la demolizione dei casali della vecchia sede, a pena di perdita della facoltà di costruire nuova volumetria nel sito ad quem, in zona di verde agricolo, con la conseguenza che il Comune, nel caso di specie, sarebbe stato tenuto a rilasciare la concessione edilizia all’originaria ricorrente e avrebbe dovuto negarla al proprietario del maso, e non viceversa, tanto più che la Home s.r.l. aveva acquistato una particella edilizia situata in zona residenziale di completamento B3, senza che dal libro fondiario risultassero particolari vincoli, sicché non era riconoscibile che si trattasse di una ex sede di maso chiuso o che ne fosse in corso il trasferimento della sede.

b) la violazione degli artt. 59, comma 3, e 107 l. urb. prov., essendo la previsione della facoltà di demo-ricostruzione di edifici siti in zone residenziali non soggette a un piano di attuazione, di cui al citato art. 59, comma 3, applicabile anche all’ipotesi di utilizzo edificatorio della ex sede di un maso chiuso;

c) l’erroneo rilievo, seppure svolto ad abundantiam nell’impugnata sentenza, dell’eccedenza della cubatura rispetto ai limiti consentiti, trattandosi di asserito motivo ostativo al rilascio del titolo abilitativo dedotto dal Comune per la prima volta in sede giudiziale e, dunque, con inammissibile motivazione postuma, ed essendo il rilievo comunque infondato nel merito, dovendosi nel calcolo della volumetria assentibile tener conto della maggiorazione premiale di cubatura connessa alla realizzazione di una ‘casa clima B’, ai sensi della deliberazione della Giunta provinciale 30 giugno 2008, n. 2299, attuativa dell’art. 127 l. urb. prov..

Per il resto, la società appellante riproponeva espressamente i residui motivi dedotti in primo grado e dichiarati assorbiti dal Tribunale regionale, chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado, con vittoria di spese.

3. Si costituiva in giudizio l’appellato Comune di Bolzano, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.

4. All’udienza pubblica del 22 marzo 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

5. I primi due motivi d’appello, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.

5.1. In linea di diritto, giova premettere che l’art. 107, comma 9, l. urb. prov. prevede che il trasferimento della sede di un maso chiuso – ossia, della casa di abitazione con relativi annessi rustici di cui all’art. 2 l. prov. 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi) facenti parti di un maso chiuso [definito dall’art. 1 l. prov. n. 17/2001, sotto un profilo giuridico formale, come “complesso di immobili, compresi i diritti connessi, iscritto nella sezione I (masi chiusi) del libro fondiario”] – da zone residenziali in zone residenziali rurali o nel verde agricolo è ammesso soltanto, “qualora ciò si renda necessario per oggettive esigenze aziendali che non possono essere soddisfatte con un ammodernamento o ampliamento, anche prescindendo dalla densità edilizia e dal rapporto di copertura previsti dal piano urbanistico comunale”, previa acquisizione da parte del Comune, prima del rilascio della concessione edilizia nel sito di destinazione, del parere vincolante della commissione, di cui al comma 29 dello stesso art. 107, “circa la sussistenza degli oggettivi motivi e la nuova ubicazione”, tenendo conto, nell’individuazione della nuova ubicazione, “delle esigenze di pianificazione urbanistica e di tutela del paesaggio”.

Il successivo comma 10 disciplina il regime edificatorio del fondo di ubicazione della vecchia sede, statuendo testualmente: “In caso di trasferimento della sede del maso chiuso ai sensi del comma 9, l'utilizzo a fini edificatori dell'area della vecchia sede dell'azienda agricola avviene nel rispetto della densità edilizia prevista dal piano urbanistico o dal piano di attuazione relativa all'area della vecchia sede dell'azienda agricola. È comunque interdetta l'attività agricola nella vecchia sede dell'azienda agricola. Nel rispetto di queste disposizioni, i fabbricati rurali non più utilizzati per effetto del trasferimento possono essere trasformati in volume residenziale. Il volume residenziale già esistente o che, per effetto del trasferimento, può essere realizzato sull'area della vecchia sede dell'azienda agricola, è soggetto alle disposizioni sull'edilizia convenzionata di cui all'articolo 79”.

Il comma 10-ter dell’art. 107, dettando la disciplina del regime edificatorio relativo alla realizzazione della nuova sede del maso, statuisce che “in caso di demolizione della sede di un maso chiuso, anche in deroga ad altre disposizioni di legge aventi contenuto contrario, si decade dal diritto di realizzare la sede dell’azienda agricola, se il comune non rilascia, contestualmente alla concessione edilizia per la demolizione, anche quella per la realizzazione della nuova sede dell’azienda agricola”, prevedendo, altresì, l’annotazione, a carico del maso chiuso, del relativo divieto di edificazione.

Occorre, altresì, precisare, che, secondo l’art. 2, comma 1, l. prov. n. 17 del 2001, ai fini della costituzione di un fondo rustico in maso chiuso, sotto il profilo sostanziale, è, in linea generale (salve le eccezioni contemplate dal comma 3), necessaria la presenza di una casa di abitazione con annessi rustici, oltre al requisito di un reddito medio annuo sufficiente ad assicurare un adeguato mantenimento ad almeno quattro persone, senza superarne il triplo (la sussistenza dei requisiti per la costituzione del maso chiuso è rimessa alla valutazione della commissione locale per i masi chiusi, la cui deliberazione è improntata ai comuni criteri di discrezionalità tecnica ed è sindacabile dinnanzi al giudice amministrativo), mentre “gli effetti giuridici del maso chiuso entrano in vigore con il rilascio del decreto tavolare di trasferimento degli immobili nella sezione I del libro fondiario” (v. art. 3, comma 3, l. n. 17 del 2001).

Per converso, il maso chiuso, una volta costituito (con l’intavolazione nella sezione I del libro fondiario), non perde la sua qualifica, qualora vengano meno, per qualsiasi motivo, tutti o parte dei fabbricati costituenti la sede masale, occorrendo all’uopo una delibera della commissione locale dei masi chiusi (su istanza del proprietario o anche di uno solo dei comproprietari o coeredi), la quale disporrà la revoca della relativa qualifica, “qualora sussistano gravi ragioni che escludono in modo permanente la ricostruzione dei masi stessi” (art. 2, comma 5, l. prov. n. 15 del 2001).

Nei casi di svincolo del maso chiuso, la commissione locale dei masi chiusi deve, di regola, disporre l’aggregazione delle particelle ad altri masi chiusi, salve ipotesi eccezionali da motivare debitamente; sulla base dell’atto di revoca della qualifica del compendio fondiario come maso chiuso, viene disposta la cancellazione tavolare di tutte le iscrizioni che si riferiscono a detta qualifica (v. art. 36 l. n. 17 del 2001).

Un maso chiuso costituisce un compendio fondiario agricolo che non può essere diviso o modificato in estensione o in consistenza per una mera volontà negoziale che si esplichi in atti mortis causa o in atti inter vivos. Infatti per la validità ed efficacia degli atti che comportano cambiamenti nella sua estensione o nella consistenza dei diritti reali ad esso connessi occorre la previa autorizzazione della commissione locale dei masi chiusi (artt. 4 e 37, comma 2, l. prov. n. 17 del 2001), la cui mancanza costituisce vizio di nullità rilevabile d’ufficio, integrando detta previa autorizzazione non una mera condicio iuris, bensì un requisito di validità del negozio, poiché rende commerciabili beni altrimenti indisponibili (v. sul punto, per tutte, Cass., II, 19 ottobre 1994, n. 8524, relativa al precedente testo unico delle leggi sui masi chiusi, contenente una disciplina in parte qua identica alla l. n. 17 del 2001).

L’art. 37, comma 4, l. prov. n. 17 del 2001 qualifica le disposizioni della legge sui masi chiusi come “disposizioni di diritto pubblico” e, dunque, inderogabili.

5.2. Orbene, sulla base di un’interpretazione letterale, teleologica e sistematica del sopra richiamato art. 107, comma 10, l. urb. prov., che viene in specifico rilievo nel caso sub iudice, essendo in discussione la disciplina del regime edificatorio dell’area di ubicazione del sito originario dei fabbricati rurali costituenti la sede del maso chiuso, deve confermarsi la conclusione del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, secondo cui sussiste uno stretto nesso di condizionamento della facoltà di utilizzo edificatorio ad uso residenziale dell’area (con demo-ricostruzione dei fabbricati rurali preesistenti) al trasferimento, effettivo e reale (e non solo dichiarato dal proprietario), della sede del maso sul nuovo sito, in quanto:

- secondo la lettera della disposizione, il diritto edificatorio sul sito a quo sorge “per effetto del trasferimento” della sede del maso al sito di destinazione;

- la disciplina è, evidentemente, tesa a rendere più agevole la conduzione dell’azienda agricola, consentendo il trasferimento dei fabbricati rurali (abitativi e aziendali) da una zona (divenuta) residenziale in una zona residenziale rurale o di verde agricolo e, al contempo, di preservare la continuità del compendio masale, di cui costituisce elemento sostanziale la presenza di una casa di abitazione destinata alle esigenze abitative del proprietario del maso e dei suoi familiari, con gli annessi rustici, il cui definitivo venir meno conduce, di regola, alla revoca della qualifica di maso chiuso (v. sopra sub 5.1.);

- il mancato condizionamento del rilascio della concessione edilizia, per la realizzazione di nuova volumetria residenziale sulla vecchia sede del maso, all’effettivo trasferimento della sede sul nuovo sito (presupponente il previo rilascio della concessione edilizio e l’inizio dei lavori nella nuova sede), oltre a porsi in contrasto con la ratio dell’ordinamento dei masi chiusi, tesa alla conservazione, attraverso detto istituto, di un assetto agricolo basato su proprietà e aziende medio-piccole e volta ad evitare la polverizzazione fondiaria, darebbe luogo a operazioni speculative estranee allo scopo perseguito dalla disposizione normativa in esame;

- la facoltà di demo-ricostruzione, riconosciuta dall’art. 59, comma 3, l. urb. prov. ai proprietari di edifici siti in zone residenziali non soggette a piani d’attuazione, qualora venga esercitata su aree di sedi di masi chiusi trasferite in zone residenziali rurali o di verde agricolo, escorporate dal maso chiuso, in applicazione del principio di prevalenza della legge speciale su quella generale deve ritenersi assoggettata alle condizioni e ai limiti della disposizione speciale dettata dall’art. 107, comma 10, l. urb. prov.;

- contrariamente all’assunto dell’odierna appellante, nessun argomento a contrariis, ai fini della ricostruzione della disciplina dettata dal precedente comma 10, in sé compiuta, può trarsi dal comma 10-ter dell’art. 107 l. urb. prov., il quale disciplina una fattispecie distinta, dettando il regime della facoltà edificatoria per realizzare la nuova sede del maso, nelle ipotesi – diverse da quelle sub iudice – in cui, al momento del trasferimento della sede, persista la coincidenza della persona del proprietario (delle aree della vecchia e rispettivamente dell’eventuale nuova sede del maso), il quale, intendendo demolire i fabbricati insistenti sulla vecchia sede, decade dal diritto di realizzare i fabbricati nella nuova sede se il comune non rilascia, contestualmente alla concessione edilizia per la demolizione, anche quella per la realizzazione della nuova sede (tale previsione normativa risponde, peraltro, alla stessa, identica ratio sottesa al precedente comma 10 e volta a conservare, per quanto possibile, la continuità dei masi chiusi, imponendo la realizzazione di una nuova sede in caso di demolizione di quella vecchia, pena il divieto di edificazione da annotare tavolarmente a carico del maso).

5.3. Nel caso di specie, l’edificabilità della p.ed. 426/1 è intrinsecamente connessa all’autorizzazione al trasferimento della sede del maso chiuso sulla p.f. p.f. 2073, come evincibile dal provvedimento del 16 marzo 2007, con cui la commissione locale per i masi chiusi ha autorizzato l’escorporazione della p.ed. 426/1 dal maso chiuso in funzione dello spostamento della sede del maso in una zona di verde agricolo per garantire una più razionale conduzione dell’azienda agricola; infatti, il provvedimento testualmente recita: “La locale commissione dei masi chiusi di Bolzano approva ai sensi dell’art. 6 della legge sui masi chiusi 2001 (Legge Provinciale del 28 novembre 2001, n. 17) l’escorporazione della particella edilizia 426/1 in P.T. 108/I C.C. Dodiciville, con una superficie di 1049 mq, considerato che non è più possibile un razionale sfruttamento economico del maso a causa della sua collocazione nel mezzo di una zona cittadina residenziale. Il nuovo maso chiuso deve essere ricostruito sulla p.ed. 2073 C.C. Dodiciville (…)”.

Attesa l’evidente riconduzione della fattispecie nell’alveo applicativo dell’art. 107, comma 10, l. urb. prov., il Comune legittimamente ha condizionato il rilascio del titolo edilizio per la trasformazione del volume edilizio dei fabbricati rurali della vecchia sede del maso in volume residenziale al trasferimento effettivo della sua sede nel nuovo sito e, dunque, al previo rilascio della relativa concessione edilizia e all’inizio dei lavori, pacificamente mancanti.

Né varrebbe opporre che la società acquirente avesse acquistato in buona fede sulle qualità urbanistico edilizie della p.ed. 426/1, in quanto:

- nel contratto di compravendita del 17 luglio 2007 risulta espressamente richiamata la menzionata autorizzazione della commissione locale per i masi chiusi allo scorporo della particella dal maso chiuso (per quanto esposto sub 5.1., necessaria a pena di nullità dell’atto di compravendita), sicché l’acquirente era posta in grado di appurare le correlative implicazioni urbanistico-edilizie;

- ad ogni modo, eventuali questioni inerenti alla mancanza di qualità del bene venduto o all’inerzia del venditore nell’attivare il procedimento di rilascio della concessione edilizia per la costruzione dei fabbricati rurali nella nuova sede del maso, sono relegati ai rapporti privatistici intercorrenti tra le parti contrattuali ed esulano dai rapporti della società acquirente con l’amministrazione comunale con riguardo al procedimento di rilascio della concessione edilizia.

5.4. Conclusivamente, i due motivi d’appello in esame sono da respingere, a conferma dell’appellata statuizione, di natura assorbente, reiettiva dei correlativi motivi di primo grado, con conseguente impedimento all’ingresso di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 9193 del 2010), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’appellata sentenza; condanna la società appellante a rifondere all’appellato Comune le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)