Cass.Sez. III n. 10431 del 16 marzo 2012 (Ud.12 gen. 2012)
Pres.De Maio Est.Marini Ric.Pinna e altri
Urbanistica.Permesso di costruire e mancato rispetto delle distanze minime tra edifici
È illegittimo il permesso di costruire rilasciato per l'edificazione di un fabbricato che non rispetti le distanze minime tra gli edifici, previste dall'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, le cui previsioni non sono derogabili da parte degli strumenti urbanistici.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 12/01/2012
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 65
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 21202/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PINNA Paolo, nato a San'Antioco il 1 gennaio 1954;
MAMELI LUIGI, nato a Calasetta il 25 Novembre 1958;
SCIBILIA Loretta Giovanna, nata a Carbonia il 3 Settembre 1959;
SOLINAS Bruno, nato a Carbonia il 2 Aprile 1961;
Avverso la sentenza emessa in data 4 Novembre 2009 dalla Corte di Appello di Cagliari, che, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari il 2 Luglio 2008, ha assolto il coimputato Aversano Adriano in ordine al reato sub G e ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al reato sub D perché estinto per prescrizione; ha quindi confermato la sentenza del Tribunale nei confronti dei restanti imputati, con condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile. Fatti di reato accertati il 30 Gennaio 2002 per il capo A e in epoca successiva al febbraio 2002 per il capo C.
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Luigi Marini;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. dott. STABILE Carmine che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Uditi i Difensori, Avv. Aste Gianluca e Avv. Pasquale Bartolo in sostituzione dell'Avv. Gianfranco Trullo, che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi.
RILEVA
1. I Sigg. Pinna, quale responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Calasetta, Scibilia e Mameli, quali titolare e gestore di fatto della società "L'Approdo di Scibilia Loretta & C." e Solinas, quale progettista sono stati condannati dal Tribunale di Cagliari con sentenza in data 2 Luglio 2008 alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, previa applicazione della continuazione tra i reati, e i restanti imputati alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ciascuno, nonché tutti al risarcimento dei danni in favore della parte civile Ettore Mora (con fissazione di una provvisionale di 30.000,00 Euro) perché colpevoli:
- tutti del reati di abuso d'ufficio ex artt. 110 e 323 c.p. contestato al capo A in relazione al rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di una struttura adibita a bar e ristorante all'interno dell'area portuale di Calasetta;
- il solo Pinna del reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p. in relazione all'omessa adozione dei provvedimenti ripristinatori e di quelli conseguenti all'ordine di sospendere relativi a detta struttura. La sentenza ha quindi condannato in relazione ad altra ipotesi di abuso d'ufficio (capo D) il Sig. Aversano, sindaco del comune di Calasetta, assolvendo lo stesso e il Sig. Pinna da un'ulteriore ipotesi di abuso d'ufficio in relazione ad affidamento di lavori.
Il Tribunale ha, altresì, dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione quanto ai reati ex art. 110 c.p., del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 conseguenti alla illegittimità della concessione edilizia e dell'autorizzazione paesaggistica. Alla condanna penale è seguita la condanna degli imputati al risarcimento dei danni, con fissazione di una provvisionale di Euro 30.000,00, in favore del Sig. Mora, costituitosi parte civile.
2. A seguito di rituale impugnazione degli imputati, la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari, ha assolto il coimputato Adriano Aversano in ordine al reato sub G e ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al reato sub D perché estinto per prescrizione; ha quindi confermato la sentenza del Tribunale nei confronti dei restanti imputati, con condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.
3. La Corte di Appello ha ritenuto corretta e motivata la decisione del Tribunale di considerare le opere realizzate non amovibili e strutturalmente difformi da quelle precedenti e di considerare illegittimi i provvedimenti autorizzativi sotto plurimi profili in quanto: a) fondati su una falsa ubicazione delle opere (area B) mentre avrebbero dovuto indicare o l'area S o l'area P, entrambe non compatibili con l'intervento edilizio; b) non rispettosi delle distanze minime dall'edificio del Sig. Mora previste dal codice civile e dal regolamento edilizio.
La Corte ha ampiamente motivato tale decisione con riferimento ai singoli capi d'imputazione, affrontando sia i motivi di impugnazione concementi la ricostruzione del fatto sia quelli relativi all'elemento soggettivo dei reati.
Avverso tale decisione sono stati proposti separati ricorsi da pare degli imputati.
Il Sig.PINNA tramite il Difensore propone plurimi profili di errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e). Con atto di non agevole lettura il ricorrente:
contesta la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito con riferimento alla qualificazione della struttura realizzata come non amovibile (pagg. 9-14 del ricorso) e alla confusione tra amovibilità e precarietà in cui incorre la motivazione (anche pagg. 18 o 20);
contesta l'errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito nel ritenere infedele la ubicazione delle opere, posto che la zona "S" in cui sono collocate le opere era a servizio delle opere collocate in zona "B", e dunque non vi è alcuna infedele qualificazione dell'area;
contesta la partecipazione del ricorrente stesso alla formazione degli atti della procedura di autorizzazione, non risultando egli firmatario di nessun atto anche intraprocedimentale ed essendo egli in congedo per ferie al momento della formazione di tali atti;
contesta qualsiasi profilo di favore o di agevolazione intenzionale della società che presentò il progetto, risultando, al contrario che fu proprio il ricorrente a sollevare perplessità sul secondo e collegato progetto di costruzione di una separata struttura amovibile;
contesta che i giudici di merito abbiano escluso la sussistenza di un intervento di "restauro o risanamento conservativo" o di "ristrutturazione";
contesta, poi, la sussistenza in fatto degli elementi costitutivi dell'art. 323 c.p.;
contesta l'esistenza della violazione concernente le distanze minime dall'edificio del Sig. Mora, posto che solo una parte del muro di delimitazione si colloca a distanza di mi 2,88, posto che al momento dell'approvazione del progetto presentato dai ricorrenti l'edificio del Sig. Mora aveva destinazione "magazzino" e non abitazione, posto che l'edificio dei ricorrenti confina con marciapiede pubblico e comunque con spazio pubblico (art. 879 c.c.). così che non si applica il limite di 8 metri che opera solo nelle distanze tra proprietà private: posto che in ogni caso il piano particolareggiato del Comune di Calasetta prevede la riduzione fino a 3 metri delle istanze riguardanti lotti dì lunghezza inferiore a 24 metri; posto che il Decr.Ass. RAS del 20 giugno 1983, n. 2266/u prevede che il Comune possa consentire la riduzione delle distanze tra edifici nel rispetto del norme de codice civile;
contesta, infine, la sussistenza di una propria inerzia a fronte delle violazioni individuate, posto che le autorizzazioni erano legittime e che, comunque, egli ha avviato una procedura di verifica che ha delegato ad altro tecnico comunale nel contraddittorio con le persone che avevano segnalato irregolarità, condotta questa incompatibile con l'esistenza del dolo di reato.
Con unico ricorso i Sigg. Mameli, Sibilia e Solinas in sintesi lamentano:
1. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per avere i giudici di merito erroneamente: a) affermato che le richieste e le autorizzazioni collocano le opere in zona "B", mentre è pacifico eh i documenti parlano solo di "area demaniale"; b) ritenuto che le opere non fossero "amovibili", in particolare ancorando il giudizio ad una utilizzazione stagionale che non era richiesta da alcuna disposizione e facendo discendere il carattere di inamovibilità dalla necessità di concessione edilizia, dimenticando che la concessione è necessaria su area demaniale per ogni struttura che non sia chiaramente provvisoria ma alteri lo stato dei luoghi, con la conseguenza che una struttura facilmente eliminabile può essere realizzata indipendentemente dalla precarietà o meno del suo impiego;
2. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento alla legittimità delle opere rispetto agli strumenti urbanistici, che consentivano anche in zona "S" di realizzare, nel rispetto dei limiti previsti per la zona "B" interventi quali un bar-ristorante;
3. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione al rispetto delle distanze, posto che il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 1, n. 2, non ha immediata applicazione se non recepito dagli strumenti urbanistici e che il Piano di fabbricazione in vigore all'art. 9 prevede distanze compatibili con quelle assentite dalla concessione edilizia, tenuto conto dell'esistenza di un marciapiede pubblico di ml 3 che separa i due edifici;
4. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento all'esistenza di un accordo criminoso, emergendo dagli atti la totale trasparenza della procedura seguita.
OSSERVA
L'esigenza di piena comprensione della situazione di fatto, che è stata oggetto del giudizio di appello e dei motivi di ricorso, ha spinto la Corte, in presenza di doppia decisione conforme, ad esaminare la motivazione della sentenza di primo grado. L'ampia e dettagliata motivazione contiene, infatti, una puntuale descrizione della situazione logistica, degli aspetti contrattuali, delle diverse procedure amministrative che si sono intrecciate tra loro e rende possibile comprendere appieno il contenuto delle questioni sottoposte all'attenzione di questo giudice.
Ai fini della presente decisione la Corte considera necessario muovere da alcune circostanze essenziali accertate dalla sentenza di primo grado:
a) L'ing.Vigo aveva nella propria disponibilità un locale composto da ristorante e da un esercizio di bar con annesso spazio all'aperto su area demaniale, fornito di concessione "stagionale" e autorizzato alla realizzazione di un gazebo rimovibile;
b) ottenuto dal Sig. Vigo il trasferimento della sola attività bar con spazio all'aperto, il Sig. Mameli ha richiesto
all'amministrazione l'ampliamento dell'area destinata a servizio bar e l'autorizzazione per una nuova area, collocata non lontano (autorizzazione non concessa e non oggetto della presente decisione), destinata ad attività di ristorante-pub;
c) il progetto Mameli relativo all'attività di bar prevede non solo il raddoppio dell'area all'aperto, ma anche la realizzazione di opere in muratura (cucina e bagni) e di altre opere "amovibili";
d) tale progetto ha ricevuto dalla commissione edilizia un parere definito dal Tribunale "sibillino", in data 25 ottobre 2000;
e) al progetto ha fatto seguito la concessione edilizia del 30 gennaio 2002 (rilasciata dal Sig. Pinna - pag.24 della motivazione) in cui si parla espressamente di "abusività pur descritte graficamente negli elaborati" che non vengono sanate e si parla espressamente di strutture amovibili;
f) in effetti, i lavori erano iniziati nell'anno 2001, e dunque prima del rilascio della concessione, e portarono alla realizzazione di strutture non facilmente amovibili, quali un basamento in cemento armato alto 50 cm e di 195 mq di superficie, nonché altre non amovibili, quali plinti in calcestruzzo infissi nel pavimento per sostenere il tetto e resistere agli agenti atmosferici e quali la cucina e i bagni in muratura, nonché, infine, un pesante sistema interno di travature e ancoraggi;
g) nelle more della realizzazione delle opere la licenza per locale adibito a bar è stata trasformata in licenza per esercizio di ristorante-pizzeria.
Sulla base di tale sintetica ricapitolazione dell'ampia e dettagliata ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, e ripresa poi dalla Corte di Appello, la Corte ritiene di concordare con alcune conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito:
1. La contemporanea trasformazione delle licenze e delle strutture ha comportato la creazione di una costruzione che si pone come radicalmente "nuova": partendo da un esercizio di attività di bar che nella comunicazione alla Capitaneria di porto risulta avere "mq 97 di aree scoperte", con basamento rimovibile e un gazebo altrettanto rimovibile a fine stagione, si è giunti alla realizzazione di un ristorante mediante creazione di opere in muratura e di una struttura
complessiva con carattere di stabilità che comporta la realizzazione di volumetrie, prima inesistenti, volumetrie che debbono essere ricondotte alla prima parte del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3 (pagg. 19-21 della motivazione del tribunale);
2. I giudici di merito (pag. 10 e 11 della motivazione della Corte di Appello) non hanno affatto confuso i criteri dell'amovibilità con quello della stagionalità;
3. A fronte della realtà di fatto sopra descritta, i provvedimenti autorizzativi continuano a prospettare l'esistenza di opere amovibili; tale, infedele, qualificazione ha comportato indubbi vantaggi ai titolari delle licenze in quanto eliminava i rigori dei limiti di distanza esistenti per le costruzioni; non configgeva con l'uso pubblico dell'area (tutti gli atti continuano a fare riferimento alla "zona B"), rendeva meno penetranti i controlli delle altre autorità preposte alla tutela dei vincoli.
Così impostata la ricostruzione della realtà e così ricondotti i fatti alla disciplina che deve regolarli, la Corte non ravvisa alcuna illogicità manifesta nella valutazione che il primo giudice (pagg. 26 e 27) e la Corte di Appello hanno formulato in ordine all'elemento soggettivo che accompagna le condotte dei Sigg. Aversano e Pinna. Non si ravvisa, infatti, alcuna illogicità manifesta nel ragionamento dei giudici di merito allorché argomentano sul fatto che la trasformazione radicale delle strutture e la evidente incompatibilità fra le loro caratteristiche e la rappresentazione che esse ricevono negli atti amministrativi costituiscono elementi che nessun pubblico ufficiale competente avrebbe potuto non rilevare nel corso del lungo iter amministrativo anche a seguito delle proteste che l'amministrazione comunale ricevette. Nè risulta logicamente incompatibile con tale giudizio la circostanza che i controlli siano stati dagli imputati delegati a diverso funzionario amministrativo, essendo evidente che solo una persona non partecipe delle scelte amministrative contestate avrebbe potuto credibilmente effettuare le verifiche imposte dalle segnalazioni di irregolarità. Quanto detto finora rende manifestamente infondati anche i motivi che contestano resistenza dì un accordo criminoso; si tratta di motivi che si fondano sulla pretesa trasparenza e correttezza delle procedure amministrative, che, invece, sono state logicamente qualificate come intenzionalmente viziate, e sull'assenza di elementi fondanti l'esistenza dell'elemento soggettivo dei reati, aspetto anche questo logicamente affrontato dai giudici di merito, nei termini sopra esposti.
Quanto si è detto risulta sufficiente per concludere che i motivi di ricorso, ancorati a questioni che in concreto concernono la valutazione della prova e non la violazione o l'errata applicazione della legge o il radicale vizio di motivazione, risultano manifestamente infondati.
Sul punto si richiama la costante giurisprudenza di questo giudice, secondo cui il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, e ben si comprende come il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, primo 1, lett. b) non autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della decisione di merito sulla istanza di una nuova ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. In conclusione, come precisato dalla sentenza della Sezione Sesta Penale, n. 22256 del 2006, Bosco, rv 234148, resta "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti".
Ad analoga conclusione di manifesta infondatezza deve giungersi con riferimento ai motivi che lamentano l'errata applicazione della disciplina in tema di distanze e l'insussistenza della violazione contestata. L'impostazione sostenuta dai ricorrenti è manifestamente errata.
Premesso che l'accertamento dei giudici di merito fissa la distanza fra la costruzione in esame e quelle confinanti in non più di 2,50 metri, così che va escluso che possa prendersi come riferimento la distanza maggiore che i ricorrenti prospettano nei motivi di ricorso, la Corte rileva che il tema dell'efficacia del D.M. n. 1444 del 1968 è stato puntualmente esaminato dalla Seconda Sezione Civile, che è giunta alla conclusione che l'art. 9, comma 2, di tale decreto ha "efficacia di legge dello Stato", essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, ex art. 41-quinqies (aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art, 17), con la conseguenza che gli strumenti urbanistici sono obbligati a non discostarsi dalle regole fissate da tale norma, norma che "prevale ove i regolamenti locali siano con essa in contrasto" (sentenza n. 3199 del 2008, rv 601619). Tale principio ha trovato autorevole conferma nella sentenza delle Sezioni Unite Civili, n. 14953 del 07/07/2011 (Rv. 617949), che ha fornito la seguente interpretazione dell'art. 9 del citato D.M. in relazione agli artt. 869 e 873 cod. civ.; "In tema di distanze tra costruzioni, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41- quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17 ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. Ne consegue che l'art. 52 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Viareggio - che impone il rispetto della distanza minima dì dieci metri tra pareti finestrate soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi - è in contrasto con le previsioni del citato art. 9 e deve, pertanto, essere disapplicato".
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.l86. e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, nonché ciascuno di essi al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmesso all'Amministrazione di appartenenza dei dipendenti pubblici Pinna e Aversano a norma del D.Lgs. n. 150 del 2009.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2012