Cass. Sez. III n. 39369 del 29 novembre 2006 (cc. 26 ott. 2006)
Pres. Vitalone Est. Lombardi Ric. Scarinci
Rifiuti. Terre e rocce da scavo

Si palesa inconferente l’eventuale riferimento all'interpretazione autentica di cui all'art. 1, co. 17, della L. n. 443-2001, come modificata dall'art. 23 della L. n. 306-2003, attualmente riprodotta nell'art.186 del D. L.vo n. 152-2006, che esclude dal novero dei rifiuti le terre e le rocce da scavo, qualora si tratti di terra mista ad asfalto, ferro, betonelle per marciapiedi stradali, paletti in cemento precompresso, che costituiscono rifiuti speciali derivanti dalle attività di demolizione, ai sensi del citato art. 7, co. 3 lett. b), del decreto legislativo n. 22/97, attualmente art 184, co. 3 lett. b), del D. L.vo. 3.4.2006 n. 152.

Svolgimento del processo
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Chieti, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di un’area emesso dal G.I.P. del Tribunale di Chieti in data 18 aprile 2006 nell’ambito delle indagini per il reato di cui all’art. 51 del D.L.vo n. 22/97 nei confronti di Scarinci Adriano, in qualità di sindaco del Comune di Arielli.
Nell’ordinanza si osserva che sull’area sequestrata, secondo quanto emerso dalle indagini di polizia giudiziaria, erano state depositate ingenti quantità di materiali, composti da terra, mista ad asfalto, nonché betonelle per marciapiedi e paletti precompressi misti a ferro, costituenti rifiuti speciali e concentrati allo scopo di rialzare il livello del terreno fino a quello della sede stradale.
Sulla base dell’indicato accertamento di fatto i giudici del riesame hanno affermato la sussistenza di sufficienti elementi atti a configurare il reato oggetto di indagine a carico dello Scarinci, risultando peraltro che la predetta area era nella disponibilità dell’ente locale, e ritenuto irrilevante, al fine di escludere l’applicabilità della misura cautelare, la circostanza che il terreno risultasse dl proprietà di un altro soggetto secondo quanto dedotto dall’istante per il riesame.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato, che la denuncia con due motivi di gravame.
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia l’errata applicazione dell’art. 51 del D.L.vo n. 22197 e l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato.
Si osserva che per rifiuti speciali si intendono esclusivamente le sostanze indicate negli allegati al D.L.vo n. 22/97, trovando applicazione, ai sensi dall’art. 7 del citato decreto legislativo, il criterio di individuazione formale in forza del quale un rifiuto deve qualificarsi come pericoloso solo se è incluso nell’allegato D del decreto.
Si aggiunge poi che in sede di interpretazione autentica, di cui all’art. 17, co. 1, della L. n. 443/2001, il legislatore ha escluso dalla categoria dei rifiuti speciali le terre e le rocce da scavo anche di gallerie.
Si deduce, quindi, che, alla luce dei citati riferimenti normativi, doveva essere esclusa ogni responsabilità del sindaco del Comune di Arielli per l’esercizio di attività di raccolta, deposito o abbandono di rifiuti; che inoltre il luogo di cui si tratta è stato erroneamente qualificato quale discarica abusiva, risultando da quanto asseverato dall’ufficio tecnico comunale che l’area in questione appartiene in parte a tale Di Carlo Florindo ed in parte al demanio pubblico dello Stato e che la stessa attualmente costituisce corte di un fabbricato, adibita in parte a verde ed in parte a parcheggio.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la carenza e l’illogicità della motivazione dell’ordinanza per travisamento dei fatti e mancata valutazione del materiale probatorio.
Si deduce che i giudici del riesame hanno effettuato le loro valutazioni sulla base del solo materiale fotografico prodotto dagli agenti operanti, senza tener in alcun conto la perizia dell’ufficio tecnico comunale di Arielli.
Il ricorso non è fondato.
Osserva la Corte, in ordine al primo motivo di gravame , che il ricorrente confonde il riferimento normativo ai rifiuti speciali di cui all’art. 7, co. 3 del D.L.vo n. 22/97 e di cui esclusivamente fa menzione l’ordinanza, con il riferimento normativo ai rifiuti pericolosi di cui al comma 4 del medesimo articolo per i quali vale il rinvio all’allegato D del decreto legislativo.
Si palesa inoltre inconferente il riferimento all’interpretazione autentica di cui all’art. 1, co. 17, della L. n. 443/2001, come modificato dall’art. 23 della L. n. 306/2003, attualmente riprodotta nell’art. 186 del D.L.vo n. 152/2006, che esclude dal novero dei rifiuti le terre e le rocce da scavo, in quanto nel provvedimento impugnato non vi è alcun riferimento ai materiali citati, bensì a terra mista ad asfalto, ferro, betonelle per marciapiedi stradali, paletti in cemento precompresso, che costituiscono rifiuti speciali derivanti dalle attività di demolizione, ai sensi del citato art. 7, co. 3 lett. b), del decreto legislativo n. 22/97, attualmente art. 184, co. 3 lett. b), del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152.
Nel resto le censure del ricorrente sono esclusivamente in fatto e, peraltro, la ordinanza impugnata ha esattamente affermato che il giudice del riesame deve valutare la sussistenza del fumus del reato oggetto di indagine sulla base degli elementi prodotti dalla pubblica accusa, mentre non può procedere all’accertamento di merito afferente alla colpevolezza dell’indagato e, quindi, ad una compiuta valutazione di tutte le risultanze probatorie alla luce di elementi offerti dalla difesa che richiedano comunque un più approfondito esame di merito.
Esattamente inoltre è stata affermata la irrilevanza, in sede cautelare, delle risultanze afferenti alla effettiva proprietà dell’area, essendo emerso che la stessa era stata utilizzata dal ricorrente, che peraltro ne aveva la disponibilità, per la commissione del reato oggetto di indagine.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 325, co. I c.p.p., potendo essere dedotte in sede di ricorso per cassazione avverso le misure reali solo le violazioni di legge, e, peraltro, le censure dedotte sono infondate alla luce delle precisazioni che precedono.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue a carico del ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.