TAR Puglia (LE) Sez.II n.515 del 28 marzo 2019
Urbanistica.Differenza tra demolizione irrogata ex art. 31 TU edilizia e quella di cui all'art. 34
La demolizione irrogata ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001 ha una disciplina differente rispetto a quella di cui all’art. 34 del medesimo Testo Unico. Le fattispecie contemplate dall’art. 31 come legittimanti la sanzione demolitoria sono infatti costituite dagli abusi edilizi connotati da maggior gravità, e segnatamente: assenza di permesso di costruire, totale difformità da esso, variazione essenziale (descritta al successivo art. 32) rispetto al titolo edilizio. La sanzione da irrogare è, necessariamente, quella della demolizione, che non può essere sostituita da un diverso provvedimento afflittivo e che comporta l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree occupate dalle opere abusive, oltre alle sanzioni pecuniarie aggiuntive in caso di inosservanza. La demolizione prevista dall’art. 34 consegue invece al più lieve abuso costituito dalla parziale difformità dal permesso di costruire: in questo caso il titolo edilizio è stato rilasciato, ma il titolare ha realizzato un’opera diversa rispetto a quella assentita, senza tuttavia porre in essere difformità talmente gravi da potersi qualificare come essenziali ai sensi dell’art. 32 D.P.R. 380/2001. Nel caso dell’art. 34, si può ovviare alla demolizione nel caso in cui essa risulti pregiudizievole per le porzioni immobiliari legittimamente realizzate mediante sostituzione con una sanzione pecuniaria, inoltre per essa non opera la previsione dell’acquisizione al patrimonio dell’ente comunale.
Pubblicato il 28/03/2019
N. 00515/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00519/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 519 del 2018, proposto da
Lotesoriere Oronzo e Filannino Grazia, rappresentati e difesi dall’Avv. Lorenzo Durano e dall’Avv. Mario Laveneziana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Ostuni, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Dirigente Settore Urbanistica del Comune di Ostuni, non costituito in giudizio;
per l'annullamento parziale
dell'ordinanza del Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Ostuni n. 59 del 14 febbraio 2018, nella parte in cui intimava ai ricorrenti la demolizione delle opere di tramezzatura interna, di n. 3 cisterne realizzate al primo livello del fabbricato (pag. 1 del ricorso), dell’intercapedine anch’essa realizzata al primo livello del fabbricato (pag. 5 del ricorso).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2019 la dott.ssa Katiuscia Papi e udito il difensore della parte ricorrente, Avv. Durano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Oronzo Lotesoriere e Grazia Filannino sono proprietari di un fabbricato ubicato in Comune di Ostuni, Contrada Campanile, censito al Catasto Fabbricati al Foglio 11 Particella 484 sub. 1 e 2.
Il fabbricato originario veniva realizzato in virtù del permesso di costruire 2008-P-497 del 16 giugno 2009. Alcune varianti venivano rese oggetto di SCIA N. 2012-S- 139 presentata in data 6 aprile 2012.
In epoca successiva, in assenza di permesso di costruire, venivano eseguite le seguenti opere: sbancamento della parte anteriore del terreno posto sul declivio naturale, realizzazione di due cisterne interrate per il recupero dell’acqua piovana e l’accumulo di acqua riveniente dal pozzo artesiano regolarmente autorizzato, modifiche alle tramezzature interne, realizzazione di un cavedio.
In relazione a tali ulteriori opere, il fabbricato era assoggettato a sequestro penale. Veniva inoltre adottata dal Comune di Ostuni l’ordinanza n. 111/D del 5 agosto 2014, con la quale si ingiungeva ai proprietari di demolire l’intero fabbricato realizzato, ritenuto totalmente difforme da quanto assentito con il titolo abilitativo del 2009.
I proprietari, con istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 presentata il 5 novembre 2014, chiedevano il rilascio di titolo edilizio in sanatoria.
Con nota Prot. 34448/2014 del Dirigente del Servizio Urbanistica del Comune di Ostuni veniva espresso parere favorevole al rilascio del permesso in sanatoria, a condizione che venissero eseguite le opere di colmamento indicate nella proposta di ripristino, previa autorizzazione dell’Ispettorato delle Foreste e dissequestro dell’area da parte dell’Autorità Giudiziaria penale.
Con propria istanza in data 14 novembre 2017 Oronzo Lotesoriere e Grazia Filannino reiteravano la richiesta di rilascio del permesso in sanatoria con riferimento alla pratica edilizia 281-P-2014, allegando l’autorizzazione di compatibilità idrogeologica rilasciata, in data 29 marzo 2017, dal Servizio di Pianificazione e Coordinamento Servizi Forestali della Regione Puglia. In subordine, veniva richiesto l’annullamento parziale dell’Ordinanza di demolizione n. 111/D del 5 agosto 2014. Si affermava infatti che la stessa avrebbe dovuto essere riferita “alle sole opere prive di titolo edilizio ed eventualmente non sanabili”, escludendosi la rilevanza a fini demolitori del fabbricato realizzato in conformità al Permesso di Costruire del 2009 e alla SCIA del 2012.
In accoglimento della richiesta subordinata proposta dai Sigg.ri Filannino e Lotesoriere il Comune di Ostuni, con ordinanza del Dirigente del Settore Urbanistica n. 59 del 14 febbraio 2018 disponeva la revoca parziale dell’Ordinanza n. 111/D del 5 agosto 2014 “nella parte in cui viene disposta la demolizione del fabbricato così come assentito dal P.d.C. n. 2008-P-497 del 16.6.2009 e successiva SCIA n. 2012-S-139 del 6.4.2012”. Per conseguenza, ingiungeva: “a parziale conferma della suddetta ordinanza Dirigenziale n. 111/D del 5.8.2014 … la demolizione di tutte le ulteriori opere abusive non previste dai suddetti titoli edilizi e precisamente le opere di tramezzatura interna al primo livello di fabbricato (attualmente seminterrato), le tre cisterne realizzate al primo livello di fabbricato (attualmente seminterrato) nonché i due vani denominati rispettivamente <<vano da colmare>> ed <<intercapedine con annessa scala>> realizzati al primo livello di fabbricato (attualmente seminterrato) …”. Ingiungeva: “altresì a parziale conferma della suddetta Ordinanza dirigenziale n. 111/D del 5.8.2014 … il perfetto ripristino dello stato dei luoghi circostante al fabbricato assentito con P.d.C. n. 2008-P-497 del 16.6.2009 e successiva SCIA n. 2012-S-139 del 6.4.2012 mediante ripristino degli scavi e movimenti terra abusivamente realizzati (e precisamente lo scavo di sbancamento effettuato sul lato ovest del fabbricato, nonché la realizzazione di un cavedio sul lato opposto) e la ricostituzione della relativa vegetazione preesistente all’inizio dei lavori”.
Con il medesimo atto veniva invece rigettata la richiesta proposta da Lotesoriere e Filannino in via principale, volta al rilascio del permesso in sanatoria. Per la relativa motivazione si rinviava per relationem alle valutazioni espresse dal Responsabile del Settore Urbanistica nella nota Prot. 57671 del 21 dicembre 2017, allegata all’ordinanza oggi impugnata, trasmessa dal medesimo Dirigente al Tribunale di Brindisi, nell’ambito del procedimento penale pendente nei confronti degli odierni ricorrenti per le opere abusive. In particolare, nella suddetta nota si precisava quanto segue:
- mentre il fabbricato assentito con il permesso di costruire del 2009 prevedeva un piano interrato e uno fuori terra, per mezzo dello sbancamento e del cavedio abusivamente realizzati veniva ad avere un piano seminterrato e uno completamente fuori terra;
- il necessario ripristino dello stato assentito con il titolo del 2009 sia in termini altimetrici che vegetazionali, e “poiché il ripristino suddetto non può non essere realizzato, ne deriva che la condizione attualmente seminterrata del piano inferiore del fabbricato è necessariamente temporanea, transitoria e, una volta rimossa, restituisca al piano inferiore del fabbricato la condizione di interrato”;
- “si tiene a precisare che l’obbligo del ripristino dello stato originario dei luoghi sia in termini piano altimetrici che vegetazionali discende rispettivamente dall’art. 15 del Titolo I delle N.T.A. del P.R.G. che vieta i movimenti di terra e dell’obbligo comunque generalizzato di ripristinare la macchia mediterranea rimossa”.
Quanto alle ulteriori opere realizzate in assenza di permesso di costruire, la relazione del dirigente comunale statuiva che:
- le opere di tramezzatura interna non costituiscono variazione essenziale ex art. 32 comma 2 D.P.R. 380/2001;
- le tre cisterne sono volumi tecnici e quindi non costituiscono variazione essenziale ai sensi dell’art. 32 comma 2 D.P.R. 380/2001;
- i due vani indicati in planimetria come “vano da colmare” e “intercapedine”, anch’essi non assentiti, hanno una superficie non superiore al 10% della superficie complessiva del fabbricato, pertanto anch’esse non costituiscono variazione essenziale.
L’ordinanza del Comune di Ostuni n. 59/2018 veniva parzialmente impugnata, limitatamente alla parte che ingiungeva la demolizione delle opere di tramezzatura interna, delle cisterne e dell’intercapedine, mediante il ricorso introduttivo del presente giudizio, affidato ai seguenti motivi: 1) “Violazione art. 7 L. 241/90. Violazione principi in tema di partecipazione al procedimento”, con il quale si censurava l’omessa comunicazione di avvio del procedimento; 2) “Violazione e falsa applicazione art. 31 e segg. D.P.R. 380/2001. Eccesso di potere per irrazionalità, perplessità e contraddittorietà dell’azione amministrativa” con cui si faceva rilevare come non fosse possibile dedurre dalla disamina del provvedimento impugnato se la demolizione sia intimata ai sensi dell’art. 31 o dell’art. 34 D.P.R. 380/2001, e con il quale si censurava la contraddittorietà nell’azione amministrativa del Comune di Ostuni, con riferimento alla circostanza che le opere la cui demolizione viene sottoposta a gravame erano espressamente definite dal Responsabile area tecnica del Comune, nella propria relazione del 21 dicembre 2017, come non riconducibili alle variazioni essenziali; 3) “Violazione e falsa applicazione art. 6 D.P.R. n. 380/2001 come modificato e integrato dall’art. 3 comma 1 lett. b) n. 3 D. Lgs. n. 222/2016. Eccesso di potere per difetto di presupposti, ed irrazionalità dell’azione amministrativa”, con cui si deduceva che, in virtù del decreto cd. “SCIA-2”, alcune delle opere oggetto di ordinanza demolitoria erano da ricondursi nell’ambito dell’edilizia libera; 4) “Violazione art. 37 D.P.R. 380/2001. Eccesso di potere per manifesta irrazionalità e difetto di presupposti”, con cui si deduceva la riconducibilità di alcune delle opere alla SCIA e il necessario assoggettamento delle stesse, in sede sanzionatoria, all’art. 37 D.P.R. 380/2001, con conseguente applicazione della sola sanzione pecuniaria. Il ricorso era assistito da domanda cautelare.
L’amministrazione comunale non si costituiva in giudizio.
All’esito della camera di consiglio del 30 maggio 2018, con ordinanza n. 256 del 31 maggio 2018 il Collegio accoglieva l’istanza ex art. 55 c.p.a., sospendendo interinalmente il provvedimento impugnato, e disponeva la compensazione delle spese di lite della fase cautelare.
All’udienza pubblica del 30 gennaio 2019 la causa veniva tratta in decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, afferente all’omessa comunicazione di avvio del procedimento di demolizione, non è fondato.
Ritiene infatti il Collegio che l’emanazione dell’ordinanza di demolizione, in presenza di abusi edilizi con i caratteri individuati dall’art. 31 D.P.R. 380/2001, costituisca un atto vincolato, con conseguente esclusione, nel relativo procedimento, dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento: “L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della PA con la conseguenza che i relativi provvedimenti – tra cui l’ordinanza di demolizione – costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (ex pluribus: TAR Napoli, Sez. IV, 9/6/2015 n. 3119).
2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si faceva valere la contraddittorietà dell’operato comunale, è invece fondato, sotto un duplice profilo.
2.1. La demolizione irrogata ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001 ha una disciplina differente rispetto a quella di cui all’art. 34 del medesimo Testo Unico. Le fattispecie contemplate dall’art. 31 come legittimanti la sanzione demolitoria sono infatti costituite dagli abusi edilizi connotati da maggior gravità, e segnatamente: assenza di permesso di costruire, totale difformità da esso, variazione essenziale (descritta al successivo art. 32) rispetto al titolo edilizio. La sanzione da irrogare è, necessariamente, quella della demolizione, che non può essere sostituita da un diverso provvedimento afflittivo e che comporta l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree occupate dalle opere abusive, oltre alle sanzioni pecuniarie aggiuntive in caso di inosservanza. La demolizione prevista dall’art. 34 consegue invece al più lieve abuso costituito dalla parziale difformità dal permesso di costruire: in questo caso il titolo edilizio è stato rilasciato, ma il titolare ha realizzato un’opera diversa rispetto a quella assentita, senza tuttavia porre in essere difformità talmente gravi da potersi qualificare come essenziali ai sensi dell’art. 32 D.P.R. 380/2001. Nel caso dell’art. 34, si può ovviare alla demolizione nel caso in cui essa risulti pregiudizievole per le porzioni immobiliari legittimamente realizzate mediante sostituzione con una sanzione pecuniaria, inoltre per essa non opera la previsione dell’acquisizione al patrimonio dell’ente comunale.
Per quanto precede, è dunque essenziale che la p.a., nell’irrogare la sanzione demolitoria, individui quale sia la fattispecie normativa nella quale essa deve essere inquadrata. Nel caso di specie, in effetti, la p.a. non precisava se la demolizione delle opere ingiunta nell’ordinanza n. 59, qui gravata in parte qua, venisse disposta ai sensi dell’art. 31 o invece dell’art. 34 D.P.R. 380/2001, né indicava quale fossero le ragioni, di fatto e di diritto, poste a fondamento del provvedimento, limitandosi a enumerare le opere da rimuovere. Da ciò deriva il non assolvimento dell’onere di motivazione gravante sull’amministrazione procedente ai sensi dell’art. 3 L. 241/1990 e, come precisato dalla giurisprudenza, secondo termini cui il Collegio ritiene di aderire, la conseguente illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato, nella parte qui gravata: “Il D.P.R. n. 380 del 2001, Testo Unico sull'Edilizia, referente normativo anche in materia di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, sanziona, sul piano amministrativo, la condotta di realizzazione di manufatti edilizi abusivi in una pluralità di disposizioni incriminatici (art. 27, 31, 32 comma 3, 33, 34, 35, 37), ciascuna delle quali corrispondente ad un'autonoma fattispecie di illecito, caratterizzata da propri presupposti e per esse, in relazione alla gravità dell'abuso, prevede tre tipi diversi di sanzione: la demolizione, la sanzione pecuniaria, l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale o anche la confisca amministrativa, tutte strumentali rispetto alla precipua funzione riparatoria dell'ordine urbanistico violato e tendenzialmente applicabili in via alternativa ovvero consequenziale; in siffatto contesto, appare di evidenza intuitiva come l'obbligo di motivazione - normalmente attenuato nei casi di atti dovuti ed a contenuto vincolato -, si riespanda quando la sola descrizione degli abusi accertati non rifletta di per sé l'illecito contestato, occorrendo, in siffatte evenienze, in aggiunta ad una descrizione materiale delle opere accertate, una qualificazione giuridica dell'intervento abusivo, onde consentirne la sussunzione in una delle diverse, e tra loro alternative, fattispecie incriminatici e nella corrispondente sanzione.” (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 23 settembre 2009 n. 10617; cfr: TAR Liguria, Genova, Sez. I, 7 maggio 2009 n. 940; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 14 febbraio 2011 n. 925).
2.2. Parimenti fondato risulta il motivo di ricorso sotto il profilo della dedotta contraddittorietà dell’azione amministrativa. Ove si ritenga infatti che il provvedimento impugnato, in quanto parzialmente confermativo dell’ordinanza di demolizione del 2014 (emessa per la riscontrata totale difformità dell’intero fabbricato e dunque, deve concludersi, ai sensi dell’art. 31 del Testo Unico), costituisca anch’esso un atto inquadrabile nell’art. 31 cit., esso non potrebbe che ritenersi in contrasto con la Relazione del Responsabile del Settore Urbanistica in data 21 dicembre 2017, con riferimento alle opere minori oggetto della presente causa.
Invero, l’ordinanza n. 59/2018 rinvia, nel corpo della propria motivazione, alla menzionata relazione del Responsabile dell’Area Tecnica comunale. Nell’ambito di tale ultimo atto il Responsabile, come riportato in punto di fatto, precisava che né le cisterne, né le tramezzature interne, né l’intercapedine costituivano variazione essenziale rispetto al permesso di costruire e alla SCIA del 2012. La difformità che tali interventi minori integrano è dunque una difformità parziale, sanzionabile con la demolizione “minore” di cui all’art. 34, ove posta in rapporto con il permesso di costruire (difformità parziale dal permesso di costruire), e con la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 ove considerate in rapporto con la SCIA (opere realizzate in assenza o in difformità dalla SCIA), fatto salvo in ogni caso quanto previsto dall’art. 37 comma 6 D.P.R. 380/2001. Dette difformità parziali non essenziali non potrebbero invece di per sé dar luogo all’ordinanza di demolizione ex art. 31 D.P.R. 380/2001, provvedimento sanzionatorio che presuppone, al contrario, quantomeno la variazione essenziale rispetto al permesso di costruire. Da ciò si evince la contraddittorietà e il palese vizio motivazionale nel quale incorre il Comune di Ostuni nell’ordinanza n. 59/2018, limitatamente alla parte qui gravata.
3. Con il terzo motivo di ricorso si faceva valere la riconducibilità di parte delle opere per le quali l’ordinanza n. 59/2018 confermava la sanzione demolitoria all’ambito di applicazione dell’edilizia libera.
In effetti, ai sensi dell’art. 6 D.P.R. 380/2001, come risultante dalle modifiche recate dal D. Lgs. 25.11.2016 n. 222: “[…] i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: […] e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati”. In particolare, ritiene la parte ricorrente che per le opere di edilizia libera non potrebbe disporsi la demolizione, e che detto regime sarebbe invocabile, con riferimento agli interventi oggetto dell’ordinanza n. 59/2018, per le intercapedini e per le tre cisterne.
La censura è priva di pregio. La normativa invocata dalla parte ricorrente risulta sopravvenuta rispetto alla realizzazione delle opere delle quali veniva ingiunta la demolizione. L’art. 31 D.P.R. 380/2001, nel sanzionare gli interventi posti in essere in assenza o totale difformità rispetto al titolo abilitativo, impone una valutazione di carattere storicizzato, che deve essere svolta sulla base di un mero confronto tra ciò che il titolo edilizio assentiva, e ciò che la parte ha realizzato. Non vi è alcuno spazio per le sopravvenienze di carattere normativo e/o amministrativo. Il suddetto principio trova peraltro inequivocabile conferma nell’art. 36 D.P.R. 380/2001, il quale prevede la possibilità di ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria solo in presenza della cd. “doppiaconformità”, ovvero per interventi che siano in linea sia con i parametri edilizi vigenti all’epoca della loro realizzazione, sia con quelli in essere al tempo della domanda di sanatoria. Con ciò confermando l’irrilevanza della conformità degli interventi sanzionati alla sola normativa più favorevole eventualmente sopravvenuta.
4. Per quanto concerne il quarto motivo di ricorso, con cui si rilevava come, essendo le cisterne e le tramezzature soggette, prima del D. Lgs. 222/2016, a SCIA, esse dovrebbero essere sanzionate solo in termini pecuniari, ai sensi dell’art. 37 D.P.R. 380/2001, si rinvia alla disamina già svolta al precedente punto 2 circa l’obbligo, per la p.a., di qualificare l’abuso e indicare il regime sanzionatorio applicato, non potendosi assolvere a tale onere ex post, in sede processuale.
5. Conclusivamente, il ricorso deve ritenersi fondato e va accolto, con conseguente annullamento, in parte qua, del provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che la p.a. riterrà di adottare.
6. Le spese di lite della presente fase di giudizio, quantificate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico del Comune di Ostuni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione Seconda di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, limitatamente alla parte oggetto di gravame.
Condanna il Comune di Ostuni alla refusione, in favore dei ricorrenti, delle spese di lite della fase di merito, quantificate in €. 3.000,00 (Tremila/00) oltre accessori di legge e alla restituzione delle somme versate a titolo di contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Katiuscia Papi, Referendario, Estensore