Il principio di legalità, questo sconosciuto.
(Nota assai critica a TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 521 dep. 20/2/2015)

di Massimo GRISANTI

Il TAR per la Lombardia, sede di Milano, Sez. I (Pres. Mariuzzo, Est. Simeoli, Lombardi) nella sentenza in commento ha esaminato il caso di un insediamento commerciale in un edificio esistente a destinazione d’uso produttiva e non commerciale ed ha stabilito che:

  1. “… ai fini dell’accoglimento della domanda di annullamento, sia dirimente rilevare la circostanza per cui, sulla domanda di autorizzazione, essendo trascorso inutilmente il termine di 90 giorni (decorrenti dal 13 aprile 2012), si è già irrimediabilmente formato il silenzio assenso, previsto dall’art. 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (il quale recita: Il comune adotta le norme sul procedimento concernente le domande relative alle medie strutture di vendita; stabilisce il termine, comunque non superiore ai novanta giorni dalla data di ricevimento, entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, nonché tutte le altre norme atte ad assicurare trasparenza e snellezza dell'azione amministrativa e la partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche”).”;

  2. “… V.1. In senso contrario, non vale replicare, come fa il Comune, che la non conformità urbanistica dell’istanza presentata da Chic S.r.l. in data 13 aprile 2012, avrebbe reso impossibile la formazione del silenzio assenso. Secondo questa tesi, in sostanza, la possibilità di conseguire l’autorizzazione implicita non sarebbe legata solamente al decorso del termine, ma esigerebbe anche la ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo.

V.2. Invero, il dispositivo tecnico denominato “silenzio-assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo; con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge; fermo restando, come si specificherà a breve, l’autotutela per l’amministrazione e l’impugnativa giudiziale per il controinteressato. Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a.

Inoltre, l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie “silenziosa” in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.

V.3. Dovendo, in forza di quanto appena teorizzato, distinguere tra elementi essenziali e requisiti di validità, i primi vanno correttamente individuati nella presentazione della domanda di autorizzazione nei termini e secondo le indicazioni di legge. Nella specie, la domanda di CHIC s.r.l. era corredata di tutti gli elementi individuati dall’art. 8, comma 2 del d.lgs. n. 114/1998 (le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese dai sigg. Luraschi e della Torre, cui si riferisce il Comune nella propria memoria, oltre a non essere richieste, non erano state presentate a corredo della domanda di Chic S.r.l. del 13.4.2012, ma solo successivamente, in data 25.6.2012, e dal proprietario dell’immobile). Per contro, nell’alveo dei requisiti di validità si colloca la conformità alle prescrizioni urbanistiche (la presentazione del progetto di adeguamento viabilistico chiesto dal Settore Mobilità, poi, sembra riguardare il distinto procedimento concernente gli aspetti di carattere edilizio).

IV.4. Ovviamente il conseguimento di un provvedimento amministrativo favorevole da parte del privato, formatosi a seguito del silenzio assenso, non esclude che l’amministrazione possa disporre, in via di autotutela e in presenza dei necessari presupposti, anche l’annullamento postumo dell’autorizzazione tacitamente assentita. Il diniego esplicito, sopravvenuto alla formazione del silenzio-assenso, non può considerarsi atto inesistente, ma atto che si sostituisce all’assenso tacito, quale ulteriore rinnovata espressione del potere di cui l'amministrazione era e rimane titolare, quanto meno in via di autotutela. Tuttavia, deve ritenersi illegittimo il provvedimento che, come accade nel caso che ci occupa, non abbia né la forma, né la sostanza di un atto di autotutela, atteggiandosi a mero diniego tardivo dell’autorizzazione, privo della necessaria fase partecipativa, nonché dell’esplicazione dei motivi di interesse pubblico posti a sostegno dell’intervento postumo in autotutela.

IV.5. In definitiva, il diniego di autorizzazione impugnato è illegittimo, in quanto disposto sulla base della non conformità urbanistica della destinazione d’uso, sebbene si fosse già consolidato sull’istanza il silenzio assenso. A fronte dell’inutile decorso del termine, l’amministrazione, ritenendo mancanti i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione, non avrebbe potuto considerare quest’ultima come inesistente, ma avrebbe dovuto dar corso all’unico rimedio legittimamente esperibile consistente nel suo annullamento d’ufficio in via di autotutela.

V. Possono assorbirsi tutti gli altri motivi, in quanto i profili di illegittimità accertati garantiscono alle società istanti il conseguimento della massima utilità sostanziale. Ai fini conformativi, occorre rimarcare i vincoli discendenti dai recenti sviluppi legislativi. Questo stesso Tribunale (Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271) ha chiarito in quali termini le recenti innovazioni normative (nella specie, l’art. 11, comma 1, lett. e del D.lgs. n. 59 del 2010, nonché l’art. 34, comma 3, lett. a del D.lgs. 201/2011) subordinano, oramai, la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica, che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, ad uno scrutinio molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche; dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 31 del D.L. 201 del 2011 dell’art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l’esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto).”.

Che dire …

I consessi supremi di giustizia ci avevano insegnato che “… L’istituto del silenzio assenso … è uno strumento di semplificazione e, dunque, attraverso di esso non può conseguirsi un risultato che, in ipotesi, non potrebbe essere ottenuto attraverso l’adozione di un provvedimento espresso.” – C.G.A.R.S. n. 257/2011 – Cons. Stato, n. 5852/2013.

Evidentemente ci eravamo persi qualcosa che il Collegio giudicante ci ha aiutato a ritrovare.

Eppure mi sembrava che la disciplina del silenzio assenso si trovasse in via generale nell’art. 20 della Legge n. 241/1990 e che il successivo art. 21 disponesse:

“Art. 21 (Disposizioni sanzionatorie)

1. Con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dell'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

2. Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.

2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.”.

Evidentemente le leggi sono vigenti ad intermittenza oppure vengono ricondotte ad personam anche quelle che non lo sono.

Come disse Giovanni Giolitti: “Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano.”.

Non mi sembra che il TAR Lombardia ne esca bene, e con esso i giudici amministrativi. Ma ciò è del tutto irrilevante (per chi detiene il potere).

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Scritto il 9 marzo 2015