TAR Campania (NA) Sez. IV n. 5248 del 14 novembre 2016
Urbanistica.Caratteristiche dei volumi tecnici

La nozione di volume tecnico in campo edilizio si fonda su tre parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, secondo cui il manufatto deve avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo, negativi, ricollegati, da un lato, all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all'interno della parte abitativa, e, dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti. Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti al servizio di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali di quest’ultima. Il volume tecnico consiste quindi in un locale avente una propria ed autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva della costruzione principale, privo di valore autonomo di mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da quella a servizio dell’immobile cui accede. Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal proprietario del bene. Inoltre, deve essere sempre facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze effettivamente presenti.

Pubblicato il 14/11/2016

N. 05248/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00289/2012 REG.RIC.

N. 00290/2012 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 289 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Romeo Alberghi s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Renato Ferola C.F. FRLRNT75T23F839B, Raffaele Ferola C.F. FRLRFL49T08F839S, presso il cui studio, sito in Napoli, p.zza della Repubblica,2, ha eletto domicilio;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Ricci C.F. RCCBRN54D25F839U, Giuseppe Tarallo C.F. TRLGPP54R05F839P, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges C.F. CCTBBR70L46F839X, Antonio Andreottola C.F. NDRNTN72E22I163X, Eleonora Carpentieri C.F. CRPLNR58H51F839I, Bruno Crimaldi C.F. CRMBRN65H26F839I, Annalisa Cuomo C.F. CMUNLS65S45F839J, Anna Ivana Furnari C.F. FRNNVN72C45F158A, Giacomo Pizza C.F. PZZGCM62L29G190E, Anna Pulcini C.F. PLCNNA56R70F839F, Gabriele Romano C.F. RMNGRL65S03G273Z, tutti in servizio presso l’avvocatura municipale, presso la cui sede - sito in Napoli, Piazza municipio, Palazzo San Giacomo - ha eletto domicilio;
Regione Campania in Persona del Presidente P.T. non costituito in giudizio;
Ministero Infrastrutture e Trasporti, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei Ministri p.t.,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvoc. distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;


sul ricorso numero di registro generale 290 del 2012, proposto da:
Giuseppe Sarubbi, rappresentato e difeso dagli avvocati Felice Laudadio C.F. LDDFLC47C11B180F, Guido D'Angelo C.F. DNGGDU33D22F839K, con domicilio eletto presso Guido D'Angelo in Napoli, via del Rione Sirignano N.6;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Ricci C.F. RCCBRN54D25F839U, Giuseppe Tarallo C.F. TRLGPP54R05F839P, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges C.F. CCTBBR70L46F839X, Antonio Andreottola C.F. NDRNTN72E22I163X, Eleonora Carpentieri C.F. CRPLNR58H51F839I, Bruno Crimaldi C.F. CRMBRN65H26F839I, Annalisa Cuomo C.F. CMUNLS65S45F839J, Anna Ivana Furnari C.F. FRNNVN72C45F158A, Giacomo Pizza C.F. PZZGCM62L29G190E, Anna Pulcini C.F. PLCNNA56R70F839F, Gabriele Romano C.F. RMNGRL65S03G273Z, tutti in servizio presso l’avvocatura municipale, presso la cui sede - sito in Napoli, Piazza municipio, Palazzo San Giacomo - ha eletto domicilio;
Regione Campania in Persona del Presidente P.T. non costituito in giudizio;
Ministero Infrastrutture e Trasporti, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei Ministri p.t.,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvoc. distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, via Diaz, 11;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

quanto a entrambi ricorsi principali del 2012:

-) delle disposizioni dirigenziali n. 4 del 19.10.2011 del dirigente II Municipalità e n. 419 in pari data servizio antiabusivismo aventi ad oggetto annullamento della D.I.A. n. 212/2005 ed ordine di demolizione per parte degli abusi, ed irrogazione di sanzione pecuniaria per parte degli abusi;

-) degli atti presupposti, e, in particolare:

- nota del 23.9.2011 Dipartimento pianificazione Urbanistica;

- della nota dipartimento urbanistica 11.3.2010 e 17.3.2010 e nota 27.10.2010 della Soprintendenza;

- dei verbali 12.3.2008 e 8.4.2008 di validazione del formato digitale dei perimetri delle aree vincolate ai sensi del D. Lgs 42/2004 e del conforme certificato di destinazione urbanistica

- dell’art. 124 delle NTA della variante generale al PRG;

- della nota 21.7.2010 del dirigente II municipalità recante avviso di avvio del procedimento di riesame di una serie di denunce inizio attività, tra cui la D.I.A. n. 212/2005;

- della nota II municipalità 21.10.2010 prot. 2802;

- della nota 7.9.2011 del dipartimento di pianificazione urbanistica e del 28.9.2011 della unità condono edilizio;

quanto ai motivi aggiunti depositati il 20 febbraio 2012 nel ricorso n. 289/2012:

-) delle note prot. 836303 del 15 dicembre 2011 e prot. 966 del 23 aprile 2010, attinenti alla dia 367/2010 sospesa e poi respinta;

-) del provvedimento di archiviazione del 26.8.2010;

-) di ogni altro atto connesso.


Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni indicate in epigrafe;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2016 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


FATTO

1- Con i ricorsi riuniti n. 289/2012 e 290/2012, la ROMEO ALBERGHI s.r.l e SARRUBBI Michele, la prima, quale proprietaria e, il secondo, quale direttore dei lavori eseguiti sull’immobile sito in Napoli alla via Cristoforo Colombo n. 45 (cd. Palazzo della flotta Lauro), impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe con cui, in estrema sostanza, si annullava la D.I.A. in questione e si ordinava la demolizione dei lavori abusivi effettuati sul fabbricato appena menzionato.

In particolare, gli atti impugnati sono censurati per i seguenti motivi:

I) violazione D.P.R. 616/77, legge 431/85, art. 1423 d. lgs 142/2004, in relazione al DM 1444/68 ed al PRG della città di Napoli del 1972, eccesso di potere sotto vari profili: sussisterebbero i presupposti di fatto per applicare la deroga all’ assoggettabilità dei lavori alla autorizzazione paesaggistica, giusta il disposto dell’art. 142, comma 2, d.lgs. n. 42 del 2004; pertanto, non sarebbe necessario l’assenso della Soprintendenza;

IIa) violazione degli artt. 7, 12 e 24 della variante al P.R.G. del Comune di Napoli, dell’art. 9 del regolamento edilizio, eccesso di potere, assenza dei presupposti e sviamento nella misura in cui non si sarebbe tenuto in considerazione che l’intervento non ha comportato alcun aumento di volumetria in quanto alcune porzioni dell’edificio, precedentemente utilizzate come superficie utile e computate nella volumetria, sono state convertite in volumi tecnici, recanti impianti fondamentali per la fruizione dell’edificio; tali volumi non sarebbero computabili in termini di volumetria con la conseguente piena legittimità dell’intervento di ristrutturazione;

IIb) violazione delle leggi reg. n. 19/2001 e n. 16/2004 e del D.P.R 380/2001: si rappresenta che tali norme ricomprendono nell’ambito degli interventi assentibili con D.I.A. sia la ristrutturazione cd. minore, sia quella pesante; ma la ristrutturazione cd. pesante si caratterizza per un sostanziale ampliamento dell’edificio, ovvero per la demolizione e ricostruzione- il tutto nella specie insussistente; l’intervento sarebbe, quindi, pienamente assentibile con D.I.A.;

IIc) eccesso di potere in quanto non si sarebbe considerato che i volumi rilevati sopra la copertura dell’edificio sarebbero parimenti volumi tecnici in quanto si tratterebbe di mere pannellature (sorrette da canne metalliche) posizionate a copertura di impianti per conferire unità di immagine al fabbricato;

IId) eccesso di potere nella misura in cui –relativamente allo spazio terrazzato adibito a palestra al piano ottavo e ricoperto da tende avvolgibili – non si è tenuto in considerazione che si tratterebbe di sistemazione di spazi esterni per esigenze temporanee, interventi che ai sensi dell’art. 6 co 1 lett. d) del reg. edilizio comunale ed art. 10 delle NTA non sono rilevanti in termini di superficie e volume;

IIe) eccesso di potere in quanto non si è considerato che la sala ristorante al decimo piano sarebbe, appunto frutto dei richiamati spostamenti della volumetria comprensiva anche della ex casa del custode e che, comunque, non sussisterebbe quell’aumento della quota complessiva dell’edificio di 40 cm pure erroneamente rilevata nel provvedimento impugnato;

IIf) eccesso di potere con riferimento alla mancata considerazione, quale volume tecnico, dell’aumento volumetrico derivante dall’ispessimento del sistema di infissi che, comunque, porterebbe a un aumento di soli 392,74 mc, pari a meno del 2% del volume dell’edificio;

III) violazione degli art. 7, 10 e ss, 21 nonies L. 241/1990 per la radicale assenza dei presupposti per l’autotutela (peraltro, con riferimento alla D.I.A. n. 23/04, il procedimento volto all’adozione di un atto di ritiro era già stato archiviato), in mancanza dell’interesse pubblico attuale (l’immobile è stato ristrutturato sulla base di un progetto dell’insigne architetto Kenzo Tange) anche con riferimento alla concomitante sussistenza di un rilevante affidamento dei soggetti incisi per essere trascorsi oltre cinque anni dal perfezionamento del titolo edilizio; non sono, inoltre, state rispettate le prescritte garanzie partecipative;

IV) la violazione degli artt. 27, 31 e 34 del D.P.R. 380/2001 in quanto l’assentibilità degli interventi con D.I.A. avrebbe reso applicabile la mera sanzione pecuniaria invece che il gravissimo provvedimento qui impugnato;

V) (con i motivi aggiunti depositati il 20.02.2012) violazione di legge e plurimi profili di difetto di istruttoria in rapporto all’archiviazione/rigetto della D.I.A. n. 367 del 25.03.2010, relativa a sole opere interne poste in essere all’ottavo piano senza interessamento alcuno delle parti costituenti, ad avviso degli altri provvedimenti impugnati, nuove volumetrie.

2 - Il Comune di Napoli si difende con ampie argomentazioni chiedendo il rigetto del ricorso e, preliminarmente, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso n. 290/2012 per la carenza di legittimazione del ricorrente in quanto mero direttore dei lavori e non proprietario dell’immobile.

3 –  Il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 26 in data 2 gennaio 2013, ha disposto incombenti istruttori diretti ad acquisizioni documentali, ed in seguito è stata effettuata una consulenza tecnica di ufficio, per la quale il CTU ha depositato relazione ed allegati in data 30 settembre 2013 a seguito di proroga del primo termine per il deposito (concessa con ordinanza n. 2605/2013).

All’udienza del 13 novembre 2013 il giudizio è stato sospeso con ordinanza n. 1515 del 2014, con la quale il Collegio ha sollevato, in riferimento all'art. 9 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 142, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), «laddove, nel prevedere la deroga al regime di autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale, tali classificate negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985, non esclude da tale ambito operativo di deroga le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio UNESCO». Con sentenza n. 22 del 11 febbraio 2106 la Corte costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile ed ha rimesso gli atti al giudice a quo.

Riassunto il processo a seguito della restituzione degli atti, all'udienza pubblica del 12 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

4a – In via assolutamente preliminare, deve darsi atto della connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi indicati in epigrafe (n.r.g. 289 e 290 del 2012) poichè relativi alla medesima fattispecie e ai medesimi provvedimenti; appare, quindi, opportuno disporne la riunione.

4b – Sempre in via preliminare, occorre rilevare l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Napoli con riferimento alla legittimazione a ricorrere del SARRUBBI (ricorso n. 290/2012), mero direttore dei lavori di cui si discute.

Sebbene sussistano in merito diversi orientamenti, deve ritenersi che la responsabilità diretta del direttore dei lavori per l’esecuzione dell’opera (art. 29 D.P.R. 380/2001) e la possibile responsabilità civile nei confronti del committente per le mancanze della stessa (v., tra le altre, in tema di responsabilità verso terzi anche del direttore dei lavori, Cassazione civile, sez. II, 17/02/2012,  n. 2363), radichino un apprezzabile interesse ad insorgere avverso i provvedimenti, come quelli di cui si discute, che revochino in dubbio la legittimità dell’opera eseguita e ne ordinino la demolizione.

Tale legittimazione autonoma, per altro verso, non può essere intaccata dalla circostanza che analoghi ricorsi siano stati presentati da altri legittimati (i.e. la società proprietaria dell’immobile).

5a - Passando al merito, va osservato che la Sezione si è già pronunziata sui ricorsi relativi alla medesima fattispecie con Sentenze n. 4920/2016 e 5009/2016. A tali pronunce, involgenti le medesime problematiche giuridiche sottese al presente ricorso, si opereranno ampi riferimenti nel prosieguo di questa decisione.

5b - Nel dettaglio, le ragioni della rimozione delle D.I.A., operata con il provvedimento impugnato in via principale, si fondano su due ragioni concorrenti:

A-) il primo riguarda la supposta esistenza del vincolo paesaggistico sull’area in oggetto, o meglio l’esistenza dei presupposti per far luogo a deroga del vincolo stesso ai sensi dell’art. 142 co 2 D. Lgs 42/2004, in ragione della qualificazione dell’area negli strumenti urbanistici vigenti alla data del 6.9.1985;

B-) il secondo riguarda l’assentibilità con D.I.A. delle difformità edilizie ritenute dal Comune, che ha ravvisato un aumento di volumetria e di altezza, non considerando secondo l’assunto di parte ricorrente né la preesistenza al nono piano della ex casa del portiere, rilevante sia per l’altezza che per la cubatura, né le demolizioni parziali di alcuni volumi ai piani inferiori, con compensazione volumetrica di quanto edificato al nono piano (in tale ambito, il Comune ha contestato altresì un ampliamento del nono piano mediante la realizzazione di una veranda in alluminio e vetri di 100 mq, ed un aumento di altezza di 40 cm per tutta la sala ristorante; nonché uno spostamento verso l’esterno delle originarie pareti in ferro e vetri).

Fin d’ora, va precisato che la verifica dell’esistenza di uno solo di tali elementi ostativi è idonea di per sé a sorreggere la motivazione degli atti impugnati, in base al granitico principio secondo il quale, in caso di atto plurimotivato, è sufficiente a sostenere la legittimità dello stesso la conformità a legge anche di una sola fra le autonome ragioni giustificatrici (cfr. C.d.S., n. 3194 del 2016).

5c – Alla luce di quanto appena sostenuto, è opportuno limitarsi a un mero richiamo alle menzionate Sentenze - che devono intendersi qui interamente condivise in parte qua (v. in particolare il capo 10 della Sentenza n. 4920/2016) - rispetto alle ragioni che inficerebbero la legittimità del provvedimento riguardo al motivo ostativo sub A. Una simile illegittimità finisce, infatti, con l’essere irrilevante per la piena legittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui è motivato in rapporto alle ragioni indicate sub B.

6a – È, appunto, dirimente l’analisi di tale ragione ostativa alla formazione del titolo edilizio per silientium, vale a dire l’incremento volumetrico, con modifiche della sagoma ed i maggiori volumi per le facciate ed i tompagni ispessiti (cd. ispessimento degli infissi). L’esame del profilo in questione, infatti, assume rilevanza preliminare e condizionante l’esame di tutte le altre censure.

Sulla premessa che l’intervento di “ristrutturazione” debba essere riguardato in modo unitario e complessivo, giova a questo punto formulare una breve ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.

L’immobile è stato edificato giusta licenza edilizia del 1950 e constava di un seminterrato e undici piani fuori terra, di cui gli ultimi due arretrati rispetto al filo della facciata, in acciaio e vetro; per i piani interni dello stabile nel 1987 è stata presentata domanda di condono edilizio.

Rispetto alla D.I.A. del 13.6.2005 il Comune ha disposto la sospensione dei termini chiedendo il completamento del condono; conseguita la concessione in sanatoria per il pregresso, la parte ha atteso i termini per il perfezionamento della D.I.A. ed ha dato inizio e concluso i lavori, dopo che il Comune in alcuni sopralluoghi ha accertato la conformità di quanto realizzato alla D.I.A..

Il 12 febbraio 2010, a seguito di accoglimento della sospensiva contro la demolizione (disposta nell’ambito del ricorso n. 7185/2009), sulla scorta dell’esistenza della D.I.A. del 2005, l’avvocatura dell’ente ha invitato il dirigente a contestare le difformità e ad emettere atto ricognitivo negativo della formazione della D.I.A. ovvero ad annullare in autotutela il provvedimento tacito formatosi. Infatti le D.I.A. non potevano perfezionarsi in assenza del prescritto parere della Soprintendenza, non essendo stata attivata la procedura finalizzata alla autorizzazione ambientale.

Tale motivo ostativo viene rilevato a marzo 2010 dal sistema di pianificazione urbanistica, che nella propria relazione precisa la inoperatività della deroga al regime vincolistico ex lege di cui all’art. 142, comma 2, D. Lgs n.42/2004, sorgendo l’edificio su aree che non erano classificate come zona A e B del PRG vigente al 1985.

Gli interventi eseguiti dalla società ricorrente risultano assistititi da una serie di denunce di inizio attività, di seguito elencate, per nessuna delle quali è stata esperita la procedura di autorizzazione paesaggistica, pur essendo – secondo l’amministrazione - l’area di intervento sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto ricadente entro i 300 mt dalla linea di battigia (D.I.A. n. 23/2004 per adeguamento antisismico, prevedente alcune demolizioni e ricostruzione e per le quali vi è stato il successivo provvedimento di archiviazione comunale; D.I.A. n. 212/2005 per manutenzione straordinaria ed opere interne, di ristrutturazione per cambio ad uso alberghiero; D.I.A. prot. 2225/2008 per piano interrato di via Melisurgo per la fusione dei locali al piano terra col piano interrato; D.I.A. prot. 2553/2009 per ulteriori lavori nella zona interrata per mutamento di uso, ovvero area benessere; D.I.A. n. 367 del 2010 per lavori al piano 8 – manutenzione straordinaria per adibirlo a sala ristorante, pratica sospesa con dichiarazione di improcedibilità).

Il Comune, nell’esercizio dei poteri di verifica e controllo delle D.I.A. susseguitesi nel tempo, ha sollevato una serie di contestazioni (pendenza di condono; creazione di nuovi volumi; rilevanza ai fini urbanistici della verandatura; assenza di titolo per il tunnel di collegamento sottostradale; vincolo archeologico e paesaggistico), che hanno condotto alla caducazione degli effetti prodottisi a seguito della presentazione delle D.I.A. del 2004, del 2005, del 2008, del 2009 e del 2010.

Tanto premesso, l’esercizio del potere di rimozione degli esiti dei procedimenti attivati con D.I.A. appare adeguatamente giustificato sotto il profilo della inidoneità dei titoli edilizi sopra elencati a legittimare l’intervento edilizio in esame.

In relazione alla D.I.A. del 2004 l’intervento non era assentibile, in quanto era stata presentata per immobile in relazione al quale pendeva pratica di condono edilizio, all’epoca non ancora esitata.

In ogni caso l’interesse su tale punto deve ritenersi insussistente, stante la presentazione delle D.I.A. successive.

In relazione alla D.I.A. del 2005 l’intervento non era assentibile, in quanto non si trattava di ristrutturazione a parità di volume, ma di creazione di nuovi volumi con modifica della sagoma dell’edificio in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia di riferimento, oltre che con l’articolo 124 delle NTA del PRG.

Secondo l’amministrazione il progettista avrebbe illegittimamente considerato i cavedi e luoghi tecnici sicuri dei volumi tecnici, così sottraendoli al calcolo dei volumi e spostandoli al nono piano sul ristorante; la nuova volumetria di 100 mq richiederebbe il rilascio del permesso di costruire (in luogo di una tenda aggiustabile, una struttura stabile in alluminio e vetri); il solaio di copertura di tutto il livello sarebbe stato alzato di 90 cm come contestato in sede di sopralluogo; si contesta inoltre la legittimità della struttura verandata di 35 mq a servizio del bar posta al primo piano fuori terra-piano ammezzato-dotato di scala di collegamento con la pubblica via.

6b - Il Collegio ritiene che il meccanismo di traslazione volumetrica, accertato dal CTU e quantificato secondo gli analitici calcoli eseguiti nella perizia, non possa essere addotto a giustificazione delle cospicue volumetrie configurate al nono piano e parte dell’ottavo, con conseguenti aumenti di superficie.

Al riguardo va ribadito che le conclusioni valutative del consulente tecnico non possono in alcun modo vincolare il Collegio sul piano giuridico. Vale sul punto rammentare l'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale le perizie giurate depositate non sono dotate di efficacia probatoria assoluta, potendo il giudice discostarsi dalla risultanze in esse contenute sempre che ne motivi adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare (Tar Lazio, sez. III quater, 23 gennaio 2014 n. 855; in argomento anche Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2009 n. 2579).

A maggior ragione è possibile discostarsi dalle valutazioni giuridiche espresse (impropriamente) dal CTU, dovendo le stesse essere attentamente vagliate in sede di decisione ed il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice; anzi, l’organo decidente non è obbligato affatto a tenerne conto e, per converso, ove ritenga di farvi riferimento, deve autonomamente dare conto del percorso logico-giuridico adottato.

Vale premettere che l'art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia «che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici», ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A). Di converso l'art. 22, 3° comma - lett. a), dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede, però, che - a scelta dell'interessato — tali interventi possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività.

Dalla lettura combinata delle due disposizioni emerge che sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio dell'attività le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle, cioè, che determinano una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle, descritte nell'art. 10, 1° comma — lett. c, che possono incidere sul carico urbanistico).

Il T.U. n. 380/2001 ha introdotto, in sostanza, uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie come disciplinata, in precedenza, dall'art. 31, 1° comma — lett. d), della legge n. 457/1978, riconducendo ad essa anche interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell'edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume. Ed invero, a seguito della novella del 2002, pur essendo stato eliminato il riferimento alla "fedele" ricostruzione, resta inteso che la ricostruzione a seguito di demolizione costituisce ristrutturazione se il risultato finale coincide nella volumetria e nella sagoma con il preesistente edificio demolito; mentre l'identità della volumetria e della sagoma non costituisce, invece, un limite per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione dell'edificio.

Dunque la ristrutturazione edilizia non è necessariamente vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato).

Deve ritenersi, però, che le modifiche del "volume", ora previste dall'art. 10 del T.U., possono consistere in diminuzioni o traslazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti, poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell'edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra "ristrutturazione edilizia" e "nuova costruzione".

Dalla consulenza tecnica emerge senza alcun ombra di dubbio che all’ottavo ed al nono piano gli interventi realizzati con D.I.A. abbiano creato nuovi volumi, prima del tutto inesistenti.

Dunque non sussistono dubbi che nella specie siano stati realizzati interventi edilizi con realizzazione di nuove superficie utili e nuova volumetria, ciò risultando dalla stessa relazione tecnica promanante dalla società ricorrente.

A tal riguardo, è allora essenziale stabilire se sia ammissibile l’operazione di conversione di spazi ordinari in volumi tecnici (non computabili), con recupero della cubatura per realizzare manufatti prima del tutto inesistenti (in particolare quelli edificati al piano nono, dove vi era in precedenza un mero vano adibito ad uso del portiere).

Difatti, ove fosse consentita tale traslazione, si potrebbe ritenere che la modifica volumetrica (oltre che della sagoma) possieda quei caratteri di marginalità che, come si è detto, consentirebbero di qualificare l’intervento complessivo in termini di ristrutturazione leggera, assentibile con D.I.A..

Si intendono per volumi tecnici esclusi dal calcolo della volumetria ammissibile i locali completamente privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, i quali risultano esclusivamente destinati a contenere impianti serventi alla costruzione principale, che per esigenze di funzionalità non possono essere inglobati nel corpo della costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.01.2013, n. 32).

La nozione di volume tecnico in campo edilizio si fonda su tre parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, secondo cui il manufatto deve avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo, negativi, ricollegati, da un lato, all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all'interno della parte abitativa, e, dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.

Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti al servizio di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali di quest’ultima. Il volume tecnico consiste quindi in un locale avente una propria ed autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva della costruzione principale, privo di valore autonomo di mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da quella a servizio dell’immobile cui accede.

Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal proprietario del bene. Inoltre, deve essere sempre facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze effettivamente presenti.

Nella specie non risulta affatto provato che gli interventi edilizi realizzati avessero quelle caratteristiche (essere destinati in via esclusiva a contenere impianti serventi non altrimenti collocabili nell’immobile) ed anzi la descrizione contenuta nella relazione tecnica allegata all’istanza amministrativa, cui sopra si è fatto riferimento, mostra chiaramente come nella fattispecie in esame si tratti palesemente di superfici realizzate con autonoma funzionalità e quindi estranee al concetto di “volume tecnico” (vedi TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.02.2013 n. 288).

Il sol fatto che, in precedenza, i volumi avessero destinazione abitativa, dimostra di per sé l’assenza del requisito di necessarietà e proporzionalità che presiede alla qualificazione di un vano quale volume tecnico.

Va ribadito, infatti, che proprio al fine di evitare possibilità di aggiramenti della normativa urbanistica ed edilizia, occorre accedere ad una interpretazione restrittiva, rigorosamente ancorata al dato funzionale e perimetrata in termini di effettiva indispensabilità tecnica.

Converge verso tale conclusione anche la considerazione che la valenza abilitativa della realizzazione di opere riguardanti un preesistente fabbricato va riferita all’intervento complessivo, al fine di evitare che i vincoli urbanistici possano essere aggirati per il tramite di pratiche elusive consistenti nella artificiosa parcellizzazione dell’attività edificatoria.

Invero, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, facendo leva sul fatto che le stesse sono astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate, in ragione della loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. Per contro, l’opera deve essere sempre “considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti” (Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent. 11.10.2005).

Anche sotto questa ulteriore e concorrente prospettiva risulta evidente che l’insieme degli interventi ha consentito una conversione integrale del manufatto in albergo, mediante un insieme di opere che ne hanno alterato la sagoma, la volumetria (anche a seguito dell’ispessimento della tompagnatura) e, sia pure in minima parte, l’altezza, nonché mediante l’innesto di strutture (quali la verandatura e la copertura posta sul tetto) del tutto eterogenee rispetto all’impianto originario.

Dal complesso delle esposte considerazioni può concludersi nel senso che l’utilizzo delle plurime denunzie di inizio attività non sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, sopra menzionata, sicché anche l’impugnazione dell’art. 124 della variante generale al PRG (da leggersi in combinato disposto con l’art. 12 delle n.t.a.) perde di rilievo, con conseguente inammissibilità delle relative censure per difetto di interesse.

7 - Su queste premesse è possibile esaminare le restanti singole censure, anche mediante accorpamento delle stesse per omogeneità delle tematiche involte.

La lamentata violazione degli artt. 7 e ss. legge 241/90 (atteso che l’originaria contestazione di avviso della autotutela non contemplava il preteso spostamento verso l’esterno delle originarie pareti in ferro e vetri) si rivela infondata, poiché dalla disamina del complesso carteggio emerge la volontà dell’amministrazione comunale di sottoporre a verifica la totalità degli interventi eseguiti sull’albergo Romeo.

Peraltro, come è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della sezione, la doverosità del provvedimento rende recessivo l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo, infatti, non si applica ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, considerato il loro carattere doveroso (cfr., art. 21 octies L. 241/90 e, in giurisprudenza, ex multis, T.A.R. Campania, sez. IV, n. 03605/2016, sez. VI, n. 3706/2012; Consiglio Stato sez. V, 19 settembre 2008, n. 4530; T.A.R. Napoli Campania sez. IV, 02 dicembre 2008, n. 20794 e TAR Campania, Napoli, sez. IV, 16 giugno 2000 n. 2147).

8 - La censura avente ad oggetto violazione degli artt. 3, 10, 22, DPR 380, art 1 D. Lgs. 301/2000 (nonché la violazione delle leggi regionale n. 19 del 2001 e n. 16 del /2004, eccesso di potere, difetto di motivazione, violazione art. 31 e 32 DPR 380, violazione degli artt. 7 e 14 delle NTA della variante generale al PRG, violazione art 124 e 12 delle NTA, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore sul presupposto, violazione dell’art. 33 co 4 e 6 bis DPR 380/01) risulta non convincente, poiché, come detto, gli interventi non possono essere considerati assentibili con D.I.A.; ne consegue la reiezione anche di tutte le altre censure (violazione degli artt. 33, comma 4, 34, 37 e 38 DPR 380/01) che si fondano sulla tesi della validità abilitativa della D.I.A., con la specificazione che la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria, infatti, attiene alla fase dell'esecuzione dell'ordine di ripristino e presuppone, da parte del destinatario, la prova dell’impossibilità di demolire senza nocumento per la restante parte (legittima) dell’immobile.

Sul punto va ribadito che, mentre l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell’abuso commesso, il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (art. 33 co. 2 d.P.R. 380/01) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (indirizzato ai competenti uffici dell’Amministrazione) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempre se vi sia stata la richiesta dell'interessato in tal senso (ex multis, v. Sent. T.A.R. Napoli, sez. IV, n. 03120/2015, cit., nonché T.A.R. Napoli, sez. VII, 14 giugno 2010 n. 14156).

9a - Anche la denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela, ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non appare meritevole di positiva delibazione. Si lamenta, infatti, con dovizia di argomentazioni, che gli atti di annullamento delle D.I.A. non avrebbero rispettato i dettami previsti per l’esercizio del potere di autotutela; infatti, non si sarebbe tenuto conto del tempo trascorso né si sarebbe effettuato un corretto bilanciamento tra gli interessi del privato e l’interesse pubblico sotteso al provvedimento anche in relazione all’avvenuta demolizione dell’opera in epoca successiva al perfezionamento della fattispecie tacita di cui alla D.I.A.

Le considerazioni esposte in precedenza dimostrano che la fattispecie tacita di autorizzazione all’intervento non può ritenersi formata correttamente perché l’intervento non poteva essere assentito con mera D.I.A. essendo intervenuta una vera e propria nuova costruzione.

In definitiva, una volta stabilito che la tipologia di interventi richiedesse il permesso di costruire, ne deriva, quale logico corollario, che il procedimento per silentium non può ritenersi mai perfezionato, avendo un oggetto del tutto incongruente ed incompatibile con tale semplificato modulo di formazione del titolo edilizio.

Ne discende che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare la D.I.A. che, difettandone i relativi presupposti, non poteva ritenersi perfezionata (T.A.R. Napoli Campania sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 35; Consiglio Stato sez. VI, 05 aprile 2007, n. 1550; Cassazione penale sez. III, 08 aprile 2010, n. 17973).

9b - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione della norma, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, consentirebbe al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori (v. l’art. 19 co. 6 bis L. 241/1990 secondo cui «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali»).

9c - Ciò posto, l’atto in esame, pur qualificato quale atto di autotutela, va inteso correttamente quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento della D.I.A. che resta, pertanto, inefficace.

Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni di parte ricorrente che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.

In questa ipotesi dunque l’atto di rimozione delle D.I.A. si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.

9d - In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4300) ; peraltro le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25 maggio 2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.

10 - La reiezione delle censure articolate nei ricorsi principali rende infondata anche la doglianza di cui ai motivi aggiunti presentati nel ricorso numero 289/2012.

L’intervento di manutenzione ivi previsto (ed astrattamente ben assentibile con D.I.A.) è, infatti, strettamente collegato ai lavori precedenti, correttamente ritenuti abusivi e, come si è detto in precedenza, è necessario considerare unitariamente l’insieme di opere poste in essere al fine di trasformare il cd. Palazzo Lauro in un albergo.

11 - Occorre infine precedere alla liquidazione finale dei compensi spettanti al CTU Fulvio Calì, tenuto anche conto della nota presentata dallo stesso in data 14 marzo 2014, per un importo complessivo pari a 7.000 euro (di cui 2.300 per rimborso spese al 50% essendo comuni ad altro incarico conferito nel ricorso n. 7185/2009 e 4.700 per compensi computati ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002, non maggiorati in quanto comuni ad altro incarico), da porre a carico della parte soccombente, previa decurtazione di quanto già corrisposto a titolo di acconto.

12a – I ricorsi principali e il ricorso per motivi aggiunti presentato nel ricorso n. 289/2012 vanno, pertanto, respinti.

12b - Le spese del giudizio, attesa la complessità della controversia e la peculiarità della vicenda, possono essere compensate, mentre il contributo unificato e le spese per la CTU vanno poste a carico della società ricorrente in base al principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quarta), definitivamente pronunciandosi:

-) riunisce i ricorsi n. 289 e n. 290 del 2010 come sopra indicati in epigrafe;

-) rigetta i ricorsi principali e quello per motivi aggiunti presentato nel ricorso n. 289/2012 (dep. il 20.02.2012);

-) compensa le spese, ad eccezione del contributo unificato e degli oneri per la CTU, -liquidati questi ultimi in complessivi euro 7.000 (da intendersi comprensivi della somma già anticipata)- che si pongono a carico della società ricorrente;

-) ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Michele Buonauro, Consigliere

Luca Cestaro, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Luca Cestaro        Anna Pappalardo