Consiglio di Stato Sez. II n. 7523 del 11 settembre 2024
Urbanistica.Rilascio del Permesso di costruire ed oneri del Comune
Il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario. Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria. Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo. Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Pubblicato il 11/09/2024
N. 07523/2024REG.PROV.COLL.
N. 08441/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8441 del 2022, proposto da
Cristina Bertamini, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Piscitelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Michele Calabrò, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Masetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via XXV Aprile 11a/3;
nei confronti
Comune di Moneglia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00506/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Michele Calabrò;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 il Pres. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Luigi Piscitelli e Andrea Masetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con l’appello in esame, la signora Cristina Bertamini impugna la sentenza 20 giugno 2022 n. 506, con la quale il TAR per la Liguria, sez. I, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. Michele Calabrò, ha annullato il permesso di costruire in sanatoria 26 marzo 2015 n. 5, rilasciato in suo favore dal Comune di Moneglia.
La controversia riguarda la sanatoria di un manufatto (passerella pedonale) che collega il terrazzino di un appartamento al secondo piano di uno stabile (map. n. 1480) ad un terreno frontistante adibito ad orto (mapp. n. 1473), appartenenti entrambi ad identico proprietario, dapprima Boetti Caterina e poi, iure hereditatis, all’attuale appellante; tale passerella sorvola un suolo di proprietà del sig. Calabrò, odierno appellato (mapp. 1860 e 1861), nell’ambito del quale sono infisse le strutture verticali e portanti della passerella medesima.
A seguito di domanda di condono presentata ex l. n. 47/1985 dalla signora Boetti (in data 30 aprile 1986), il Comune di Moneglia – dopo vari solleciti al completamento della documentazione occorrente – ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 5/2015, conosciuto dal ricorrente sig. Calabrò a seguito di accesso agli atti ed impugnato con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
La sentenza impugnata, previo rigetto di una eccezione di difetto di legittimazione del ricorrente (avendo questi sufficientemente dimostrato il proprio diritto di proprietà), afferma in particolare:
- il titolo edilizio impugnato è illegittimo poiché l’amministrazione “ha rilasciato il condono edilizio senza avere – né prima né dopo – acquisito” il parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, necessario a prescindere dalla data di commissione dell’abuso (cioè anteriore – o meno – all’imposizione del vincolo);
- in ogni caso, i richiedenti il permesso in sanatoria non hanno dimostrato di avere la legittimazione a richiederlo “per la parte di opera che insiste sul suolo del ricorrente”;
- peraltro, pur avendo i controinteressati dedotto che i beni facevano originariamente parte di un unico compendio immobiliare, “non hanno raggiunto una prova convincente che tale compendio, prima d’essere frazionato, fosse di proprietà di un’unica persona, condizione necessaria affinché si configuri una servitù c.d. per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c., spendibile ai fini della legittimazione a richiedere il titolo edilizio gravato”.
2. Avverso la sentenza impugnata vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) erroneità della sentenza; violazione artt. 2, 54, 73 c.p.a.; difetto di motivazione; erroneità e perplessità della motivazione; inutilizzabilità di documenti prodotti tardivamente dal ricorrente; inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere; ciò in quanto: a1) i documenti che proverebbero la proprietà dei mapp. 1860 e 1861 sono stati presentati “unitamente alla memoria di replica e, quindi, ben oltre il termine perentorio di 40 giorni liberi prima dell’udienza”; a2) comunque i ricorrenti non sarebbero idonei a provare la proprietà dell’immobile; a3) non esiste dimostrazione di alcun interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento di un titolo edilizio riguardante un manufatto realizzato da oltre 40 anni e mai contestato fino ad ora”;
b) erroneità della sentenza; infondatezza del secondo e terzo motivo dell’originario ricorso; violazione art. 31 l. n. 47/1985 e art. 11 DPR n. 380/2011; erroneità dei presupposti e della motivazione; ciò in quanto “sembra inoltre che la sentenza travisi la situazione di fatto, non potendosi ritenere che la passerella insista su terreni di terzi, che semmai si limita a sovrappassare, senza che i terreni sottostanti siano interessati dal manufatto”; in ogni caso “la passerella è stata realizzata in data antecedente al 1977 e quindi insiste da oltre quarant’anni, con ogni conseguente servitù”; infine, “una volta accertato che il manufatto da regolarizzare è di proprietà del richiedente e che esso funzionalmente e strutturalmente collega, partendo dal terrazzo del suo alloggio con il terreno di proprietà del richiedente, sul quale poggia l’altro estremo della passerella, l’istruttoria si può ritenere esaustiva e completa”;
c) erroneità della sentenza; infondatezza del quarto motivo di ricorso; violazione art. 32 l. n. 47/1985 e art. 5 l. reg. Liguria n. 5/2004; erroneità e perplessità della motivazione; travisamento; difetto di istruttoria; ciò in quanto il titolo in sanatoria, secondo le indicazioni fornite dall’art. 5 l. reg. cit., “costituisce esso stesso titolo paesaggistico”, e ciò si evince “dal momento che dichiara la conformità delle opere al PTCP vigente, ossia alla pianificazione paesaggistica”.
3. Si è costituito in giudizio il sig. Calabrò, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Nel corso del giudizio, è stata depositata l’autorizzazione paesaggistica 3 gennaio 2024 n. 2/24, relativo alla passerella de quo.
Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche (in una delle quali – del 10 maggio 2024 – l’appellante ha eccepito l’irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività), all’udienza di trattazione – previo avviso alle parti ex art. 73 c.p.a., di discutere del profilo di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse – la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al primo ed al terzo motivo di appello (sub profilo a3) e c) dell’esposizione in fatto), stante il difetto di interesse ad agire del ricorrente in primo grado.
Giova precisare che tale mancanza di una delle condizioni dell’azione – tale da comportare la declaratoria di inammissibilità del ricorso – oltre che essere stata specificamente oggetto di motivo di appello, è altresì rilevabile di ufficio dal Giudice anche nel presente grado di giudizio. Ad ogni buon conto, onde assicurare vieppiù il diritto di difesa, in sede di discussione all’udienza pubblica, è stato anche rivolto dal Collegio invito alle parti a discutere di tale specifico aspetto.
5.1. In tema di condizioni dell’azione – ed in particolare di interesse ad agire – nei confronti di provvedimenti in materia edilizia, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 dicembre 2021, ha avuto modo di affermare (con particolare riguardo alla tutela di posizioni di interesse legittimo oppositivo, delle quali si assuma il pregiudizio per effetto del rilascio di provvedimento ampliativo della altrui sfera giuridica):
“Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; …….
nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.
Alla luce di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, l’interesse al ricorso non può dunque desumersi ex se dalla mera sussistenza della c.d. “vicinitas”, ma esso “va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”, o, più precisamente, come proiezione processuale della posizione soggettiva, ai fini della sua tutela, derivante dal pregiudizio da questa subito per effetto dell’atto amministrativo che si intende (o si è inteso) impugnare (il pregiudizio, difatti, attiene al bene oggetto della posizione soggettiva, e - per traslato - a quest’ultima; l’interesse al ricorso attiene invece direttamente a quest’ultima).
5.2. Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 30 agosto 2018 n. 5115) ha già avuto modo di esaminare l’ipotesi in cui si segnalano, quali vizi del provvedimento autorizzatorio edilizio, violazioni di norme civilistiche poste a tutela del diritto di proprietà o di altri diritti reali del ricorrente (ad es., in materia di distanze tra costruzioni); e ciò anche alla luce della precisazione, tralaticiamente contenuta nei titoli edilizi, che gli stessi vengono rilasciati “salvo il diritto dei terzi”.
Innanzi tutto, occorre ricordare che ciò che fonda la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità di una posizione giuridica che legittimi l’istante a impugnare il titolo autorizzatorio edilizio ovvero a chiedere all’amministrazione e al Giudice la verifica delle condizioni che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica è di interesse legittimo (pena lo “sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico (violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la (eventuale) violazione, in sé, di norme afferenti alla tutela del diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi anche in una tutela obiettiva di diritti soggettivi).
5.3. Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di intervento) tra verifica della sussistenza della legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende realizzare sullo stesso.
5.3.1. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4776; sez. IV, 25 settembre 2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 4 aprile 2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3.2. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, in sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23 maggio 2016 n. 2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d'intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27 aprile 2017 n. 1942).
5.3.3. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione, nel circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia, si intende ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio; per converso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce, una volta realizzato, illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendano tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
Né, in quella sede, vi è necessità di disapplicazione dell’atto amministrativo, poiché ciò che il Giudice ordinario accerta è – direttamente – la lesione del diritto reale, che non interviene “per il tramite” del provvedimento amministrativo, ma per effetto dell’attività edilizia del privato, legittimata sul piano amministrativo dal provvedimento, ma da questo non “coperta” sul piano civilistico.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto, se non nei limiti in cui la violazione della norma civilistica si risolva (anche) in un pregiudizio per l’interesse pubblico.
Diversamente opinando, si perviene ad una “sovrapposizione” delle forme di tutela, poiché, di fatto, si determina una tutela dell’interesse legittimo per il tramite delle norme direttamente poste a tutela del diritto soggettivo, con una conseguente attribuzione al giudice amministrativo di ambiti giurisdizionali che, invece, sono propri del giudice ordinario (in pratica, un fenomeno di “doppia giurisdizione”). E ciò, per di più, in presenza di una “estraneità”, espressamente (e correttamente) affermata, del titolo edilizio ai “diritti dei terzi” e, dunque, ai rapporti dominicali interprivati.
Si verrebbe, in pratica, a realizzare l’ottocentesca indicazione (formulata agli albori dell’individuazione dell’interesse legittimo come autonoma posizione giuridica) di “far valere i diritti come interessi”, compromettendo l’autonomia – costituzionalmente affermata - delle due posizioni giuridiche.
6. Quanto sin qui esposto consente di affermare che l’interesse a ricorrere avverso un provvedimento autorizzatorio in materia edilizia;
- emerge in presenza di un pregiudizio attuale al bene oggetto di diritto reale derivante direttamente dal provvedimento stesso (l’attualità del pregiudizio è fondamento dell’interesse a ricorrere: Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2022 n. 3);
- che laddove tale pregiudizio derivi dalla violazione di norme civilistiche, ovvero di rapporti giuridici interprivati su queste fondate, e non vi sia anche una lesione dell’interesse pubblico (che non può essere ricondotta alla mera incisione della “legalità amministrativa” per intervenuta violazione di norme civilistiche), il diritto reale riceve diretta tutela innanzi al giudice ordinario, mediante le azioni espressamente previste dai codici civile e di procedura civile;
- che, pertanto, lo stesso pregiudizio del diritto reale derivante dal provvedimento amministrativo non può ricevere tutela laddove ne difetti il requisito dell’attualità, ovvero la natura dei rapporti interprivati e la loro regolazione per il tramite delle norme civilistiche osti alla configurazione di un pregiudizio ai diritti dominicali.
7. Nel caso di specie, il permesso di costruire impugnato comporta – come si è detto -
la sanatoria di un manufatto (passerella pedonale) che collega il terrazzino di un appartamento al secondo piano di uno stabile (map. n. 1480) ad un terreno frontistante adibito ad orto (mapp. n. 1473), appartenenti entrambi ad identico proprietario, dapprima Boetti Caterina e poi, iure hereditatis, l’attuale appellante; tale passerella sorvola un suolo di proprietà del sig. Calabrò, odierno appellato (mapp. 1860 e 1861), nell’ambito del quale sono infisse le strutture verticali e portanti della passerella medesima.
Orbene, dagli atti di causa risulta (anche per assenza di specifica contestazione delle parti):
- che l’appartamento venne acquistato dalla signora Caterina Boetti, dante causa dell’appellante, nel 1972 (v. pag. 1 appello);
- che l’istanza volta a conseguire il permesso di costruire in sanatoria venne presentata in data 30 aprile 1986;
- che “le opere da regolarizzare sono state realizzate antecedenti all’entrata in vigore del D.M. 30 dicembre 1977” (v. pag. 1 provv. impugnato).
Ne consegue, pertanto, che le opere non possono che essere state realizzate tra il 1972 (anno di acquisto dell’appartamento) ed il 1977 (come affermato – e non contestato – dal provvedimento impugnato), dunque al più tardi nel dicembre 1977. Esse erano, in ogni caso, concretamente presenti al 30 aprile 1986, data di presentazione dell’istanza di condono.
Ciò comporta:
- per un verso, che l’attuale appellato sig. Calabrò – che assume di aver acquistato il suolo interessato dall’opera il 21 gennaio 1970 (v. pag. 5 memoria del 10 maggio 2024) – non può ragionevolmente aver constatato la realizzazione di una passerella “a scavalco” della sua proprietà solo a ridosso dell’istanza di accesso agli atti del 11 dicembre 2015 (cui ha fatto seguito la proposizione del ricorso in primo grado);
- per altro verso, ed in modo dirimente nella presente sede, che le opere oggetto di sanatoria con il provvedimento impugnato sono comunque antecedenti di ben 30 anni a tale provvedimento, se si fa riferimento all’istanza di condono proposta (1986), e di oltre 40 anni allo stesso, se si fa riferimento alla data (anteriore al 1977) di loro realizzazione.
A prescindere da ogni accertamento sui titoli di proprietà dei reciproci beni che questo Collegio ritiene esulare dalle proprie competenze e comunque irrilevante ai fini di causa (ancorché la questione sia stata ampiamente oggetto del contraddittorio in primo grado e della stessa sentenza impugnata), è evidente che l’insistenza dell’opera sul terreno di proprietà dell’appellato risale a momenti ben anteriori al provvedimento impugnato.
Tale provvedimento, pervenendo a “sanare” le opere realizzate ante 1977 – e fin da quella data è da presumere consentite o tollerate - non ha causato alcun pregiudizio attuale al diritto dominicale del ricorrente in primo grado; né è paradossalmente ipotizzabile che la “passerella a scavalco” non abbia costituito pregiudizio per il diritto reale fintantoché costituiva illecito edilizio ed invece determini tale pregiudizio una volta “legalizzata”.
In definitiva, non può sussistere l’interesse a ricorrere avverso il permesso di costruire in sanatoria di un’opera, allegando, quale pregiudizio, l’incisione sul proprio diritto reale, laddove tale diritto, concretamente inciso da un’opera realizzata in epoche estremamente risalenti, non sia stato oggetto di tutela, sia attraverso segnalazione/denuncia alla amministrazione competente, sia – più propriamente – attraverso gli strumenti tipici che l’ordinamento offre a tutela della proprietà.
E ciò senza considerare quanto tali circostanze possano comportare sul piano dei rapporti dominicali, in termini di servitù ed usucapione (istituti entrambi estranei alla giurisdizione amministrativa ed ininfluenti ai fini del presente giudizio).
8. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, stante il dedotto (e comunque rilevabile di ufficio) difetto di interesse a ricorrere, con assorbimento degli ulteriori motivi di appello proposti.
Da ciò consegue, in riforma della sentenza impugnata, la declaratoria di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Stante la particolare natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Bertamini Cristina (n. 8441/2022 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Compensa tra le parti spese ed onorari di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 23 luglio 2024.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere
Stefano Filippini, Consigliere