Consiglio di Stato, Sez. V n. 6229 del 5 dicembre 2012
Urbanistica. Rilascio concessione edilizia in lotto intercluso

Con riferimento alla fattispecie del cd. lotto intercluso o di altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la completa realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività, è pacifico che lo strumento urbanistico esecutivo non può considerarsi più necessario e non può, pertanto, essere invocato ad esclusivo fondamento del diniego di rilascio del titolo. La concessione edilizia può infatti essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato (essendovi già stata cioè una pressoché completa edificazione dell'area, come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso) e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione. Si può, pertanto, prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 06229/2012REG.PROV.COLL.

N. 04112/2000 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4112 del 2000, proposto da: 
Immobiliare Egeco s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Valeri, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Mazzini, n. 11, Palazzina H, int. 3;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Rodolfo Murra e Umberto Garofoli, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione II, 9 marzo 1999, n. 821, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di reiezione della domanda di concessione presentata dalla società Immobiliare Egeco per la realizzazione di un fabbricato destinato ad uffici e negozi in una area sita in Roma, alla Via Laurentina, destinata dal P.R.G. comunale a zona “I – insediamenti misti”, sottozona “I2”.

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista la propria ordinanza 24 gennaio 2012 n. 1152;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2012 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per la parte appellante l’avvocato Stoppa, per delega dell'Avv. Valeri;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con il ricorso in appello in esame la Società Immobiliare Egeco a r.l. ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di reiezione della domanda di concessione presentata dalla società per la realizzazione di un fabbricato destinato ad uffici e negozi.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 5, del c.p.c..

Sono insussistenti le ragioni di ordine logico giuridico per le quali il T.A.R. ha esaminato con carattere di priorità il secondo motivo di ricorso rispetto al primo.

2.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 3 e 5, del c.p.c.. Conseguente violazione dell’art. 12 delle N.T.A. del P.R.G..

Il Giudice di prime cure non ha esaminato il primo motivo di ricorso, con cui era stato dedotto che la normativa vigente all’epoca della presentazione della domanda di concessione, avendo eliminato il vincolo di inedificabilità generalizzato contenuto nel testo previgente, consentiva l’edificazione diretta nelle zone “I”; non si è quindi pronunciato su un punto decisivo della controversia.

3.- Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo dell'art. 360, n. 3, del c.p.c. e dell’art. 12 della N.T.A. del P.R.G. (come modificato), con riferimento all’art. 2 della l. n. 1187/1968. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

Detto art. 12 non aveva reintrodotto un vincolo già decaduto e non era in contrasto con l’art. 2 della l. n. 1187/1968.

4.- Violazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 della l. n. 1150/1942 e 4 della l. n. 10/1977. Eccesso di potere per erroneità di presupposti.

L’area in questione, ricadendo in un contesto ampiamente urbanizzato ed edificato, era comunque immediatamente edificabile.

Con atti depositati il 27.7.2000 e l’1.12.2011 si è costituito in giudizio il Comune di Roma.

Con memoria depositata il 23.12.2011 l’Amministrazione resistente ha eccepito la improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, nell’assunto che l’area in questione dall’anno 1990 in poi è stata oggetto di interventi pianificatori che ne hanno sostanzialmente modificato la destinazione a Verde pubblico, nonché che la società appellante non ha impugnato né l’accordo di programma, né il nuovo Piano Regolatore Generale, prestando così acquiescenza alla mutata destinazione a verde pubblico. Nel merito il Comune ha dedotto la infondatezza del gravame, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 23.12.2011 la parte appellante, premesso che successivamente alla proposizione del gravame la disciplina relativa all’area in esame è stata modificata dagli strumenti urbanistici approvati dall’Amministrazione (in particolare la variante è stata approvata con deliberazione della G.R. Lazio n. 862/2000 ed il P.R.G. comunale è stato approvato con delibera del C.C. n. 18 del 12.2.2008), ha dedotto che persiste il suo interesse all’accoglimento del gravame (ai fini della proponibilità dell’azione di risarcimento del danno per illegittimo diniego di edificazione, ex art. 30 del c.p.a.) ed ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 30.12.2011 la parte appellante ha replicato alle avverse argomentazioni, ribadendo la sussistenza del proprio interesse all’accoglimento dell’appello.

Con ordinanza 24 gennaio 2012 n. 1152 la Sezione ha disposto la acquisizione del fascicolo di primo grado a cura della Segreteria della Sezione, nonché, vista la certificazione del Dirigente Tecnico Superiore Regg., Capo dei Servizi Tecnici, prot. n. 1686 del 16.1.1997 allegata in atti, la presentazione, da parte del Comune di Roma, di una relazione, corredata da idonea documentazione, relativa al grado di edificazione e di urbanizzazione primaria e secondaria della zona circostante al lotto di terreno di proprietà della parte appellante, all’epoca dei fatti di causa.

A tanto è stato adempiuto.

Con memoria depositata l’8.6.2012 la parte appellante ha ribadito l’interesse alla pronuncia sul ricorso in appello ai fini della proponibilità dell’azione di risarcimento danni dei confronti della P.A. per illegittimo diniego di edificazione dell’area, ex art. 30 del c.p.a., nonché ha dedotto che le acquisizioni istruttorie comproverebbero la tesi contenuta in ricorso circa la risalente urbanizzazione della zona, idonea a consentire l’edificazione nell’area anche in assenza di strumento attuativo.

Alla pubblica udienza del 10.7.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte appellante, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dalla Immobiliare Egeco s.r.l., di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata, con la quale era stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento di reiezione della domanda di concessione presentata dalla società per la realizzazione di un fabbricato destinato ad uffici e negozi su un area sita in Roma, alla Via Laurentina, destinata dal P.R.G. comunale a zona “I – insediamenti misti”, sottozona “I2”.

2.- Innanzi tutto deve essere valutata la condivisibilità della eccezione, formulata dalla difesa del Comune di Roma, di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce sia del fatto che l’area in questione dall’anno 1990 in poi è stata oggetto di interventi pianificatori, che ne hanno sostanzialmente modificato la destinazione dal “I/2” ad “N-Verde pubblico”, e sia della circostanza che la società appellante non ha impugnato né l’accordo di programma avente ad oggetto il “Piano di utilizzazione delle aree verdi della via C. Colombo – riqualificazione urbana nell’ambito di Piazza dei Navigatori”, né il nuovo Piano Regolatore Generale, prestando così acquiescenza alla mutata destinazione a verde pubblico.

Al riguardo la parte appellante ha dedotto che persiste il suo interesse all’accoglimento del gravame ai fini della proponibilità dell’azione di risarcimento del danno per illegittimo diniego di edificazione, ex art. 30 del c.p.a..

2.1.- La Sezione osserva la riguardo che, quando nelle more del giudizio sopravvenga una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio relativa anche ad una determinata area specifica oggetto della controversia, il ricorrente non ha più interesse alla caducazione del negativo provvedimento adottato sulla base della previgente normativa, perché il suo eventuale annullamento non potrebbe sortire alcun effetto utile, neppure conformativo, sull'esercizio del potere pianificatorio dell'Amministrazione comunale, oramai già posto in essere e quindi da censurare semmai con un'apposita impugnativa, nei termini di legge (Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2001 n. 6429). Pertanto l'omessa impugnazione della nuova disciplina - produttiva di un'autonoma e tuttora lesiva regolamentazione dell'uso del territorio con destinazione della zona che interessa a verde pubblico- preclude, di norma, ogni diretto vantaggio legato al venire meno del provvedimento impugnato, non potendo più essere rilasciata la richiesta concessione per la realizzazione di un fabbricato in detta zona.

Va tuttavia rilevato che l’art. 34, comma 3, del c.p.a. stabilisce che “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

La surriferita disciplina costituisce ora un principio generale nel sistema della giustizia amministrativa, che è deputato sia ad inibire l'annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti, sia a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l'interesse all'accertamento giudiziale dell'illegittimità dell'atto impugnato, nell’ipotesi che sussista l'interesse a conseguire il risarcimento del danno derivante dall'atto medesimo.

La norma recante il principio ora descritto, in quanto eminentemente processuale, è di immediata applicazione, e va pertanto estesa anche ai procedimenti giudiziali proposti - come per il caso di specie - prima della sua entrata in vigore (Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8550)

Detto art. 34, comma 3, del c.p.a ha quindi introdotto, in presenza dei presupposti ivi previsti, una conversione dell'azione di annullamento in azione di accertamento, in quanto l'accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato è contenuto nel “petitum” di annullamento come un antecedente necessario (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2916).

Il Giudice deve quindi limitare la sua pronuncia, allorché venga dedotta la sussistenza di detto interesse, ad un mero contenuto di accertamento dell'illegittimità, in relazione alla pretesa risarcitoria, perché, anche se manca l'interesse all'annullamento, sussiste l'interesse ai fini risarcitori (Cons.Stato, Sez. V, 12 maggio 2011 n. 2817).

Nel caso in esame, va rimarcato che la descritta "conversione" dell'azione di annullamento “ab origine” proposta è comunque prodromica ad un giudizio di danno non radicato innanzi a questo Giudice di appello ma che dovrà essere proposto dal soggetto a ciò legittimato innanzi al Giudice competente.

In tal senso dovrà pertanto essere applicato l'art. 30, comma 5, del c.p.a. laddove dispone che la domanda risarcitoria può essere "comunque" formulata "sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza" di annullamento, naturalmente comprendendosi in tale previsione anche l'ipotesi in cui l'annullamento sia pronunciato in secondo grado e che nel corso del giudizio non sia stata ancora proposta l'azione risarcitoria.

Ad avviso del Collegio, la chiara formulazione dell'art. 30, comma 5, del c.p.a. ragionevolmente esclude la praticabilità di letture restrittive del comma 3 dell'art. 34 dello stesso codice, nel senso, se l'interesse ai fini risarcitori ivi contemplato non risulti ancora concretizzato dalla parte ricorrente tramite la presentazione formale di una specifica domanda giudiziale, che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte ricorrente, non possa lo stesso giudice “ab origine” adito mediante la sola domanda di annullamento verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori.

Infatti, questa lettura restrittiva dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm. non solo si risolve in un'interpretazione palesemente “contra legem” con riguardo all’inequivoco tenore letterale del predetto art. 30, comma 5, dello stesso codice, ma trova valido argomento contrario nella stessa "positivizzazione" del principio dell'autonomia dell'azione risarcitoria complessivamente disposta per lo “ius novum” dall'art. 30 del c.p.a. e, per le cause insorte prima della sua entrata in vigore, dalla pronuncia del Cons. Stato, A. P., 23 marzo 2011, n. 3.

Peraltro, con la statuizione dichiarativa dell'illegittimità degli atti impugnati ai soli ed eventuali fini risarcitori, il Giudice non può esprimersi sul “fumus boni iuris” della susseguente azione risarcitoria, ma deve limitarsi ad affermare la sussistenza in via meramente astratta dei presupposti per la proposizione dell'azione stessa, lasciando (ferma, ovviamente, restando l'affermazione dell'illegittimità degli atti impugnati) ogni ulteriore valutazione in concreto al Giudice competente, ai sensi dell'art. 30, comma 3, del c.p.a., a pronunciarsi al riguardo.

3.- Tanto premesso, la Sezione (nonostante la acquiescenza prestata dalla parte appellante agli interventi pianificatori che hanno modificato la destinazione urbanistica dell’area in questione e la mancata impugnazione dell’accordo di programma e del nuovo Piano Regolatore Generale, in parte qua) deve accertare se nella presente fattispecie i presupposti per la susseguente proposizione dell'azione risarcitoria di fatto sussistano, mediante accertamento della legittimità o meno dei provvedimenti impugnati.

4.- A tale fine, per motivi di economia di giudizio, va esaminato con priorità il quarto motivo di appello, con il quale è stato affermato che, poiché con il terzo motivo del ricorso era stato dedotto che il provvedimento di diniego basato sulla carenza di un piano attuativo era comunque illegittimo perché l’area ricadeva in un contesto ampiamente urbanizzato ed edificato ed era pertanto immediatamente edificabile anche in assenza di pianificazione secondaria, il T.A.R. aveva disposto una verificazione, solo parzialmente eseguita mediante deposito di foto aerea e di copia di deliberazioni comunali successive al provvedimento impugnato.

Basandosi esclusivamente su tale incompleta documentazione detto Giudice ha asserito che il lotto in questione costituiva parte di una più ampia porzione di territorio inedificato e che la situazione di fatto non precludeva la possibilità di stabilirne lo sviluppo edificatorio a mezzo di uno strumento di piano secondario, in modo da valutare in tale sede le esigenze di urbanizzazione in osservanza dei prescritti standard minimi per spazi e servizi pubblici.

Ma tanto contrasterebbe con i principi in tema di acquisizione probatoria, non essendo stata depositata in giudizio la richiesta relazione sullo stato dei luoghi e non essendo stato tenuto conto della circostanza che la parte ricorrente aveva depositato una certificazione datata 16.1.1997 in cui si attestava la presenza in zona di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e che, come da relazione tecnica versata in atti, l’appellante aveva previsto il reperimento all’interno del proprio lotto di ulteriori standard comprensoriali.

Il TAR avrebbe quindi dovuto valutare il comportamento inadempiente dell’Amministrazione alla luce dei principi di cui all’art. 116 del c.p.c. e, in presenza di certificazione attestante la completa urbanizzazione della zona, avrebbe dovuto ritenere acquisita la prova della sua immediata utilizzabilità a fini edilizi anche in assenza del piano attuativo e non basarsi su una propria valutazione fondata solo su documentazione fotografica.

Comunque le motivazioni addotte con la memoria difensiva del 15.1.1999 dell’Amministrazione non avrebbero potuto integrare o sostituire la documentazione dalla stessa presentata, essendo irrilevante la adozione di delibere di variante al P.R.G. successive all’impugnato provvedimento e volte al calcolo degli standard urbanistici.

3.1.- Osserva la Sezione che con la sentenza impugnata è stato ritenuto che dalla documentazione versata in giudizio (consistente in una rilevazione catastale dei luoghi e rilievi fotografici aerei) dal Comune di Roma a seguito di istruttoria (con cui era stata chiesta una relazione tesa ad accertare l’effettivo stato di edificazione ed urbanizzazione della zona), si evinceva che il lotto asservito all’edificazione costituiva parte di una più ampia porzione di territorio inedificata, che a sua volta costituiva completamento di una vasta area priva di costruzioni estendentesi lungo la via Cristoforo Colombo; tanto, secondo il T.A.R., non precludeva la residua possibilità di stabilirne lo sviluppo edificatorio mediante Piano secondario e di valutare in tale sede le esigenze di urbanizzazione, con conseguente infondatezza del motivo.

Il Giudice di primo grado non ha quindi tenuto in alcun conto la circostanza che la attuale appellante nel corso del giudizio aveva depositato una certificazione della Circoscrizione XI del 16.1.1997 in cui era attestato che la zona situata tra la via L. Perna e la via Laurentina, in cui si trova il sito che interessa, era già servita da opere di urbanizzazione primaria e secondaria quali illuminazione pubblica, scuole, verde pubblico, strade, fognature e possibilità di allaccio alle reti idrica, telefonica, elettrica, ecc..

Tanto era di per sé sufficiente a costituire valido indizio che la zona, essendo già urbanizzata, non era suscettibile di ulteriori possibilità di fissazione di parametri relativi al suo sviluppo edificatorio, con insussistenza della possibilità di redazione di un ulteriore preventivo strumento attuativo, posta dall’Amministrazione a base del diniego di rilascio della concessione edilizia richiesta.

Con ordinanza istruttoria disposta dalla Sezione al fine di verificare l’effettivo stato dei luoghi (mediante acquisizione, da parte del Comune di Roma, di una relazione, corredata da idonea documentazione, relativa al grado di edificazione e di urbanizzazione primaria e secondaria della zona circostante al lotto di terreno di proprietà della parte appellante) all’epoca dei fatti di causa, è stata acquisita nota del Municipio Roma XI, prot. 29315 del 13.4.2012 recante parere tecnico con allegata documentazione grafica, attestante che “L’ambito urbano in oggetto, all’epoca dei fatti di causa, risulta sostanzialmente edificato, a meno della fascia di rispetto della grande viabilità di Via Cristoforo Colombo per ambo i lati, dotato delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, come risulta dalla documentazione tecnica allegata”.

Tanto premesso va osservato che compito primario della pianificazione urbanistica è quello di coordinare armonicamente l'attività edificatoria privata con la predisposizione di un adeguato sistema infrastrutturale, che valga ad assicurare uno sviluppo edilizio del territorio ordinato e razionale. A tal riguardo, vale poi aggiungere che le opere di urbanizzazione primaria sono elencate dall'art. 4 della l. n. 847/1964 e comprendono spazi di sosta o di parcheggio, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, strade residenziali nonché idonee fognature.

Con riferimento alla fattispecie del cd. lotto intercluso o di altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata - attraverso la completa realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività - si è pertanto formato l’'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è pacifico che lo strumento urbanistico esecutivo non può considerarsi più necessario e non può, pertanto, essere invocato ad esclusivo fondamento del diniego di rilascio del titolo.

La concessione edilizia può infatti essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato (essendovi già stata cioè una pressoché completa edificazione dell'area, come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso) e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione. Si può, pertanto, prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (Consiglio di Stato, sez. V, 5 ottobre 2011, n. 5450).

Il motivo di appello in esame è quindi fondato e la impugnata sentenza è da riformare, non avendo il T.A.R. tratto le dovute conseguenze dalla mancata produzione della relazione chiesta in via istruttoria al Comune de quo e dalla produzione in giudizio da parte della ricorrente di documentazione dalla quale poteva evincersi la esistenza in loco di opere di urbanizzazione, circostanze che costituivano serio indizio della illegittimità dei provvedimenti impugnati.

Alla luce delle acquisizioni istruttorie può quindi ritenersi che, nel caso di specie, l'Amministrazione, che aveva respinto l’istanza edilizia di cui trattasi solo “Per contrasto con l’art. 12 N.T.A. di P.R.G. (interventi in zona I/2 priva di p.p. o di altro strumento urbanistico attuativo)”, avrebbe dunque dovuto adeguatamente valutare lo stato di urbanizzazione già presente nella zona e congruamente motivare evidenziando quali fossero le concrete ed ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione che impedivano il rilascio del richiesto titolo edilizio. Ciò considerato che il principio che va esclusa la necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate è applicabile nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, può rivelarsi incompatibile con un piano attuativo.

Nei limitati sensi di cui sopra il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio è quindi da valutare illegittimo perché affetto da difetto di istruttoria e di motivazione.

5.- Nei termini sopra esposti, va riconosciuta la illegittimità, previa riforma della impugnata sentenza, dei provvedimenti impugnati con l’atto introduttivo del giudizio.

6.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarata, ai sensi e per i meri effetti dell'art. 34, comma 3, del c.p.a., l'illegittimità degli atti impugnati in primo grado nei sensi di cui in motivazione. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di appello.

7.- Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara, ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm. l'illegittimità degli atti impugnati in primo grado nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

Pone a carico dell’appellato Comune di Roma, le spese e gli onorari del doppio grado, liquidate, a favore della Immobiliare Egeco s.r.l., nella misura di € 9.000,00 (novemila/00), di cui € 2.000,00 (/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/12/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)